Metaphor: ReFantazio
Apr. 14th, 2025 08:52 pmPersonaggi: Heismay Noctule
Prompt: il guerriero errante
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Un destino di solitudine
Era chiaro a tutti che Heismay fosse entrato nella Guardia Reale grazie alle sue capacità in combattimento: era un guerriero agile, in grado di muoversi silenziosamente e con velocità. Inoltre le caratteristiche proprie della razza degli Eugief facevano comodo in battaglia: l’udito fine, la leggerezza del passo, la stazza minuta e all’apparenza innocua gli permettevano di agire senza quasi essere notato. Nonostante chi lo conoscesse di persona lo ammirasse, però, si trovava continuamente a essere osservato con sospetto dalla gente comune, che bisbigliava attorno a lui parole che gli causavano grande dolore.
Pipistrello, animale, bestia. Molto spesso si era trovato a pensare con sollievo alla sua famiglia, che se ne stava al sicuro nel piccolo villaggio abitato quasi solo dagli Eugief, dove potevano vivere in tranquillità. Sognava un futuro migliore per suo figlio, per questo continuava a combattere per mantenere il suo posto nell’onorevole Guardia Reale.
Nell’ultimo periodo però aveva iniziato a rispondere a tono ai commenti di alcuni sciocchi che commentavano la sua stazza o le sue origini quando lo vedevano in mezzo agli altri soldati. Per gli Eugief niente era semplice e in quanto tale si era dovuto guadagnare la sua posizione con il duro lavoro e l’impegno costante. Chi la pensava diversamente apparteneva a razze che non potevano capire la discriminazione.
Heismay si era isolato, passava le serate libere bevendo e pensando a quanto fosse stanco di essere continuamente messo in discussione. Si aspettava che prima o poi sarebbe stato invitato a entrare nella Shadowguard e ne fu lieto perché per lui stare lontano dal centro dell’attenzione e agire nascosto nell’ombra era un’opportunità, era nato per questo.
Il giorno in cui suo figlio morì, Heismay era in missione. Aveva in programma di tornare a casa entro pochi giorni e di passare un po’ di tempo in famiglia, non fece in tempo.
La notizia lo raggiunse durante la cena in taverna, proprio mentre festeggiava con il gruppo l’imminente ritorno a casa dopo il successo appena ottenuto.
Anche dopo anni lo considerava il giorno peggiore della sua vita.
Nonostante tutto quello che aveva fatto nell’esercito e nella Guardia Reale, non gli avevano neppure mandato un messaggero ufficiale. Una semplice pergamena inviata dalla Chiesa Santista. Un biglietto indirizzato a lui, scritto in fretta, senza sigilli ufficiali.
Sir H. Noctule
Siamo dolenti di informarla che suo figlio è in condizioni critiche dopo una rissa.
Neppure una firma, solo poche parole. Heismay pensò subito che si trattasse di un malinteso: suo figlio era un pacifista nato: troppo tranquillo, troppo giovane. Non aveva mai neppure giocato a combattere con lui.
Più volte padre e figlio avevano parlato del senso del combattimento, del ruolo della Guardia e del ricorso alla violenza da parte della società, che per suo figlio non poteva mai essere accettabile.
Heismay si era precipitato al villaggio con un cavallo preso in prestito dal Santista, che si era premurato di farsi ringraziare per la gentile concessione.
Nella stanza della clinica c’era odore di disinfettante. La dottoressa aveva accolto l’Eugief con aria molto triste. “Non ci sono speranze, purtroppo. Ha una grande forza di volontà e sta provando a resistere, ma il suo giovane corpo è in condizioni disperate.”
Gli si era avvicinato trattenendo le lacrime e si era seduto al suo fianco. Il ragazzo era disteso, coperto di steccature, fasce, ematomi e disinfettante. Sembrava addormentato, ma si poteva notare la tensione del dolore nei suoi lineamenti. Heismay pensò che avrebbe desiderato prendere tutto il suo dolore e portarlo via, sostenerlo lui al suo posto oppure darlo ai suoi aggressori.
Gli posò una mano sul braccio con delicatezza, sperando che nel sonno clinico percepisse la sua presenza.. “Sono orgoglioso di te, non ti lascerò mai.” Gli disse. Il figlio rispose stringendo la sua mano, incapace di parlare.
Heismay rimase fermo ad attendere, a pregare in un miracolo.
