How soon is now?
Jan. 31st, 2021 11:15 pm2x drabble
Scritte per la Maritombola! Prompt: The Smiths - how soon is now
Mentre si osservava allo specchio, aveva incrociato lo sguardo con i suoi occhi e aveva notato come fossero spenti.
Sentiva il bisogno di rilassarsi e di riflettere. La aspettava un momento un po’ complicato.
Quella mattina aveva spento la sveglia meccanicamente dandosi da sola il buongiorno e imprecando tra sé per la stanchezza che sembrava essere diventata cronica ormai. Lavorare da casa non le pesava, anzi: il suo piccolo appartamento era accogliente e il non doversi preoccupare ogni giorno di prendere due autobus e sprecare due ore al gelo per arrivare in ufficio non le dispiaceva affatto. Aveva più tempo per se stessa, tempo che comunque aveva sempre dedicato ad altro visto che lavoro e faccende domestiche non mancavano mai.
Aveva indossato di nuovo i calzettoni pesanti a righe bianche e rosse che si era comprata per Natale e aveva acceso le luci dell’albero di Natale che ancora non aveva riportato in cantina.
Erano passati quindici giorni da quando Sami se n’era andato e il calore degli addobbi natalizi la faceva sentire meno sola, occupando spazio in casa e rendendola più amichevole e viva.
Era sabato, ma aveva passato la mattinata a lavorare perché sapeva che altrimenti i suoi pensieri avrebbero vagato troppo; nel pomeriggio aveva fatto dei biscotti e poi si era seduta sul divano: comoda, con la coperta rossa a scaldarla, e la tazza calda tra le mani. Aveva pensato di leggere qualcosa, ma non ci stava riuscendo, quindi si era limitata a fissare le luci di fronte a lei chiedendosi cosa sarebbe successo di lì a poco.
La realtà era che la solitudine la faceva sentire vuota e per questo si aggrappava al lavoro. Si ritrovava a parlare con se stessa allo specchio o, peggio, coi soprammobili della casa. Quella era casa sua, Sami era sempre stato un ospite e lei lo aveva sempre saputo, si era comportato come tale dall’inizio. Non aiutava in casa a meno che non fosse necessario. Aiutare: sua madre le aveva sempre detto che in casa i compiti vanno divisi, ma ogni volta che lui faceva qualcosa tra uno sbuffo e un’imprecazione, poi si aspettava i ringraziamenti da parte di Clara, che più volte gli aveva spiegato il suo punto di vista.
Eppure lo amava, o almeno l’aveva amato.
A modo suo sapeva essere dolce e premuroso e lei sperava che le parti più infantili del suo carattere col tempo sarebbero svanite, ma dopo un anno niente era cambiato.
Il lockdown li aveva resi nervosi. Stare tutto il tempo insieme nel piccolo appartamento non era stato semplice, ma le era parso che tutto sommato non fosse andata così male. Non litigavano quasi mai, ma questo non voleva dire che fossero felici. Le loro vite erano fatte di silenzi sempre più lunghi. Di frasi non dette per evitare di ferire l’altro. Questo inevitabilmente li aveva allontanati. Ricordava ancora quel due gennaio.
Aveva aspettato l’anno nuovo, che gentilezza da parte sua.
Quindici giorni. Solo quindici giorni per cambiare idea.
Sami aveva riempito le sue due valigie, belle e costose, e se n’era andato. Non aveva avuto neppure il coraggio di dirle in faccia che sarebbe tornato a casa dei suoi. Clara si era chiesta tante volte cosa fosse successo tra loro, come la lontananza avesse preso il sopravvento sull’amore che lei era convinta un tempo fosse esistito. Invece forse si era sempre sbagliata.
Tornata dal supermercato, Clara gli aveva scritto un messaggio perché la aiutasse a portare in casa i pesanti sacchi, ma lui non aveva risposto. Lei aveva fatto due volte le scale carica di sacchetti pesanti, convinta che lui fosse in bagno, e quando finalmente aveva chiuso la porta alle sue spalle aveva visto una busta solitaria sul tavolo.
Aveva capito subito quello che conteneva e aveva deciso di darsi qualche minuto per leggerla. Aveva sistemato con cura la spesa cercando di capire quale fosse il sentimento che prevaleva nel suo cuore. Tristezza? No, forse più delusione per come era andato via. Avrebbero almeno potuto affrontare l’argomento. No, forse era stato meglio così. Sentiva anche un certo sollievo al pensiero che non era stata lei a lasciarlo, perché forse così si era evitata la parte della cattiva e doveva ammettere che nell’ultimo periodo aveva pensato anche lei di lasciarlo.
Clara aveva lasciato passare qualche ora: aveva pulito le scale, aspirato il divano, lavato i pavimenti e i vetri della casa.
A ora di cena si era resa conto che non avrebbe potuto mangiare se prima non l’avesse aperta. Aveva fatto qualche respiro profondo e aveva strappato la busta.
Cara Clara,
non potevo più stare qui, ma non sapevo come fare.
Sentivo che in tua presenza non sarei stato in grado di andare via, per questo ho approfittato del fatto che tu fossi uscita per la spesa. Mi dispiace.
Starò via per quindici giorni, durante i quali vorrei che non ci sentissimo.
Concedimi quindici giorni e poi tornerò.
Clara aveva sollevato un sopracciglio nel pensare alla spesa. Siamo pure in quarantena, come consumo tutta quella roba adesso? Si era chiesta come avesse potuto pensare che un comportamento del genere fosse ammissibile per un uomo adulto.
Quella sera aveva pianto, pensando alla fine della loro storia come un fallimento. Ma aveva approfittato dei giorni seguenti per fare ogni giorno qualcosa di buono se stessa e aveva ricordato quanto fosse bello passare il tempo da sola.
In casa si era accumulata un po’ di confusione, ma non le interessava.
E ora che i quindici giorni sono passati?
Col tè ormai tiepido tra le mani continuava a pensare al contenuto della lettera. Si chiedeva se lui avrebbe varcato la porta dichiarando Tesoro, sono a casa!
Si aspettava forse che lei gli sarebbe saltata al collo e l’avrebbe baciato? No: in quei quindici giorni lei aveva capito che la sua vita non era finita. Che sarebbe sopravvissuta in qualche modo. Non aveva bisogno di Sami, non più ormai.
