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Fandom: Persona 5
Personaggi: Chihaya Mifune
Prompt: chiaroveggente, prima persona
Partecipa al COWT 14
One shot
La verità

In molti tra i clienti ai quali predico il futuro mi ripetono continuamente quanto io sia fortunata a vedere il mio destino e quello delle persone intorno a me. Magari fosse così semplice… All’inizio non lo è stato perché venivo evitata, è successo sin da quando ero una ragazzina, quando mi davano della strega e mi tenevano a distanza per paura che predicessi disgrazie. Come se fosse cambiato qualcosa. Nella mia città natale non riuscivano neppure a comprendere la differenza tra premonizione e capacità di alterare il destino. Il risultato è stato che ho imparato a tenermi dentro le risposte, anche se a volte proprio non ci riesco.


Il caso del giovane Ren mi sta mandando in crisi, perché il suo futuro è incerto e da quando lui è entrato nella mia vita anche il mio è diventato impossibile da decifrare. I tarocchi, che mi hanno sempre dato risposte, mi ignorano ogni volta che lui è parte delle mie domande. Quel ragazzo mi ha messa di fronte alle mie scelte discutibili e mi ha costretta a vedere ciò che ero diventata: una ciarlatana che avrebbe predetto qualunque sciocchezza in cambio di qualche soldo.

Quante volte nel passato ho maledetto il mio dono, pregando la natura di riprenderselo e di permettermi di vivere serenamente giorno dopo giorno, senza l’onere di dover portare nel mio cuore segreti, a volte difficili da tenere nascosti.

Qui a Tokyo non sono che una chiaroveggente di strada, per molti un momento di divertimento nel grigiore della vita di tutti i giorni.

Non so fare altro. Al mio arrivo nella capitale ho provato a ricominciare da zero, con persone nuove, lavorando in un ristorante e anche come commessa, ma sono sempre stata bollata come strana e infine licenziata. Bastavano poche parole dette senza troppo peso per fare sì che la mia fama di strega tornasse a colpirmi forte come un colpo di martello. Una maledizione che non riuscivo a scrollarmi di dosso.

Ho ricominciato a sfruttare il mio dono di chiaroveggente per sopravvivere e perché è l’unica cosa che so fare. Mi ero sempre detta che lo faccio per dare speranza, almeno fino a quando quel ragazzino non mi ha messa di fronte alla realtà: ero diventata il circo di strada che odiavo.

Devo ritrovare me stessa e la mia integrità per tornare la Chihaya innocente e pura a cui il dono è stato regalato dalla dea Fortuna.

Ci sto provando. Questa sera spero che Ren venga a trovarmi. Sarò sincera con lui come non lo sono stata neppure con me stessa nell’ultimo periodo e gli dirò ciò che vedo: lui è parte del mio destino, così come io sono parte del suo.


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Drabble
Partecipano al COWT 14
Prompt: VIAGGIO
Fandom: Persona 5



La cosa più importante - 100
Il profumo - 100
Il libro - 100
Il mentore - 100
Morgana - 100
Nuova dimensione - 100
Un abbraccio freddo - 100
Sorelle - 100










La cosa più importante

Era dall'inizio dell'anno scolastico che Ann aspettava il momento della partenza per le Hawaii: la spiaggia, il mare, la natura selvaggia, la vita da turista.

Mentre preparava la valigia, però, si rese conto che la destinazione non le importava più come prima.

La cosa che desiderava di più era condividere quell'esperienza con Ren, poter visitare un nuovo luogo insieme, vivere per una volta lontana dal caos di Tokyo e dal loro... impegno sociale.

Sorrise mentre finiva di scegliere i vestiti, gli accessori e i costumi. Forse, di fronte al mare, sarebbe riuscita a confessargli i suoi pensieri.




Il profumo

Ryuji aveva impiegato la settimana precedente alla partenza a cercare il profumo giusto da portare in viaggio.
Vista la sua sfortuna con le ragazze era giunto alla conclusione che gli mancasse qualcosa. Ann gli aveva dato l'idea quando aveva parlato di un profumo che le faceva girare la testa. Ecco come avrebbe ottenuto il suo primo successo con una donna.
Era certo di avere trovato il profumo giusto: era maturo e speziato, lo faceva sentire più adulto, più sicuro di sè.
Aprì la valigia e... ma dov'era?
"Non ci credo. Che idiota!" Esclamò. A casa, ecco dov'era.






Il libro

Ogni volta che era andata in viaggio, Makoto aveva iniziato a preparare la valigia scegliendo quali libri portare con sé. Per la prima volta, però si era trovata in difficoltà. Arrossì pensando a quanto le scarpe eleganti che aveva tra le mani sarebbero state bene con l'abito azzurro che aveva scelto per la serata libera. Si domandò se lui le avrebbe notate, se si sarebbe complimentato con lei per l'abbinamento con la borsa e il bracciale che le aveva regalato pochi giorni prima.

Non aveva poi così tanto tempo, pensò, un solo libro sarebbe stato più che sufficiente.





Il mentore


Yusuke aveva sempre seguito Madarame nei viaggi durante i quali promuoveva la sua arte. In genere passava il suo tempo da solo ad ammirare le opere esposte nelle gallerie e nei musei in cui il suo mentore veniva accolto con tappeti rossi e applausi.

Il ragazzo si chiedeva se sarebbe mai riuscito a raggiungere il livello di quell'uomo che tanto ammirava, che l'aveva preso sotto la sua ala protettiva e gli dava la possibilità di accompagnarlo.

Per lui era un onore e gli andava bene così, anche se avrebbe tanto desiderato essere considerato e ammirato insieme a lui.




Morgana

"I gatti non viaggiano in aereo." Stupido Ryuji, pensò Morgana.

Quando riprenderò la mia vera forma gli farò vedere io come sono perfettamente in grado di viaggiare.

Non sono un gatto, ma non sono neanche un umano come lui. Zittì il pensiero, non sopportava sentirsi così confuso.

Lui desiderava solo vivere quelle esperienze in compagnia di Lady Ann, starle vicino di fronte all'oceano e proteggerla anche dall'altra parte del globo terrestre.

Non gli importava il viaggio in sé.

"Taci, Ryuji!" Ann gli accarezzò la testa, "La prossima volta andiamo più vicino, così vieni con noi. Non ti arrabbiare."




Nuova dimensione

La stanza era buia, Futaba accese una torcia ed entrò. Al suo interno uno scrigno richiedeva il codice di apertura. La ragazza lo digitò con sicurezza e in pochi istanti si ritrovò catapultata in una nuova stanza: aveva trovato un portale grazie al quale aveva viaggiato in un mondo nuovo.

Si guardò intorno, non aveva mai visto niente del genere, era al settimo cielo. Utilizzò le shortcut da tastiera per salvare, ma non sembravano funzionare.

Sentì un brivido scenderle lungo la schiena mentre leggeva le parole scritte in basso a sinistra sullo schermo: connection error, the game will now close.





Un abbraccio freddo

Viaggiare in prima classe la faceva sentire diversa. Quando arrivava in aereo accompagnata da personale dedicato attirava sempre l'attenzione su di sé e a lei questo non piaceva. Aveva chiesto a suo padre di permetterle di sedere insieme ai suoi compagni di classe in occasione del viaggio alle Hawaii e quando lui l'aveva accontentata la ragazza gli era saltata al collo, in un abbraccio affettuoso, proprio come faceva da bambina.
Lui l'aveva allontanata con un'espressione fredda. "Non mi sembra qualcosa di cui andare fieri."
Haru si era sentita sola, come sempre. Non riconosceva più suo padre.


Sorelle

Kasumi e Sumire erano arrivate stremate all'hotel riservato alle concorrenti.

Il viaggio delle due sorelle era stato costellato di ritardi e imprevisti, ma appena avevano chiuso la porta e si erano rifugiate nella loro stanza si erano subito sentite meglio. Avevano richiesto una cena in camera e si erano addormentate vicine, rinfrancate l'una dalla presenza dell'altra.

Kasumi come sempre aveva dato una grande dimostrazione di carattere e di competenza tecnica. Esibirsi dopo di lei la metteva sempre un po' a disagio. Ma ogni volta bastava il suo sorriso a incoraggiarla: "Vai e fai il tuo meglio, Sumi!"


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Fandom: Persona 5
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Articolo di giornale


La cattura di Joker

Tokyo, 17 Marzo 2020

Phantom Thieves: svolta nelle indagini.