Non ce ne fu alcuno. Ci vollero ore perché lui cedesse alla morte.
Dopo la madre, anche il figlio.
Era troppo. Intorno a sé non vedeva che odio. Lo sentiva, lo vedeva e lo annusava intorno a lui. Non ne poteva più.
Al diavolo tutto, pensò. Aveva passato anni della sua vita lontano dal villaggio, dal figlio che adorava e prima ancora dalla moglie che amava con tutto se stesso. Per cosa? Per difendere un popolo che disprezzava lui e tutti gli Eugief? Per causare ulteriore dolore in nome della pace?
Aveva sempre vissuto da ultimo, con la convinzione morale che tutti fossero uguali, ma faticava a pensare ai Parypus come suoi pari ora che a causa loro aveva perso l’unica persona che considerava importante.
Rimase al villaggio giusto il tempo per organizzare la cremazione.
Non tornò alla Shadowguard.
Iniziò il suo esilio volontario. Heismay vagava per i boschi, per i villaggi. Si era dato lo scopo di difendere i deboli, di eliminare le ingiustizie e di vendicare, un giorno, la morte del suo unico figlio.
Da solo, senza radici, senza qualcosa per cui vivere. Non gli importava del proprio futuro, desiderava solamente che nessun altro subisse il suo stesso destino.
Un guerriero errante a caccia di avventure, non con l’obiettivo di ottenere fama e gloria, ma con il desiderio di espiare la sua colpa, di fare in modo che anche se era stato assente con suo figlio, non lo sarebbe stato con altri figli sofferenti, impedendo a padri e madri che a volte non erano in grado di farlo, di prendersi cura di loro.
Proteggere i deboli, gli indifesi. I giusti. In nome di suo figlio.
Viaggiava di notte, osservava e ascoltava nascosto nelle ombre e in pochi lo vedevano. Se c’era una cosa che sapeva fare era scomparire nel buio.
Una notte si appostò ai margini di un piccolo villaggio abitato quasi unicamente da Parypus. Sentì i brividi salirgli lungo la schiena al pensiero dei delinquenti che avevano picchiato a morte il suo innocente ragazzo e si chiese quale fosse il loro aspetto. Più volte aveva pensato che avrebbe potuto incontrarli, forse rivolgere loro la parola o aiutarli, difenderli. Per questo li evitava, ignorava le loro difficoltà e si limitava a occuparsi dei loro torti, rispondendo con violenza al dolore che gli avevano causato.
Era appostato nel bosco, stava su un albero a mangiare frutta fresca raccolta lungo il cammino quando sentì un urlo. Non era distante. Tese subito le orecchie per individuare la direzione da cui proveniva. Quando udì il secondo grido planò giù dall’albero e, veloce e silenzioso, corse. Con una mano impugnava la spada, pronto a sguainarla quando necessario.
Si fermò all’ombra di una capanna e li vide: tre giovani all’apparenza alticci stavano strattonando una coppia di Parypus poco più che ragazzini.
“Dammi le tue monete, che abbiamo finito i soldi.” Ordinò uno di loro ai ragazzini, che continuavano ad arretrare.
“Vi abbiamo già detto che non ne abbiamo.” Heismay strinse l’impugnatura della spada sentendo la voce tremante della ragazza.
“In qualche modo ci dovrete pagare. Dove abitate?”
“Già! Potete ospitarci per la notte.” Una minaccia velata nascosta sotto un tono vellutato. Il guerriero uscì dalle ombre in silenzio, un passante all’apparenza innocuo che dichiarò la sua presenza canticchiando piano mentre camminava in loro direzione.
Solo uno dei tre malviventi prestò attenzione a lui. Heismay sapeva che la maggior parte della popolazione reagiva alla violenza con indifferenza, perché lui avrebbe dovuto essere diverso? Persino i soldati spesso chiudevano entrambi gli occhi quando non erano in servizio, così come le guardie cittadine che a volte erano parte del problema. Era un mondo al contrario e lui sapeva che non avrebbe mai potuto cambiarlo, ma stava facendo la sua piccola parte.
L’Eugief si fermò a pochi passi dal gruppo. “Va tutto bene?” Chiese, con fare innocente.
“Non impicciarti, bestia.” La risposta lo fece innervosire. Per un istante pensò che avrebbe ucciso tutti e si dovette sforzare per resistere all’impulso di sguainare la sua spada.