Il tè era ormai del tutto freddo quando lui era arrivato. Non le importava quello che lui avrebbe detto: Clara intendeva lasciarlo di persona.
Otia dant vitia
Ogni volta che Paolo si era trovato per qualche ragione a casa da solo senza impegni particolari, aveva ricominciato a fumare.
Adesso che si era trovato all'improvviso in ferie forzate a causa dell'allagamento dell'azienda per cui lavorava, con l'autunno piovoso fuori che non gli permetteva di uscire e senza alcuna voglia di vedere i suoi amici, che ultimamente parlavano solo di calcio, stava pensando che molto probabilmente ci sarebbe ricaduto. Fumo, cibo, birra: i grandi amici degli ignavi.
No, non poteva lasciarsi andare di nuovo all'ozio, non voleva ricadere per l'ennesima volta nello stesso identico errore: aveva bisogno di un hobby.
Si rendeva conto da solo che non fosse semplice dire "Voglio un hobby!" e sperare di sentirlo sbucare dal nulla, così, come se volesse ordinare una pizza da asporto.
Paolo non era mai stato troppo impegnato, ma quando viveva con lei almeno trovavano sempre qualcosa da fare insieme, fosse anche soltanto guardare un film. Lei aveva anche il cane, ma ora se n'era andata e aveva lasciato il vuoto nella vita ora meno impegnata che mai di Paolo.
Dopo averci pensato un po' aveva trovato una soluzione: niente hobby per il momento, solo necessità: avrebbe dipinto casa, visto che ce n'era bisogno, e magari sarebbe stato a trovare i suoi che lo chiamavano sempre per invitarlo da loro. Magari loro gli avrebbero dato qualcosa di interessante da fare per passare il tempo. Tutto, pur di non cadere nella spirale della noia, che si sa, non porta mai niente di buono.
Ci vuole tutta la vita per imparare a vivere e, quel che forse sembrerà più strano, ci vuole tutta la vita per imparare a morire.
Elena sapeva che non avrebbe vissuto ancora per molto, ma non aveva intenzione di passare il poco tempo che le restava vivendo nell'attesa di una morte che sarebbe arrivata indubbiamente, chissà quando.
Ci sarebbero potuti volere mesi, settimane o forse anni, se le fosse andata estremamente bene e avesse trovato un donatore per il suo cuore malconcio.
Non poteva sperare di avere tutto ciò che le sue amiche desideravano: aveva abbandonato gli studi per dedicarsi alle sue passioni, supportata dalla sua famiglia e si sentiva lieta di aver avuto la possibilità di avere l'amore delle persone che aveva intorno.
Per molto tempo aveva pensato di non avere il tempo per trovare un amore, e poi invece era arrivato anche lui.
Stefano aveva accettato il fatto che la sua fosse una presenza da vivere alla giornata e ogni volta che si vedevano faceva in modo da darle un bel ricordo di lui.
Quando la sua ora fosse arrivata, Elena era certa che sarebbe stata pronta.
Tutti intorno a lei vivevano ogni giorno come un dono, una nuova opportunità e non la salutavano mai con rabbia, sapendo sempre che il suo giorno potesse essere l'ultimo.
Quando aveva ricevuto il trapianto all'inizio le era sembrato strano cambiare stile di vita, fare programmi per l'anno successivo e vivere come una persona normale. Aveva imparato però, vivendo nella certezza che la morte era vicina, a dare valore a ogni giorno, dal primo fino all'ultimo.
Era una lezione che lei e Stefano avrebbero ricordato per sempre, durante la loro vita felice, tra alti e bassi, insieme.
Fandom: Originale
Genere/tipo: Flashfic, slice of life
Prompt: colpo di scena
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Il buongiorno si vede dal mattino
Quella mattina Anna si era svegliata di buon umore, era uscita con la speranza che tutto sarebbe andato bene e la giornata infatti era iniziata nel migliore dei modi: per colazione aveva bevuto un caffè e mangiato una mela che si era rivelata buonissima, cosa che visto che era a dieta era un primo buon segno. Il secondo buon segno era stato il messaggio di Filippo, il ragazzo col quale sperava di avere un altro appuntamento che le chiedeva se avesse da fare quella sera per vedersi per un aperitivo, nel caso ne avesse voglia. Aveva risposto con una certa nonchalance, sorridendo come la sciocca romantica che era per tutto il tempo.
Poi quando era scesa e le cose avevano preso una piega triste e inaspettata: la sua auto nel parcheggio era stata colpita da qualcuno che a quanto sembrava aver deciso che la fiancata della sua auto fosse troppo nuova e che andasse rifinita.
Si era avvicinata e aveva notato un foglio piegato sotto il tergicristallo. La sua fiducia nell’umanità era tornata a livelli più o meno accettabili, ma quando aveva iniziato a leggere era rimasta a bocca aperta…
Mi stanno guardando tutti, quindi sto scrivendo questo foglio
mi dispiace, ma non ti scrivo il numero di telefono
cercami al 345 e mettici un po’ i numeri che vuoi.
Ciao, eh
Anna aveva preso fiato e si era messa a ridere. Scemo tu, aveva pensato, che non hai visto che qui di fronte c’è una bella, preziosa e onesta telecamera.
Fandom: Originale
Genere/tipo: Flashfic,
Prompt: Colpo di scena
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Giro acquisti
I giri al centro commerciale le facevano sempre venire il mal di testa. Quel pomeriggio Sofia era uscita controvoglia dopo che sua figlia Adriana si era lamentata per un’ora del fatto che tutti i suoi vestiti erano vecchi e orribili.
Ovviamente non era così, ma i giovani, i ragazzi anche ai suoi tempi erano particolarmente infami nel giudicare e Sofia non voleva che sua figlia si sentisse a disagio. Le aveva concesso un budget limitato, che comunque le avrebbe permesso di acquistare almeno un completo e aveva passato due ore e mezza tra un negozio e l’altro. Una volta uscite, però, l’auto non c’era.
Adriana, impegnata a chattare col cellulare, aveva seguito la madre per due volte avanti e indietro per tutto il parcheggio.
“Mamma, ma dov’è la macchina?”
“Non… è qui da qualche parte.”