La popolazione è divisa di fronte alle dichiarazioni appena rilasciate dalle forze dell'ordine giapponesi: pare infatti che il leader dei Phantom Thieves sia stato finalmente catturato.

Per mesi si è dibattuto sull'esistenza effettiva e sui metodi utilizzati dai Ladri di Cuori per fare confessare le vittime e portarle al pentimento.

Chi si aspettava che a inviare le calling card e a smuovere la coscienza cittadina fosse un'organizzazione formata da esperti ladri e hacker, sarà sorpreso nel sapere che in realtà il leader dei Phantom Thieves, di cui per ora non si conosce il nome, è un ragazzo ancora minorenne.

Fonti attendibili vicine alla squadra che ha partecipato all'arresto riportano: "I Phantom Thieves hanno perpetrato numerosi crimini, tra i quali vi è anche il sospetto di omicidio, viste le numerosi morti misteriose e gli incidenti avvenuti a seguito di collassi mentali nel corso degli ultimi mesi. Anche se le loro modalità operative restano tuttora sconosciute, siamo fiduciosi nell'affermare che la loro attività sia conclusa per sempre."

La cattura è stata possibile grazie alla presenza di un infiltrato, che ha lavorato a stretto contatto con Joker, questo il nome in codice del ragazzo, e che ha permesso di cogliere il gruppo di hacker dei cuori con le mani nel sacco, sebbene le forze dell’ordine abbiano rifiutato di rilasciare dettagli sul luogo dell’arresto.

Nonostante tutto, in molti sostengono che non sarà possibile accusare formalmente Joker di alcun reato, poiché i Phantom Thieves non hanno mai davvero compiuto furti. Non ci sono prove, ad oggi, della loro partecipazione agli omicidi e ai collassi mentali. Si può accusare forse qualcuno di aver mosso le coscienze di alcuni criminali e di averli convinti a confessare crimini reali? Così facendo non si metterebbe in discussione anche la carriera professionale di psicologi e terapeuti?

Alla domanda: "Credi che i Phantom Thieves siano giusti?" Il 67% della popolazione ha risposto di sì, a dimostrazione che la gente comune li vede come eroi moderni, mossi dal desiderio di migliorare la società e di far sì che le persone corrotte e i criminali si prendano la responsabilità delle proprie azioni e facciano parte del cambiamento al fine di rendere il Giappone un luogo più sicuro per tutti i suoi abitanti.

Agli occhi del cittadino medio, Joker appare come un idealista, più che un assassino. La popolazione non ha accolto la cattura del ladro in modo del tutto positivo.

Dal canto mio, io credo che a volte il fine giustifichi le azioni, anche quando sono in una linea di confine tra legalità e crimine.

Credo nella sua innocenza e confido, un giorno, in un'intervista per raccontare cosa abbia spinto i Phantom Thieves a farsi portatori di questo messaggio di giustizia e di etica.


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Fandom: Persona 5
Personaggi: Goro Akechi, Ren Amamiya
Prompt: risonanza
Partecipa al COWT 14


Il numero uno


Goro stava osservando l’espressione concentrata di Ren, che con attenzione si era chinato sul tavolo da biliardo per studiare la giusta traiettoria da imprimere alla biglia battente per mettere in buca la palla. Che sciocco: non si era accorto che non era quello il colpo più facile? Sospirò con impazienza, sperando che questo avrebbe innervosito il suo avversario.

“Quello è il prossimo tiro,” aveva detto Joker, indicando la biglia che il ragazzo stava fissando. “Prima metto in buca questa.” E aveva tirato, sicuro come sempre, con quell’insopportabile sorrisetto stampato sul viso. “Ecco, visto?” gli aveva ammiccato.


Aveva fatto un gran tiro, era l’unico avversario al suo livello. Goro in questi momenti provava pena per lui, in un certo senso lo riteneva una vittima collaterale. Il suo piano però aveva bisogno che lui lo diventasse, era necessario per il suo fine ultimo. 

Ren aveva messo in buca anche la seconda palla, infondendo in Goro un senso di fastidio che cresceva, lasciando poco spazio al rimorso e alla pena.Si somigliavano, più di quanto entrambi volessero ammettere. 

Per cominciare potevano controllare più di una Persona. Akechi ne aveva soltanto due, ma a dirla tutta non aveva davvero mai provato ad aumentarne il numero, Loki e Robin Hood erano più che sufficienti. 

Con l’ultima palla il suo rivale aveva concluso la partita. Un po’ di gioia prima di morire, pensò Goro. “Complimenti, sei destinato a essere il numero uno.”


Il numero uno. Parole che risuonavano nella sua mente di continuo. 

La prima persona che gli aveva promesso il successo era stata sua madre: una donna che aveva avuto l’esistenza che meritava, incapace di prendersi cura di lui e di dargli un padre. L’aveva invece costretto a vivere nella menzogna. Per lei, Goro era il numero uno perché capiva quando se ne doveva andare da casa e non diceva una parola. Obbediente, remissivo come lei desiderava. Parole a cui la donna aveva tolto il significato per sostituirlo con una bugia, come faceva con ogni aspetto della sua vita.


Il numero uno, il migliore. L’Ace Detective di cui Sae e il dipartimento di polizia avevano bisogno per l’operazione sotto copertura per catturare i Phantom Thieves. Colui che aveva risolto casi impossibili, raccolto l’ammirazione del pubblico e delle forze dell’ordine, che si era fatto notare da fan che lo cercavano e lo fotografavano di nascosto. Il numero uno.

Il compiacimento, la dimostrazione di ciò che Goro poteva fare grazie alle sue doti naturali.


Il numero uno, il primo in grado di offrire a suo padre qualcosa che nessun altro avrebbe mai potuto donargli: la volontà del popolo, la mente di chi gli si opponeva. Se solo glielo avesse chiesto, il ragazzo avrebbe messo ai piedi di Shido l’intero Giappone. Il numero uno nel risolvere le situazioni spiacevoli, così l’aveva chiamato, e Goro si era sentito finalmente apprezzato dall’uomo che l’aveva abbandonato molti anni prima, che si stava infine appoggiando al figlio reietto, seppure inconsapevolmente.


Solo di fronte a Ren non si sentiva il numero uno. Con lui era destinato a un ruolo marginale. Chiunque avesse osservato le loro azioni e conosciuto la loro storia avrebbe visto in Goro un antagonista, un personaggio mosso dall’invidia e dal desiderio di dimostrare il proprio valore in una lotta impari, nella quale sarebbe sempre risultato sconfitto se avesse lottato ad armi pari. L’uso dell’astuzia e dell’inganno gli poteva permettere di sfruttare un vantaggio e di vincere.

Lui però non aveva intenzione di dimostrargli lealtà. Stare con Ren era stimolante, era vero, ma ogni momento in sua presenza gli era sempre più difficile mantenere addosso la sua maschera.

“Fai qualcosa, salvati! Non vedi che ti sto prendendo in giro?” Avrebbe desiderato dirgli. “Ti credi tanto furbo, sostieni di essere il leader, invece sei solo una marionetta.”

Ren era sempre così difficile da comprendere, al punto che Akechi si era chiesto se non stesse indossando anche lui una maschera.


Non era possibile, lui era sempre un passo avanti.

Avrebbe ucciso il leader dei Phantom Thieves con le sue mani, proprio come aveva deciso quando aveva iniziato a pianificare il suo piano, mesi prima. Non uno speciale, solo una delle tante vittime del killer vestito di nero. Alzò lo sguardo su Haru, intenta a giocare a freccette con gli altri patetici ragazzini del gruppo e pensò a Okumura, a come ne aveva eliminato la versione cognitiva e a quanto le sue azioni non gli avessero impedito di passare del tempo con la figlia, senza alcun rimorso. Ricordava di quando le aveva anche confessato quanto la capisse, come anche lui in passato avesse perso il padre, come la sua vita fosse stata difficile, ma anche come tutto il suo dolore l’avesse reso forte.


Era il numero uno anche nel nascondersi, nel proteggere il suo grande piano di conquista del mondo senza fatica.

“Domani sarà una giornata importante, cercate di riposare.” Aveva suggerito ai Phantom Thieves nel congedarli.


Il giorno della verità: la cattura del tesoro nel Palazzo contorto di Sae Niijima. 

Sarebbe stato il giorno della sua consacrazione a numero uno, quando il suo rivale avrebbe finalmente riconosciuto la grandezza dell’intelligenza del celebre Ace Detective che lui continuava a trattare come suo pari.


Mentre tornava a casa, Goro si fermò a un telefono pubblico e compose il numero.

Al quarto squillo una voce conosciuta rispose. “Pronto?”