“È strano che mi chiamiate bestia, quando è così che tutti chiamano voi. Noi siamo i mostri, giusto?”
I malviventi si voltarono a guardarlo. Aveva la loro attenzione. “Non fareste meglio a trovarvi un impiego anziché fare gli sbruffoni violenti?”
Il leader del gruppo strinse i pugni e iniziò a camminare verso di lui. Heismay non se ne preoccupò. “Immagino non ne vogliate parlare.”
Gli si scagliarono contro, ma il guerriero schivò i loro attacchi senza troppi problemi l’alcool che avevano consumato rallentava i loro movimenti, rendendoli goffi e prevedibili. Uno di loro teneva in mano un coltello, un altro aveva un tirapugni coperto di pungiglioni di metallo.
Non riuscivano a toccarlo. Poteva sentire la loro frustrazione crescere: la vedeva nei loro movimenti sempre più lenti e insicuri, la sentiva nel loro respiro pesante. Impugnò la spada e colpì uno di loro al braccio. Il giovane urlò e arretrò, il terrore negli occhi.
Gli altri due continuarono a tentare di colpirlo. Un altro fendente nella parte bassa della gamba. Heismay osservò il Parypus cadere a terra e tenersi la zona ferita. L’ultimo non cedeva.
“Prima o poi ti colpisco!” Gli urlò.
Il guerriero emise una lunga risata. “Certo, è possibile. Però preferisco chiuderla qui.” Lo colpì prima a un piede, poi al braccio destro. “Non oggi, temo.”
I due ragazzini erano scomparsi, fuggiti al sicuro.
I malviventi invece erano a terra, sconfitti. Heismay li osservò, chiedendosi se avrebbe avuto pietà delle loro vite o se si sarebbe un giorno tramutato in un giustiziere, un assassino senza pietà, né anima.
Rivolse loro la domanda che faceva a tutti. “Siete mai stati al villaggio degli Eugief, vicino a Martira?”
“Perché lo vuoi sapere, mostro?”
Nonostante fossero a terra, quegli sciocchi continuavano a istigare la sua rabbia. “Rispondi o ti uccido.” Gli disse calmo, puntando la spada al suo collo fragile e indifeso.
“No, siamo arrivati dal nord.” Rispose il primo che aveva colpito.
Erano troppo giovani per essere loro i responsabili della morte di suo figlio. Era probabile che stessero dicendo la verità. “Cosa volevate fare a quei due giovani?”
“Noi… volevamo solo soldi.”
Heismay sbuffò. “Pensate forse che la violenza sia accettabile? Se desiderate vivere facendo del male al prossimo, sono pronto a uccidervi qui.”
Uno dei giovani stava piangendo. “Mi fa male la ferita.”
“Non sarà quella a ucciderti. Pensate al dolore che avete inflitto, alla paura che sentite ora e ditemi cosa fareste al mio posto.”
Il guerriero poteva osservare la paura nei loro sguardi. La odorava sulla loro pelle. La paura però non aiuta il pentimento, lo sapeva. La scelta di uccidere non era mai facile e si chiese se vista la loro giovane età avrebbe fatto bene a risparmiarli. “Avete mai ucciso qualcuno?”
Il pianto crebbe. “No! Abbiamo solo derubato… abbiamo picchiato…” Un’ombra di pentimento nella sua voce lo riportò verso la lucidità. Abbassò la spada osservandoli per ciò che erano: ragazzini impauriti senza una guida.
In quel momento Heismay sentì voci e passi provenienti dal villaggio, un gruppo di abitanti accompagnati guidati dai due ragazzini che aveva aiutato e da alcune guardie stava correndo in lodo direzione
“Eccolo! È lui che ci ha aiutati!”
Le guardie apparvero sorprese nel trovarsi di fronte lo Eugief illeso e i tre malviventi a terra, doloranti. “Non sono feriti gravemente, si riprenderanno.” Dichiarò riponendo la spada sperando che le guardie comprendessero le sue buone intenzioni.
Le guardie parvero rilassarsi e rivolsero le loro lance in direzione dei tre ragazzi a terra. “Li cercavamo da un po’, sono accusati di omicidio.”
“C’è una taglia sulle loro teste, fresca fresca di giornata.”
Heismay si voltò mentre le guardie trafiggevano i giovani, chiedendosi se davvero fossero assassini, in quel caso forse il mondo sarebbe stato un posto migliore senza di loro. Il dubbio però restava: erano dei ragazzi, il mondo ancora da scoprire, forse necessitavano solo di una guida.
