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 Fandom: Persona 5

Personaggi: Futaba Sakura, Ren Amamiya

Prompt: https://www.youtube.com/watch?v=3EmUmbhDRiY

One Shot

Partecipa al COWT10

 

 

Stay tonight

 

Can't you stay

Stay with me into the night

Stay, I need you close

You can go back when the sun rise again

Just stay tonight, just stay

(KEiiNO - Spirit In The Sky) 

 

 

Durante le ultime notti Futaba non era riuscita a dormire. Continuava a cercare di pensare ad altro, ma il suo pensiero tornava sempre e comunque a lui, a Ren. 

Mancava poco ormai alla realizzazione del loro piano. Entro pochi giorni lui sarebbe stato costretto a fingere la sua morte e loro avrebbero dovuto fingere che fosse successa davvero.

Futaba continuava a chiedersi cosa avrebbe fatto se lui fosse morto davvero, se per qualunque ragione il loro piano fosse fallito e la colpa fosse in qualche modo stata sua non avrebbe mai potuto perdonarselo. 

Si sentiva persa, distrutta e sola come non lo era mai stata prima. 

Prima di conoscerlo la solitudine era per lei una sensazione rassicurante, da sola era artefice del suo destino e poteva incontrare amici online se lo desiderava, dove lei era conosciuta e rispettata, ma nessuno sapeva davvero chi fosse, era solo Medjed: l’unica e originale, potente e imitata. 

Nella vita reale invece era molto diversa: indifesa, terrorizzata all’idea che qualcuno le parlasse o la vedesse in carne e ossa, fragile come si sentiva.

Aveva chiesto aiuto ai Phantom Thieves proprio perché non riusciva più a vivere chiusa in casa, nella sua tomba in attesa che la morte arrivasse a prenderla donandole sollievo, ai suoi occhi. Spiare Ren e gli altri le aveva fatto capire che doveva cambiare qualcosa e se lei non fosse riuscita a farlo in tempi brevi, non ne sarebbe uscita più.

 

Le dispiaceva anche per Sojiro, che provava a proteggerla con tutte le sue forze, ma che in quel frangente non poteva fare nulla per aiutarla, perché Futaba sapeva che il cambiamento doveva arrivare da lei direttamente e soltanto lei avrebbe potuto decidere di uscire dalla sua prigione e far entrare il mondo.

I ragazzi si erano dimostrati tutti molto comprensivi con lei fin da subito, anche se la prima sera li aveva spaventati a morte. Per la prima volta  dopo tanto tempo, ripensandoci aveva riso di gusto, ricordandosi di Makoto e del suo terrore.

Ne avevano passate tante da allora e Futaba si era affezionata a tutti loro, ma Ren le tornava nei pensieri molto più spesso di tutti gli altri, e i pensieri che aveva su di lui cominciavano a farla sentire a disagio.

 

Aveva iniziato a sognarlo e nei sogni la abbracciava, la stringeva a sé e la ringraziava per tutto quello che lei faceva per il gruppo. Futaba si svegliava su di giri e rossa in viso, accaldata e col cuore in gola. Non aveva mai avuto il coraggio di esprimergli i suoi sentimenti, perché immaginava che lui avrebbe riso di fronte alla sua dichiarazione. In fin dei conti si era accorta di non essere l’unica a essere interessata a lui, e tra tutte si chiedeva come avrebbe potuto sceglierla, stramba e incapace di stare al mondo com’era.

C’era Makoto, intelligente, abile e coraggiosa; e poi Ann, la bellezza fatta persona. La dolce, premurosa e bellissima Ann. 

Haru, poi, era l’eleganza e la raffinatezza ed era anche ricca, cosa che non guastava.

Cosa aveva lei più di loro, si chiedeva Futaba e non era in grado di rispondere. Grande cervello, ma non aveva intelligenza pratica. Era carina, questo lo sapeva, ma non bella come le altre e il suo portamento non era altrettanto buono, ricurva e imbranata com’era.


Quella sera però stava cercando di non pensare a tutti i suoi difetti. Quella sera voleva andare da lui perché sapeva che poteva essere la sua unica possibilità e non voleva rimpiangerla per il resto della sua vita.

Era arrivata nella sua stanza trafelata, quasi correndo perché sapeva che se si fosse fermata, se si fosse data il tempo di pensare sarebbe tornata indietro e si sarebbe seppellita sotto il suo letto per passare la notte nella vergogna della sua paura. Non poteva avere paura di lui, doveva provare.

 

Gli era saltata al collo tremando di paura e lui aveva risposto al suo abbraccio. Morgana per fortuna non era lì a vedere quel pessimo spettacolo e ad aggiungere vergogna a quella che già provava. 

“Futaba, va tutto bene?”
“No, non va bene. Io… non voglio perderti.”

Ren le stava accarezzando i capelli con una mano, mentre con l’altra la stringeva con affetto. “Non mi perderete, funzionerà. Ho fiducia in te, in voi.”

“Puoi… puoi…” Non riusciva a parlare, con la testa appoggiata al suo petto, sentiva il suo cuore battere regolare e non faceva altro che cercare un modo per trovare le parole. Per un attimo era arrivata a pensare di scrivergli un messaggio col cellulare, visto che le parole non volevano uscirle dalla bocca. “Io… Ren, io posso… posso restare con te?”

Futaba aveva alzato la testa ed era riuscita a guardarlo negli occhi. La paura che lui la rifiutasse si stava facendo più flebile ogni secondo che passava. Si stava domandando se lui la vedesse come una sorellina minore, come una sciocca ragazzina infatuata di lui come le altre. Ma negli occhi scuri di Ren non c’era disprezzo, non c’era imbarazzo e neppure paura.

“Posso restare con te stanotte?” Gli aveva chiesto raccogliendo tutte le sue forze. Lui l’aveva attirata a sé in un bacio che era stato diverso da come lo aveva sempre immaginato Futaba.

Non che la ragazza avesse alcun tipo di esperienza, ma pensava che sarebbe stato difficile e invece tutto era stato anche troppo naturale. Avevano passato la notte insieme sul letto di Ren, quasi senza parlare. Futaba si era addormentata tra le sue braccia ed era stato il sonno più bello della sua vita. Sentiva di aver superato un ostacolo che aveva sempre creduto insormontabile.

 

Sperava di cuore che il piano funzionasse, perché voleva di più dei baci di quella notte, voleva una vita con Ren, voleva diventare una donna a tutti gli effetti, una donna in grado di uscire a cena con lui e di andare a comprargli un regalo senza arrossire e sapeva che con lui avrebbe potuto farcela. Con lui sarebbe diventata una persona migliore persino lei, nonostante la sua incapacità cronica di vivere come una persona normale.

 

Futaba era uscita dal LeBlanc con un sorriso beato stampato sul volto ed era tornata nel suo letto sperando che Sojiro non si fosse accorto della sua assenza quella notte. In realtà anche se lui l’avesse scoperta non le sarebbe importato. Era troppo felice, ci si sarebbe potuta abituare.

 


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 Fandom: Persona 3

Personaggi: Yukari Takeba, Mitsuru Kirijo, SEES

Prompt: ideali a cui aspirare

One Shot

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Ideali a cui aspirare

 

 

Yukari si era sempre considerata una ragazza ottimista.

Per quanto le cose nella sua vita non fossero andate sempre come aveva sperato, aveva cercato di superare i problemi con il sorriso.

Ricordava ancora di quando aveva ricevuto la notizia della morte di suo padre. Le sue lacrime, la rabbia al pensiero che non gli avrebbe mai parlato, ma soprattutto un senso di tristezza perché non era certa che lui sapesse quanto era stato importante per lei e quanto lei gli volesse bene. L’aveva sempre visto come un uomo difficile da fare ridere, duro e severo, ma dopo la sua morte si era resa conto di non averlo conosciuto come gli altri.

Era serio nel lavoro, questo era risaputo da tutti, ma pareva sempre troppo triste. Come se ciò che faceva non gli piacesse.

Qualche volta Yukari glielo aveva chiesto. Ma tu sei contento del tuo lavoro, papà?

Gli chiedeva. 

Sono uno scienziato, faccio cose segrete che a volte non mi piacciono, ma il mio lavoro mi piace.

E cosa fai adesso, papà, gli chiedeva, lui allora le spettinava i capelli fingendo di non aver sentito la domanda.

La risposta era arrivata a Yukari solo molto tempo dopo. 

Aveva sempre rispettato Mitsuru. L’aveva considerata un’amica anche perché all’inizio era l’unica ragazza su cui potesse fare affidamento nei SEES, ma soprattutto per i suoi numerosi pregi: era seria e sempre affidabile e le era sempre sembrata molto più matura rispetto a tutti loro.

Le pareva impossibile che avessero soltanto un anno di differenza.

Mitsuru era anche dotata di un’intelligenza per la quale Yukari avrebbe venduto l’anima. Più volte la ragazza si era chiesta come facesse a far quadrare i combattimenti, il lavoro nel consiglio studentesco e i suoi voti sempre al massimo, soprattutto visto che Yukari sapeva quanto si impegnasse anche alla guida dei SEES. Lo sguardo di Mitsuru però era sempre stato estremamente triste. Era come se sapesse qualcosa che tutti loro ignoravano, o se avesse capito che il loro compito era quasi impossibile da portare a termine con successo. 

Yukari si vergognava al ricordo della prima volta che aveva avuto la possibilità di usare l’evoker. 

Mitsuru e Akihiko erano andati con lei nel Tartarus, domandandole se lei fosse pronta almeno cento volte. 

Tutti loro sapevano che combattere era necessario per la sopravvivenza della città. Il continuo aumento dei casi di sindrome dell’apatia rendeva la loro attività di combattimento vitale perché nel mondo reale continuassero a vivere normalmente.

Yukari però nonostante si fosse sentita pronta ed elettrizzata all’idea di essere finalmente in prima linea nel combattimento, aveva deluso i suoi amici. Era rimasta ferma a fissare la canna della pistola. Tremante e inutile, incapace di fare la sua parte anche quando Akihiko era stato ferito dall’ombra contro la quale stava combattendo da solo, ed era soltanto colpa di Yukari.

 

Nessuno l’aveva incolpata dell’accaduto. Non apertamente almeno, ma lei sapeva bene che Mitsuru era delusa dal suo comportamento immaturo e inadeguato. E di fronte al suo fallimento Yukari non aveva fatto niente di buono. Aveva semplicemente passato la notte a piangere, rinnegando il passato e sperando che i due le avrebbero permesso di riprovarci. Solo che non c’era nessuno che desiderasse combattere con lei, e come poteva biasimarli? Era inutile sotto pressione, debole e stupida. Continuava a chiedere se la natura, il mondo o qualunque cosa le avesse dato il potere di invocare la sua Persona non si fosse sbagliato con lei. Non sarebbe mai stata un’eroina in grado di salvare il mondo.

Avrebbe continuato a osservare Mitsuru, però, sperando ogni giorno di diventare più simile a lei. 

Sull’intelligenza non c’era nulla che potesse fare, ma tutto sommato non era quello il suo punto più debole. Semmai era il coraggio a mancarle. Al pensiero di Akihiko che combatteva anche per lei, senza mollare neanche per un istante, le erano tornate le lacrime agli occhi. Si era chiesta quanto fosse potuta sembrare una stupida con la pistola tra le mani, incapace di utilizzare l’evoker  e piangente come una bambina. Era certa che quando Akihiko era stato colpito il suo primo pensiero fosse andato a quanto lei fosse stata inutile in quel combattimento. Perché non c’era alcuna giustificazione al suo comportamento, per quanto si sforzasse Yukari non riusciva a trovarla. 

Li aveva delusi e soprattutto aveva deluso se stessa.

La sua determinazione sembrava dissolta nell’aria e Yukari non faceva che piangere da sola nella sua stanza. Combattuta tra il desiderio di vedere Mitsuru e di dirle che ce l’avrebbe fatta, che desiderava un’altra possibilità e la paura che la ragazza le avrebbe semplicemente chiesto di tornare da dov’era arrivata. Di andarsene dal dormitorio in quanto persona non più desiderata. Lei avrebbe fatto questo. Lei non si sarebbe mai perdonata.