La ragazza aveva continuato a scrivere, impegnata com’era in un discorso che non poteva aspettare. Sofia era tornata in fondo al parcheggio e aveva ricominciato a percorrerlo tutto, guardando ogni singola macchina parcheggiata.
“Ci hanno derubate?” Aveva chiesto Adriana, senza alzare la testa.
“Dobbiamo chiamare i carabinieri. Mi avevano detto che c’erano stati dei furti, ma la nostra auto è vecchia, non pensavo che sarebbe potuto succedere a noi.” Sofia stava perdendo la sua lucidità immaginando le conseguenze del furto.
Adriana allora aveva alzato la testa e aveva cominciato a ridere. Sofia si era rabbuiata di fronte alla superficialità della figlia in quella situazione.
“Mamma, abbiamo parcheggiato sul retro, non qui.”
Sofia aveva sospirato: stava davvero diventando vecchia.
Fandom: Originale
Genere/tipo: Flashfic, telefonata
Prompt: Pensiero laterale
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Pisoloweb
Operatore: Buongiorno, sono Manuela di Pisoloweb, chiamo perché abbiamo ricevuto la sua lamentela sul nostro servizio e abbiamo visto che in seguito ha richiesto di interrompere il contratto.
Saverio: Ho esposto la lamentela venti giorni fa, adesso vi fate sentire? Venti giorni senza internet, non riesco neanche a vedere un telefilm su netflix che cadeva la linea co-
Operatore: Certo, ci scusi. Abbiamo avuto dei guasti sulla linea. Mi-
Saverio: Anche sulla linea telefonica? Che vi avrò telefonato cinquanta volte e nessuno mi ha mai risposto, però adesso che cambio gestore sì che vi fate sentire, eh. Ora capisco anche il motivo del nome Pisoloweb. Adesso sì…
Operatore, sconfitto: che cosa le devo dire? Mi pagano poco, sono qui da sola e non so cosa rispondere perché nessuno mi dice un cazzo sui guasti. Mi chiamano continuamente clienti arrabbiati e disperati e mi insultano tutti.
Saverio: … Mi dispiace…
Operatore, in lacrime: Io non ne posso più. Neanche mi calcolano. Mi danno una lista e mi dicono di chiamare i clienti insoddisfatti e io da subito so che sarà una giornata di merda. Quindi glielo dico di cuore, signor Monti: io non voglio Pisoloweb. Ed è l’azienda di mio padre, Santo cielo! Se resta le rimborso i giorni che ha perso, altrimenti arrivederci.
Saverio: Ok… resto.
Operatore, improvvisamente tranquilla: La ringrazio. Allora procediamo con l’annullamento della richiesta di recessione. Ha fatto bene, signor Monti.
Saverio: Speriamo…
Fandom: Originale
Genere/tipo: Flashfic, sms
Prompt: Pensiero laterale
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Tradimenti:
Ignoto: Buongiorno, signora Martini, lei non sa chi sono, ma io la conosco bene e le devo dare una pessima notizia… Suo marito la tradisce. L’ho visto prima.
Elisa: Chi è? Cosa dice?
Ignoto: Dico che purtroppo ne ho la certezza, perché lo fa con mia moglie.
Elisa: Io… io lo sapevo già.
Ignoto: e non vuole fare niente? Non intende fermarli?
Elisa: Non ne vale la pena… Non posso costringerlo a stare con me se non mi ama. Posso però togliergli anche le mutande, visto che lavora per mio padre, vive nella mia casa e che ho già chiesto a un investigatore privato di portarmi le prove. Sa, lui non è molto brillante, non so neanche perché l’ho sposato.
Ignoto: Io amo mia moglie. Non vorrei perderla.
Elisa: Sua moglie io credo sia Sara, la centralinista, vero?
Ignoto, esitante: sì, è lei…
Elisa: Le do un consiglio da amica: la lasci, non ne vale davvero la pena. Purtroppo sembra che lei non ricambi. Le devo dare io una pessima notizia, vede lei ha avuto una storia con mio padre l’anno scorso…
Ignoto, singhiozzando: Sara…
Elisa: Lei merita di meglio.
Ignoto: Anche lei, ne sono certo.
Elisa: Allora vediamoci, dopodomani porterò le carte del divorzio a mio marito, chissà, magari questa situazione potrebbe risultare piacevole alla fine.
Ignoto: …
Elisa: Mi faccia sapere, il numero lo conosce.
Click.
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Genere/tipo: Flashfic, generale
Prompt: Luoghi di Nocturnia
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Un sogno inusuale
Quando Barbara aveva comunicato al padre di voler aprire una falegnameria, lui era rimasto di stucco. "Intendi forse una fioreria?"
Lei l'aveva guardato convinta: "No, proprio Falegnameria. È sempre stato il mio sogno, papà."
"Mah, se sei convinta tu..."
Suo padre non la appoggiava e lei un po' ne soffriva, ma non avrebbe abbandonato quel progetto che la faceva sentire finalmente realizzata. Anche se non era esattamente vero che fosse sempre stato il suo sogno, in realtà lo era stato da quando l'anno precedente aveva deciso di restaurare la sua cassettiera. Sorpresa dal risultato eccellente aveva fatto alcune ricerche e realizzato alcuni progetti da sola, con enorme soddisfazione.
Aveva investito i suoi risparmi per aprire quell'attività arrivata ormai all'inaugurazione. Aveva comprato il legno, le vernici, gli oli per il legno, i pennelli e i macchinari. Era particolarmente orgogliosa della sua levigatrice, che aveva trovato a un prezzo eccellente.
La sua insegna: Da Barbara Falegnameria, in verde su sfondo bianco, troneggiava sopra i portoni del capannone.
Il padre era arrivato poco prima che lei aprisse, fino a quel momento era stato fuori dalla parte lavorativa della vita della figlia ed era rimasto sorpreso nel vedere i mobili che lei aveva creato e restaurato, in bella mostra nella parte commerciale del negozio. L'uomo non immaginava che sua figlia nutrisse un amore così grande per quel lavoro quasi dimenticato, e di certo mai troppo considerato dalle donne in generale.
Si era sentito subito un po' triste per non essersi mai interessato a parlare con lei del suo progetto: l'aveva lasciata sola quando avrebbe potuto consigliarla e aiutarla. Del resto lui non aveva mai seguito i suoi sogni, forse per mancanza di coraggio, e dubitava che lei ci avrebbe provato. In quel momento aveva provato un'ammirazione nuova per Barbara, la falegname. Sarebbe sempre stato il suo fan numero uno.