Non provava pietà, ma dispiacere: se era la morte il loro destino, forse avrebbe potuto esercitarla lui e sentirsi un po’ meno in guerra col mondo intero. Probabilmente però si sarebbe sentito solo più vuoto. La sua anima si sarebbe frantumata in modo definitivo e lui non avrebbe più provato il desiderio di vivere in mezzo a quella società in rovina.
“Una parte della ricompensa è tua, Eugief.” Disse il capo delle guardie. “Seguici, mio figlio ci tiene a darti ospitalità per la notte.
Suo figlio. Heismay li seguì cercando di provare orgoglio nella sua missione. Quella notte sarebbe stato ringraziato e considerato un eroe, ma l’indomani sarebbe partito in cerca di altri figli da proteggere. Prima o poi avrebbe ottenuto anche la sua vendetta.
drabble - Viaggio
Apr. 5th, 2025 11:04 pmPrompt: Viaggio
Personaggi: vari
Gallica - 100
Will - 100
Gallica
Da quando erano saliti sul carro, Gallica si sentiva nervosa. Ogni volta che guardava Will aveva l'impressione di essersi dimenticata qualcosa di molto importante, vitale per la missione, se solo fosse riuscita a ricordarsi cosa.
"è la prima volta che fai un viaggio?" Gli chiese, anche se sapeva già la risposta.
Lui annuì. "Non sono mai uscito dal villaggio prima."
"Giusto, sei stato sempre col principe."
Will e il principe sono una cosa sola.
Ma che sciocchezza! Forse stava invecchiando, si disse, più probabilmente era solo stanca.
Però gli assomigliava. WIll e il principe come erano due gocce d'acqua.
Will
Le spine gli premettero contro la gola e il Principe ansimò, prendendo fiato a fatica.
Nell'ultimo periodo anche pochi passi lo stancavano, tutto ciò che poteva fare era leggere il suo libro e dormire.
In sogno egli si vedeva come un giovane dai capelli blu con occhi eterocromi e due gambe agili che gli permettevano di correre.
L'altro se stesso era partito per un viaggio per salvare il povero Principe che, debole e indifeso, non aveva possibilità di sopravvivere.
Si rese conto di non riuscire a svegliarsi. Poco male: quell'avventura era più interessante della sua triste vita.
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Prompt: Rinascita
Fandom: Metaphor: ReFantazio
Personaggi: Will, Principe, Gallica, Russell
One shot
Il potere della speranza
Quella mattina il principe si era svegliato tardi. Gruidae, che comandava il villaggio degli Elda, l’aveva accolto con la solita riverenza, accompagnandolo al tavolo dove lo aspettava una ricca colazione con tutto ciò che avrebbe mai potuto desiderare. Non aveva fame, ma come sempre si era sforzato di mangiare in modo da non deludere la governatrice Gruidae, poiché si rendeva conto che il solo fatto che lui continuasse a vivere dava speranza a tutti nel villaggio.
A volte pensava che quella vita al villaggio degli Elda fosse una prigionia dorata. Non gli era concesso di uscire, anche se sognava di viaggiare e avrebbe desiderato vedere il mondo. Purtroppo era ormai rassegnato al fatto che debole com’era passava le sue giornate seduto all’aperto, all’ombra degli alberi intorno alle fate a guardare i fiori ondeggiare sul manto erboso. Leggere il suo libro, eredità donata dai suoi genitori, e sognare erano le sue uniche occupazioni, e la sua salute stava peggiorando.
Lo notava negli occhi preoccupati dei suoi custodi, in particolare nella sempre più assidua presenza di Russel. Ne aveva conferma nei momenti in cui il dolore lo rendeva stanco e incapace di muoversi. “Posso andare a trovare mio padre?” Aveva chiesto subito dopo colazione, ma Gruidae aveva distolto lo sguardo con aria quasi colpevole. “Attendete, manca poco ormai, presto sarete libero.”
Si era chiesto in che senso la saggia Gruidae avesse usato la parola libertà: sarebbe morto? Si sarebbe liberato della maledizione? Oppure forse chi aveva già tentato di distruggere il villaggio sarebbe tornato a completare il lavoro?
Più cercava di scacciare la domanda, più la risposta gli appariva chiara: non aveva più tempo.