“Sono io.”

“Bene, parla.”

“Domani ci troveremo al Casinò. Entro due giorni la prima parte del piano sarà conclusa.”

Dall’altra parte, Shido stava in silenzio. Akechi poteva immaginarlo sorridere compiaciuto. “Mi farò vivo presto.”

“Fa’ in modo che le cose vadano come concordato.” L’uomo attaccò il telefono senza dargli la possibilità di salutare, come sempre.

Quanto avrebbe desiderato dirgli la verità. Spiegargli che ogni sua azione era un dono dal figlio rinnegato al padre. Una notte aveva sognato il momento della sua rivelazione. Nel sogno, Shido lo abbracciava, ringraziandolo per avere messo in pericolo la sua vita per lui, pregandolo di perdonare la sua assenza negli anni in cui avrebbe potuto fare la differenza.

Akechi posò la cornetta. Sapeva che quello era solo un sogno, che suo padre non si sarebbe scusato, né l’avrebbe abbracciato.

A lui bastava avere la sua riconoscenza, l’ammissione che Akechi era il numero uno.


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Prompt: Leggi
Fandom: Persona 5
Personaggi: Goro Akechi
Genere: Introspettivo
Partecipa al COWT 13

La mia giustizia

Che senso ha rispettare la legge a ogni costo, quando puoi piegarla a tuo uso senza conseguenze? Si chiede Goro Akechi mentre sorride di fronte all’obiettivo della telecamera che lo sta riprendendo.
“A soli quindici anni questo studente ha iniziato la sua carriera di nuovo Detective Prince risolvendo un caso impossibile, che aveva fatto brancolare nel buio detective con anni di esperienza alle spalle.” Gli viene da ridere nel sentire le frasi stantie del giornalista. Lo disprezza, ma non lo ammetterebbe mai. Del resto non può dire come è venuto a conoscenza della verità e in fin dei conti se lo facesse non ci crederebbe nessuno.
Si immagina mentre parla del mondo cognitivo e delle sue capacità fuori dal comune che gli permettono di farsi dire la verità dai criminali e di conoscere dettagli privati che a volte gli stessi colpevoli non ricordano. Nel Metaverso le ombre vivono soprattutto grazie a quella colpa e non dimenticano.
Quando ha scoperto il suo potere, Goro ha pensato di andare a cercare suo padre e di renderlo pazzo, proprio come ha già fatto con il gestore della casa-famiglia nella quale era stato maltrattato da piccolo. Era andato nei Memento - ancora non li chiamava così, per lui erano la coscienza collettiva - e le sue aspettative erano state premiate. Un piccolo crimine per fare rispettare le sue leggi personali, quelle di fronte alle quali il Detective Akechi non transige. Si è procurato un modo per conoscere l’uomo senza morale che gli ha tolto l’infanzia.
Finalmente ha la possibilità di incontrarlo faccia a faccia. Masayoshi Shido, la causa della morte di sua madre, è di fronte a lui e lo guarda con un sorriso che Goro vorrebbe spezzare con un colpo di pistola. Non può ucciderlo, però. Non ancora. Suo padre non sa ancora chi lui sia veramente, ma ascolta la sua proposta con vivo interesse. “Sarebbe un peccato non sfruttare questo potere così speciale per ottenere qualche vantaggio, no?” Gli chiede.
Il politico continua a sorridere, ma nei suoi occhi Goro vede la bramosia di un uomo che ha sempre avuto ciò che desidera. Al contrario di lui, suo padre ha calpestato ogni persona che gli si è parata davanti e che ha limitato il suo crescente potere.
Le uniche leggi che suo padre considera sono quelle che può sfruttare per ottenere più influenza, più voti. Mente ogni volta che apre la bocca e la sua voce è pulita, profonda e affidabile.
Akechi sa che sono tutte bugie. Sa anche che è un rischio giocare con lui, ma non ha mai avuto paura di rischiare. Gli propone un patto che non rifiuterà perché lo conosce, in fin dei conti si assomigliano più di quanto lui sarà mai disposto ad ammettere.
Da piccolo il ragazzo credeva nella legge. Era convinto che sua madre fosse morta per un eccesso di debolezza che lui ripugnava, ma confidava nello stato e nelle leggi che lo avrebbero protetto e messo sotto la tutela di suo padre, dell’uomo che fino a quel momento non si era dimostrato interessato a lui, ma che avrebbe accudito un povero orfano.
Non accadde.
Goro era passato da una casa famiglia all’altra. Aveva incontrato persone più o meno accettabili, ma tutti si erano approfittati di lui per ottenere benefici, per piegare le leggi e le regole in modo che fossero loro favorevoli. Lo accudivano per denaro, per puro interesse.
Adesso ha imparato. Porta ancora il cognome della madre e ogni volta che lo sente ricorda da dove proviene. Sa che lei aveva provato a seguire le regole, a chiedere aiuto con un avvocato che si era appellato alla legge per farle avere un aiuto concreto, che non è mai arrivato.
Lui si è distinto per la sua intelligenza, per il suo alto senso morale e per la fiducia che nutre nei confronti di tutto ciò che è legge. Anche lui mente, però.
Gli viene naturale.
Lo fa con Sae Nijima, che gli confida a che punto sono le indagini sui Phantom Thieves; lo fa con il mondo quando condanna il suo stesso operato nel Metaverso e incolpa proprio loro, parlando di giustizia e di rispetto delle leggi subito dopo avere ucciso persone delle quali lui è giudice e carnefice.
Mente quando guarda suo padre negli occhi e gli dice che il suo è solo un lavoro. Fa molta più fatica con Amamiya. Sente che loro due sono simili in un modo diverso, sa che lo capirebbe e che tenterebbe di salvarlo. Invece Akechi sta per ucciderlo, solo che lui non lo sa ancora.
In nome della legge, l’ha giudicato colpevole di essere troppo sciocco e di essere caduto nella sua trappola. I Phantom Thieves hanno combattuto per un mondo che non esiste, un ideale che gli dimostra la loro immaturità. Sono solo dei ragazzini e un po’ gli dispiace ucciderli tutti. Li lascerebbe vivi, se potesse, ma lui ha un ideale più grande e per il suo fine ultimo loro non possono sopravvivere.
Saluta il giornalista senza riuscire a togliersi dal volto quel ghigno, lo nasconde come se fosse imbarazzo e agita una mano, umile. Deve andare, il suo rivale lo aspetta per una serata tra amici. Sarà l’ultima volta che lo incontrerà fuori dal Metaverso, è quasi giunto il giorno che attende da tempo.
È già tutto pronto, non deve far altro che continuare a recitare la sua parte fino ad arrivare al palazzo di Nijima, poi finalmente potrà fare rispettare le sue leggi e ottenere la giustizia.
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Fandom: Persona 5
200 parole
Personaggi: Sojiro Sakura
Slice of life
Partecipa al COWT 13


Nostalgia


Ormai era passato un mese da quando Ren era tornato a casa. Era la cosa giusta per lui, Sojiro ne era convinto, ma doveva ammettere di sentire la mancanza del ragazzo che aveva cambiato la sua vita, permettendo a lui e a Futaba di iniziare a vivere nel presente, senza più rimorsi. A volte quando entrava al LeBlanc la mattina, cercava di non fare rumore per non svegliarlo, per poi ridere nel ricordare che non c’era nessuno.
Stava davvero invecchiando.
Rimase per un attimo ai piedi della scala, la mano posata sulla parete e la sensazione di non volere entrare in un luogo privato, che non gli apparteneva più del tutto.
Che sciocchezza, pensò, questo posto è mio.
Una volta nella stanza, aprì la finestra per lasciare entrare la luce e per cambiare l'aria. Avrebbe fatto bene a pulire ogni tanto, per non doverlo fare quando Ren avesse deciso di tornare a Tokyo per qualche giorno, perché lì sarebbe sempre stato il benvenuto.
Le sue tracce erano ancora presenti: i libri sugli scaffali, una vecchia console e delle cartucce vintage con un biglietto per Futaba, e la pianta. "A Sojiro, ora prenditi cura di lei. Grazie di tutto, Ren."
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Fandom: Persona 5
One Shot
Slice of life
Prompt: Monopoly
Parole: 1514
Partecipa al COWT 13


La scatola dei ricordi


Quando Futaba aveva visto la scatola vecchia e impolverata sullo scaffale del negozio, aveva urlato di gioia ed era corsa a prenderlo, spaventando Ren a morte.