E se invece avesse fallito di nuovo? E se con la sua inettitudine avesse causato danni più gravi della ferita di Akihiko? Come avrebbe convissuto con se stessa se avesse causato la morte di qualcuno?

 

Eppure a pensarci aveva i suoi punti di forza. Quando tirava con l’arco per esempio si sentiva come se nulla potesse fermarla. Lì al club era considerata la migliore e si rendeva conto di essere capace di far scomparire il resto del mondo concentrandosi solo e unicamente sul bersaglio, sul suo respiro e sulle braccia tese che sentiva un tutt’uno con l’arco. Perché non riusciva ad avere la stessa determinazione anche quando si trovava a dover utilizzare l’evoker?

Il fatto che a scuola fosse considerata una delle ragazze più popolari poi la faceva sentire speciale in qualche modo. Sapeva di non essere anche in quel senso ai livelli di Mitsuru, ma i suoi compagni di scuola la rispettavano e consideravano forse più di quel che valeva.

 

Quando era andato a stare al dormitorio il ragazzo nuovo però si era sentita diversa. Prima di tutto perché non era più l’ultima arrivata e poi perché lui coi suoi modi tranquilli e pacati l’aveva fatta sentire un po’ sciocca con tutte le sue paure.

Yukari da piccola aveva pensato di morire, forse era per questo che non riusciva a esorcizzare la morte premendo il grilletto, i suoi pensieri tornavano sempre alla perdita di suo padre e alla sua tristezza quando gli aveva detto addio l’ultima volta.

Il combattimento di Minato con l’ombra l’aveva fatta sentire ancora meno utile di quanto lo era stata fino a quel momento.

Il ragazzo nuovo aveva capito subito cosa doveva fare e senza paura aveva combattuto con successo contro le due ombre che li avevano attaccati. E lei invece? Lei era rimasta a terra come una stupida a farsi salvare.

 

Avrebbe imparato da quella esperienza, più di quanto era riuscita a fare dai combattimenti precedenti. 

Quella notte Yukari aveva giurato a se stessa che nulla l’avrebbe fermata, non più.

Poteva anche morire, era vero, ma non sarebbe stato l’evoker a ucciderla, semmai la sua completa mancanza di coraggio avrebbe messo in pericolo lei e i suoi amici, e questo non poteva permetterlo.

Avrebbe combattuto prima di tutto per tutte le persone che amava, per fare in modo che fossero protette dalla sindrome dell’apatia che pareva prendere di mira sempre più ragazzi anche della loro scuola, avrebbe combattuto per dimostrare a se stessa che faceva bene a credere in se stessa, perché aveva un valore unico e nessuno degli altri poteva invocare la sua Persona, che era sua e unicamente sua.

Avrebbe combattuto per dimostrare a Mitsuru che meritava la sua fiducia, che la pazienza che le aveva dimostrato avrebbe ripagato, e l’avrebbe fatto anche per Akihiko, per proteggerlo in futuro e per curarlo se ne avesse avuto bisogno.

Sarebbe stata utile al gruppo dei SEES per Minato, perché fin da subito aveva capito quanto quel ragazzo fosse speciale, quanto fosse portato al combattimento e sapeva che li avrebbe guidati attraverso un percorso che li avrebbe infine portati alla vittoria sulle Ombre, alla fine del Tartarus.

E sarebbe stata forte per suo padre che le aveva sempre detto di credere in se stessa quando era piccola, che non sarebbe mai tornato indietro, ma che un giorno era sicura che avrebbe rincontrato, e allora lui sarebbe stato fiero della sua Yukari e del coraggio, della determinazione che aveva dimostrato.

Non mirava a diventare la migliore, ma desiderava combattere, alla fine si era resa conto che la sua paura era scomparsa, sostituita da un’iniezione di coraggio che l’aveva fatta sentire in grado di cambiare le cose una volta per tutte.

 

 

 

Erano passati ormai mesi da quando per la prima volta aveva premuto il grilletto dell’evoker per invocare la sua Persona. 

Solo poche ore prima Mitsuru le aveva rivelato il grande segreto che aveva tenuto fino a quel momento. Yukari si sentiva delusa, perché prima di allora l’aveva sempre considerata quanto di più vicino avesse a un’amica e sentiva di aver perso una parte di se stessa e del suo passato con quella notizia. 

Suo padre era morto a causa della Kirijo group. Suo padre lavorava per il nonno di Mitsuru.

Yukari si era sentita una stupida per non avere mai chiesto alla madre o ai suoi nonni qualcosa in più sulla morte del padre, in fin dei conti non era un segreto per nessuno per chi stesse lavorando quando era morto, solo che lei aveva sempre evitato i dettagli, sempre per quella sua paura di affrontare la realtà che aveva sempre avuto, sin da piccola. Si chiedeva come Mitsuru l’avesse guardata in faccia fino a quel giorno, come avesse potuto rimproverarla e trattarla da ragazzina immatura quando sapeva che in realtà lei era in parte il motivo per cui si sentiva così sola, senza radici, senza una guida.

 

Quella notte la ragazza si era addormentata esausta, con le lacrime agli occhi e i pensieri che le vorticavano in testa. Ma la mattina appena sveglia aveva iniziato a vedere la situazione con un po’ di chiarezza in più: suo padre non era certo una vittima innocente di quell’esplosione perché ci aveva lavorato. Sapeva bene cosa fossero le Ombre e non si era fatto scrupoli a cercare di sfruttarle assieme ai Kirijo, anche lui in cerca di gloria, di fortuna, di un riconoscimento da parte del mondo scientifico nel quale sperava di diventare una figura di spicco, un giorno.

Mitsuru invece a essere sinceri non poteva avere colpa in quella situazione. Stava cercando di rimediare in prima persona, combattendo e prendendo sulle spalle gli errori che l’azienda della sua famiglia aveva commesso.
Mitsuru stava soltanto cercando di riparare ai loro errori mettendoci tutto l’impegno che poteva. Non era certo difficile capire perché se ne vergognasse. Si sentiva in colpa per loro e per tutte le morti che avevano causato. Si incolpava per ogni singola persona che cadesse nella sindrome dell’Apatia, ma lei non c’entrava per nulla. Yukari aveva sempre visto nello sguardo dell’amica una vena di tristezza e di preoccupazione costante e aveva sempre pensato che fosse a causa del suo senso di responsabilità, non aveva mai pensato che avrebbe potuto sentirsi complice della causa dell’apparizione del Tartarus.

Mitsuru era solo una bambina quando c’era stata l’esplosione e nonostante tutto aveva da subito cercato di fare la sua parte per risolvere il problema causato dalla sua famiglia.
Aveva utilizzato l’evoker per la prima volta quando era ancora una bambina, come poteva incolparsi? Era semmai una vittima di quella situazione, esattamente come lei.

 

Yukari nonostante in fondo avesse sempre saputo che Mitsuru non c’entrava niente non aveva esitato a incolparla per la morte di suo padre, a farle pesare il suo silenzio che probabilmente già pesava come un macigno sulla sua testa ogni volta che le parlava. Non era stata una buona amica per lei, non certo migliore di Mitsuru, che invece aveva fatto il possibile perché fosse sempre a suo agio nonostante il suo carattere penosamente pavido.

Yukari era stata una palla al piede per il gruppo all’inizio e la sua amica l’aveva difesa e protetta sempre, nonostante tutto.

 

Era il momento di ricambiare. Sarebbe andata da lei e avrebbe detto a Mitsuru che doveva smetterla di prendersi le colpe della sua famiglia, che lei era coraggiosa, forte , determinata e intelligente, ma soprattutto era stata per lei una vera amica. 

 

Yukari avrebbe preso in mano la situazione per una volta, dimostrando una maturità che non sapeva di avere e che avrebbe fatto su. Avrebbe desiderato conoscere prima la verità, ma non era certa di come l’avrebbe presa, perché era molto meno emotivamente stabile di quanto volesse dare a credere. Forse se l’avesse saputo qualche mese prima se ne sarebbe andata da lì sbattendo la porta, per poi rendersi conto del suo errore e non essere in grado di ritornare a causa del suo onore, o meglio, della sua immaturità che non le permetteva di riconoscere i suoi errori. Non aveva neppure bisogno di perdonare Mitsuru, perché non c’era niente da perdonare. 

Finalmente Yukari poteva dire di essere diventata, forse, una persona migliore. Alla fine poteva essere fiera di se stessa e delle sue decisioni.

 

 

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 Fandom: Harry Potter

Personaggi: Lily Evans, Petunia Evans, James Potter, Harry Potter

Prompt: Muse, Knights of Cydonia

One Shot

Partecipa al COWT10

 

We'll fight

 

You and I we’ll fight for our rights

you and I we’ll fight to survive

(Muse, Knights of Cydonia)

 

 

 

 

Da piccola, Lily non avrebbe mai immaginato che sarebbe diventata una Strega. Non aveva mai sognato di avere mirabolanti poteri magici, al contrario di sua sorella Petunia che nei loro giochi insieme era sempre più forte, più bella e più ricca di lei. A Lily non era mai dispiaciuto fare la parte della bambina indifesa o della classica “piccola fiammiferaia” a cui tutti chiudevano le porte in faccia. Non le interessava vincere, non aveva un’indole competitiva come quella di sua sorella e per questo non provava neppure a rubarle la scena.

Ogni Natale Petunia aveva sempre recitato una poesia per la famiglia, per loro era stata una tradizione sin da quando sua sorella era stata in grado di impararla a memoria, e la bambina era felice di mettersi in mostra di fronte alla famiglia, le piaceva il palcoscenico. Quando Lily era cresciuta, però, sua madre aveva preteso che le due si dividessero quel ruolo e se a Lily non interessava per niente, per Petunia quello era stato a dir poco un affronto.

Dopo il primo anno, durante il quale le due avevano litigato tutto il giorno, il ruolo era stato dato a Petunia senza discussioni per la pace di tutta la famiglia e per la gioia di Lily.

 

Quando i suoi poteri si erano palesati, Lily era in compagnia di sua sorella. Stavano giocando e come sempre Petunia faceva le veci della buona samaritana che dava asilo alla povera, indifesa Lily, che in cambio le stava tessendo una corona di fiori come dono, in segno della sua riconoscenza.

La bambina aveva sollevato la corona a mezz’aria e l’aveva guardata con occhi sorpresi, come se lei non c’entrasse nulla con quella magia. Petunia si era convinta di essere stata lei a muoverla ed era rimasta a dir poco delusa quando si era resa conto che invece non c’entrava per niente.


La partenza per Hogwarts di Lily aveva allontanato le due sorelle in modo irrimediabile al punto che al ritorno di Lily per le vacanze di Natale le due avevano a malapena parlato, nonostante Lily avesse cercato Petunia continuamente, cercando di raccontarle ogni cosa sulla sua nuova scuola, sugli amici e sui professori, pareva che la sorella non avesse alcuna intenzione di stare con lei.

Ne aveva sofferto così tanto da averne pianto per anni, fino a quando non si era resa conto che sua sorella non l’avrebbe mai perdonata, ma che in fondo non era colpa sua: non aveva chiesto lei quei poteri e glieli avrebbe donati se solo avesse potuto farlo, solo che questo non era possibile. La gelosia era un sentimento che Lily non aveva mai fatto suo e, anche se avrebbe amato sua sorella per tutta la sua vita, non poteva più continuare a soffrire per qualcosa che non sarebbe mai cambiato, suo malgrado.

 

 

Da quando le cose erano degenerate nel Mondo Magico a causa della presenza di colui che non deve essere nominato Lily aveva più volte pensato alla sua famiglia e in particolare proprio a Petunia. Sapeva di non poter spiegare loro quanto grave fosse il pericolo che tutti stavano correndo, come sapeva che non avrebbero mai capito quella guerra e i motivi per cui era iniziata. Lei era una Sanguesporco e per questo tutta la sua famiglia rischiava di pagare, non poteva permetterlo e aveva deciso di metterli tutti al sicuro, o almeno di provarci. Lei e James avevano posto incantesimi di protezione nelle loro case sperando che fossero sufficienti, ma era certa che non sarebbero bastate poche protezioni per fermare Lord Voldemort.