I suoi sogni sarebbero rimasti solo nella sua mente, avrebbe concluso la sua vita nel villaggio degli Elda e non avrebbe più rivisto suo padre.
Lesse qualche pagina del suo libro, la sua più importante possessione, ma fu costretto a smettere per il dolore agli occhi. Si addormentò a fatica, sforzandosi di scacciare le spine che si continuavano a fare strada sulle sue braccia, fino al collo e alle mani. Provò a concentrarsi su altro e si immaginò di fuggire da lì, pensò a Grand Trad e alle sue strade brulicanti di negozi, cittadini, attività e palazzi da vedere. Non per lui, non li avrebbe mai potuti vivere.
Chi avrebbe potuto prendere in giro? Forse anche solo pochi mesi prima avrebbe potuto tentare di fuggire, ma con le sue forze non aveva speranze neppure di uscire dal villaggio.
Quella notte sognò la libertà.
Fu un sonno sereno. Si vide diverso, più alto, la carnagione più rosea, i capelli corti più scuri. Magari fosse stato così: il portamento elegante e sicuro, gli occhi di colori differenti, gentili e ricchi di vitalità, il completo da viaggio comodo. Si sentì più forte, i rovi e le spine finalmente avevano lasciato il suo corpo e lui poteva correre per minuti interi, prendere fiato senza sentire dolore, persino maneggiare una spada.
Quando si svegliò pensò a quanto il sogno gli avesse mostrato una prospettiva più attraente rispetto alla realtà che stava vivendo.
Mangiò senza appetito, concentrandosi sulla lettura del suo inseparabile libro, l'utopia che lo spingeva a resistere nonostante il dolore sempre più pungente. Provava fatica anche solo a tenere gli occhi aperti e a respirare. Russel era al suo fianco, un'ombra che lo avrebbe protetto da chiunque avesse tentato di attaccarlo dall'esterno.
Il principe provava un'immensa gratitudine per lui e per tutti gli abitanti del villaggio, che gli erano sempre stati vicini con devozione.
"Grazie di tutto, Russel." Gli disse.
Il vecchio Eugief alzò la testa e sorrise con un'iniziale debolezza. "E di cosa, signore? È un onore per me essere al suo servizio."
"Sono grato di questo. Mi dispiace solo non riuscire a essere utile." Se solo avesse avuto la capacità di salvarsi con le sue forze, le cose sarebbero potute andare diversamente. "Ci tengo a ringraziare tutti. Lo faccia lei da parte mia, se non dovessi riuscirci."
Russel aprì la bocca, ma non parlò. Annuì, gli occhi fieri e consapevoli.
Il principe si alzò dal tavolo, prese il suolibro e fece pochi passi verso l’uscita, si sentì cadere. Crollare.
Mentre il corpo lo abbandonava, pensò che la sua mente invece era forte, che avrebbe ancora potuto salvarsi, come nel sogno. Concentrò tutte le sue energie nel pensiero che sarebbe stato egli stesso l'artefice del sue destino. Gli venne in mente sua madre, di cui non ricordava neppure il volto. Che l'avesse mai vista veramente prima di allora? In quel momento gli appariva nitida di fronte, come una guida nella nebbia del dolore, pronta a indicargli la via di uscita.
Gallica sentì il grido di dolore di Russel dal santuario nel quale stava parlando con Gruidae. Agitò le sue ali il più veloce possibile per correre a vedere cosa fosse accaduto e vide il principe a terra, esanime. Al suo fianco, dalla luce brillante dell'essenza del principe, un essere vivente stava prendendo forma. Il suo aspetto era così simile a quello del principe, che la Fairy si chiese se non stesse impazzendo. Poteva sentire il Magla convergere verso quella creatura, lo vedeva crescere e apparire sempre più tangibile. I capelli erano scuri, un occhio dorato, uno azzurro. La stessa età del principe. Due gocce d'acqua. Gallica lo osservò mentre prendeva forma, incapace di concentrarsi sul resto.
"Gallica, aiuto! Il principe non si sveglia!" Le parole di Russel echeggiavano nella sua testa senza apparente significato. Una missione, pensava: abbiamo una missione.
Sbatté le palpebre di nuovo e vide una moltitudine di persone che si affannavano intorno al corpo addormentato del principe. Il suo corpo fu posato nel santuario dai membri della guardia che ancora erano leali al gruppo di Russel, Gruidae appariva stremata dall'impossibilità di poterlo salvare.