“Questo è Monopoly, ci giocavo sempre con la mamma quando ero piccola!” Si era voltata a guardare il suo amico con la scatola di una vecchia edizione del gioco in mostra, stretta tra le mani, la speranza negli occhi: “Lo compriamo? Ci giochiamo insieme?”

Lui aveva provato a rifiutare la proposta, poiché nei suoi ricordi quello non era esattamente un gioco nelle sue corde, ma non sembrava che Futaba avrebbe accettato un no, infatti prima ancora di ascoltare la risposta, era già partita verso la casa con la scatola stretta tra le braccia.

“Torno questa sera che facciamo una partita!” Aveva proposto, o meglio, aveva deciso.

Rassegnato, Ren aveva accettato. “Magari chiamo qualcun altro, almeno ci provo…” Era piuttosto sicuro che nessuno dei Phantom Thieves avrebbe accettato di andare da lui a giocare. Forse avrebbe potuto provare a sentire Hifumi, ma non credeva fosse una buona idea, dal momento che lei e Futaba non si conoscevano e non era molto semplice stare con Futaba, soprattutto quando si lasciava andare alle dinamiche delle sfide, anche quando erano rappresentate da semplici giochi in scatola, visto quanto si era dimostrata competitiva, non accettava la sconfitta senza prima combattere con tutte le sue forze.

“Stasera chi c’è per una partita a Monopoly con me e con Futaba?” aveva tentato, cercando di suonare affabile.

“No, grazie. Devo studiare.” La risposta di Makoto era arrivata all’istante.

“Che cos’è Monopoly?” Yusuke, fuori dal mondo come sempre.

“Tu no, Inari. Stai a disegnare le tue cose.” Almeno lui aveva una scusa, pensò Ren senza tentare di convincerlo a partecipare alla serata, meglio che ne approfittasse.

“Io ci sto! Arrivo alle otto, è da tantissimo che non gioco.” Ann era sempre una buona compagnia e sapeva mettere Futaba a suo agio, non sarebbe stato male giocare con lei.

Nell’attesa della risposta di Ryuji, Ren era sceso ad aiutare Sojiro e a prendersi un caffè. “Futaba mi ha detto che stasera ha impegni.”

“Sì, ti ha detto del suo nuovo, fantastico acquisto?”

“No… devo preoccuparmi?”

“Io devo preoccuparmi, credo. Ha comprato Monopoly, mi ha anche spiegato che ci giocava con Wakaba e che ne ha un bel ricordo.”

Sojiro aveva iniziato a ridere a crepapelle. “Certo che me lo ricordo. Non vorrei essere inopportuno, ma posso unirmi a voi stasera?”

Ren era rimasto spiazzato dalla richiesta, ma aveva annuito. Aveva scritto semplicemente “Trovato il quarto giocatore!” nella chat, per poi continuare a lavare le tazze sporche del LeBlanc.

“Sarà interessante.” Aveva aggiunto Morgana, mentre si grattava la testa.

Quando Futaba entrò, facendo trillare il campanello della porta di ingresso del locale, ad accoglierla c’erano già tutti i partecipanti alla gara serale. Sojiro aveva preparato una cena per tutti. “Ti stavamo aspettando.” Le aveva detto, i piatti pronti da riempire e la tavola già pronta.

Avevano cenato con calma, chiacchierando del recente problema che aveva causato Medjed con quelle strane richieste ai Phantom Thieves.

“È la prima volta che ceniamo tutti insieme,” aveva osservato Ann. “E anche la prima volta che giochiamo tutti insieme, solo che non ho capito chi è il quarto…” Aveva guardato Morgana, che però aveva scosso la testa, ridacchiando.

“Giochiamo con Sojiro.” Ren aveva pronunciato la frase tra un boccone e l’altro, senza neppure sollevare la testa.

Futaba aveva lanciato un urlo di gioia, terrorizzando la povera Ann che non si era ancora abituata alle reazioni di entusiasmo della sua nuova amica. “Che bello, come ai vecchi tempi!”

Il gruppo aveva ripulito, mentre Futaba aveva iniziato a preparare la plancia di gioco.

“A me piacerebbe questo funghetto!” Ann aveva preso la pedina e l’aveva posizionata di fronte al suo posto.

“La mamma usava sempre la pera, io la mela. Perché lei era più alta e io più piccola. Le dicevo sempre così.” Futaba aveva preso entrambe le pedine e poi aveva posizionato la mela sulla plancia. “Questa la tengo come portafortuna.”

“Io invece usavo il fiaschetto.” Aggiunse Sojiro, scegliendo la pedina.

“Questo significa che io posso essere la candela, oppure questa bella piantina. Il verde porta bene, dicono. Pianta sia.”

La partita era iniziata in modo tranquillo: tutti compravano sistematicamente le proprietà sulle quali capitavano, sperando poi di riuscire ad accaparrarsi almeno un gruppo di proprietà complete sulle quali costruire le proprie case e poi gli alberghi.

Ren amava la competizione, ma quel genere di gioco non l’aveva mai attirato. Non gli piaceva l’idea di dovere fare aste per vincere le proprietà, come non amava il pensiero di guadagnare soldi alle spese di altri partecipanti basandosi sulla fortuna dei dadi. Lui amava la strategia e proprio perché conosceva le caratteristiche di Futaba si era chiesto come mai la sua nuova amica, così abile nell’uso delle sue doti tattiche, aveva scelto proprio un gioco basato sulla persuasione e sulle doti sociali, più che sulla strategia pura e mentale.

La partita era stata tutto sommato noiosa, fino a quando Ann non aveva convinto Sojiro a venderle Parco della Vittoria al costo nominale della proprietà, alla quale lei aveva aggiunto viale Costantino, sostenendo che gli sarebbe potuta essere utile per il futuro. Le capacità di persuasione della ragazza avevano avuto effetto, proprio come lo avevano sulle Ombre che combattevano ogni volta che andavano nel Metaverso, e in breve Ann aveva iniziato ad arricchirsi, grazie alle case e agli alberghi che aveva iniziato a costruire in tutte le sue proprietà.

Ren tutto sommato se la stava cavando discretamente, ma tra Sojiro e Futaba era in corso una sorta di guerra tra poveri. Come immaginava, Futaba al contrario di Ann non possedeva tecniche di persuasione adatte al gioco, la sua strategia non poteva avere effetto per il semplice fatto che non aveva mai avuto le carte per riuscire a vincere la partita e i dadi le erano stati tutt’altro che amici nel corso dei primi giri di gioco.

Nell’ipotecare una proprietà, Futaba aveva sbuffato sonoramente. “Questo gioco non è divertente come me lo ricordavo. Ed è anche parecchio lungo.”

Ann, al contrario, appariva così a suo agio nella sua ricchezza da sembrare una principessa malvagia. Morgana la stava osservando con adorazione, in silenzio per una volta.

Sojiro ridacchiava ogni volta che qualcuno capitava su una delle sue proprietà e chiedeva i soldi con fare solenne, perfettamente calato nella parte.

“Ho perso.” Aveva constatato Futaba nel tentare di vendere l’ultima delle sue proprietà. A quel punto i giocatori si erano guardati e avevano convenuto che la partita fosse durata abbastanza.

Ann si era proclamata vincitrice e Futaba le aveva regalato il gioco, sostenendo che non fosse stato divertente, ma accettando di fare una nuova partita insieme a lei in futuro, “Quando sarò più allenata a trattare con le persone.” Aveva proposto.

Sojiro si era offerto di accompagnare a casa la ragazza, dal momento che si era fatto tardi, e Futaba era rimasta rannicchiata sulla panca del LeBlanc.

“Bevi qualcosa prima di tornare a casa?” Le aveva chiesto Ren.

“Sai, quando ero piccola non giocavo così a Monopoly all’inizio. Le prime volte usavo le vie per inventarmi storie e la mamma le ascoltava.”

“Te ne ricordi qualcuna?” Le aveva chiesto.

“No. Ricordo poco di quel periodo, ma so che le mie pedine preferite erano sempre la mela e la pera, e so anche che la mamma all’inizio non voleva che giocassi così perché il gioco non era suo. Ora credo che fosse di Sojiro. Lui però non mi ha mai detto niente di male. Non si è mai lamentato.”

Ren si era seduto di fronte a lei. “Ti è dispiaciuto giocare così? Con le regole?”

Lei aveva scosso la testa. “No, dopo un po’ la mamma mi ha insegnato le regole giuste. A me non piacevano e ne avevo proposte di migliori, ma lei mi ha convinto a stare alle regole come tutti, anche se non mi piacevano.”

“Credo sia una cosa importante.”