Quando aveva saputo di aspettare un bambino, Lily si era sentita combattuta tra la gioia infinita e la paura per ciò che sarebbe potuto accaderle. Fino a quel momento non aveva mai avuto paura per se stessa, ma ora non era solo lei che avrebbe rischiato la vita. C’era anche il suo bambino, c’era anche Harry con lei e per lui doveva stare attenta.

Aveva cercato la sorella e le aveva comunicato la lieta novella per ritrovarsi di fronte a un muro di impassibilità. “Non te l’avevo detto forse, ma sono incinta anche io.” le aveva detto guardandola con ribrezzo e chiudendole quasi la porta in faccia. 

 

Poi era arrivata la profezia e con essa la disperazione era diventata ancora più forte. Lily continuava a piangere, incapace di sopportare la paura che sarebbe potuto succedere qualcosa a lei, ma soprattutto al suo bambino, e in quel momento aveva deciso che l’avrebbe protetto a qualunque costo, anche se le fosse costato la sua stessa vita.

Era andata da Petunia un’ultima volta con il desiderio di cercare un riavvicinamento con la sorella. Le aveva telefonato e la sorella le aveva concesso un pranzo di famiglia.

Lily e James erano arrivati, vestiti eleganti e pronti ad assecondare la famiglia Dursley senza utilizzare in alcun modo la magia in quella giornata.

Non avevano mai conosciuto Vernon, che a detta di Petunia era un uomo di successo che le stava dando tutto ciò che la donna desiderava e che agli occhi dei Potter era un fastidioso borghese ottuso che parlava solo attraverso luoghi comuni. Si vedeva però che lui e sua sorella si amavano e questo aveva tranquillizzato molto Lily.

 

Alla fine della cena, poco prima di andare. Lily aveva deciso di affrontare l’argomento per cui erano lì: “Petunia, la situazione è molto grave. Non voglio assolutamente metterti in pericolo e quindi non ci faremo più vedere, almeno per un po’, fino a quando la situazione non si sarà un po’ tranquillizzata… ma se mi dovesse succedere qualcosa vorrei chiederti se ti prenderai tu cura di Harry. Lo faresti?”

Petunia aveva guardato il pancione della sorella e all’improvviso si era ricordata di quanto la amava quando erano piccole. Lily era una bambina quasi perfetta e per Petunia non era mai stato facile essere alla sua altezza, ma le aveva sempre tenuto testa, almeno fino a quando non erano apparsi i suoi stupidi poteri magici, che oltre ad averla allontanata da lei in modo irrecuperabile l’avevano anche resa ancora più speciale agli occhi di tutti, mettendo Petunia in un angolo ombroso.

Però le voleva bene: quando c’erano i temporali le permetteva di dormire nel suo letto e la stringeva a sé fino a quando non si addormentavano entrambe; la aiutava sempre con la colazione al mattino e la aspettava sia al ritorno che all’andata per la scuola.

“Ma certo…” le aveva detto, mettendo nelle sue parole quanta più naturalezza possibile. Lily era corsa ad abbracciarla e Petunia avrebbe ricordato per sempre quel momento. Avrebbe tanto desiderato risponderle e dirle quanto le aveva sempre voluto bene, invece era stata zitta e aveva risposto all’abbraccio con delle piccole pacche sulla spalla della sorella, incapace di esprimere il suo amore, ancora consumata dalla gelosia.

 

Lily e James erano tornati a casa sereni, perché in fondo sapevano che l’incontro era andato tutto sommato meglio di quanto si aspettassero. Ma di fronte a loro non vedevano altro che buio. Avrebbero combattuto ancora per salvare le loro vite, per il diritto del loro bambino ad avere una vita e non a morire per mano di Voldemort. Non avrebbe vinto lui, sarebbero stati loro a trionfare un giorno, per Harry, per l’Ordine e anche per Petunia e la sua famiglia.

 

Era incinta di otto mesi quando James era stato chiamato per combattere con l’Ordine. Lei era stata costretta a restare a casa e per tutto il tempo aveva avuto il cuore in gola. Ogni rumore fuori la faceva sobbalzare e ogni minuto le pareva più lungo del precedente. 

Aveva promesso al suo James che sarebbe stata forte, che non si sarebbe lasciata cogliere dalla paura e dallo sconforto, ma più il tempo passava e meno Lily si sentiva in grado di sopportare la situazione.

 

Era così diverso quando potevano combattere insieme. Si coprivano a vicenda e prendevano parte alle missioni dell’Ordine senza paura, anche se sapevano che ogni volta poteva essere l’ultima. Il loro amore in parte a volte li frenava, perché ciascuno di loro desiderava che l’altro stesse al sicuro, ma era anche il motore che li faceva partecipare alle missioni, era il motivo per cui combattevano: per il loro futuro insieme. Perché fosse possibile vivere all’aria aperta senza doversi preoccupare del fatto che Lily era una Sanguesporco, senza avere paura per i loro figli che un giorno sarebbero arrivati.

 

Lily aveva deciso di combattere proprio per le sue origini. La famiglia Babbana dalla quale proveniva era per i Mangiamorte motivo di vergogna. Le sue origini la rendevano una nullità che non meritava neppure di vivere, come tutti gli altri Babbani. Come i suoi amici quando andava a scuola, i vicini di casa dei suoi genitori e come tutto il resto della sua famiglia. La Strega sapeva bene che la sua origine non avrebbe mai potuto determinare il suo valore. Sapeva di non aver rubato i suoi poteri ad altri Maghi inermi. 

E pensare a quanto si era arrabbiata con Severus quando le aveva spiegato la filosofia di Voldemort… Aveva perso il suo amico per gelosia, come sua sorella, ma anche a causa della vicinanza di Severus ai Mangiamorte.

Come puoi parlare con loro e poi venire a cercarmi, non capisci che se fosse per loro io sarei carne da macello, così come tutti gli altri Babbani. 

Severus le rispondeva che lei era diversa, ma a lei non era mai bastato. E ora… James probabilmente stava combattendo proprio con lui. Con quello che era stato un tempo suo amico e che li aveva venduti in cambio di un ruolo di rilievo tra le schiere del Signore Oscuro, come lo chiamavano i suoi adepti.

 

Lily aveva sempre combattuto per la sua libertà e avrebbe ricominciato a farlo quando Harry fosse nato. Stare a casa in attesa di James era per lei difficilissimo. Molto più di combattere, perché l’attesa era passiva. Ogni cosa poteva essere accaduta a James e ai suoi amici, a Silente e ai Weasley senza che lei lo sapesse e il non poterli aiutare la faceva sentire completamente inutile.

Non aveva mai pregato in vita sua. Sapeva che nel Mondo Magico non esisteva un Dio come per i Babbani, e per quella notte si sarebbe affidata a quel Dio che non conosceva sperando che proteggesse comunque i suoi cari. Tutti quanti fino a quando lei non avesse potuto ricominciare a combattere.

 

Quella sera James era arrivato a casa ferito, ma vivo. L’aveva trovata distesa sul divano, addormentata, ma chiaramente tesa. L’aveva presa tra le sue braccia per portarla nel letto, svegliandola. Lily aveva iniziato a piangere stringendolo forte a sé e causandogli un gemito di dolore. “Cosa è successo?” Aveva chiesto notando la ferita del marito.

“Doveva essere una missione leggera, invece ci hanno attaccato di sorpresa. Se non ci fosse stato Sirius sarei morto probabilmente.”

Lily aveva tirato a James una pacca sulla spalla. “Non dirmi queste cose, lo sai che non posso sopportare di non essere lì con voi…”

C’era una domanda che Lily non voleva fare. Anche se sapeva che era così, non desiderava sapere se Severus era tra i Mangiamorte. 

“Avevano la maschera, non sappiamo chi fossero.” Aveva detto James, rispondendo al suo silenzio. “Comunque con questa ferita mi sono assicurato almeno una settimana di pace con te, con voi.”

Anche se sarebbe stata una sola settimana, avrebbero assaporato ogni minuto nell’attesa di ricominciare a combattere, nell’attesa di avere il futuro di pace che desideravano per la loro famiglia.

 

 

Dalla nascita di Harry molte cose erano cambiate nella vita dei Potter. Se nei primi tempi avevano continuato a cercare di mantenere la vita di prima, col tempo si erano resi conto che ciò che tutti dicevano loro era vero: erano l’obiettivo primario di Voldemort e non potevano permettersi di farsi trovare per il bene di tutto.

Erano nascosti da ormai così tanto tempo da sentirsi in prigione nella loro bella casa comoda, ma dopo la profezia non erano più loro i destinatari dell’odio di Colui che non deve essere nominato, ma il loro piccolo bambino innocente, che da Prescelto era diventato simbolo della speranza di tutti coloro che volevano la caduta di Lord Voldemort, compresi Lily e James.

L’idea di cambiare Custode Segreto era stata di Sirius. Il loro amico si sentiva tutt’altro che al sicuro, preda delle minacce continue di quasi tutti i Black si sentiva a un passo dalla cattura. Nessuno di loro l’aveva detto, ma tutti avevano il sospetto che Remus potesse essere la spia all’interno dell’Ordine della Fenice. Un lupo mannaro facilmente diventa Mangiamorte e questo era risaputo.

Lily non aveva mai creduto che Remus avrebbe potuto tradirli. Non il dolce Remus che lei conosceva da anni e che amava lei e James come fratelli, ma Lily nell’ultimo periodo non si fidava di anima viva, solo di James e di Albus Silente.

 

Sirius, Peter e Albus erano stati gli ultimi ad andare dai Potter, portando loro regali per Harry e cibo per sussistere in quei giorni concitati. “Siamo vicini, ragazzi, presto tutto sarà finito in un modo o nell’altro.” Aveva detto Sirius, stanco e speranzoso. 

Silente appariva pensieroso più di quanto non l’avessero mai visto. “Si stanno muovendo e questo è certo. Purtroppo c’è di certo una spia tra noi perché sanno troppi dettagli, conoscono bene i nostri piani. Tra qualche giorno però capiremo chi è.” Silente aveva divulgato ai vari membri dell’Ordine notizie differenti e aspettava il momento buono per vedere dove i Mangiamorte sarebbero andati a colpire.

“Vorrei tanto che diventassi tu il nostro Custode Segreto, Albus.”

Silente aveva preso le mani dei Potter. “Mi piacerebbe, ma sapete che con me non sareste al sicuro. Sono l’indesiderato numero due, solo dopo il vostro Harry.

 

Peter se ne stava in un angolo a giocare con Harry, che da ormai qualche giorno stava in piedi da solo. Lily e James lo avevano scelto per le sue capacità peculiari: nascondersi per lui era facile e nonostante Peter non brillasse certo per coraggio, erano certi che avrebbe resistito di fronte al pericolo, in qualche modo.

“È proprio cresciuto.” Aveva detto il loro amico prima di abbracciarli e di andarsene da lì insieme agli altri ospiti.

 

I Potter non lo sapevano ancora, ma avevano firmato la loro condanna a morte quella sera.

 

La notte in cui Voldemort arrivò alla loro porta a portare loro la morte, capirono cosa avevano fatto, ma ormai era troppo tardi per rimediare. James fu guidato dal desiderio di proteggere la sua famiglia, ma anche dal risentimento nei confronti del tradimento del suo amico, che lui considerava al pari di un fratello. Aveva combattuto per tutto l’Ordine e per Remus, per avere messo in dubbio la sua fedeltà. Non era bastato però.

Lily invece aveva pregato. Non immaginava che la sua preghiera sarebbe diventata il motivo per cui suo figlio sarebbe sopravvissuto. 

Harry Potter avrebbe continuato a combattere per tutti loro e un giorno, non troppo lontano, la verità sarebbe venuta a galla.

In ogni caso, Lily avrebbe vegliato su suo figlio anche dall’aldilà, perché nulla avrebbe potuto separarla da lui, neppure la morte.

 

 

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Ricordi di un ladro fantasma
Ricordi di una vita tranquilla


Fandom: Persona 5
Personaggi: Ren Amamiya, Morgana, Phantom Thieves, Genitori di Ren
Prompt: scambio di persona. Cosa succederebbe se il Joker un giorno si risvegliasse nella casa dove ha sempre vissuto coi suoi genitori e scoprisse che non è mai stato il leader dei Phantom Thieves? E se l'altro Ren, quello che invece ha sempre avuto una vita normale si risvegliasse di fianco a un gatto parlante? Chissà se alla fine sarebbero contenti dei loro destini
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Al suo risveglio, Ren si sentiva più stanco di quando era andato a dormire, eppure non aveva neanche messo la sveglia per quella domenica di tranquillità.