Lo strano ragazzo osservava il principe in un pianto silenzioso, teneva in mano il suo libro e appariva ancora lucente di Magla. Gallica si diresse verso di lui, ma più si avvicinava, meno pensava che lui fosse un pericolo. Un amico, il suo amico. Abbiamo una missione.
La sera stessa Will e la Fairy partirono per la missione: l'infiltrazione nell'esercito per raggiungere Grius, l'assassinio di Louis Guiabern per salvare il principe.
Sei l'unica rimasta, gli aveva detto Russell. Invece erano in due. Per un attimo il dubbio la fece dubitare, ma poi guardò Will e le sue paure si dissiparono. Dovevano fare attenzione, l'unico obiettivo della missione era salvare il principe.
Il principe dormiva, in preda alla maledizione che l'aveva ridotto in fin di vita, eppure stava anche vivendo la sua avventura come Will: il corpo creato dalla sua speranza e dal suo desiderio di far parte di una società diversa.
Nel suo sonno incantato, il principe aveva incontrato persone di ogni tipo, aveva combattuto con Strohl, Hulkemberg, Heismay, Junah, Eupha e Basilio. Aveva parlato di uguaglianza e di rispetto e si era impegnato a vendicare la morte del Re, di suo padre, di loro padre.
La morte di Rella Cygnus l'aveva infine riportato alla veglia.
Il risveglio non fu semplice quanto aveva sperato. Il contatto con l'altro se stesso si interruppe di colpo quando la maledizione si spezzò, al punto che il principe si chiese se Will non fosse svanito nel nulla. Rimase fermo, disteso, incapace di muoversi.
"Le spine, sono svanite!" Un urlo di gioia echeggiò nel santuario e lui aprì gli occhi. Desiderò di toccare con le sue mani il muro della grande Cattedrale di Grand Trad, di solcare l'oceano sul Gauntlet Runner, di chiedere a Eupha cosa vedesse nel suo Magla. Seppure disteso, inerme, il principe sorrideva. Non sentiva dolore.
La rinascita era avvenuta.
Presto si sarebbe riunito con Will e, di nuovo uno, avrebbero guidato il regno di Euchronia.
Maledette risate - Metaphor: ReFantazio
Mar. 8th, 2025 08:57 pmFandom: Metaphor: ReFantazio
Personaggi: Rella Cygnus, Junah Cygnus, OC (Maya Mei)
One Shot
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Incipit: Stava ridendo ininterrottamente da più di dieci minuti, la cosa cominciava a farsi fastidiosa. “Potresti piantarla per favore?”
Maledette risate
Stava ridendo ininterrottamente da più di dieci minuti, la cosa cominciava a farsi fastidiosa. “Potresti piantarla per favore?”
Iniziò a ridere ancora più sguaiatamente. “Sto piangendo!” riuscì a pigolare, indicando le lacrime che ormai erano arrivate a bagnarle il colletto della camicia.
“Se continui così ti strozzi.”
Non c’era niente che lei potesse dire per farla smettere: sua sorella pareva sotto un incantesimo. Per un attimo il pensiero prese forma. “Un incantesimo? Non è che stai male davvero?”
Junah provò a prendere un respiro profondo, ma sembrava davvero incapace di fermarsi.
Rella cominciava davvero a preoccuparsi, nel dubbio iniziò a recitare una formula magica per provare a ipnotizzare sua sorella, che di punto in bianco si zittì, si alzò in piedi e le si avvicinò barcollando.
Erano rari i momenti in cui le due sorelle potevano stare insieme con spensieratezza. Il segreto che Rella si portava dentro la stava consumando ogni giorno di più e Junah era la sola in grado di farle dimenticare quali nefandezze avesse compiuto nella sua breve vita. Quando era alla chiesa e operava come guaritrice, la Ishkia pregava di trovare un modo per eliminare la maledizione che aveva lanciato sul principe. Ci aveva provato ogni giorno, ogni volta che aveva un minuto libero.
L’espiazione del suo enorme peccato non sarebbe mai avvenuta. Peggio, avrebbe finito col farsi odiare da sua sorella, dall’unica persona che Rella voleva davvero proteggere. Senza saperlo, sua sorella si era messa proprio contro di lei nel momento in cui aveva deciso di combattere per uccidere l’autore della maledizione che stava portando il Principe alla morte.
