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Partecipa al COWT 13
Prompt: Naufrago
Cloud Strife
One Shot

Il Naufrago sulle rive di Mideel

Il ragazzo era disteso sul divano, i vestiti ancora sporchi dell’acqua di mare. Mika e sua sorella Hila l’avevano trovato sulla riva, di fianco alla loro casa, pochi minuti prima.

La ragazza aveva chiesto alla sorella di chiamare aiuto, in particolare il dottore per capire se ci fosse qualcosa da fare per lui, se si sarebbe risvegliato.

Quando le due sorelle avevano trovato il naufrago erano corse verso di lui e l’avevano voltato. I suoi occhi erano aperti e vuoi, ma non sembravano morti. Mika accostò l’orecchio al suo petto e sentì il suo cuore battere, il suo respiro lieve, ma regolare.

Lo chiamarono, cercarono di svegliarlo anche con qualche piccolo schiaffo sul volto, ma sembrava svenuto. Solo che non era svenuto, bastava guardare quegli occhi per capirlo.

Hila era spaventata da lui.

“Aiutami a prenderlo per portarlo dentro,” le chiese.

La sorella fece un passo indietro, quasi a volergli negare il suo aiuto. “Lo vuoi portare in casa nostra?” Domandò, incredula.

“Solo fino a quando non lo viene a prendere il dottore. A occhio questo potrebbe essere uno di quegli avvelenamenti da Mako di cui parlava qualche giorno fa il capo. Aveva detto che ce ne sono stati parecchi ultimamente. Non ne avevo mai visto uno, ma guarda.” Mika Schioccò le dita di fronte al viso dello sconosciuto, che non sbatté neanche le palpebre. “Gli occhi blu sembrano finti. È vivo, ma è come se fosse morto. Mi fa pena, non paura.”

Hila si avvicinò per aiutare la sorella. Insieme sollevarono il ragazzo, un braccio ciascuna. Era pesante, più di quanto immaginassero. A fatica, lo trascinarono come un sacco pieno di patate fino dentro la loro casa, sul divano. “Ora vai a chiedere aiuto.” Le ordinò.

Poi Mika prese una bacinella di acqua pulita e un asciugamano e gli sciacquò il viso e i capelli, facendo attenzione a tamponare con delicatezza. I suoi capelli biondi erano sporchi di sabbia e di alghe, la ragazza li pettinò e li pulì con cura. Non aveva il coraggio di avvicinarsi con la pezza ai suoi occhi profondi che fissavano il soffitto come se non potessero fare altro. Si sollevò e provò a incrociare il suo sguardo, per capire se lui fosse in grado di vederla. Gli passò la mano a pochi centimetri dal viso. “Puoi sentirmi? Mi vedi?” Gli chiese.

Lui emesse un lamento flebile, ma non le parve una risposta.

Gli mancava uno stivale, Mika completò l’opera togliendo anche l’altra e continuando con il resto dei vestiti bagnati e sporchi di salsedine. Dovevano pizzicare, si chiese se lui sentiva qualcosa. Nonostante l’imbarazzo continuò a spogliarlo, un capo alla volta. Un lenzuolo a coprirlo perché sapeva che se fosse capitato a lei, avrebbe desiderato lo stesso trattamento.

“Il dottore sta arrivando.” Hila rimase di fianco alla porta, senza mostrare alcun desiderio di avvicinarsi al naufrago. “Ha detto qualcosa?”

Mika scosse la testa. “No, solo un lamento, ma non credo che ci veda.”

Proprio in quel momento, il ragazzo tentò di alzarsi e diresse il suo sguardo vuoto verso di lei. Mika fece un balzo all’indietro, rovesciando in parte l’acqua con la quale lo aveva lavato. “Ri- uh…”

Restò sollevato, di nuovo del tutto privo di segni vitali. Mika decise di aspettare il dottore, che non tardò ad arrivare.