Aveva promesso a Futaba che sarebbero andati al cinema insieme, lei aveva già un film in mente e di certo sarebbe stato qualcosa di avventuroso con dei robot da qualche parte.

Si era alzato in piedi con l’idea di controllare la televendita di Tanaka e poi di correre a farsi una doccia per poi essere tranquillo e libero.

Solo che quello non era il suo solito letto e lui non era al Leblanc: era nella casa dove aveva sempre vissuto coi suoi genitori. Si alzò di scatto per accendere la luce e ne ebbe la conferma.

Scese le scale circospetto per trovarsi di fronte ai suoi genitori che come se niente fosse stavano preparando la colazione.

“Bevi un caffè, Ren? Oggi abbiamo preparato la colazione all’americana: pancake! Sei contento?”
Il ragazzo era immobile come uno spaventapasseri, la bocca aperta alla ricerca di qualcosa da dire. “Grazie,” rispose, sedendosi senza riuscire ancora a riordinare i pensieri.

Che fosse impazzito? Che stesse sognando?

A pensarci bene sembrava più un sogno la sua vita a Tokyo con i Phantom Thieves.

“Ma che giorno è?” Domandò fissando sua madre.

“Ren, stai bene? Sei pallido e mi sembri quasi sul punto di svenire.”

“Sono… confuso. Ma il processo come… devo andare a Tokyo?”

Sua madre si mise a ridere. “Ma cosa stai dicendo? Ma quale processo? Devi avere fatto un bel sogno interessante.”

 

E la sua Persona? La Velvet room che fine avevano fatto? Non poteva aver perso mesi della sua vita senza averne neppure il ricordo, eppure pareva proprio fosse così anche se il calendario gli diceva che esattamente il giorno che si aspettava che fosse. Era forse finito in un’altra dimensione? E se lui era lì, chi c’era al suo posto?

Si era messo a ridere al pensiero del nuovo Ren e al suo risveglio di fianco a Morgana, chissà che colpo poteva aver preso. Sperava che non fosse fuggito urlando dalla stanza pensando di essere vittima di uno scherzaccio di cattivo gusto.

Si chiedeva solo se era ancora in grado di invocare le Persona. Le sentiva a pensarci, doveva solo trovare un palazzo o il memento della sua città, sempre che esitesse.

 

Aveva iniziato a girare il paese subito dopo colazione. Si era concentrato nella ricerca di un qualsiasi indizio e aveva installato l’app, ma nulla era apparso.

Quando aveva iniziato a perdere tutte le sue speranze aveva visto qualcosa che l’aveva fatto sperare, però.

Aveva seguito la ragazza bionda correndo fino a quando si era trovato di fronte alla porta della Velvet room. Justine e Caroline gli sorridevano. “In questa realtà non hai ancora fatto il patto, puoi scegliere. Se entrerai nella velvet room di tua volontà però il tuo destino sarà deciso, e non sarà la storia che hai già vissuto, ma un’altra storia diversa, con persone diverse. Non puoi tornare indietro ormai.”

Il Joker era solo Ren. Avrebbe potuto continuare a vivere la sua adolescenza preoccupandosi solo dei problemi che un comune studente doveva affrontare. Non c’era stato il processo e questo significava che il se stesso di cui aveva preso il posto aveva ignorato le richieste di aiuto di quella ragazza, evitando di scontrarsi con l’uomo che poi l’aveva denunciato.

Lui però era diverso, lui non si sarebbe seduto comodamente a lasciarsi guidare dalle decisioni altrui. Nonostante i rischi che ben conosceva avrebbe aperto quella porta e avrebbe compiuto il suo destino. In fin dei conti non c’era più Ren senza il Joker.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ricordi di una vita tranquilla

 

 

 

 

Ren si era svegliato in un luogo sconosciuto. L’unico essere vivente nella stanza oltre a lui era un gatto nero che dormiva sul letto al suo fianco. Che fosse un sogno? Si era vestito in tutta fretta e aveva iniziato a impacchettare le sue cose quando aveva sentito una voce.

“Ren, ma dove vai?”

Il ragazzo aveva sussultato e si era voltato ancora più confuso. Non c’era nessuno dietro di lui, solo il gatto. Infatti l’animale lo stava guardando seduto sul letto. “Ma che ti prende oggi?”

Aveva urlato con tutto il fiato che aveva in gola. Il gatto aveva parlato.

“La vuoi smettere di fare il cretino? Ren, smettila di urlare adesso! Hey, che succede?”

“Ma tu chi sei? Dove sono?”
“Ma sei ubriaco? Io sono Morgana, tu sei Ren e sei a Tokyo, al Cafè LeBlanc, dove vivi.”

“Io non abito a Tokyo… E questo deve essere un sogno.”

Morgana aveva sospirato. “Ok, allora è un sogno. Siediti sul letto, prendi il tuo cellulare e guardalo.”

Ren aveva seguito gli ordini del gatto. Le fotografie nel suo telefono gli mostravano una vita che non conosceva, che non ricordava e della quale era francamente un po’ spaventato. I messaggi allo stesso modo sembravano scritti in codice visti gli argomenti assurdi che trattavano.

Futaba era arrivata in pochi minuti e aveva cercato di capire cosa fosse successo, ma non ci era riuscita neppure lei. “È come se tu venissi da un’altra dimensione nella quale Ren non è mai arrivato a Tokyo e non ha mai risvegliato i poteri delle sue Persona. Chissà se saresti ancora capace di invocarle? Ma soprattutto, chissà se esiste ancora il Memento.”

Morgana era intervenuta. “Certo che esiste, non so se sarei qui altrimenti.”

I due avevano iniziato a parlare senza che Ren riuscisse a capire una parola dei loro discorsi: memento, palazzi, persona, tesori da rubare e cuori da prendere, phantom thieves e altre sciocchezze che non riusciva neppure a ricordare. “Scusate.”

Li aveva interrotti. “Mi aiutate a capirci qualcosa? Io penso ancora che sia tutto troppo assurdo per essere vero.”

Futaba aveva scritto qualcosa sul cellulare a velocità impossibile e il suo telefono aveva vibrato. “Andiamo nel Memento e vediamo cosa succede. Ho chiamato gli altri.”

 

Gli altri erano di certo molto più normali del gatto e della ragazza nerd stranissima che aveva già conosciuto. Ren si era stupito nel constatare che a combattere ci fossero due ragazze all’apparenza bellissime, un teppista ossigenato e un ragazzo che sembrava non voler stare lì con loro.

Al segnale dato da Morgana erano stati trasportati magicamente in un luogo assurdo.

“Almeno ha la maschera,” aveva osservato Futaba, ancora irritata per aver perso il suo Ren.

Il ragazzo si stava guardando intorno spaesato ed era impallidito quando si era accorto che anche i suoi abiti erano cambiati. Si stava toccando la faccia per cercare di capire cosa avesse addosso. “Eccoci al Memento, e siamo solo all’inizio. Ora vediamo se sai combattere.”

Non era facile per lui stare lì in mezzo a quegli strani ragazzi, ma dopo avere provato a resistere alle storie di Morgana e di Futaba aveva deciso di concedere loro il beneficio del dubbio. I documenti che attestavano il processo di cui non aveva memoria, poi, l’avevano convinto che forse era vero che veniva da un’altra realtà.

Il messaggio che aveva mandato ai suoi ne era stato la conferma. Di fronte al suo “come state” avevano risposto chiedendo come andava a Tokyo e gli avevano detto quanto fossero entrambi in attesa di aprile per poterlo riabbracciare finalmente.

 

Aveva seguito i ragazzi lungo le scale. “Vedrai, sono sicura che combattere ti risulterà naturale, sei sempre stato il più forte tra noi.”

Ren aveva fatto un salto quando il gatto si era trasformato in un pulmino, o forse era un camioncino, ma era salito insieme agli altri. Dopo meno di un minuto si erano trovati di fronte a una creatura orribile. “Ecco un’ombra, preparati.” Aveva detto Makoto guardandolo con speranza.

Gli altri avevano evocato quelle che loro avevano chiamato Persona, e lui era rimasto lì immobile.

“Joker, vai, combatti con noi.”

Ren aveva preso coraggio e aveva cercato dentro di sé la forza per invocare la sua Persona. Non era stato facile riuscire a sentire la capacità di riuscirci, qualcosa di nuovo e di stranissimo, ma quando aveva iniziato a pensare all’invocazione era successo tutto in modo naturale.

La Persona era apparsa e lui si era sentito strano. Quell’essere separato da lui era come se fosse parte della sua stessa anima. Agiva come un prolungamento della sua volontà.

Ren aveva lanciato il colpo di grazia sull’ombra e alla fine del combattimento era rimasto a fissare la Persona, quell’essere che sentiva di conoscere e che non aveva mai visto prima. E quando era scomparsa, o l’aveva lasciata andare, ancora non capiva bene come funzionasse, si era sentito un eroe.

“Lo facciamo ancora?” Aveva chiesto rivolto agli altri Phantom Thieves, che lo stavano osservando con sguardo interrogativo.

“Come ti senti?” Aveva chiesto Ann.

“Benissimo, è una sensazione unica e non vedo l’ora di imparare a combattere.”

Avevano continuato ad allenarsi per qualche ora, fino a quando Ren non aveva iniziato a prendere confidenza con tutte le Persona che poteva controllare.

 

Al loro rientro gli altri ragazzi erano sembrati poco entusiasti. “Scusaci,” aveva detto Ryuji. “Tu sei diverso dal Ren che abbiamo conosciuto noi, ma sei come lui. Ora non sappiamo bene se sperare che tu resti o che torni il vecchio Ren e che tu riacquisisca la tua vecchia vita.”

“Capisco,” Aveva risposto Ren. “Se anche dovessi tornare alla mia vecchia vita, credo che verrei comunque a cercarvi, ora che so che questo mondo esiste.”

Quella notte Ren era andato a dormire presto, stanco a causa dei combattimenti. Morgana si era messo al suo fianco come sempre, ma sembrava inquieto.

“Credi che tornerò alla mia vecchia vita al mio risveglio.”

“Non ne ho idea,” aveva risposto il saggio gatto. “Comunque vada sono stato contento di averti conosciuto, spero solo che non arrivi un altro Ren ancora domani, perché ho fatto una fatica a spiegarti tutto oggi e non vorrei ripetere l’esperienza.”

Ren si era messo a ridere, ma sentiva dentro una strana amarezza: desiderava avere indietro la sua vecchia vita, ma non avrebbe lasciato questa, della quale aveva potuto assaporare un solo assaggio che non gli era bastato per niente. Non poteva immaginare di tornare un ragazzo semplice di provincia ora che sapeva che avrebbe potuto essere il Joker, il leader del gruppo dei ladri di cuori che con il loro potere stava rendendo il mondo un posto migliore.

In cuor suo sapeva che in ogni caso quell’esperienza sarebbe stata per sempre parte di lui e un po’ si dispiaceva al pensiero dell’altro Ren, che probabilmente in quel momento stava solo studiando.

 
 
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 Il tempo libero genera i vizi

Otia dant vitia

 

 

Ogni volta che Paolo si era trovato per qualche ragione a casa da solo senza impegni particolari, aveva ricominciato a fumare.

Adesso che si era trovato all'improvviso in ferie forzate a causa dell'allagamento dell'azienda per cui lavorava, con l'autunno piovoso fuori che non gli permetteva di uscire e senza alcuna voglia di vedere i suoi amici, che ultimamente parlavano solo di calcio, stava pensando che molto probabilmente ci sarebbe ricaduto. Fumo, cibo, birra: i grandi amici degli ignavi.

No, non poteva lasciarsi andare di nuovo all'ozio, non voleva ricadere per l'ennesima volta nello stesso identico errore: aveva bisogno di un hobby.

 

Si rendeva conto da solo che non fosse semplice dire "Voglio un hobby!" e sperare di sentirlo sbucare dal nulla, così, come se volesse ordinare una pizza da asporto.