Ora il suo pensiero principale, però, era capire cosa fosse successo a Junah e perché non potesse smettere di ridere. Il suo controincantesimo avrebbe potuto rallentare gli effetti della maledizione, ma Rella non aveva molto tempo per capire che cosa fosse successo.
Si sedette di fronte a lei. "Sempre elegante, sempre perfetta." Sotto ipnosi, la voce di Junah era meccanica, ma comunque sincera.
"Grazie," rispose Rella, certa che quello non fosse un complimento. "Ma ora abbiamo pensieri più urgenti di cui occuparci: raccontami tutto ciò che hai fatto oggi, a partire da stamattina."
"Mi sono alzata e per prima cosa mi sono recata in bagno, poi ho cominciato a spazzolare i capelli, poi ho fat-"
"Va bene, va bene. Ferma un attimo. Non mi servono tutti i dettagli, mi basta sapere cosa hai mangiato, cosa hai bevuto, quando sei uscita e chi hai incontrato oggi."
Junah annuì. "Ho bevuto dell'acqua a casa, poi ho mangiato una mela e ho cucinato un piatto a base di uova per colazione, ho aggiunto sale e il timo di mare che era in cucina. Sono uscita di casa e ho fatto acquisti al mercato.
Ho incontrato Lucius, che mi ha regalato un pendente nuovo per il bracciale. Eccolo.” Junah mostrò un piccolo ciondolo a forma di mezzaluna, attaccato al suo bracciale da un anellino di metallo. “Poi sono andata da Hurlet per dirgli che canterò al festival della Luna. Ho bevuto un tè caldo insieme a lui e alla Santista che era lì. Tornando indietro ho… Ahah! Ho preso la cena, quella che ho preparato. Eh- E che è in cucina.”
Le risate stavano cominciando a tornare. Rella ripeté la formula magica nella sua mente. Mentre la pronunciava sentiva le spine muoversi lungo la sua schiena, fino alle braccia. Le ricacciò indietro stringendo i pugni. Non aveva tempo per pensare a se stessa.
Andò in cucina a esaminare il timo di mare e le altre erbe poste di fianco alla cucina economica. Sembrava tutto in ordine: Rella aprì ogni singolo vasetto e lo annusò, ma non trovò niente fuori posto. Si grattò il mento mentre si concentrava nei suoi pensieri. Camminò a passo veloce verso la sorella ed esaminò il suo bracciale. Niente maledizioni. Non sospettava di Lucius, ma non aveva idee, perché nessuno in città aveva brutti rapporti con Junah.
“Junah, pensi che qualcuno ti voglia fare del male? Hai litigato con qualcuno.”
La ragazza stava fissando il pavimento, intontita dall’incantesimo di protezione. “Sempre la solita gelosia.” Alzò lo sguardo. “Devo cantare sempre io? Ti sembra giusto?”
“E chi dovrebbe cantare?” Tentò la guaritrice.
“Sempre Junah, sempre lei. Le altre non valgono le sue scarpe.” Junah rise di nuovo, gli occhi incupiti.
Rella ripeté la formula una volta ancora. “Non è vero, io vorrei sentire qualcun altro cantare.”
Junah batté le mani. “Devi ascoltare Maya Mei, lei sì che è brava. Doveva cantare al festival della Luna, e lo farà.”
Era come se l’incantesimo stesse confessando le sue intenzioni, Rella sapeva che questo significava che era stato attivato da un novellino, incapace di renderlo efficace.
"Vieni con me, Junah, andiamo a cercare Maya Mei."
Junah si alzò di scatto e alzò le braccia come per festeggiare. "Evviva! Andiamo ad ascoltare la mia Maya." Si fermò in mezzo alla stanza. "Mi farà un autografo? Canterà con me?"
Rella aprì la porta e la invitò a seguirla. "Certo, farà tutto quello che vorrai."
Camminavano veloci: Rella guidava il passo, elegante e sicura, ripetendo la formula di protezione. Junah la seguiva un po' barcollante, fermandosi di tanto in tanto per poi ripartire di corsa per raggiungere la sorella. Salirono sul carro che le avrebbe portate da Hurlet. Junah continuava a ridacchiare, ma non era in pericolo di vita, aveva ancora tempo sufficiente per trovare il colpevole e capire come dissolvere la maledizione. Nel caso in cui non ci fosse riuscita, anche se la cosa non le piaceva, sapeva che la soluzione era nelle fiamme. Avrebbe bruciato il regno intero per salvare Junah. Non avrebbe lasciato che morisse. Non avrebbe aggiunto alle sue colpe anche la morte dell'unica persona che aveva sempre giurato di proteggere a ogni costo.