"Ho un lavoro per te, mi servirebbe un tavolo nuovo."
Barbara aveva sorriso, felice che suo padre l'avesse capita. "Da Barbara Falegnameria, al tuo servizio!"
Fandom: Originale
Genere/tipo: Flashfic, telefonata
Prompt: Pensiero laterale
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Garanzia, garanzia canaglia
Giuseppe, sbattendo sul bancone un router wifi: Non funziona, dovete cambiarmelo oggi.
Commesso, cercando di sorridere: Buonasera, che problema c'è, signore?
Giuseppe, irritato: C'è che non funziona, come ho detto.
Commesso: vuole che proviamo a vedere se riusciamo a farlo funzionare qui o preferisce un cambio o un rimborso.
Giuseppe: Un rimborso. Subito.
Commesso, aprendo la scatola: Come preferisce. Mi può dare lo scontrino per il rimborso? Intanto controllo che nella scatola ci sia tutto.
Giuseppe: Lo scontrino? Perché, non vi fidate?
Commesso, inserendo lentamente i dati nel computer: Noi ci fidiamo, signore, ma l'ultima volta che abbiamo venduto questo prodotto è stato otto mesi fa e non credo lei l'abbia comprato da noi, a meno che non ci sia stato un errore nel sistema e in quel caso mi serve il suo scontrino.
Giuseppe, rosso in viso: Ma certo che l'ho comprato qui.
Commesso, accondiscendente: Va bene, ma quando?
Giuseppe, imbarazzato, guardandosi intorno per prendere tempo: Ripensandoci, vogliamo provare a vedere se funziona?
Commesso, sorridendo: Ma certo, facciamo subito.
Giuseppe, educatamente: Grazie.
Commesso, dopo aver acceso il router e averlo connesso alla rete: il suo acquisto funziona.
Giuseppe, confuso: ma non è senza fili?
Commesso, perplesso: Sì, nel senso che basta collegarla alla rete e che per i computer e i cellulari è sufficiente inserire la password. Non ha letto le istruzioni?
Giuseppe, ancora imbarazzato: La ringrazio, lo farò. Arrivederci, è stato gentilissimo.
Commesso: Arrivederci.
Commesso 2: Complimenti, tutti da te vengono questi furboni.
Commesso: Non lamentiamoci, ha anche ringraziato.
Fandom: Originale
Genere/tipo: Copione
Prompt: Pensiero laterale
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A che ora è la fine del mondo?
Ali, si siede su una panchina occupata da una giovane ragazza bionda che sta leggendo un libro: Buongiorno.
Laura, guarda l'estraneo di sottecchi e ricomincia a leggere: Buongiorno.
Ali: Oggi è davvero una giornata speciale, non trova?
Laura, sospirando: Sì, è bellissima.
Ali: Non bellissima, solo speciale. Tra circa un'ora saremo di fronte a qualcosa di unico, sono venuto qui per lo spettacolo e non vedo l'ora, anche se forse per voi non sarà così piacevole.
Laura: Va bene, io sto cercando di finire il libro.
Ali: Mmm... no, non finirai il libro.
Laura, sopracciglia aggrottate: Devo cambiare panchina?
Ali, avvicinandosi alla ragazza: Ti svelo un segreto. Tra meno di un'ora un asteroide cadrà laggiù, causando un bel po’ di problemi per l'umanità.
Laura, incredula: La fine del mondo? Oggi? Ma io devo ancora andare in ferie! No, dai, aspettiamo l'anno prossimo.
Ali: Eh, dipendesse da me volentieri, ma non decido io.
Laura, mettendo via il libro: quindi un asteroide?
Ali: Sì, in tanti pezzi.
Laura: ma di solito cadono in Giappone o negli Stati Uniti, non qui. Ancora ancora avrei capito Milano, ma qui in campagna? Non passano neanche gli aerei...
Ali: Ma non morirete mica subito, tranquilla.
Laura: Oh, grazie. Che bella consolazione.
Ali: Siamo un po' in giro per il mondo, vi portiamo via noi. Non tutti, abbiamo fatto delle scelte purtroppo… Sai com’è, siete tanti. Ma tu sei fortunata.
Laura: Oh, sei il primo che me lo dice. Non ho mai vinto neanche la pasta alla pesca, sempre i biglietti cumulativi.
Ali: Sei stata estratta! Verrai con noi, sul nostro pianeta finché la terra non si sistema.
Laura, circospetta: e la tua astronave scommetto che è in un viottolo buio, magari nel giardino di un palazzo distrutto. Irriconoscibile all’occhio umano e io ti dovrei seguire fin lì senza fiatare.
Ali: L'ho messa sul tetto di un palazzo. Ho già avvisato un po' di umani, ma non mi sembravano convinti. I miei capi mi hanno consigliato di aspettare che cadesse, soprattutto visto che ho a che fare con gli Italiani.
Laura, ridendo: Siamo famosi nell'universo?
Ali: un po'... siete gli unici ad aver fregato un abitante di Astro Vega. Loro sono furbi, ma uno gli ha venduto una batteria convincendolo che fosse omologata per la sua navicella, e invece non funzionava. Ha quasi scatenato una guerra galattica…
Laura: Eh, che volete, forse non conosceva gli standard di Astro Vega. Mi spiace, non siamo tutti così.
Ali, molto serio: Lo so, infatti non vi abbiamo esclusi anche se qualcuno aveva fatto richiesta, io ero già stato in vacanza qui e mi sono offerto volontario.
Laura, osservando il cielo: in effetti che cos’è quella cosa?
Ali: Eh, io te l’avevo detto. Ma non preoccuparti. Aspettiamo qui, vediamo che succede, poi ce ne andiamo sul mio pianeta.
Laura, incapace di parlare, inizia a piangere.
Ali: Su, non moriranno in tanti, vi portiamo via perché ci saranno meno risorse qui e questo pianeta ormai non è preso molto bene.
Laura: Grazie, offendi anche la Terra, allora.
Ali: No, a me piace. Diventerà difficile abitare qui, ma vedrai che si riprenderà.