“Questo ragazzo dovrebbe essere morto.” Dichiarò, la luce puntata sulle sue pupille. “È il caso di avvelenamento da Mako più grave che io abbia mai visto. Su un essere umano in vita, si intende.” Sbuffò. “Chissà da dove arriva. Dai suoi occhi direi che è stato esposto all’energia in modo volontario, almeno all’inizio.”

“Un soldato?” Chiese Hila, confusa.

“Non sarebbe il primo a subire questa sorte. Non credo che si renda conto di essere qui con noi. Ora lo porto in clinica, vedremo se qualcuno lo verrà a cercare o se morirà così.”

Nel corso dei giorni seguenti, Mika andò dal soldato misterioso ogni volta che ne aveva l’occasione. La risposta del medico era sempre la stessa: non ci sono novità, sembra stabile. La ragazza gli parlava di Mideel e del mare e gli raccontava come stava passando le giornate. Si era convinta che se lui si fosse risvegliato si sarebbe ricordato di lei. Si vedeva a vivere con lui in un futuro prossimo, ad attenderlo a casa dopo il lavoro, a raccogliere insieme le verdure nell’orto di casa. A vivere insieme, dopo che lei l’aveva salvato.

Questo fino a quando non era arrivata la ragazza. Si chiamava Tifa e appena l’aveva visto si era messa a piangere in un modo così sincero che a Mika si era stretto il cuore. Vederli insieme la fece sentire una sciocca per le sue fantasie romantiche. Non andò più a trovarlo, ma scoprì che in effetti alla fine era guarito.

Avrebbe sempre portato nel suo cuore uno spazio per Cloud, il naufrago che lei aveva salvato.
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300 parole
Fandom: FFVII
Personaggi: Cloud, Tifa

Crollo

Era stata una sciocca, lo aveva capito.
Le lacrime di suo padre che la stringeva a sé nel letto dell’ospedale le fecero capire quanto egoista era stata a mettersi in pericolo. Le sue mani ruvide le accarezzavano i capelli e le spalle con delicatezza, come se lei fosse una bambola di porcellana e lui un elefante che avrebbe potuto spezzarla con un movimento azzardato.
“Dov’è Cloud?” Chiese.
Gli occhi del padre si fecero seri mentre si allontanava da lei. “Quello sciocco… è tutta colpa sua.”
Tifa ricordava ancora il tentativo disperato dell’amico di salvarla, impedendole di cadere giù dal dirupo del monte Nibel. In quel momento la ragazza stava pensando proprio alle sue parole: “Non farlo, è pericoloso. E comunque non contare su di me, perché io non ci vado lassù.”
Invece l’aveva seguita. Non si era fatto vedere, ma era stato al suo fianco nascosto, senza impedirle di proseguire, cercando di proteggerla anche se non era compito suo.
“Non è colpa sua…” Tentò di difenderlo, ma sapeva che il padre non avrebbe ascoltato. “Lui non voleva che andassi, ha provato a dirmi che era pericoloso…”
“L’importante adesso è che tu stia bene. Al resto penseremo, ora riposati.”
Tifa annuì. Era stata in coma una settimana, non poteva immaginare cosa suo padre avesse detto a Cloud. Si chiese se lui avrebbe accettato di restare suo amico, o magari… magari non solo un amico, perché per lei, nel momento in cui l’aveva salvata dalla morte lui era diventato molto di più: era stato l’immagine che l’aveva tenuta aggrappata alla vita. Stretta al suo corpo in memoria del ricordo della sua mano che la afferrava e cercava di salvarla dalla sua stupidità e dalla ricerca di qualcosa che non esisteva più.
Gli avrebbe parlato, sperava tanto che potesse perdonarla.
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Fandom: FF VII
Personaggi: Cloud, Zack, Soldati
Prompt: Poker
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Slice of life