Paolo non era mai stato troppo impegnato, ma quando viveva con lei almeno trovavano sempre qualcosa da fare insieme, fosse anche soltanto guardare un film. Lei aveva anche il cane, ma ora se n'era andata e aveva lasciato il vuoto nella vita ora meno impegnata che mai di Paolo.

Dopo averci pensato un po' aveva trovato una soluzione: niente hobby per il momento, solo necessità: avrebbe dipinto casa, visto che ce n'era bisogno, e magari sarebbe stato a trovare i suoi che lo chiamavano sempre per invitarlo da loro. Magari loro gli avrebbero dato qualcosa di interessante da fare per passare il tempo. Tutto, pur di non cadere nella spirale della noia, che si sa, non porta mai niente di buono.

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 Vivere tota vita discendum est et, quod magis fortasse miraberis, tota vita discendum est mori.

Ci vuole tutta la vita per imparare a vivere e, quel che forse sembrerà più strano, ci vuole tutta la vita per imparare a morire.

 

Elena sapeva che non avrebbe vissuto ancora per molto, ma non aveva intenzione di passare il poco tempo che le restava vivendo nell'attesa di una morte che sarebbe arrivata indubbiamente, chissà quando.

Ci sarebbero potuti volere mesi, settimane o forse anni, se le fosse andata estremamente bene e avesse trovato un donatore per il suo cuore malconcio.

Non poteva sperare di avere tutto ciò che le sue amiche desideravano: aveva abbandonato gli studi per dedicarsi alle sue passioni, supportata dalla sua famiglia e si sentiva lieta di aver avuto la possibilità di avere l'amore delle persone che aveva intorno.

Per molto tempo aveva pensato di non avere il tempo per trovare un amore, e poi invece era arrivato anche lui.

Stefano aveva accettato il fatto che la sua fosse una presenza da vivere alla giornata e ogni volta che si vedevano faceva in modo da darle un bel ricordo di lui.

Quando la sua ora fosse arrivata, Elena era certa che sarebbe stata pronta.

Tutti intorno a lei vivevano ogni giorno come un dono, una nuova opportunità e non la salutavano mai con rabbia, sapendo sempre che il suo giorno potesse essere l'ultimo.

Quando aveva ricevuto il trapianto all'inizio le era sembrato strano cambiare stile di vita, fare programmi per l'anno successivo e vivere come una persona normale. Aveva imparato però, vivendo nella certezza che la morte era vicina, a dare valore a ogni giorno, dal primo fino all'ultimo.

Era una lezione che lei e Stefano avrebbero ricordato per sempre, durante la loro vita felice, tra alti e bassi, insieme.

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Verae amicitiae sempiternae sunt

Le vere amicizie sono eterne



Quando si erano salutati Ren e gli altri sapevano che si sarebbero rivisti presto. La loro non era un'amicizia che col tempo sarebbe diventata sempre più flebile fino a finire. Avevano vissuto insieme troppe avventure, troppi momenti unici che li avevano cambiati, li avevano definiti per gli adulti che stavano diventando. Le esperienze nel memento e i combattimenti con le ombre li avevano uniti in un legame fortissimo.

Impossibile da scogliere al punto che si sentivano fratelli, più che amici.

Akechi non c'era più e tutti loro sapevano che alla fine persino lui, che pareva aver dimenticato l'amore, si era stupito del loro legame. Persino lui aveva capito quanto loro fossero forti solo per il fatto di essere insieme.

Ren era il centro del loro profondo rapporto e nessuno di loro l'avrebbe mai dimenticato, così come Morgana, l'unico che l'avrebbe seguito fino a casa. Giusto pochi mesi, poi il loro amico sarebbe tornato per Futaba e per Sojiro, che era stato un vero e proprio padre per Ren, ma anche per tutti loro che avevano potuto avere una seconda casa al LeBlanc.

Forse un giorno nel futuro ci sarebbe stato di nuovo bisogno dei Phantom Thieves, che fosse per sconfiggere nuove ombre arrivate a minacciare la pace o fosse solo per festeggiare il compleanno di uno di loro. Sarebbero sempre stati legati, fino alla fine delle loro vite.
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Fandom: Persona 4
Personaggi: Teddy
Genere: introspettivo
Prompt: Vis unita fortiori
Flashfic
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Vis unita fortior
l'unione fa la forza


Fin dalla sua nascita Teddy era sempre stato da solo.
La sua esistenza un tempo scorreva nella noia e nel nascondersi dalle altre ombre quando la nebbia appariva. Lui era diverso da loro e l’aveva sempre saputo. All’inizio aveva cercato di fare amicizia con loro, ma le ombre non sembravano interessate a parlare con lui, in realtà non parlavano affatto.
Poi erano arrivati i visitatori, gli strani ragazzi ai quali sentiva di assomigliare, che non l’avevano trattato come le ombre. Da quando Yosuke gli aveva concesso di andare ad abitare con lui e di lavorare da Junes a Teddy si era aperto un mondo nuovo, finalmente aveva cominciato a parlare e a conoscere gli usi e i costumi degli esseri umani ed era stato apprezzato per le sue doti e per il suo aspetto. Aveva scoperto quanto fosse divertente e appagante vestirsi in modo elegante e fare il romantico con le ragazze, anche se ancora alcuni dettagli sul rapporto uomo-donna gli sfuggivano.
La cosa più importante però era che ora aveva degli amici e non era più costretto a contare soltanto su se stesso, non era più costretto a stare da solo a sospirare in attesa che il tempo passasse.
A volte lui e Yosuke si prendevano in giro, ma Teddy sapeva che avrebbe fatto di tutto per salvarlo, se fosse stato in pericolo.
Anche lui, del resto, avrebbe fatto tutto quello che era in suo potere per aiutare i suoi amici. Proprio perché potevano contare l'uno sull'altro così erano forti. La loro amicizia li aveva resi imbattibili.
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Omnis homo mendax
Oderint dum metuant
Dictum, factum
Res sacra consilium





Fandom: Harry Potter

Personaggi: Lavanda Brown

Genere: introspettivo

Prompt: Omnis homo mendax

Flashfic

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Omnis homo mendax

tutti gli uomini sono bugiardi


Lavanda Brown non riusciva a trattenere le lacrime. Aveva passato tutta la mattina distesa sul suo letto, con la coperta sugli occhi a disperarsi per il suo amore perso, forse mai rorrisposto e a cercare di ragionare sulla sua storia con Ron e su come avesse fatto a crollare in modo così improvviso.

Aveva persino chiesto a Hermione cosa ci fosse che non andava nel suo amore. Era gelosa di lei, perché sembrava che avesse un legame troppo forte con Ron, ma Lavanda era certa che Hermione si sarebbe dimostrata leale con un'altra ragazza. L'aveva consolata infatti, affermando con voce piatta quanto gli uomini fossero bugiardi e codardi. Quasi tutti gli uomini, aveva detto.

E pensare che gli aveva anche comprato una scatola di cioccolatini in regalo, che su consiglio della Granger aveva deciso di mangiarsi lei, senza neppure dirgli dell'acquisto.

A Ginny era successo che Dean, che caso voleva fosse un compagno di stanza proprio di Ron, avesse evitato di rompere con lei proprio per avere il regalo di compleanno. Impensabile, imperdonabile secondo ogni ragazza. Poi quando lei l'aveva lasciato lui si era quasi messo a piangere, nonostante avesse già chiesto di uscire a Cali, che però non era una sciocca e sapeva di Ginny, quindi l'aveva rifiutato.

Che ci fosse un uomo sincero? Uno solo? Si chiedeva Lavanda durante la lezione. Forse Neville, lui non le avrebbe mai mentito, forse... ma pensandoci forse avrebbe continuato a rischiare, magari si sarebbe fatta più furba e avrebbe imparato a capire quando gli uomini le mentivano.

No, Neville proprio no.

Fandom: Harry Potter

Personaggi: Tom Riddle, Lord Voldemort

Genere: introspettivo

Prompt: Oderint dum metuant

Flashfic

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Oderint dum metuant

mi odino pure, purché mi temano


Vivere all'orfanotrofio non era mai stato facile per lui, ma nell'ultimo periodo Tom Riddle aveva trovato il modo giusto di sopravvivere e di farlo in completa comodità.

Era bastato dare fuoco a una balla di fieno sulla quale stavano giocando dei bambini per avere l'attenzione di tutti, poi si era limitato a osservare le fiamme sorridente, orgoglioso del suo potere magico. Tom aveva sempre saputo di essere speciale e finalmente ne aveva la dimostrazione.

Adesso che avevano visto tutti ne avevano la prova e avrebbero fatto bene a rispettarlo, a venerarlo.

Il suo dono speciale lo aveva reso intoccabile agli occhi degli altri bambini: mangiava ciò che desiderava, sedeva dove preferiva e non aveva più bisogno di giustificarsi con anima viva, neppure con le monache, quando si prendeva la libertà di non pulire la sua stanza e chiedeva a qualcuno di farlo al suo posto.

Aveva una camera sua, privata. Al contrario degli altri bambini che vivevano nel dormitorio tutti insieme, con qualche rara eccezione tra i più grandi.

Facevano di tutto per farlo stare tranquillo e per assecondarlo e lui finalmente stava vivendo come sentiva di meritare.

Lo odiavano e lo sapeva. Ma non gli importava: gli bastava che lo temessero e che esaudissero i suoi desideri.

Fandom: Harry Potter

Personaggi: Hermione Granger, Signora Granger

Genere: introspettivo

Prompt: Dictum, factum

Flashfic

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Dictum, factum

detto, fatto


A Hermione non piaceva rimandare i suoi impegni, soprattutto quando avevano a che fare con la scuola pensava che non ci fosse ragione per aspettare l'ultimo minuto per studiare o per svolgere i propri compiti.

Quel pomeriggio non aveva impegni, visto che a due settimane dall'inizio della scuola aveva già fatto tutto quello che poteva, compresi esercizi e studi extra che l'avevano impegnata nell'ultimo mese.

Quando sua madre però l'aveva invitata a fare una torta, però, Hermione si era sentita improvvisamente stanca. Quella era una cosa che avrebbe rinviato molto volentieri.

"Suvvia, non sarà certo più difficile di una delle tue pozioni complicatissime. Giusto?"

Hermione era impallidita, memore del suo passato in cucina, tutt'altro che roseo, ma in fin dei conti era vero: non poteva essere più difficile delle sue precisissime pozioni.

Si era quindi rimboccata le maniche e si era messa il grembiule che sua madre le aveva lasciato a disposizione. Aveva proceduto con metodo: pesando tutti gli ingredienti, e posizionandoli sul tavolo nell'esatto ordine in cui avrebbe dovuto inserirli nell'impasto, poi aveva preso il frullatore e aveva cominciato a seguire la ricetta passo dopo passo.

Dopo un'ora e mezza aveva estratto dal forno la torta fumante, sotto lo sguardo soddisfatto della madre.

"Ma ha sporcato tutti gli utensili e tutte le ciotole che abbiamo?" Aveva chiesto il padre alla moglie, senza farsi sentire. "Sì, ma guarda come è orgogliosa adesso."

Hermione ci aveva in effetti messo di più a pulire la cucina che a preparare la torta, ma si sentiva soddisfatta di se stessa: detto, fatto! Come diceva sempre sua madre. Ora anche lei avrebbe potuto dire di essere riuscita a preparare un'ottima torta con le sue mani, come una Babbana.


Fandom: Harry Potter

Personaggi: Draco Malfoy

Genere: introspettivo

Prompt: Res Sacra consilium

Flashfic

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Res sacra consilium

il consiglio è una cosa sacra


Non si poteva certo dire che Draco Malfoy avesse avuto una vita difficile, infatti aveva sempre ottenuto ciò che desiderava, senza eccezione alcuna.

Questo almeno fino a quando Potter non era entrato a far parte della sua vita. Draco gli aveva dato un consiglio: scegli bene gli amici.

E desiderava sopra ogni cosa che Potter scegliesse lui come amico, ma non era successo.

I consigli sono cosa sacra, gli aveva detto suo padre più volte, e Draco non poteva neppure pensare che qualcuno lo ignorasse così, preferendo a lui un Weasley.