Laura, sospirando: Voglio ancora credere che tu sia un terrestre bugiardo, ma sto cominciando ad avere qualche dubbio adesso.
I due dalla panchina osservano impotenti il meteorite, che lento si avvicina.
Fandom: Originale
Genere/tipo: intervista
Prompt: pensiero laterale
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Il fantasma gentile
Giornalista: Da un mese a questa parte si è sparsa la voce dell'esistenza di un fantasma che si occupa della pulizia degli appartamenti che visita. Oggi sono a Milano, dove tutto è iniziato, a parlare con alcuni dei testimoni.
Buongiorno signora Irma, ci può raccontare cosa le è successo?
Irma: Sì, io... mi sono svegliata e ho trovato il pavimento lustro, ma anche le antine dei mobili tutte pulite. Spolverato, profumato, anche la finestra della cucina dentro e fuori.
Giornalista: Capisco... è possibile che qualcun altro abbia pulito?
Irma: Ma chi? Mio marito? Mio figlio? È tanto se quelli sanno dov'è la scopa, non è possibile...
Giornalista: Mi diceva però che è sparito qualcosa da casa sua, cosa di preciso?
Irma: un anello che non valeva proprio niente, sarà imbucato da qualche parte. Poi coi contanti non so, mio figlio dice che non li ha presi ma prima di dire spariti mi sa che è meglio fargli fare giuramento.
Giornalista: Ma quindi secondo lei chi è stato?
Irma: Un angelo, un fantasma... non lo so, ma se torna gli lascio la cena da scaldare.
Luisella: Anche io, anche io! La stessa cosa!
Giornalista: Lei invece è Luisa, la seconda testimone. Signora, conferma quello che ha detto la signora Irma, anche per lei è successa la stessa cosa?
Luisella: Mi chiamo Luisella. Confermo, certo. Pavimento, spolvero... ha pulito anche da me i vetri e pure la porta d'ingresso.
Patrizia: Da me ha lavato anche il bagno!
Luisella: Se torni e pulisci il bagno ti lascio pure venti euro.
Patrizia: Grazie Angelo, se sei in ascolto.
Giornalista: Ecco quindi le testimonianze delle signore che sono state visitate dal misterioso-
Scusate un attimo, abbiamo un collegamento telefonico. Pronto?
Pino: Ho rubato, ho pulito solo per non lasciare prove, sono un ladro, ma quale angelo ma dove e perché?
Giornalista: Mi scusi, intende dire di essere lei il misterioso pulitore notturno?
Pino: Sono un ladro. Ho rubato, non voglio aiutare nessuno!
Giornalista: Nessuna di queste signore ha posto denuncia, desidera un'intervista? Signor Angelo? Mi sente?
... Ha riattaccato. Con questo mi sa che passiamo la linea allo studio, ma prima la signora Irma vuole dire qualcosa.
Irma: Torna pure quando vuoi, caro.
Luisella e Patrizia: Anche da me
Luisella: insegna un po' di educazione.
Giornalista (sconsolata): a voi, studio.
Fandom: Originale
Genere/tipo: intervista
Prompt: pensiero laterale
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Il fantasma gentile
Giornalista: Da un mese a questa parte si è sparsa la voce dell'esistenza di un fantasma che si occupa della pulizia degli appartamenti che visita. Oggi sono a Milano, dove tutto è iniziato, a parlare con alcuni dei testimoni.
Buongiorno signora Irma, ci può raccontare cosa le è successo?
Irma: Sì, io... mi sono svegliata e ho trovato il pavimento lustro, ma anche le antine dei mobili tutte pulite. Spolverato, profumato, anche la finestra della cucina dentro e fuori.
Giornalista: Capisco... è possibile che qualcun altro abbia pulito?
Irma: Ma chi? Mio marito? Mio figlio? È tanto se quelli sanno dov'è la scopa, non è possibile...
Giornalista: Mi diceva però che è sparito qualcosa da casa sua, cosa di preciso?
Irma: un anello che non valeva proprio niente, sarà imbucato da qualche parte. Poi coi contanti non so, mio figlio dice che non li ha presi ma prima di dire spariti mi sa che è meglio fargli fare giuramento.
Giornalista: Ma quindi secondo lei chi è stato?
Irma: Un angelo, un fantasma... non lo so, ma se torna gli lascio la cena da scaldare.
Luisella: Anche io, anche io! La stessa cosa!
Giornalista: Lei invece è Luisa, la seconda testimone. Signora, conferma quello che ha detto la signora Irma, anche per lei è successa la stessa cosa?
Luisella: Mi chiamo Luisella. Confermo, certo. Pavimento, spolvero... ha pulito anche da me i vetri e pure la porta d'ingresso.
Patrizia: Da me ha lavato anche il bagno!
Luisella: Se torni e pulisci il bagno ti lascio pure venti euro.
Patrizia: Grazie Angelo, se sei in ascolto.
Giornalista: Ecco quindi le testimonianze delle signore che sono state visitate dal misterioso-
Scusate un attimo, abbiamo un collegamento telefonico. Pronto?
Pino: Ho rubato, ho pulito solo per non lasciare prove, sono un ladro, ma quale angelo ma dove e perché?
Giornalista: Mi scusi, intende dire di essere lei il misterioso pulitore notturno?
Pino: Sono un ladro. Ho rubato, non voglio aiutare nessuno!
Giornalista: Nessuna di queste signore ha posto denuncia, desidera un'intervista? Signor Angelo? Mi sente?
... Ha riattaccato. Con questo mi sa che passiamo la linea allo studio, ma prima la signora Irma vuole dire qualcosa.
Irma: Torna pure quando vuoi, caro.
Luisella e Patrizia: Anche da me
Luisella: insegna un po' di educazione.
Giornalista (sconsolata): a voi, studio.
Fandom: Originale
Genere/tipo: nonsense, chiamata telefonica
Prompt: pensiero laterale
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Risparmio, ma dopo una settimana
Arturo: Pronto?
Operatore: Buonasera, la chiamo perché stavo notando che lei paga troppo per l'energia elettrica a casa, è contento delle sue bollette?
Arturo: Non sono mai contento di pagare in generale, non posso dire di essere contento...
Operatore: Allora siamo perfetti per lei! Noi possiamo farla risparmiare, passi a più luce per tutti e con la nostra tariffa a basso consumo ogni giorno potrà avere grandi vantaggi.