La fortuna del novellino

Mentre camminava lungo le strade polverose di Mideel, Cloud all’improvviso si trovò di fronte un edificio familiare. Entrò nella taverna senza pensarci e si sedette a uno dei tavoli. “Un piatto unico di mare.” Chiese, con la certezza di sapere cosa stavano per portargli. I ricordi sfumati in una nebbia che gli faceva dolere la testa.
Solo quando vide il piatto, la voce di Zack gli tornò alla mente. Era stata una notte molto diversa dal solito. La notte della sua prima partita a poker con un amico. L’unica che avevano giocato insieme.
Cloud osservò il piatto che gli era stato servito dal cameriere della taverna con riluttanza. Non era abituato alla cucina di quella regione e gli pareva ancora strana. Zack, di fronte a lui, ne addentò una forchettata. “Fidati: anche se l’aspetto non è molto invitante vedrai che è buonissimo, non potrai più farne a meno.”
Il suo amico aveva ragione, perché Cloud dovette ammettere che, anche se non avrebbe saputo riconoscerne gli ingredienti, il piatto era saporito. Mangiarono in silenzio, affamati dopo la lunga giornata passata a combattere.
“Domani niente lavoro, cosa farai, Soldato?” Nonostante fosse superiore a lui di grado, Zack aveva dimostrato in molte occasioni di aver preso Cloud in simpatia. Lo trattava da amico, più che da sottoposto.
“Pensavo di andare a riposare e di fare un po’ di allenamento.” Si sentiva stanco e sapeva di avere bisogno di un po’ di riposo, “Forse farò un giro in città.” Per comprare qualcosa per la mamma e per Tifa.
Zack sbuffò, un po’ deluso, non sembrava impressionato dalle sue risposte. “Dovresti divertirti ora che puoi. La vita che facciamo è dura e non riuscirai a resistere a lungo senza impazzire se non ti concedi del tempo per te stesso e per rilassarti. Per esempio: vedi Martin, laggiù? Lui gioca a poker a volte. Ti fai una partita con noi, novellino?”
Il ragazzo scosse la testa, non era certo di volere ammettere che non aveva idea di come si giocasse.
“Coraggio, andiamo insieme.” Zack si alzò e lo trascinò prendendolo per il braccio. “Eccoci, Martin. Possiamo iniziare.”
Martin era un soldato esperto, dall’aria seria e dura. “Sedetevi. Iniziamo con 10, così facciamo un giro di riscaldamento.”
Zack, Martin e un tizio con cui non aveva mai parlato di persona di nome Luis lanciarono le loro monete sul tavolo, imitati con un lieve ritardo da Cloud, che cercava di far intendere a tutti di sapere ciò che stava facendo.
“Sai giocare?” Chiese Martin osservandolo di sbieco.
“È da tanto che non faccio una partita,” Mentì Cloud sperando di non essere colto nella bugia.
“Prima lezione: quando racconti una balla, cerca di farlo in modo convincente. Nel poker le balle si chiamano bluff. Nessuno sa che carte hai in mano, fingi di avere roba buona e ti porti a casa il piatto, fatti beccare o trova qualcuno che ha davvero carte buone e perdi tutto quello che punti.” Martin proseguì elencando velocemente il valore delle combinazioni possibili, poi iniziò a distribuire le carte.
Cloud osservò la sua mano con attenzione: due dieci, un asso, un re e un nove.
Gli altri tre giocatori lanciarono un’altra moneta sul tavolo. Zack quindi proseguì con la spiegazione. “Questa serve per giocare: se giochi puoi cambiare alcune delle carte che hai in mano e poi puntare ancora per accaparrarti il piatto o per vedere la mano di un avversario.”
Lanciò la sua moneta.
"Quante carte?” Gli chiese quindi Martin.
Confuso, Cloud pensò che gli conveniva provare a tenere i dieci e a cambiare le altre per sperare in un tris. “Tre.” Disse, passando le carte coperte al mazziere imitando il comportamento dei giocatori che lo avevano preceduto. Prese un re, un asso e un dieci. Non era andata così male. Ricordando le regole del gioco, tentò di apparire triste.
“Io punto cento.” Dichiarò Martin. A quel punto Zack e Luis lanciarono le loro carte nella pila degli scarti e Cloud si ritrovò addosso gli occhi di tutti. “Cosa fai, novellino? Vuoi vedere le mie carte, rilanciare o lasciare tutto a me?”
Il giovane soldato prese un respiro profondo e cercò di pensare a quante probabilità avesse di vincere. Giunse alla conclusione che non erano altissime, ma l’adrenalina e la curiosità lo spinsero a giocare: “Rilancio di altri cento.”
Martin si lasciò scappare una risata. “Vedo, novellino.”
Cloud, dopo un’occhiata di conferma, lasciò cadere le sue carte per rivelare il tris di dieci. Martin lo guardava con aria di rimprovero. Gettò le sue carte nel mucchio degli scarti e passò il mazzo a Luis. “Questa si chiama fortuna del principiante. Ora comincia il gioco vero.”
Zack e Cloud uscirono dalla taverna per ultimi, ridendo come due vecchi amici. Si erano divertiti e Cloud aveva vinto un piccolo gruzzoletto, che gli avrebbe fatto comodo per scegliere i regali che aveva deciso di spedire a casa senza pensare troppo al costo. “Non immaginavo che tu fossi così portato per il poker, è chiaro che quella tua faccia impassibile ti abbia aiutato. Li hai spolpati! Meno male che non siamo in gruppo con quei due, almeno per ora.”
“Non l’ho fatto di proposito, e comunque è un gioco.”
Il suo superiore continuava a ridere. “Sei proprio un tipo unico. Stavo scherzando, lo sappiamo tutti che è un gioco. Preparati comunque perché la prossima volta potrebbe andare male. Non a me, io ho il mio portafortuna. Dovresti procurartene uno anche tu.”
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Fandom: Final Fantasy VII