Draco, lascialo perdere, non hai bisogno di lui, gli aveva detto il suo amico Goyle, ma lui non ce l'aveva fatta.

Più il tempo passava e più Potter si dimostrava migliore di lui: sapeva usare incantesimi che gli erano sconosciuti e tutti nel mondo magico stravedevano per quel tappo occhialuto, tutti compreso Silente. Persino suo padre continuava a parlargli di come Potter fosse insulso e feccia, ma intanto ne parlava. Draco non lo accettava e, forse dopo anni lo poteva ammettere, era sempre stato un po' geloso di lui.

Forse lui stesso avrebbe fatto bene ad ascoltare il consiglio del suo amico Goyle e lasciarlo perdere, si diceva mentre costruiva l'armadio Svanitore nella Stanza delle Necessità. Forse, se non si fosse impegnato così tanto a essergli nemico, avrebbe avuto più amici su cui contare per uscire da quella pessima situazione.

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Fandom: One Punch Man

Personaggi: Saitama

Genere: introspettivo

Prompt: Labor omnia vincit

Flashfic

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Labor omnia vincit


Saitama era tornato a casa con un occhio nero, lo stomaco dolente e la bocca gonfia e sanguinante. Continuava a pensare di essere diventato forte abbastanza da riuscire a vincere contro uno stupido bulletto da quartiere come quello che l'aveva picchiato, invece non era stato in grado neppure di colpirlo. Quel ragazzino era veloce e colpiva come un chirurgo e Saitama si era sentito inutile quando i due erano stati messi in fuga da due ragazze arrivate sul posto ad aiutarlo.

Non doveva più succedere nulla del genere: Saitama si sarebbe allenato ancora più duramente senza scuse, ogni giorno fino a quando non fosse stato il migliore. 


Ogni mattina si alzava con un solo obiettivo: diventare un vero eroe rispettato e temuto.

Aveva messo a punto un allenamento che qualcuno avrebbe giudicato troppo semplice, ma l'aveva preso con estrema serietà e la sua mente aveva cominciato a cambiare: si concentrava meglio e ogni giorno si sentiva più forte.

I primi giorni erano stati faticosi, quando l'acido lattico gli aveva reso impossibile anche il più piccolo movimento quasi non era riuscito a mangiare, ma aveva imparato a concentrarsi ed era certo che anche quella fosse una parte importante dell'allenamento.

La fatica vince su tutto, la sua determinazione avrebbe fatto di Saitama un vero eroe.

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Fandom: Breaking Bad

Genere: Introspettivo

Personaggi: Walter White

Prompt: Unus homo, nullus homo

flash fic
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Unus homo, nullus homo


Un uomo da solo non è nessuno

Aveva rovinato la vita di tutta la sua famiglia e non aveva modo di tornare indietro. Quante volte Walter aveva pensato di chiamarli, di farsi sentire e di dire loro che lui era vivo che che tutto quello che aveva fatto era stato per loro, per dare loro un futuro che altrimenti sarebbe stato all'insegna dei debiti e della povertà.

Ma non aveva neanche il coraggio di chiamarli, di vedersi rigettare dal figlio al quale avrebbe dato tutto quello che poteva, purché lo perdonasse. 

Era vivo, ma solo. 

Ricco, ma solo.

Hank era morto e lui non poteva più tornare indietro, non dopo tutto quello che era successo.

E la doveva smettere di cercare scuse, perché stava vivendo la conseguenza delle sue scelte, dettate dall'egoismo e dall'avidità e non dall'amore come tentava di convincersi ogni giorno.


Walter White sarebbe morto solo, odiato da tutti e dimenticato, nella migliore delle ipotesi, dalle uniche persone alle quali teneva.


Aveva fatto così tanti errori che ormai non riusciva nemmeno più a contarli. Aveva ucciso Brock, aveva tentato di uccidere Jesse quando avrebbe fatto bene invece ad ascoltarlo e a smettere di dare ascolto alla sua avidità quando aveva, a quel punto, più di quanto avrebbe mai potuto desiderare.

Se solo l'avesse ascoltato, se non si fosse lasciato prendere dagli eventi e dal desiderio di dimostrare che lui non era uno da sottovalutare o da prendere in giro, forse avrebbe potuto vivere il tempo che gli restava con la sua famiglia e non da solo in un luogo dimenticato da Dio e dagli uomini.

No, lui sarebbe tornato indietro e avrebbe vendicato Hank. Sarebbe stato Heisenberg un'ultima volta, bruciando il tempo che gli restava con un'ultima fiammata gloriosa.

Sarebbe morto solo, così come meritava, ma prima li avrebbe rivisti. Non poteva morire senza salutarli, voleva avere ancora almeno l'illusione di non essere solo, perché un uomo, da solo, non è nessuno.

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Fandom: Final Fantasy VII

Personaggi: Barret Wallace

Genere: introspettivo

Prompt: Fiat iustitia, ruat caelum

Flashfic

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Fiat Iustitia, ruat caelum


Sia fatta giustizia, anche se i cieli cadono





 

Sia fatta giustizia, anche se i cieli cadono, e quella notte il cielo dei bassifondi del settore sette era caduto distruggendo ogni cosa: case, parchi, negozi e soprattutto persone. Persone che a quanto pareva non avevano valore per la Shinra, che pur di distruggere il quartier generale degli Avalanche aveva deciso di compiere una strage.

Barret non si sarebbe dato pace per ciò che era successo.

Forse qualcuno della parte alta della città era sopravvissuto e Marlene era al sicuro, ma gli altri?

No, nessuno di loro valeva abbastanza per la Shinra, e il loro era stato un sacrificio dettato soltanto dalla sfortuna di essere nati lì, vicino alla loro base e la colpa era solo degli Avalanche. 

La giustizia valeva davvero più di tutte quelle vite? La risposta di Barret, prima, era sempre stata la stessa: sì. 

Perché non era giusto che la Shinra valutasse gli abitanti di Midgar solo in termini di quanto sarebbero riusciti a fruttare in termini economici e il fatto che si fossero spinti così in basso solo per riuscire ad arrivare a loro era, agli occhi di Barret, una conferma della loro crudeltà e del fatto che per la Shinra l'unico interesse era quello economico.

Lui avrebbe continuato a combattere: per Marlene, per la giustizia e per tutti quelli che coltivavano ancora la speranza che le cose sarebbero cambiate. Per Biggs, Wedge e Jessie e per tutti quelli che erano stati sacrificati dalla Shinra. 

La giustizia un giorno, forse lontano, avrebbe prevalso e il presidente avrebbe pagato per tutto il male che aveva fatto, nonostante il sangue innocente di quelle morti sporcasse anche le mani degli Avalanche e nonostante in quel momento tutti fossero convinti della loro colpevolezza.


Un giorno forse almeno Marlene avrebbe potuto vivere in un mondo migliore di quello che aveva conosciuto fino a quel momento.

 

 

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Fandom: Persona 5

Personaggi: Yusuke Kitagawa

Genere: introspettivo

Prompt: Vita sine proposito vaga est

Flashfic

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Vita sine proposito vaga est

la vita senza una meta è vagabondaggio


Cosa ne sarebbe stato di lui se avesse lasciato veramente l'arte? 

Yusuke sapeva di non aver mai avuto veramente una meta nella vita.

Si era limitato ad accettare la guida di Madarame e a fare ciò che lui aveva definito e deciso al suo posto. Ma aveva veramente un talento che fosse degno di essere chiamato tale o la sua era soltanto pura tecnica  che l'avrebbe reso al massimo un critico d'arte e non certo un artista, perché privo della capacità di trasmettere la profondità, la bellezza e la raffinatezza delle quali l'arte vive.

Aveva tentato di concentrarsi sulla ricerca della bellezza ed era caduto, poi aveva ricercato l'estro e aveva nuovamente fallito. Si sentiva un vagabondo senza meta da quando aveva preso l'amara decisione di lasciare perdere il suo sogno e di trovarne uno meno complicato da seguire, più adatto alla sua mancanza di valore.


Si era sentito così distrutto dopo la rivelazione delle menzogne di Madarame da non essere stato più in grado di capire se il suo talento fosse reale o no.

Negli ultimi giorni però aveva capito che dubitare di se stesso non l'avrebbe aiutato nella sua ricerca di una strada, qualunque essa fosse stata.

Essere parte dei Phantom Thieves gli aveva fatto comprendere quanto la mente umana potesse essere profonda e quanto fosse importante dar voce ai propri sogni e viverli. Non reprimerli e chiuderli in una scatola di bugie e di scuse.


Forse avrebbe dovuto ricominciare a dipingere pensando solo al suo istinto, al suo sogno e alle emozioni che stava provando in quei giorni. Seguire il proprio cuore era la scelta giusta e chi meglio di lui poteva saperlo. Aveva bisogno di una meta, non poteva lasciare che il suo desiderio si perdesse nel suo cuore. 

Avrebbe smesso di vagabondare per dar voce al mare di sensazioni che aveva dentro, senza cercare di razionalizzarlo o di analizzarlo. Solo così avrebbe avuto davvero modo di dimostrare il suo talento.

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Fandom: Persona 5

Personaggi: Toranosuke Yoshida

Genere: introspettivo

Prompt: Vox populi, vox dei

Flashfic

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Vox Populi, vox Dei

Voce di popolo, voce di Dio


Yoshida era rimasto in silenzio per almeno dieci minuti dopo avere ascoltato il discorso di Shido in televisione. Per tutto il tempo, durante la propaganda, il politico non aveva fatto altro che ricercare il favore del popolo votante con mezze frasi volte a mettere il dubbio sull'operato degli altri partiti politici e a togliere la fiducia nel futuro del paese instillando paura. Aveva parlato di quanto lui sarebbe stato diverso, di quante cose sarebbero cambiate se lui fosse andato al potere, ma i suoi discorsi erano totalmente privi di fondamento politico e servivano soltanto a esaltare il popolo. Non erano che slogan.

Il popolo desiderava davvero questo? 

Bugie e false sicurezze? 

Tora non sapeva se la parte più grande della colpa fosse dei politici, che si erano adeguati furbescamente a quel sistema, o dei cittadini che non erano più abituati a sentire discorsi sinceri e si lasciavano prendere dalle polemiche, sempre più scontenti della società, sempre più stressati e impoveriti. Era facile prendersela con gli altri. Che fossero altri politici, altre aziende, altri stati. Purché la colpa non fosse di aveva voce.

Era diventato un mondo fatto di bugie e lui non lo sopportava. Forse se lo scandalo che l'aveva coinvolto fosse avvenuto in questi tempi nessuno ci avrebbe fatto troppo caso. Sarebbe bastato gridare al complotto e attirare l'attenzione su qualsiasi altro partito, sulle tasse troppo alte, sul crimine in aumento. Le voci si sarebbero zittite in un attimo e tutti avrebbero aspettato il nuovo scandalo, dimenticandosi del precedente. Se fosse successo lui non sarebbe mai cambiato, non avrebbe imparato da quell'esperienza e sarebbe stato anche lui un politico corrotto, come parecchi ormai.

La voce del popolo è la voce di Dio, dicevano. E se il popolo voleva gossip e drammi nella politica forse era lui a sbagliare, si diceva Tora, ma non voleva credere che fosse così. Il popolo aveva solo bisogno di tempo, presto non sarebbe più stato abbagliato dalle chiacchiere di Shido.

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Fandom: Persona 5

Personaggi: Goro Akechi

Genere: introspettivo

Prompt: Homo Faber fortunae suae 

Flashfic

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Homo faber fortunae suae

 

L'uomo è l'artefice della sua fortuna

 

 


Akechi non aveva mai accettato il fatto che il padre avesse abbandonato lui e la madre come fossero spazzatura, che si fosse limitato a ignorare le richieste di aiuto da parte della donna che aveva tentato di crescerlo e che non avesse mai voluto incontrare il figlio.