Arturo: Mi spiace, ma non l'ho seguita, stavo guardando una videocassetta. Una cosa strana, me l'ha passata un amico e mi ha detto di farne una copia, ma ho pensato di guardarla prima e non mi pare interessante.
Operatore: ehm... Dicevo, con la nostra offerta la tariffa di base è di soli pochissimi centesimi, meno di quanto paga adesso, e-
Arturo: Un attimo, la fermo perché devo vedere bene questa cosa. Può richiamarmi magari tra una settimana che devo pensarci un po', mi trovo bene con Energia bella…
Operatore: Va bene, ci sentiamo tra una settimana, l'ho tenuta in priorità per la tariff-
Click
Squillo del telefono.
Arturo: Pronto... chi è?
Sconosciuto: Sette giorni.
Arturo: Non è divertente. Ho detto una settimana, ma se mi stressate così io non accetterò mai il contratto. Pronto? Non dice più niente?
Click.
Fandom: Originale
Genere/tipo: flashfic, comico
Prompt: colpo di scena
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Quando la sfortuna arriva, ci vede benissimo
La coda alla cassa del supermercato era infinita. Paride aveva alzato gli occhi al cielo chiedendosi come gli fosse venuta l'idea balorda di andare a fare la spesa di sabato pomeriggio, tutti sapevano che era come decidere di andare al mare di domenica in agosto. Le urla dei bambini erano continue, padri spaesati cercavano aiuto tra loro per trovare gli oggetti misteriosi che componevano le liste consegnate dalle loro mogli, anziani in vena di attività sociali si fermavano in mezzo alle corsie per raccontare le loro vite a persone che non vedevano da anni. In tutto quel caos i continui bip bip delle casse gli stavano facendo venire il mal di testa.
Quando finalmente aveva iniziato a posare la sua spesa dal carrello colmo al nastro si era sentito rasserenato al pensiero della sua silenziosa automobile e del meritato viaggio verso casa.
Aveva un metodo ben preciso per la divisione della spesa in sacchetti: frigo, freezer, dolce, salato, vetro, inorganico. Con particolare attenzione aveva riposto tutto nei sacchetti che aveva portato da casa, perché lui era un uomo attento all'ambiente.
"Sono centoventidue euro e cinquantasei centesimi."
Paride aveva infilato la mano nella tasca posteriore dei pantaloni e aveva sentito il vuoto: il portafoglio non c'era. I suoi occhi vitrei erano quelli di un uomo distrutto, la sua mano era rimasta a frugare il vuoto nella tasca. La bocca aperta non emetteva suono, il suo pensiero concentrato ai surgelati che si stavano sciogliendo nella borsa.
"Signore?"
Paride aveva guardato la cassiera, gli occhi velati di tristezza.
Fandom: Originale
Genere/tipo: Poesia, introspettivo
Prompt: Pensiero laterale
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speranza
Solo un giorno,
supera un giorno alla volta.
Alzati e respira,
osserva il mondo e vivilo
osserva te stessa e amati,
non sei sola, ma sei l'unica che può aiutarti
adesso
vivi
come se ogni cosa fosse in armonia con la tua vita
come se ogni giorno fosse il primo
non l'ultimo
c'è speranza.
non pensare al resto
non appena sveglia.
Possono ferirti?
Possono fermarti?
Ci proveranno, ma non curarti di loro appena sveglia.
Quello è il tuo momento per accettare
il momento delle possibilità.
La pioggia schiaccia la polvere,
la fa soccombere, lava la terra.
Lascia che sciolga anche le paure
Che ti renda pura, nuova
Che ti aiuti a perdonare
ad accettare i tuoi limiti e quelli di chi ti è attorno
A capire te stessa
Perché la perfezione è sempre stata nell'umanità dei tuoi errori
l'unicità è sempre stata un dono
ciascuno sbaglio è prova di un tentativo.
Tieni con te i tuoi difetti, lo dovremmo fare tutti,
Porta con te i tuoi pregi, sono lì, pronti a farsi raccogliere.
Rispetta
tutti
è l'unico modo per portare davvero rispetto anche al tuo cuore
e per permettere all'amore di essere la luce
la guida che ti porta da ciò che hai di più caro
Leonardo aveva avuto la prima bicicletta a tre anni. Apparteneva a suo cugino ed era già rovinata quando l’aveva ricevuta, ma a lui non importava: amava la sensazione dell’aria tra i capelli e sul viso quando pedalava a tutta velocità, anche se fino agli otto anni in pratica non era mai uscito dal cortile di casa.
Quando suo padre gli aveva regalato la nuova bicicletta, la prima tutta sua, la prima nuova davvero, Leonardo aveva pianto di gioia e l’aveva immediatamente provata. Un pomeriggio era andato a mangiare il gelato con gli amici e si erano fermati a giocare a biliardino, il tempo era volato.
Una volta uscito, però, Leonardo aveva sentito un brivido freddo sulla schiena: la sua bicicletta non c’era più.
“Non l’hai legata?” Gli aveva chiesto subito il suo amico Marco.
La risposta era no: con tutte le volte che i suoi genitori gli avevano detto di mettere il lucchetto, lui era stato a giocare spensierato per almeno un’ora senza pensare alla sua amata bicicletta.
Mai i suoi gliene avrebbero regalata un’altra, perché era stata colpa sua e loro di certo l’avrebbero sospettato.
Aveva di fronte due possibilità: la prima era la più semplice, sarebbe tornato a casa e avrebbe raccontato ai suoi che, nonostante fosse stata legata, la sua era stata l’unica bici a sparire, forse proprio perché era così bella.
La seconda possibilità consisteva nel cercarla: quante ce n’erano come la sua? Quasi certamente nessuna nella sua città, perché era un modello nuovo in colori particolari.
Da subito lui non aveva avuto dubbi: avrebbe chiesto aiuto ai suoi amici e se loro si fossero rifiutati di dargli una mano avrebbe pattugliato da solo il paese per cercare il maltolto. anche se ci fosse voluto tutto il pomeriggio.
“Aiutatemi a trovarla,” aveva chiesto e insieme i ragazzi avevano pensato a un piano d’azione: avrebbero pattugliato le vie più centrali del paese e poi si sarebbero divisi in tre settori, visto che in totale avevano solo sette bici, per stare almeno in due per settore.