“Tu le assomigli, sai?”

Ren non sapeva cosa dire. “A Wakaba?”

“Sì, perché mi proteggi da quello che mi fa paura e mi aiuti ad accettarlo. Anche adesso coi Phantom Thieves mi stai aiutando a prendermi cura di voi, usando i miei punti di forza per la squadra. Io sono contenta di poter stare insieme a voi, di combattere insieme.”

“Non c’è niente di male a voler passare del tempo seguendo le proprie regole, a volte.”

“No, lo so. Infatti mi sono un po’ pentita di avere lasciato il gioco a Panther. Quasi quasi domani glielo chiedo indietro per farmi una partita come quando ero piccola. O semplicemente per inventarmi delle regole migliori.”

“Oppure potremmo fare un altro gioco, uno adatto ai tuoi punti di forza.”

“Come il gioco dei mimi!” Aveva proposto scherzando Futaba. “O Pictionary, quello che piacerebbe tanto a Inari dove si fanno i disegni!” Futaba aveva sollevato l’indice. “Ho un’idea…”

Quando Sojiro era tornato, pochi minuti dopo, li aveva trovati seduti sul tavolo a scrivere una lunga lista. Il titolo era GIOCHI DA PROVARE CON REN E SOJIRO.
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Fandom: Persona 5
Personaggi: Ryuji, Makoto, Ann, Yusuke
Genere: Slice of life
Prompt: Cluedo
Partecipa al COWT 13



Una partita seria

Intorno al tavolo la tensione si poteva tagliare con un coltello, cosa che in effetti stava cercando di fare Ann che agitava il pugnale di plastica in dotazione col gioco in direzione di Yusuke, il quale osservava rapito i dettagli poco definiti del candeliere. Makoto invece stava osservando le gocce di sudore sulla fronte di Ryuji, che pareva confuso. “Hm, Hm…” Si schiarì la voce per ricordare all’amico che era il suo turno.
Lui annuì e si asciugò la fronte con una mano. Dopo qualche altro secondo di silenzio colpì il tavolo con la mano. Prese un oggetto dalla plancia di gioco e lo posizionò di fianco al suo investigatore. “È stata la rossa, intendo dire Scarlett, con il tubo di ferro in veranda!” Affermò con convinzione Ryuji. Makoto sospirò e gli passò una carta dalla sua mano.
“No! Ma questa l’avevo già vista…”
“Non è colpa mia se non hai ancora capito il gioco, Sakamoto.” La ragazza sembrava quasi irritata, al punto che Ryuji si sentì in obbligo di scusarsi. “Vuoi scriverti negli appunti che carta ti ho dato o pensi di chiamarla di nuovo al prossimo giro?”
Lui afferrò la penna e, tentando di tenere nascosto il foglio, scrisse qualcosa.
“Tocca a me!” Ann impiegò qualche secondo per confrontare le sue note con le carte che aveva in mano. “Secondo me è stato Mustard, in veranda, con la rivoltella!”
“E invece no!” Ryuji le passò una delle sue carte, sospirando nel tentativo di imitare Makoto. “Ma io non sono in biblioteca…” Gli rispose Ann bisbigliando, lui imprecò e le passò un’altra carta.
“Chi è che ha scelto questo gioco?” Domandò Yusuke, annoiato.
“L’ho scelto io!” Affermò Ann alzando la mano. “È divertente! Almeno quando non gioca questo idiota.”
Ryuji si lasciò sfuggire un lamento sconsolato. “Non è facile come sembra e questa è la prima volta che gioco.” Osservò tutti i suoi amici intorno al tavolo in cerca di un po’ di compassione, ma non raccolse molta compassione, in effetti sembravano quasi arrabbiati.
“Non ci vuole molto, basta mettere un po’ di serietà nel seguire le regole.” Il tono di Yusuke era sempre solenne, particolarmente adatto alla dichiarazione dell’investigatore.
“Da adesso faccio sul serio, lo prometto.”
Yusuke sollevò una mano attirando l’attenzione su di sé: “Ma ora la parola al detective Kitagawa: dichiaro che la Signorina Scarlett, conscia del tradimento dell’uomo che amava con Mrs Peacock, si è recata in sala da ballo e ha discusso con lui in modo animato, venendo alle mani prima di ucciderlo in uno scatto d’ira con la rivoltella che aveva portato con sé.”
“Complimenti per l’interpretazione, io non ho niente.” Ann si voltò verso Ryuji, che scosse la testa. “Neppure io.”
“Hai controllato bene?” Chiese allora Yusuke, dando voce al dubbio di tutti gli altri partecipanti.
“Sì, non sono un completo idiota. Ho detto che faccio sul serio, lasciatemi in pace.”
“Ne ho una io.” Makoto gli passò una carta coperta, la mano tesa a recuperarla in fretta. Aveva preso la partita a Cluedo con una serietà che gli altri non si aspettavano.
A dire la verità fino in fondo, quando Ann aveva proposto di fare una partita tutti insieme avevano pensato tutti che Makoto, da studentessa seria e impegnata, avrebbe salutato tutti per correre a studiare qualcosa di troppo complicato persino da spiegare ai suoi compagni di squadra. Quando però la sua amica aveva menzionato Cluedo, gli occhi di Makoto si erano illuminati e lei si era offerta di preparare un tè caldo da bere tutti insieme nel corso della partita.
Era inusuale che loro quattro si incontrassero insieme, soprattutto a casa di Ann e in assenza di Ren, ma quel pomeriggio si dovevano accordare su una piccola sorpresa per il loro leader, i cui preparativi si erano conclusi prima del previsto, lasciando loro sufficiente tempo libero da passare insieme prima di tornare a casa.L’idea del gioco era stata di Ryuji, che però non si aspettava di dover ragionare così tanto. Mi è venuto mal di testa da quanto ho pensato… Sarebbe stato più facile proporre di studiare qualcosa. Aveva confessato, dopo il primo giro di gioco. Makoto, al contrario, aveva mantenuto un’espressione compiaciuta sin da quando le erano state consegnate le sue carte. Dal primo istante, tutti loro sapevano che la loro amica avrebbe vinto. Se non per le sue buone doti di concentrazione e di deduzione, anche per l’impegno che stava mettendo nella partita.
“Ora tocca a me. È ora di finire la partita.” Makoto si alzò in piedi e puntò il dito contro la pedina di Scarlett. “Il detective Sakamoto era quasi arrivato alla soluzione del caso, ma non si è accorto di un piccolo particolare: Certo che è stata la signorina Scarlett. La sua sola presenza nella villa di Mr. Black avrebbe dovuto far suonare qualche campanello di allarme nelle teste di voi detective. Così come è certo che l’omicidio è avvenuto in veranda. L’arma del delitto invece, quella era stata indovinata dagli altri due detective: era una rivoltella. Sarebbe bastato osservare il cadavere del signor Black con un po’ più di attenzione per trovare la risposta.”
I tre ragazzi, che non si aspettavano che la loro amica si calasse nel ruolo di detective e stesse al gioco in modo così convincente, rimasero in silenzio per qualche istante prima di confermare di non avere le carte richieste da Makoto in mano.
Lei quindi prese la busta dal centro della plancia e mostro loro la soluzione del caso. “Come tutti si aspettavano la grande detective White, detta Queen, chiude il caso.” Makoto sollevò le braccia in un gesto di esultanza.
“Brava Queen!” La incitò Ann.
“Facciamo un’altra partita?” Chiese quindi la vincitrice.
“Io sì, per favore” Accettò Ryuji. “Questa volta giuro che mi impegno, lo prometto.”
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Fandom: Persona 5
Personaggi: Morgana, Ren, Futaba, Phantom Thieves
Prompt: tutti dentro
Partecipa al COWT 13
Parole: 2370
Genere: Introspettivo