Non l'avrebbe mai perdonato, né si sarebbe mai arreso al suo destino. Lui non era che il figlio di una prostituta che si era limitata a riempirgli lo stomaco di cibo e a cacciarlo di casa quando incontrava i suoi clienti. Non era stata in grado di gestire la sua vita e che alla fine si era suicidata dopo aver reso l'esistenza di suo figlio un inferno di vergogna, che l'aveva portato solo a cercare di nascondersi, di annullarsi e di confondersi nella massa di persone che abitavano la città e il quartiere a luci rosse. Non c'erano tanti bambini nel suo palazzo, perché in genere le donne come sua madre riuscivano a rimboccarsi le maniche e a trovare un lavoro più adatto a una madre. La sua no, lei era una debole e aveva ceduto all'alcool, alla droga e infine anche alla morte.

L'uomo è l'artefice della sua fortuna.

L'aveva sentito dire a Masayoshi Shido: suo padre in una conferenza che aveva rilasciato in televisione. Akechi ci aveva ragionato e aveva reso suo quel pensiero, sembrava raccontare la sua vita e il suo scopo. Aveva deciso che avrebbe iniziato a credere nelle sue possibilità, non si sarebbe più nascosto, avrebbe dimostrato a tutti che sotto quei modi gentili e dimessi c'era un leone pronto a ruggire e a prendersi il suo posto nel mondo, anche se pareva che fino a quel momento il mondo fosse contento di averlo potuto ignorare. Non avevano mai avuto aiuti, solo la borsa di studio per la scuola che alla fine si era presa cura di lui, dopo che la madre aveva deciso di morire, lavandosi anche lei le mani di lui e condannandolo a un'esistenza di solitudine, ma ricca di possibilità, perché finalmente Akechi era libero. È un bambino intelligente, fatto per essere un leader, avevano detto le sue insegnanti a scuola. Nonostante fosse solo e a volte la disperazione prendesse il sopravvento sulla sua determinazione Akechi avrebbe infine trionfato.

Avrebbe preso ciò che era suo di diritto, non gli importava come. Chiunque si fosse trovato al suo cospetto avrebbe dovuto riconoscere il suo valore di detective e la sua intelligenza superiore, perché lui non si sarebbe fermato di fronte a nessun ostacolo. Sarebbe arrivato a suo padre e lui l'avrebbe riconosciuto, si sarebbe scusato per aver permesso che la sua infanzia fosse così miserabile e, alla fine, avrebbe capito quanto avesse perso quando aveva deciso di abbandonarlo. Perché Akechi era speciale, era unico, ed era l'artefice del proprio meraviglioso destino.

A volte sognava la voce sicura del padre rotta dalle lacrime, immaginava la sorpresa e la gioia da parte sua nello scoprire che fino a quel momento era stato guidato nelle scelte proprio dal figlio che aveva abbandonato, che invece aveva scelto di stare al suo fianco nonostante fosse in grado di fare molto da solo. Non aveva bisogno di lui, ma era necessario che Shido si rendesse conto di chi aveva di fronte: un uomo che si era fatto da solo, a partire da sotto zero.

 

Fandom: Persona 5

Personaggi: Futaba Sakura

Genere: introspettivo

Prompt: Nosce te ipsum

Flashfic

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Nosce te ipsum

conosci te stesso


Futaba non era mai stata in grado di comprendere bene i sentimenti e le intenzioni di chi le stava intorno. Non le era mai riuscito naturale come invece pareva essere per Ann, nei confronti della quale aveva provato ammirazione fin da quando l'aveva conosciuta.

Il suo percorso di comprensione del mondo la stava portando ad analizzare la socialità degli esseri umani come lei non facesse parte della stessa umanità, si sentiva un pesce fuor d'acqua, una strana creatura aliena costretta a vivere secondo le regole della società quando tutto le appariva fin troppo complicato.

Non era uscita di casa quasi per niente, se non per andare da Sojiro qualche rara volta per poi scappare a nascondersi appena un singolo cliente entrava dalla porta.

Era molto più semplice per lei comprendere il codice informatico, che non mentiva e non ammetteva interpretazioni. Non correva il rischio di sbagliare quando scriveva un codice, né quando trovava l'accesso a siti protetti cercando tra le righe pulite un punto debole.


Magari le altre persone fossero state così, se solo fosse stato sufficiente conoscere il linguaggio per comprenderle. Purtroppo però non era così e in fondo Futaba cominciava a lasciarsi sedurre dal fascino dell'umanità in Ann, come soprattutto in Ren.


Ren. Grazie a lui avrebbe imparato a conoscere il mondo, sotto la sua guida gentile avrebbe compreso un po' meglio se stessa e quello strano calore che sentiva dentro quando lui le era vicina. Che fosse amore? 

Futaba arrossiva quando la domanda le passava per la mente, ma anche lo fosse stato non era ancora pronta ad affrontarlo: la sua strada per conoscere se stessa era ancora lunga e l'unica certezza che aveva era che lui, in ogni caso, le sarebbe stato accanto in quel viaggio avventuroso tra le insidie che la sua stessa mente creava per farla rallentare. 

Alla fine avrebbe trionfato, sarebbe stata in grado di vivere nel mondo e di essere orgogliosa di se stessa, senza paura, senza scappare.

 

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Fandom: Persona 3

Personaggi: Tatsuya Tanaka

Genere: introspettivo

Prompt: Inopiae Desunt pauca, avaritiae omnia

Flashfic

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Inopiae Desunt pauca, avaritiae omnia



 

Da bambino i suoi compagni di classe l'avevano preso in giro per la sua povertà: per la divisa consumata e per il suo pranzo sempre povero che spesso consisteva solo nel riso in bianco. 

Lui li sentiva, sapeva che lo consideravano solo un poveraccio, ma era certo che prima o poi avrebbe messo tutti a tacere: sarebbe diventato ricco, più ricco di tutti loro messi assieme e allora avrebbe riso lui della loro mediocrità.


Aveva cominciato contando solo sulle sue capacità, vendendo oggetti inutili che la gente acquistava affascinata dalle sue doti di commerciale nato. Lui sapeva come convincere il cliente medio che quel che vendeva fosse fatto su misura per lui e in tantissimi ci cascavano.

Quando il suo conto in banca aveva iniziato a crescere, aveva cominciato a sentirsi finalmente nel posto che meritava nella società, poco importavano le lamentele di chi diceva che gli mancava l'etica e che non avrebbe retto molto vendendo delle fregature. 

Ma lui faceva di più, lui distribuiva idee e sogni. 


Si era arricchito più di quanto avrebbe potuto immaginare e il denaro continuava ad arrivare a fiumi, quando aveva conosciuto Saya. Se il povero ha poco, l'avaro non ha nulla.

 

Gli aveva detto un giorno dopo che lui l'aveva messa alle strette per non essere stata abbastanza produttiva. Non potrei mai vivere sapendo di aver guadagnato alle spese di qualcun altro.

 

Oltre a lei poi c'era stato il ragazzino, lo sciocco credulone che gli aveva dato soldi in cambio di una stupida promessa che lui ovviamente non aveva intenzione di mantenere. Era stato così puro di cuore nella sua intenzione di imparare da un uomo di successo come lui che Tanaka l'aveva preso sotto la sua ala, insegnandogli come si fanno i soldi.

Ci aveva preso gusto, anche se sapeva che il ragazzino l'aveva definito addirittura il diavolo, andava fiero di quella descrizione, il diavolo era, in fin dei conti, potente.


La vicinanza di Saya e di Tatsuya l'aveva cambiato, anche se era stata dura ammetterlo all'inizio.

Aveva riflettutto sulla sua vita ed era arrivato alla conclusione che la sua ricchezza non lo stava rendendo felice. La sua motivazione era sbagliata, perché oggettivamente vendere per lui era così facile che non c'era gusto ad approfittarsi degli allocchi, mentre insegnare alle menti plasmabili a seguire la sua strada lo faceva sentire davvero realizzato.

Per questo aveva fatto la donazione all'orfanotrofio, perché era vero: da povero non aveva molto, ma nell'ultimo periodo sentiva di aver perso anche quel poco in cambio della sua ricchezza. Le cose potevano cambiare e lui avrebbe fatto il possibile per pensare prima di tutto alla sua felicità e non al desiderio di rivalsa che l'aveva portato a dimenticare se stesso.

 

 

 

Fandom: Persona 3

Personaggi: Mitsuru Kirijo

Genere: introspettivo

Prompt: semel in anno licet insanire

Flashfic

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Semel in anno licet insanire

una volta all'anno è lecito impazzire


 

 

Una volta all’anno è lecito impazzire, le aveva detto suo nonno il giorno del suo quinto compleanno, quando per la prima volta le era stato concesso tutto ciò che desiderava. 

Fin da quando era piccola a Mitsuru era stato chiaro che lei non sarebbe stata mai come gli altri bambini, perché era l'unica erede della Kirijo group e si sarebbe dovuta abituare da subito a essere responsabile e a studiare. Da noi ci si aspetta questo, ma impazziremmo del tutto se non riuscissimo a lasciarci andare ogni tanto, ricordatelo quindi.

Per anni Mitsuru aveva pensato che forse il nonno esagerasse, nonostante la sua vita non fosse stata facile fin da quando era piccola non aveva più seguito il suo consiglio. 

Quel pomeriggio, però, mentre passava di fronte al parco dei divertimenti, si era sentita attratta dalle montagne russe. Non ci era mai stata. Aveva da studiare e avrebbe dovuto controllare il Tartarus, ma per quel giorno avrebbe ascoltato suo nonno: avrebbe fatto tutto ciò che desiderava.

 

Una volta tornata in dormitorio aveva salutato Akihiko, seduto sul divano a leggere il giornale.

“Ti vedo allegra, hai passato una bella giornata?”

“Splendida.” Gli aveva risposto, poi gli si era avvicinata e gli aveva dato un bacio ascoltando l’istinto che le diceva di farlo da mesi. “Una volta all’anno è lecito impazzire,” aveva dichiarato, lasciandolo ammutolito sul divano, col giornale stropicciato tra le mani. 

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Fandom: Persona 3

Personaggi: Akihiko, Shinjiro, Ken

Genere: Introspettivo

Prompt: Quem di diligunt, adulescens moritur

one shot

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Quem di diligunt, adulescens moritur

Muor giovane colui che è caro al cielo


Mentre guardava il soffitto della sua stanza, incapace di trovare pace, Akihiko stava pensando che non si era mai sentito così solo in vita sua. 

Era arrabbiato con se stesso, con Ken e soprattutto con Shinjiro e con la sua stupida voglia di fare l'eroe.

Ken. Era stato lui a portare Shinjiro laggiù e a causarne la morte. Non era certo che per questo sarebbe mai riuscito a perdonarlo.

Non gli importava se l'avesse fatto a posta o no, il risultato sarebbe stato evitabile se solo quel piccolo idiota si fosse deciso a parlarne con Lui o con Mitsuru anziché cercare un confronto con Shinjiro.

Perché sapevano tutti che non era molto loquace, persino Ken l'aveva sentito dire che non voleva tornare per paura che l'incidente si ripetesse, l'aveva di certo sentito dire quanto per lui fosse stato difficile ricominciare dopo aver causato la morte di un innocente.

Eppure non aveva capito.

Sarebbe toccato a lui spiegarlo al ragazzino, che ora avrebbe dovuto vivere sapendo che un ragazzo forte e buono come Shinjiro avesse dato la vita per lui.

Per sempre si sarebbe sentito in debito, per sempre avrebbe avuto il peso di una morte sulla coscienza, proprio come era stato per lo stesso Shinjiro che da subito aveva rifiutato ogni conforto e aveva iniziato a espiare la sua pena e a punirsi, come se avesse avuto una possibilità di contenersi, di scegliere di fermarsi...

Akihiko ricordava bene il giorno dell'incidente, in quel periodo si sentivano invincibili. 

Combattevano le ombre usando i loro poteri con entusiasmo, senza pensare che qualcuno di loro avrebbe potuto avere la peggio. Shinjiro era il più forte, nessuno di loro poteva sperare di raggiungere la sua potenza in battaglia, non lo avevano mai sfidato perché non avrebbero mai potuto batterlo, neanche le Ombre più forti avevano speranze di sopravvivere anche a un solo attacco contro di lui. 

Nessuno di loro all'epoca si chiedeva da dove arrivasse il loro potere ed era incredibile a pensarci dopo tanto tempo, ma nessuno aveva mai messo in dubbio che il loro ruolo fosse solo quello di combattere, al di là di ogni dubbio.