Leonardo avrebbe usato la bicicletta di Laura, che li avrebbe attesi in centro e avrebbe comunicato eventuali avvistamenti.
Dalla via principale avevano percorso tutte le laterali, avevano guardato nei giardini e nei parcheggi di ogni luogo d’interesse. Dopo poco più di un’ora Simone aveva ricevuto la chiamata di Laura: “Bici avvistata dietro al cinema, ci sto andando a piedi, ci troviamo nel parco comunale lì vicino.”
La giornata tutto sommato era stata divertente.
Leonardo aveva tirato un sospiro di sollievo nel vedere la sua amata bicicletta intatta. Aveva dovuto combattere con l’istinto di abbracciarla e di rassicurarla va tutto bene bici, non ti perdo più, giuro.
“La prossima volta vi pago il gelato, grazie.” aveva ringraziato i suoi amici, che avevano in realtà passato una giornata alternativa e divertente.
Leonardo aveva messo la bici al sicuro nel giardino recintato della loro casa, ma avrebbe chiesto a suo padre le chiavi del garage per dormire più tranquillo.
Una volta dentro aveva trovato suo padre ad aspettarlo a braccia incrociate sull'ingresso della cucina.
"Allora, Leo, quante volte ti ho detto di assicurare col lucchetto la tua bicicletta?"
Lui era impallidito, forse li aveva scoperti durante la loro ricerca, forse qualcuno aveva vuotato il sacco. "Lo so, scusami."
Suo padre gli si era avvicinato e gli aveva dato una pacca sulla spalla: "Tranquillo, l'ho presa io. È in garage, ma da adesso in poi devi starci attento!"
Leonardo, ancora più pallido, si era reso conto di avere reso i suoi amici complici nel furto della bicicletta di un perfetto sconosciuto innocente. "Devo... devo andare un attimo fuori."
“Non è vero che l’oblio non esiste. La testa seleziona, fa archivio continuamente e molto scarta. Fa spazio, compatta. Magari non elimina del tutto ma comprime in un formato illeggibile. Anche se ti sforzi non trovi la chiave, non lo puoi decifrare più.” (Concita De Gregorio)
Partecipa al COWT10
Ne aveva centosei, ma ancora non erano abbastanza. La signora Teresa era conosciuta in paese per la quantità di marionette che possedeva e per la sua grande passione nel dipingerle e vestirle.
Chi entrava per la prima volta nel suo appartamento gremito restava sempre colpito dalla cura con la quale le marionette erano disposte nelle vetrate chiuse, sempre pulite, sempre in ordine.
Ogni giorno passava un gran parte del suo tempo a prendersi cura di loro. Da quando i figli se n’erano andati di casa le erano rimasti soltanto le sue marionette e colui che per lei continuava a scolpirle: suo marito.
Nell’ultimo periodo Teresa aveva avuto qualche problema nel ricordare i nomi di chi le stava intorno e ciò che doveva fare in casa. Più di una volta aveva lasciato acceso il fuoco sotto la pentola del minestrone e si era bruciato tutto. All’inizio Gino si era un po’ arrabbiato, ma in seguito, dopo aver visto il dottore, aveva iniziato a capire che non era colpa di Teresa. Così aveva iniziato a cospargere le superfici dell’appartamento di post-it, la teneva viva con ciò che lei più amava: le sue marionette. La demenza senile a volte inizia a colpire presto, quando si è ancora padroni del proprio corpo e delle proprie azioni. I momenti più difficili da accettare sono quelli di consapevolezza, quando ci si rende conto che qualcosa non quadra, ma non si riesce a capire cosa.
Quel pomeriggio Teresa stava pettinando le sue marionette, quando gliene capitò tra le mani una che credeva di non avere mai visto. La donna andò subito dal marito a chiedergli da dove venisse, ma lui si incupì all’improvviso. “Quella è nuova, l’hai dipinta la settimana scorsa…”
Teresa aveva aggrottato le sopracciglia nel tentativo di ricordare qualcosa, ma non era riuscita a capire dove fosse finito quel ricordo. Aveva riso, preoccupata di ciò che avrebbe potuto dimenticare e per togliere la tristezza dagli occhi di Gino. “Sono proprio una smemorata.”
Il teatro delle marionette era stato dipinto a mano da Teresa molto tempo prima, era difficile per lei ricordare quanto tempo fosse passato, se provava a sforzarsi di pensarci era come se gli ultimi anni fossero svaniti nel nulla. ricordava però che Gino l’aveva realizzato a partire da una vecchia vetrina che aveva modificato grazie alle sue sapienti doti di falegname e che lei l’aveva carteggiato e dipinto con cura, perfezionandone le decorazioni per giorni.
Mentre sedeva a guardare lo spettacolo le sue marionette sfilavano, danzavano e chiacchieravano tra loro, compievano il loro destino mentre una voce fuori campo raccontava la storia di un giullare innamorato di una principessa e che con lei fuggiva fuori dal regno per non morire.
I nipoti avevano preparato per loro quello spettacolo e quando uscirono dal teatro Teresa fece un applauso di cuore a quei due bambini che non conosceva che avevano preparato quel magnifico spettacolo solo per loro. “Le ho dipinte io, lo sapete?”
“Lo sappiamo, nonna,” avevano detto. Mentre li abbracciava la donna si era chiesta come poteva averli dimenticati, perché le sue braccia le dicevano che quelli erano davvero i suoi nipoti, ma la sua testa si rifiutava di ricordarli.
Il Leprechaun
Il signor O'Brien era ossessionato dall'idea che prima o poi si sarebbe impossessato del tesoro di un Leprecauno.
C'era chi scommetteva alle lotterie e sperava di arricchirsi e poi c'era lui che invece si metteva appostato nei cespugli o sugli alberi in cerca della fine dell'arcobaleno sperando che prima o poi la fortuna avrebbe guardato dalla sua parte e ce finalmente lui avrebbe avuto la sua chiacchierata con il folletto che di fronte alle domande specifiche di O'Brien non avrebbe potuto evitare di rivelargli dove fossero nascoste le sue ricchezze.