Personaggi: Barret Wallace

Genere: introspettivo

Prompt: Fiat iustitia, ruat caelum

Flashfic

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Fiat Iustitia, ruat caelum


Sia fatta giustizia, anche se i cieli cadono





 

Sia fatta giustizia, anche se i cieli cadono, e quella notte il cielo dei bassifondi del settore sette era caduto distruggendo ogni cosa: case, parchi, negozi e soprattutto persone. Persone che a quanto pareva non avevano valore per la Shinra, che pur di distruggere il quartier generale degli Avalanche aveva deciso di compiere una strage.

Barret non si sarebbe dato pace per ciò che era successo.

Forse qualcuno della parte alta della città era sopravvissuto e Marlene era al sicuro, ma gli altri?

No, nessuno di loro valeva abbastanza per la Shinra, e il loro era stato un sacrificio dettato soltanto dalla sfortuna di essere nati lì, vicino alla loro base e la colpa era solo degli Avalanche. 

La giustizia valeva davvero più di tutte quelle vite? La risposta di Barret, prima, era sempre stata la stessa: sì. 

Perché non era giusto che la Shinra valutasse gli abitanti di Midgar solo in termini di quanto sarebbero riusciti a fruttare in termini economici e il fatto che si fossero spinti così in basso solo per riuscire ad arrivare a loro era, agli occhi di Barret, una conferma della loro crudeltà e del fatto che per la Shinra l'unico interesse era quello economico.

Lui avrebbe continuato a combattere: per Marlene, per la giustizia e per tutti quelli che coltivavano ancora la speranza che le cose sarebbero cambiate. Per Biggs, Wedge e Jessie e per tutti quelli che erano stati sacrificati dalla Shinra. 

La giustizia un giorno, forse lontano, avrebbe prevalso e il presidente avrebbe pagato per tutto il male che aveva fatto, nonostante il sangue innocente di quelle morti sporcasse anche le mani degli Avalanche e nonostante in quel momento tutti fossero convinti della loro colpevolezza.


Un giorno forse almeno Marlene avrebbe potuto vivere in un mondo migliore di quello che aveva conosciuto fino a quel momento.

 

 

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