Solo un gatto

Sono solo un gatto.
Una frase che si ripeteva quasi ogni giorno. Quando vedeva la sua immagine riflessa oppure quando, appena sveglio e un po’ annoiato, pensava a come avrebbe passato la giornata.
Morgana non aveva molto da fare e da quando aveva seguito Ren nella sua città natale sentiva ogni giorno la mancanza del Metaverso.
Sospirò mentre si guardava allo specchio: non riconosceva quella coda irrequieta che si muoveva ondeggiando a mostrare la tensione che provava; le zampe bianche non gli consentivano di scrivere o di utilizzare la sua fionda come aveva sempre fatto nel Metaverso. L’unica parte di lui che ancora riconosceva erano gli occhi: azzurri e profondi, rivelavano la sua essenza diversa da quella di un comune gatto domestico. Morgana scosse la testa per cercare di scacciare il ricordo delle sue origini, perché per lui era difficile anche solo ricordare di aver salvato quel mondo che non poteva vivere come desiderava.
Sono solo un gatto, si ripeteva quando vedeva qualcuno passeggiare lungo la strada del paese, pensando che avrebbe desiderato scambiare due chiacchiere per una volta con qualcuno di diverso da Ren. Si sentiva talmente solo e annoiato che si sarebbe accontentato persino di Ryuji, già, gli mancava anche lui.
Quella mattina Ren era a scuola e lui, dopo aver mangiato, si stava occupando della sua consueta pulizia mattutina seguendo una routine consolidata ormai da tempo che all’inizio non gli piaceva, ma che aveva accettato perché in fin dei conti lui era solo un gatto, e in quanto tale doveva comportarsi. Non avrebbe mai accettato di farsi lavare, molto meglio arrangiarsi.
Il computer del Joker era rimasto aperto, non per caso ovviamente, ma perché Futaba avrebbe chiamato per fare due chiacchiere e per Morgana l’evento era tutt’altro che comune, visto che in genere la ragazza si faceva sentire solo quando i due erano insieme. La sera prima però aveva scritto un messaggio dove aveva avvisato della chiamata e Ren era stato ben felice di lasciare tutto a disposizione del suo gatto speciale.
Premette sul pulsante di accensione e aprì l’applicazione per ricevere la chiamata, poi si appostò di fronte al computer cercando di sorridere. Peccato che i gatti non abbiano grandi capacità di esprimere emozioni e che i suoi sforzi non avessero dato grandi risultati. Non voleva che Futaba si preoccupasse per lui, perché anche se all’inizio i loro rapporti erano stati un po’ tesi, lei si era dimostrata un’amica, la più presente con lui da quando il Metaverso era stato cancellato.
Il suono della chiamata interruppe i suoi pensieri tristi e Morgana premette sul pulsante di risposta con entusiasmo.
“Mona Chan!” Gridò l’amica.
“Guarda un po’ chi si rivede,” tentò di mantenere un tono composto nonostante la sua gioia. “Sembri in forma, ma mai quanto me!”
Futaba sghignazzò e raccontò a Morgana della sua vita, sempre un po’ troppo sociale per lei, a scuola. Il gatto le confidò che nell’ultimo periodo si stava abituando alla tranquillità della campagna, così diversa dalla vita caotica e densa di Tokyo. “Qui ti piacerebbe, dovresti provarci. Io invece sto benissimo anche in mezzo alla gente, ma qui l’aria ha un odore diverso. Io sono un gatto, sento gli odori molto meglio di voi umani”
“Mi piacerebbe infatti,” rispose la ragazza, che poi assunse un’espressione più seria. “Non ho molto tempo ancora, tra poco devo andare ad aiutare Sojiro al LeBlanc e c’è una cosa importante che ti devo chiedere, Mona Chan.”
Il gatto, incuriosito, si ricompose e riprese il ruolo che gli piaceva di più: quello di mentore, che aveva interpretato in modo più che convincente coi Phantom Thieves. “Sono qui per questo, ci sono problemi?”
“Non problemi, solo questo.” Futaba mostrò lo schermo del suo cellulare alla telecamera, che mise a fuoco un’icona che tutti loro conoscevano bene. “Il Meta Nav è riapparso ieri sera. Non so cosa significhi e non ne ho parlato con gli altri, ma vorrei vederci chiaro. Puoi controllare tu con Ren?”
Morgana annuì, mentre i suoi pensieri navigavano veloci ai ricordi di ciò che era stato il cui ritorno, almeno per lui, sarebbe stato un sogno trasformato in realtà.
“Hai sentito qualche cosa di diverso? Tu hai un rapporto speciale col Metaverso e ho pensato che saresti stato il primo ad accorgersi se qualcosa fosse cambiato.”
Futaba aveva ragione, eppure lui non si era accorto proprio di niente. Negli ultimi giorni al massimo aveva provato solo più noia del solito, visto che Ren aveva dovuto studiare per gli esami ed era stato fuori casa tutto il giorno. “No, niente di diverso.” Aveva risposto con tono sconsolato, forse le sue capacità si erano arrugginite dopo tutto quel tempo passato da semplice gatto.
“Forse lì non si è attivato, magari è una cosa di Tokyo…” Aveva ipotizzato la ragazza, sempre un passo avanti rispetto a lui. “Comunque oggi proverò a investigare un po’ con Sumire e Yusuke, sono gli unici qui intorno in questi giorni, poi li chiamo. Per ora meglio non allarmare gli altri visto quanto hanno da fare. A prestissimo!”
Morgana aveva fatto appena in tempo a rispondere al saluto, che la comunicazione era stata chiusa. Era rimasto fermo in silenzio per un bel pezzo a ragionare sul significato della presenza di quell’applicazione, poi si era accoccolato sul letto di Ren e si era appisolato.
La sensazione che provava mentre le ruote grattavano sull’asfalto del Metaverso era indescrivibile. In quel momento era il centro dei Phantom Thieves: la loro guida - anche se erano loro a guidare lui - il loro mentore, il loro mezzo per muoversi veloci e sicuri nel labirinto della coscienza comune.
Ricordava ancora quando per la prima volta si era trasformato nel furgone e li aveva accolti sui suoi comodi sedili.
“Tutti dentro, si parte!” Aveva detto Lady Ann mentre accarezzava la sua carrozzeria con le mani leggere e morbide. Il rombo del motore non era poi così diverso dalle fusa che da gatto emetteva in modo naturale e automatico quando la sua amata Ann lo prendeva tra le sue braccia o gli grattava il mento sciogliendo ogni sua resistenza.
I ragazzi la prima volta si erano seduti tutti e tre nel sedile posteriore, stupiti nel comprendere che fosse necessario che uno di loro guidasse il Morgana-Van lungo le buie e pericolose vie della metropolitana fantasma. Il Joker aveva preso il volante e solo allora Morgana si era reso conto che mai nessuno era stato nel furgone prima dei Phantom Thieves. Non era proprio un ricordo, ma almeno era stata una delle sue prime, poche certezze, perché il van era una parte di lui, una rappresentazione derivante dalla coscienza comune che nessuno aveva ancora toccato. Nessuno era stato accolto dentro il suo corpo trasfigurato in furgone prima di Ann, Ryuji e Ren, lui ne era certo.
“Morgana, cosa senti quando diventi un Van?” Gli aveva chiesto Makoto la prima volta che erano stati nei Memento insieme.
“Niente di speciale, è una mia dote naturale e come tutto quello che riguarda il Metaverso, lo faccio benissimo. Uno dei miei poteri.”
All’epoca non ricordava ancora nulla delle sue origini - solo gli incubi, ma quelli non potevano rappresentare la verità - ma era piuttosto sicuro che lì nei sotterranei dei Memento ci fosse la risposta a tutte le sue domande e diventare un furgone era uno dei compiti che doveva svolgere per recuperare i suoi ricordi e trovare un senso alla sua esistenza. Per ritornare umano.
Il dubbio si insinuava in lui con forza mentre era trasfiguarato, perché nel rombo di quel motore non c’era niente di umano, come nelle sue fusa feline. Di una cosa però era sempre stato certo: quello era il suo posto e nessuno poteva sostituire la sua presenza, né l’intelligenza di Makoto, né le capacità di navigazione di Futaba.
I momenti in cui si sentiva meglio erano proprio quelli che passavano tutti insieme, tutti dentro al suo corpo trasfigurato nel camioncino con la coda e le orecchie, dove i suoi amici erano comodi e protetti, dove erano loro a guidare, ma era lui a tenerli uniti, lui a consentire loro di fuggire veloci e sicuri nel buio grazie alla vista felina data dai suoi fari.
Quanti combattimenti avevano fatto insieme prima che i suoi ricordi tornassero, e quante volte avevano inseguito le ombre attaccandole di sorpresa grazie a Morgana e alla velocità silenziosa della sua trasfigurazione. Grazie ai suoi fari nel buio, grazie alle sue conoscenze. In fondo lì sotto si era sempre sentito a casa al punto da provare nostalgia dei Memento quando non vi si recavano da un po’ di tempo.
Morgana aveva contribuito a distruggere la sua vecchia casa, l’aveva fatto per l’intera umanità anche se sapeva che forse non avrebbe più avuto la possibilità di fare ritorno al luogo in cui era nato. Quando Igor e Lavenza gli avevano presentato la possibilità di restare con loro nella Velvet Room e di continuare a vivere insieme a loro, come forma fisica della speranza dell’umanità, o di scegliere di tornare come semplice gatto nel mondo degli uomini, Morgana non aveva avuto dubbi: lui faceva parte dell’umanità. Era nato per concedere agli uomini una possibilità di salvarsi dalla fine imminente che la divinità impazzita aveva scelto di attuare e aveva svolto il suo ruolo con la speranza nel cuore che le cose si sarebbero risolte al meglio. Il destino lo aveva messo in contatto col Trickster, che era diventato per lui un motivo in più per continuare a lottare. Più volte si era chiesto se, conoscendo la verità, avrebbe abbandonato i suoi amici, sentendosi tradito dal suo creatore che gli aveva tenuto nascosta la verità, ma Morgana aveva sempre agito per l’umanità, più che per se stesso.