Ormai erano ventidue anni che l'uomo dava la caccia al Leprecauno. Aveva imparato a capire quando il tempo avrebbe consentito all'arcobaleno di apparire e in quei giorni si metteva in appostamento, anche se in generale negli ultimi tempi cercava di passare nei boschi ogni suo minuto libero, visto che tutti in paese ormai lo davano per pazzo aveva deciso che avrebbe dimostrato a tutti quei malfidati che il folletto esisteva davvero.
Quel pomeriggio di ottobre non era troppo freddo e il cielo era sereno, era venerdì e O'Brien aveva finito presto di lavorare, aveva preso la sua borraccia piena di tè caldo corretto col Whiskey e un panino e si era avviato verso una parte del bosco nella quale non si appostava da parecchi mesi. Ne avrebbe approfittato per sistemare bene il suo nascondiglio e per renderlo confortevole per l'inverno.
Negli anni aveva ideato un sistema di teli impermeabili che riuscivano a mantenerlo asciutto e più caldo di quanto sarebbe stato senza di essi sotto la pioggia autunnale.
Le nuvole avevano iniziato ad apparire nel cielo e si moltiblicavano man mano che le ore passavano, O'Brien osservava i dintorni senza sosta, le orecchie tese a cogliere qualsiasi rumore, anche impercettibile.
Fu allora che lo vide: non era più alto di un bambino dell'asilo, dal cappello a cilindro verde sbucavano dei capelli rosso carota. Aveva un grembiule da lavoro e teneva a tracolla un borsone e le fibbie argentate delle scarpe brillavano riflesse dalla luce del sole.
Si muoveva circospetto al limitare del sentiero, nascosto dall'ombra degli alberi, silenzioso come solo un abitante del piccolo popolo può essere.
O'Brien sapeva che non poteva perderlo di vista, se fosse successo la creatura sarebbe svanita e lui l'avrebbe più ritrovato, aveva studiato ogni leggenda possibile e si era documentato su internet leggendo ogni singolo resoconto che aveva trovato. Alcuni erano palesemente frutto della fantasia degli autori, ma altri erano tanto realistici da averlo convinto.
Attento a non perderlo di vista neanche per un istante, O'Brien si era sollevato, rivelandosi al Leprecauno che si era voltato di scatto, incapace di muoversi a causa dello sguardo fisso dell'uomo, che non riusciva a proferire parola, incantato com'era dalla vista della creatura che tanto aveva sognato.
L'esserino, però, non pareva intenzionato a restare sotto il suo potere, infatti aveva preso un sasso e glielo aveva lanciato addosso, costringendo l'uomo a distogliere lo sguardo.
O'Brien aveva sprecato la sua occasione: non gli aveva fatto domande, non era neppure riuscito a sentire la sua voce.
Quella sera però era tornato a casa felice, perché per quanto i suoi compaesani avrebbero potuto considerarlo un pazzo, per quanto l'avessero preso in giro, lui sapeva che il Leprecauno esisteva davvero e che prima o poi avrebbe ottenuto le sue ricchezze. Alla fine sarebbe stato lui a ridere.
I pronipoti del signor O’Sullivan avevano bussato alla sua porta nel giorno dell'ottantunesimo compleanno del loro nonno. Il vecchio era diventato ufficialmente colui che nella famiglia intera aveva raggiunto l'età più avanzata, ma non se la sentiva proprio di festeggiare.
Sapeva benissimo che i suoi pronipoti non vedevano l'ora che lui tirasse le cuoia e infatti gli erano stati intorno come mosche nell'ultimo periodo, soprattutto quando aveva preso il raffreddore.
I tre ragazzi, figli ormai adulti della sua nipote preferita Adeline, gli avevano portato una bottiglia di whiskey fatta in casa. O'Sullivan, aprici che la beviamo insieme.
Ma a lui quei tre non aveva alcuna intenzione di aprire, sperava che se ne andassero se lui non si fosse fatto sentire anche se aveva il timore che la paura che gli fosse successo qualcosa li avrebbe invece spinti a forzare la porta per trovarlo seduto sulla sua sedia, con la pipa spenta in bocca intento a non fare rumore.
Andatevene, sto dormendo. Lasciate la bottiglia.
Dopo aver insistito per qualche minuto i mocciosi se n'erano finalmente andati e O'Sullivan era uscito a prendere il Whiskey che avrebbero potuto bere in santa pace.
Fu in quel momento che lo sentì: un pianto disperato di donna, un lamento straziante e forte che aveva già sentito parecchie volte e che ogni volta era stato seguito nell'immediatezza da una tragedia. Era la Banshee, lo spirito che proteggeva la sua famiglia e che ancora una volta aveva avvertito una morte imminente.
La leggenda voleva che fosse visibile solo da chi sarebbe morto entro pochi minuti e O'Sullivan era abbastanza convinto di essere il primo della lista.
Il ricordo di dodici anni prima gli era tornato vivo alla mente: avevano sentito quello stesso pianto di dolore e subito dopo sua moglie aveva iniziato a piangere osservando un punto della stanza nel quale lui non vedeva proprio niente di niente.
L'aveva presa per pazzia, ma lì c'era qualcuno, c'era quello spirito tanto legato alla sua famiglia che si disperava ogni volta che uno tra loro spirava. Non ho paura, ormai è la mia ora, aveva detto al vuoto, poi si era voltata verso di lui e l'aveva salutato. Non piangere per me, sarò in buona compagnia, salutami tutti e riferisci che ho voluto bene a ciascuno di loro. gli aveva detto.
Erano passati solo pochi attimi durante i quali O'Sullivan non aveva saputo cosa fare di preciso, e poi lei era crollata a terra.
La stava aspettando. Nel dubbio aveva deciso di sorseggiare quel prezioso Whiskey. Gli parve ironico pensare che la sua morte sarebbe avvenuta proprio nel giorno in cui tutti tenevano tanto a festeggiarlo.
Attese per minuti che divennero ore, ma la Banshee non si fece vedere.
Quando la vedrai anche tu capirai, è così bella, e il suo abito ha il colore di un prato in primavera.
Il giorno seguente O'Sullivan venne a sapere che il suo stupido nipote nullafacente, Lou, si era tuffato da una collina per una scommessa e che, quindi, la Banshee aveva pianto per lui. Che spreco, pensò il vecchio, di vita e di lacrime. Poco male, presto era certo che l'avrebbe vista anche lui, pensò sorseggiando l'ultimo sorso di whiskey.