Sotto la guida di Ikutsuki si erano sempre sentiti protetti e fino a quel momento, fino a quando i poteri di Shinjiro non erano sfuggiti al suo controllo causando la morte di quella donna, non avevano mai riflettuto sui suoi piani e analizzato le sue parole.

Dopo quel fatto però soltanto Mitsuru gli era rimasta ciecamente fedele. 

Akihiko si stava pentendo di non essere stato capace di sollevare i suoi dubbi su quell'uomo. ma cosa avrebbe potuto fare? In fin dei conti non era che un ragazzino che dopo essersi convinto di essere un eletto immortale all'improvviso aveva visto quanto il loro potere potesse essere una condanna.


Shinjiro aveva capito ben prima di loro che il Tartarus e le Ombre non potevano essere apparse così dal nulla e che il fatto che il potere di invocare le Persona fosse stato donato solo a dei piccoli orfani non era molto chiaro. Ma non aveva avuto modo di trovare delle prove.


Non poteva credere che fosse morto, che non gli avrebbe più parlato, che non avrebbero mai più bisticciato, che non si sarebbero più confrontati sulle loro idee.

Era morto così giovane e se n'era andato da eroe.

Akihiko l'avrebbe sempre ricordato come l'amico più prezioso che avesse avuto. 

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Fandom: The legend of dragoon

Genere: introspettivo

Personaggi: Rose

Prompt: Dum spiro, spero

Flashfic

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Dum spiro, spero (finché vivo, spero)



Quando Rose aveva incontrato il dragone di fuoco la sua speranza era rinata. Subito il suo ricordo era volato a Zieg, suo compagno di migliaia di vite prima. Dart era diverso: determinato ad aiutare, il suo obiettivo era distruggere il mostro nero e Rose trovava ironico che proprio lei lo stesse accompagnando nella sua ricerca, che lo stesse aiutando a fortificarsi e a formare un gruppo di Dragoni che avrebbero cercato, forse, di ucciderla.

Certo, aveva fatto un errore imperdonabile non uccidendo Shana quando ne aveva avuta la possibilità, quando ancora era innocente e non avrebbe potuto compiere il crudele destino che ora appariva inevitabile almeno quanto il suo.

Negli ultimi secoli aveva quasi dimenticato cosa fosse la speranza.

Se all'inizio della sua vita, ormai più di undici millenni prima, Rose si era sentita prima un'eletta, un'eroina, dopo la guerra dei Dragoni si era abbandonata alla tristezza per la perdita di Zieg e di tutti i suoi amici, di tutte le persone con le quali aveva vissuto fino a quel momento.

Aveva giurato sul corpo di pietra del suo grande amore che lei avrebbe continuato a lottare, che avrebbe ucciso il Figlio della Luna ogni volta che fosse riapparso per impedire che la distruzione tornasse sulla terra. La sofferenza di pochi sarebbe stata il prezzo da pagare per la salvezza dell’umanità e lei si sarebbe presa l’onere di essere la lama della giustizia per il bene superiore.

Da giovane non avrebbe mai immaginato che il futuro l'avrebbe portata a vivere in eterno e a prendere la vita di  bambini innocenti, solo perché su di loro gravava il destino di essere la reincarnazione dell'anima della Virago. Il figlio della Luna, che fuso insieme a Mehlbu Fahna sarebbe diventato l'invincibile Dio distruttore del mondo.


Ogni centootto anni Rose aveva ucciso il Figlio della Luna. La prima volta Michael, il dragone suo vassallo, l'aveva incoraggiata vista l'incapacità della donna di spezzare la vita di un neonato innocente. Michael le aveva mostrato il futuro e lei, rotta dalla disperazione, aveva compiuto quel terribile gesto col quale aveva dovuto imparare a convivere.

Aveva retto grazie alla forza della speranza: credeva che prima o poi la maledizione si sarebbe affievolita, che un giorno semplicemente non si sarebbe più svegliata e il destino della Terra sarebbe passato a qualcun altro, qualcuno che avrebbe dovuto compiere le stesse scelte che aveva fatto lei, e che forse sarebbe stato più bravo di Rose a sopportarne le conseguenze.


Ma prima che succedesse quante volte ancora sarebbe stata costretta a farlo? Col tempo la sua speranza aveva iniziato ad affievolirsi e lei si era isolata dal mondo per stare solo con Michael, l'unico che poteva capirla e accettarla davvero, fino a quando anche il suo drago era impazzito e lei era stata costretta a spezzare anche la vita dell'unico essere vivente che la conosceva, l'unico che le permetteva continuare a sperare.

Una volta sola era diventata il mostro nero, la crudele creatura che appariva ogni centootto anni per uccidere un bambino, per distruggere un villaggio, per seminare morte e fuoco.

Di lei parlavano le leggende, era uno diventata spauracchio per adulti e bambini. Un terrore per i regnanti che continuavano a pregare perché il mostro non apparisse nel loro regno, perché la Morte non si prendesse i loro figli.

 

E Rose era lì ad aspettare. A sperare che prima o poi sarebbe morta, che il figlio della Luna non sarebbe nato quella volta. Finché vivo, spero. Si ripeteva, e la sua speranza di riuscire a convivere con il suo destino diventava ogni secolo più flebile, e alla fine il suo unico suo desiderio era diventato quello di smettere di combattere. Ma lei non poteva smettere, non senza condannare l'umanità alla fine e avrebbe continuato a fare il suo dovere fino a quando qualcosa non sarebbe cambiato.


Sulle sue mani aveva il sangue di centootto neonati. Era finalmente arrivata al numero che tanto aveva aspettato, quello che sperava sarebbe stato l’ultimo. 

Poi aveva visto il dragone e aveva capito che era ora di andare avanti, che qualcosa era finalmente cambiato.

Finalmente aveva la possibilità di cambiare il suo futuro e l'avrebbe fatto. Con Dart e poi con tutti gli altri avrebbe combattuto e sconfitto una volta per tutte Mehlbu Fahna. Finché fosse vissuta, finché fosse stata con loro, non avrebbe più abbandonato la speranza e forse, un giorno, anche Dart che desiderava solo la sua morte l'avrebbe capita.

Finché vivo, spero di essere in grado di portare alla fine questa maledizione, spero che un giorno la mia presenza non sarà più richiesta su questa terra. Spero che forse un giorno verrò ricordata tra coloro che hanno cercato in ogni modo di fare il bene, nonostante tutto.

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Fandom: Harry Potter
Personaggi: Lily Evans, James Potter, Lily/James, 
Genere: One shot, introspettivo, romantico
Prompt: Amans quid cupiat scit, quid sapiat non videt (chi ama conosce cosa desidera, non vede ciò che è saggio)
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Amans quid cupiat scit, quid sapiat non videt

 

James Potter non era il tipo di ragazzo che accettava un no senza tentare di negoziare e nell'ultimo periodo Lily aveva pensato che rifiutarlo con la sua strategia diretta non funzionasse per nulla con lui.

Sul più bello, quando si convinceva di essersi finalmente liberata dei suoi assurdi approcci, l'insopportabile Potter tornava alla carica costringendola a rifiutarlo una volta di più.

Non era aggressivo, al contrario le sembrava innocuo nei suoi confronti, solo per questo non gli aveva ancora lanciato qualche maledizione. Avrebbe dovuto, forse, per il modo crudele e ingiusto in cui trattava il povero Severus, colpevole di essere suo amico e di essere anche un po' strano a dirla tutta.

L'ultima volta che James e i suoi amichetti avevano fatto i bulli con il suo amico però Lily si era infuriata e da allora aveva smesso di ridere delle scemate che James continuava a mettere in scena per attirare la sua attenzione.

Quando lui entrava in Sala Comune lei semplicemente cambiava stanza e lo evitava ogni volta che poteva farlo. Il solo vederlo le dava sui nervi.

Non era certa che lui si fosse reso conto di quanto fosse arrabbiata, di quanto fosse delusa del comportamento che aveva tenuto con la sua banda di amichetti, che erano stati crudeli almeno quanto lui.

Lily aveva parlato solo con Remus, l'unico che sapeva avere un po' di sale in zucca, almeno sperava fosse ancora sano di mente visto tutto il tempo che passava con Potter.

"Deve imparare a comportarsi bene, e non lo dico perché mi interessi, ma perché così mi fa ribrezzo. È solo un prepotente, e voi con lui visto come trattate Severus, siete solo dei bulli. Non ho intenzione di provare di nuovo a ragionare con lui, ho perso la voglia di provarci. A essere sincera ormai mi dà solo fastidio."


Quando Remus aveva riferito al suo amico le parole della ragazza, James si era rannicchiato sul suo letto e non aveva più parlato fino al mattino seguente. Dal suo punto di vista le loro erano solo ragazzate per farsi due risate, niente di troppo serio. Ma a pensarci bene quella notte aveva immaginato come fosse la situazione vista da fuori. La verità era che lui non era che un ragazzino geloso che se l'era presa col più debole e aveva deciso di provarci, almeno, a cambiare.


Le cose non erano state facili, ma James si era sforzato di resistere alle provocazioni che Severus aveva continuato a lanciargli da quando si era reso conto che il ragazzo non aveva intenzione di reagire. James rideva alle sue battute, a volte in modo tutt'altro che amichevole, ma Lily si era trovata costretta ad ammettere che la situazione era cambiata molto e in meglio da quando aveva avuto quell'ennesima discussione con Remus. Che lui fosse riuscito dove lei aveva ripetutamente fallito? Ossia nel convincere Potter a comportarsi come un adulto anziché come un bambino a cui avevano rubato il giocattolo.


Lily forse stava iniziando a vedere in James qualcosa di diverso, sembrava cresciuto, meno intento ad attirare su di sé l'attenzione. Quasi diligente.

 A volte si scopriva a cercarlo nella stanza e a sorridere quando lo vedeva. Proprio nel momento in cui lui pareva aver rinunciato a darle fastidio, Lily si era resa conto di quanto invece quei gesti le mancassero, all'improvviso. Si sentiva un po' sciocca al pensiero di essere caduta nella sua rete, ma anche abbastanza tranquilla perché sapeva che prima o poi lui sarebbe tornato il bulletto di sempre e lei avrebbe smesso di avere quegli strani pensieri.

Solo che in altre due settimane le cose erano rimaste stabili e Lily stava iniziando a pensare di aver perso il senno. Poteva forse essersi innamorata di lui? No, si ripeteva: non aveva senso, lei era saggia per la sua età e si era sempre affidata alla sua maturità per prendere le sue scelte. Eppure vedeva solo lui anche nelle stanze piene di gente e temeva che prima o poi James se ne sarebbe accorto.


Un venerdì pomeriggio Lily stava andando alla guferia quando l'aveva incrociato.

"Evans, mandi un gufo a casa? Ti accompagno che devo giusto andare anche io."

"Direi che non avrei altri motivi per essere qui." Aveva risposto, senza riuscire a nascondere il rossore improvviso delle sue guance. 

"In realtà qui vengono le coppie a... intrattenersi, diciamo."

Lily si era voltata dall'altra parte, imbarazzata soprattutto perché si era trovata a chiedersi chi lui fosse andato a incontrare lassù, pensando che l'avrebbe pagata chiunque fosse.

"Tranquilla, io non vedo nessuna, il mio cuore è sempre e comunque tuo." Aveva indicato il petto con la mano e le aveva sorriso. "Lo ammetto, ho fatto tante, tantissime cose stupide. Sono stato geloso, anche un po' stronzo con Mocc- con Snape, ma sto provando a vedere oltre, a essere maturo come te. Sto provando a essere alla tua altezza, mia Lily, spero di riuscirci."

La ragazza si era fermata, spiazzata dalle sue parole. "Stai andando bene, di questo passo potrei lasciare da parte la mia saggezza e cominciare a considerarti."

James aveva sorriso, resistendo all'impulso di festeggiare. "Allora continuerò così, magari domani potremmo andare a Hogsmeade insieme, potrei parlarti delle mie idee per la fratellanza delle Case?"

Lily era rimasta senza parole, temeva di non essere più in grado di prendere decisioni sagge quando aveva di fronte il ragazzo di cui si era, contro ogni logica e pensiero razionale, innamorata.

 

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