Quando il Joker tornò a casa da scuola, Morgana gli rivelò le novità e gli chiese di vedere il suo telefono. Come immaginava, però, non c’era traccia dell’applicazione di navigazione. Tutto quello che potevano fare era attendere notizie da parte di Futaba, che però tardavano ad arrivare.
“Non credi che sarebbe meglio se andassimo a Tokyo?” Gli chiese Ren quella sera, sembrava preoccupato. “Noi due ce la potremmo cavare anche entrando nel Metaverso da soli, ma Sumire e Yusuke potrebbero avere bisogno di una mano. Futaba non è molto d’aiuto nel combattimento e non vorrei che si trovassero in difficoltà.”
Morgana era d’accordo e accettò di partire per la capitale con Ren, che aveva convinto i suoi genitori a lasciargli prendere un paio di giorni di vacanza dalla scuola, approfittando degli esami appena conclusi e del suo ottimo rendimento. Gatto e ragazzo avevano quindi preso il primo treno per un viaggio imprevisto con lo scopo ufficiale di festeggiare il compleanno di Futaba, che lui aveva descritto in modo struggente come la sua sorella di Tokyo, che lui ormai considerava una parte della famiglia.
L’aria della città odorava in modo molto diverso da quella a cui Morgana si era abituato negli ultimi mesi in campagna: lo smog, il profumo del cibo e l’umidità accompagnate dal sottofondo musicale della stazione della metropolitana gli fecero provare un po’ di nostalgia. Ren sollevò il cellulare e richiamò la sua attenzione: l’applicazione di navigazione era apparsa. Se lo aspettava.
Con un cenno del capo, il ragazzo premette sul logo a forma di occhio e il mondo intorno ai due iniziò a cambiare.
“È incredibile!” Strillò Morgana nel constatare che il suo aspetto era tornato quello di un tempo.
"Bentornato, Mona Monster Cat.” Rise il Joker, “Avevo dimenticato come ti stesse bene quella bandana gialla.”
Il gatto rise, carico di adrenalina al pensiero che un nuovo mistero si era dipanato di fronte a loro, una nuova avventura per i ladri fantasma. Non fece in tempo a pensare che sarebbe stato bellissimo essere di nuovo tutti insieme, che un grido di gioia riempì il silenzio di quel luogo spettrale. “Joker! Mona!”
Lady Ann si lanciò contro Ren in un abbraccio, mentre Haru e Futaba si contesero Morgana. Makoto, Ryuji, Yusuke e Sumire erano di fronte a loro, increduli e felici.
“Non ho capito perché il Metaverso sia riapparso così all’improvviso, ma sapere che ci siete anche voi mi rende più serena.” Confessò Makoto.
“Adesso cosa possiamo fare?” Chiese Ryuji, osservando Morgana.
Lui sapeva cosa fare. Con fare teatrale sorrise. “Lasciate che ci pensi io,” disse, mentre il suo corpo felino si trasformava nel van. “Tutti dentro, scopriamo cosa è successo.”
Ren fu il primo a entrare. Il leader dei Phantom Thieves si accomodò nel retro, lasciando il volante a Makoto come sempre da quando si era dimostrata così abile nel guidare.
Ann si sedette di fianco a lei. “Mi ero dimenticata quanto fossero comodi i tuoi sedili, Mona!” Esclamò accarezzando il cruscotto.
Anche Haru si mise al loro fianco e depositò un bacio sulla pelle della carrozzeria. “Grazie, Mona-Chan, per prenderti cura di noi così.”
Se fosse stato umano, Morgana sarebbe arrossito, da furgone si limitò a far suonare il clacson. “Forza, tutti dentro, altrimenti vi lascio qui!”
Ryuji si accomodò di fianco al Joker. “Avete mai pensato a quanto sia inquietante questa cosa che entriamo dentro il gatto? Ogni tanto mi domando che cosa sto toccando e spero di non scoprirlo mai.”
“Affascinante,” aggiunse Yusuke sedendosi dal lato opposto. “In effetti non ci avevo mai pensato.”
Sumire sembrava un po’ restia a entrare, soprattutto dopo i discorsi di Ryuji che avevano fatto calare il silenzio, decise perciò di tentare di sollevare la tensione. “Che bello! Qui dentro c’è posto per tutti! Pronti per partire!” Si sedette di fianco a Ren, che non sembrava impressionato da quella sciocca frase di circostanza. Sumire non era mai stata brava a improvvisare.
“Siamo tutti dentro. Andiamo a scoprire cosa sta succedendo, Phantom Thieves!”
Di fronte alla richiesta del leader, Makoto premette l’acceleratore e il furgone iniziò a muoversi.
Fu in quel momento, mentre proteggeva la sua squadra ed insieme esploravano il Metaverso, che si rese conto di una cosa: mentre tutti loro erano dentro il suo corpo, lui era in grado di donare loro una piccola parte di sé, e probabilmente era la speranza che gli aveva dato forma. Ma anche loro gli donavano qualcosa: ne respirava l’umanità.

Equilibrio

Mar. 14th, 2023 10:55 pm
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Fandom: Persona 5

Personaggi: Makoto Nijima, Phantom Thieves, Sae Nijima

One Shot

Prompt: Trovare Equilibrio 

Parole: 1022 

Partecipa al COWT 13


Equilibrio


Makoto aveva sempre pensato di avere uno stile di vita equilibrato: non mangiava sregolato, frequentava la scuola con regolarità e studiava di volta in volta sempre un po’ più di quanto necessario. Le stava bene così.

A casa, preparava la cena a Sae e teneva pulito. Le pareva il minimo visto che sua sorella si prendeva cura di lei in modo a dir poco eccellente da quando erano rimaste orfane. Non si lamentava, perché non credeva di averne il diritto. Le poche volte in cui aveva provato a riferire la sua opinione l’aveva fatto con voce flebile e con poca convinzione, perché in fondo sapeva di essere una ragazzina agli occhi di Sae e del mondo.

Fino poche settimane prima, Makoto aveva seguito le regole che si era imposta senza troppe difficoltà, ma da quando il preside Kobayakawa le aveva dato il compito confidenziale di seguire i Phantom Thieves, la sua vita era cambiata. Non in meglio, anzi.

Aveva i suoi sospetti, erano parecchi nomi all’inizio, ma nel giro di pochi giorni la maggior parte dei presunti colpevoli erano stati depennati dalla sua lista. La sua vita aveva iniziato a cambiare quando Makoto aveva deciso di seguire Sakamoto, che quel giorno per puro caso era in compagnia di Ann Takamaki, anche lei nella sua lista. Erano due ragazzi del secondo anno che avevano avuto tensioni con Kamoshida. Il primo aveva litigato col professore e l’aveva criticato apertamente più di una volta, causando anche lo scioglimento della squadra di atletica e attirandosi addosso le ire di mezza scuola. La seconda invece era in rapporti più intimi con Kamoshida, ma il giorno della confessione del professore si era rivolta a lui con critiche che dimostravano quanto invece lo disprezzasse.

Makoto pensava che i due ragazzi fossero immaturi e incapaci di vivere con equilibrio la loro vita studentesca. Quel pomeriggio erano usciti per bighellonare in giro. Erano rumorosi e non avevano interesse per l’ambiente che li circondava. Più di una volta la ragazza li aveva sentiti scherzare su come avrebbero di certo fallito gli esami dimostrando di non avere alcun interesse o pensiero nei confronti del loro futuro.

Makoto all’inizio si era sentita triste per loro e aveva pensato che avrebbe potuto aiutarli, avrebbe potuto insegnare loro l’equilibrio e la scelta del giusto cammino per vivere con successo, ma era chiaro che loro non avrebbero mai accettato il suo aiuto. Almeno così si giustificava, perché non aveva intenzione di aggiungere ai suoi numerosi e stancanti impegni anche la redenzione di quei due ragazzini, non era il suo compito farlo.