Arrivò alle porte della piccola chiesa del borghetto di Luntim, dove Hurlet governava sotto la buona stella della chiesa Santista. Le porte si aprirono di fronte a lei nonappena si sporse dalla finestra del carro coperto.
Hurlet arrivò ad accoglierla con gioia, ma il suo sorriso si smorzò quando vide scendere anche Junah. "Oh, per il cielo! Cosa è successo?"
La sua preoccupazione parve sincera a Rella, che lo rassicurò: "Reggente Hurlet, la ringrazio per l'accoglienza. Sono venuta qui proprio per comprendere meglio la situazione. Junah mi ha riferito del vostro incontro poche ore fa. Purtroppo come può vedere, una maledizione ha colpito la canzoniera, ed è mio compito comprenderne le origini."
Il reggente scosse la testa con veemenza. "Io non ne so niente!" Affermò perentorio. "Ho insistito tanto perché accettasse di venire al festival della Luna."
"Ne sono a conoscenza." Confermò Rella con tranquillità. "Le sue buone intenzioni non sono in discussione. Volevo solo sapere se qualcuno fosse contrario all'esibizione di Junah. Forse qualcuno devoto a Maya Mei."
"Maya Mei! Dov'è?" Junah si guardava intorno con occhi sognanti.
Hurlet rimase pensieroso per qualche istante, d'un tratto sgranò gli occhi. "Io... Io credo di sapere chi è stato."
La cuoca Tina apparve sorpresa quando Rella la Guaritrice apparì in tutta la sua eleganza di fronte a lei, nel corridoio cupo che portava alla sua umile stanza.
"Buonasera, le dovrei parlare un attimo." La Santa accompagnò la richiesta con un sorriso, ma la signora Tina ne colse l'urgenza e si mise in fretta lo scialle per poi avviarsi verso la cucina.
Le due donne si sedettero una di fronte all'altra.
"Oggi dalla cucina sono stati serviti dei biscotti al miele e del tè, li ha preparati lei?"
La donna apparve sorpresa. "S-sì, li ho preparati io personalmente. Ho preparato le infusioni e i biscotti con le mie mani. Sono perfetti, ne ho ancora qui." La donna indicò una scatola di latta.
Rella annuì: "Posso vederli? Anche le erbe per le infusioni per favore."
La cuoca porse la scatola coi biscotti e aprì il coperchio, rivelando un intenso profumo di cannella e miele. Rella ne prese uno e lo esaminò con attenzione, poi lo addentò. "Davvero buono." Ammise guardando la cuoca che stava finendo di posare sul tavolo i barattoli che contenevano le erbe per gli infusi. Rella aprì ogni scatola e ne esaminò con attenzione il contenuto. "Niente. Non è stata lei." Disse rivolta alla guardia che l'aveva accompagnata in cucina.
"Cosa è successo?" domandò la donna con un filo di voce.
"Qualcuno ha lanciato una maledizione su Lady Junah." Ammise Rella, osservando nella donna una reazione di sorpresa.
"Maya..." Sussurrò la donna.
Una ragazza nella penombra della stanza stava piangendo in silenzio. Rella camminò elegante e leggera verso di lei. "Sei tu Maya Mei?"
La ragazza annuì. "Io non so come sia successo, non volevo..."
Rella le posò un braccio sulla spalla, rassicurante. “Tu volevi solo cantare, vero?”
Maya alzò lo sguardo, colpevole. “Non ho fatto niente.”
La guaritrice mandò a chiamare Junah. Le due stavano una di fronte all’altra mentre Rella pronunciava le sue parole di guarigione.
“Fatto, ora non ci dovrebbero essere altri problemi, non preoccuparti, non l’hai fatto di proposito.”
“Sono mortificata, Lady Junah e Santa Rella.” Si scusò ripetutamente Maya.
Sulla via del ritorno, Rella sedeva pensierosa. Quella ragazza aveva una dote pericolosa da gestire e si sarebbe dovuta occupare di lei. Doveva aiutarla a conoscere il suo potere.
Come Junah le aveva insegnato: ogni vita è preziosa. Sorrise. La sua cara sorella era salva.