Continuava a seguirli per cercare un motivo per scartarli, ma non ci era ancora riuscita e più li seguiva, più si interessava alle loro vite, ai loro discorsi leggeri e al modo serio che avevano di affrontare sciocchezze come lo "scegliere il dolce perfetto”.

I problemi veri, però erano iniziati con Amamiya. La prima volta che l’aveva seguito, era insieme a Sakamoto. Makoto aveva osservato come il comportamento di quel mezzo teppista cambiava in presenza di Amamiya, al punto da farlo sembrare una persona migliore. Al punto che Makoto si era convinta che Sakamoto non fosse una causa persa.

Da quel giorno aveva iniziato a seguire Amamiya e l’esperienza si era rivelata interessante, perché quel ragazzo aveva amici particolarmente variegati: l’aveva seguito quando era andato a fare compere al centro commerciale con Takamaki, l’aveva osservato lavorare con impegno e dedizione, l’aveva ammirato mentre studiava senza perdere la concentrazione in biblioteca. Una sera l’aveva persino notato mentre aiutava un anziano politico durante un comizio.

Makoto non riusciva a inquadrarlo e la cosa non le piaceva, ma non le permetteva di allontanarsi da lui, che più di una volta con atteggiamento serafico le si era avvicinato per salutarla e per farle capire che sapeva della sua presenza. Amamiya si impegnava con lo studio e col lavoro, ma non disdegnava un po’ di divertimento; riusciva a non preoccuparsi troppo di ciò che tutti a scuola pensavano di lui, scherzando sul suo passato criminale. Ren sembrava vivere in modo molto più equilibrato di lei e per questo lo odiava.

Una sera Makoto era tornata a casa e aveva iniziato a cucinare come faceva ogni sera e la sua vita le era sembrata vuota, meccanica. Mentre ripassava gli argomenti di studio, in cucina, si era chiesta se davvero quelle conoscenze l’avrebbero portata dove desiderava e per un attimo aveva pensato di uscire con un’amica, magari di andare a passare due ore al cinema o semplicemente di fare un giro per la città, ma si era resa conto di non avere compagne che l’avrebbero accompagnata.

Persa nei pensieri, aveva guardato l’uovo cuocersi, sfrigolare e bruciarsi.

All’arrivo di Sae, le due avevano ripetuto una sera di più la conversazione che ormai era sempre la stessa:

“Come è andata al lavoro?”

“Stanca, e tu, a scuola? Hai studiato?”

“Sì.”

Makoto avrebbe voluto fare tante domande alla sorella: Come hai fatto a scegliere la tua strada? Sei felice? Cosa devo fare?

Ma taceva di fronte all’espressione severa e stanca di Sae.

Poi la sua vita era cambiata davvero, quando si era infine unita ai Phantom Thieves. La sensazione che aveva sentito quando la sua Persona si era risvegliata era stata la più bella che avesse mai provato: libertà. Si era sentita viva e finalmente utile a qualcosa.

Aveva messo da parte lo studio, mettendo in dubbio tutto ciò che fino a quel momento l’aveva resa Makoto, non si riconosceva quasi più, ma non poteva dire che la cosa le dispiacesse così tanto, perché non era felice e non stava agendo per se stessa, ma per soddisfare le aspettative che il mondo adulto e Sae avevano nei suoi confronti.

Era stato Ren a farle trovare una prospettiva differente, mettendola di fronte alla possibilità di cambiare il suo futuro per realizzare ciò che desiderava davvero, e Makoto si era sentita improvvisamente motivata.

Il futuro non sarebbe stato semplice, perché il suo sogno era grande, ma finalmente sentiva di avere la forza e l’equilibrio necessari per riuscire a realizzarlo.


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Prompt: scuola
Partecipa al COWT 13
Fandom: Persona 5
Personaggi: Sadayo Kawakami, Ren Amamiya, Ann Takamaki
One shot
 
Uno studente rispettabile.




Appena aveva messo piede nella metropolitana, Ren si era sentito addosso gli sguardi di tutti gli studenti della Shujin. Aveva cercato di mantenere la sua consueta calma, sorridendo con distacco quando incrociava i loro sguardi a volte stupiti, altre volte curiosi.

Nel cortile della scuola aveva trovato ad accoglierlo Ann e Ryuji, pronti a mantenersi fedeli alla storia raccontata da Kawakami sul viaggio di Ren nella sua città nativa per un imprevisto in famiglia.

Ann l’aveva abbracciato con trasporto e lui per un attimo aveva pensato a quanto gli sarebbe mancata quando sarebbe davvero tornato a casa. Mancava davvero poco.

Aveva ricambiato l’abbraccio stringendola forte a sé. “Mi sei mancata.”

“Anche tu, sono contenta che tu sia tornato.”

“Oh, ma che scena sdolcinata! E io allora?” Ryuji si era unito al benvenuto dando un pugno amichevole alla testa del suo amico. “Bentornato.”

La scenetta era stata osservata con attenzione da tutti gli studenti presenti, che durante il mese di assenza del nuovo studente si erano chiesti se fosse morto, se fosse veramente lui il leader dei Phantom Thieves.

Ren si era sentito osservato per tutta la giornata. Sia i professori che i compagni avevano evitato di parlargli, in compenso continuava a notare sguardi e sussurri che si interrompevano ogni volta che li intercettava. Stanco per la situazione, in pausa pranzo aveva deciso di farla finita. “Allora, posso rispondere a qualche domanda: Yuko?”

La ragazza era arrossita. “I-Io non…”

“E tu, Shinji?”

“Lo sai cosa ci chiediamo tutti: dove sei stato?”

“Sono stato via per problemi in famiglia, come vedete sto benissimo e non ho intenzione di andarmene fino alla fine dell’anno.”

“Sei uno dei Phantom Thieves?” Yuko aveva trovato il coraggio di fare la domanda per tutto.”

“Ne sarei felice, lo racconterei a tutti.”

“Invece sei un povero studente che non ha ricevuto gli appunti dell’ultimo mese di lezione e che da oggi avrà ogni minuto occupato per recuperare.” Kawakami era entrata in quel momento trasinandosi dietro un borsone pesante. “Avete cinque minuti.”

Il resto delle lezioni era trascorso tranquillo, la professoressa pareva di ottimo umore e si era dilungata sul ripassare quanto visto nel corso dell’assenza di Ren “Per gli esami,” a suo dire.

Alla fine delle lezioni, proprio quando stava per uscire, Ren si era sentito chiamare.

“Amamiya, posso rubarti un attimo del tuo tempo.” Kawakami lo guardava con aria severa. Il ragazzo aveva atteso che tutti uscissero dall’aula, a quel punto la professoressa aveva chiuso le porte. “Che bello rivederti a scuola!” Aveva esclamato, saltellando verso di lui. “Non sai che paura mi hai fatto prendere, potevi almeno rispondere ai messaggi, razza di ingrato.”

Ren si stupiva sempre di quanto in fretta Sadayo fosse in grado di cambiare tono di voce e umore. Ormai la considerava più di una professoressa, conosceva la parte segreta della sua vita. Lei l’aveva protetto, proprio come aveva fatto con Takase prima della sua morte.

“Cos’è quella faccia da rimbambito? Non ti ho coperto perché tu restassi indietro con gli esami. Ti avrei anche mandato tutto al LeBlanc se tu fossi stato così gentile da degnarti di rispondermi.” Aveva tirato fuori dal borsone una plico di fogli preoccupante e l’aveva lanciato con un rumoroso tonfo sulla cattedra. “Ora avrai tempo di rimetterti in pari, se cominci subito.”

Ren aveva spalancato gli occhi, cercando di contrastare il suo istinto a fuggire.

“So già che per te non sarà un problema, ma nel caso in cui dovessi avere bisogno di una mano, sai già che numero chiamare per contare su di me.”

“Potrei chiamarti stasera.” Aveva risposto Ren mentre sfogliava le pagine fitte di appunti, sempre più pallido.

“Se pensi di farlo davvero, mi aspetto un bel regalo, capo.” Sadayo aveva fatto l’occhiolino, sorridendo con spensieratezza.

Il ragazzo aveva annuito, l’espressione di nuovo seria, glielo doveva, eccome. Senza il suo prezioso aiuto non sarebbe stato così semplice giustificare la sua assenza e il suo rientro. Raccolse il materiale e prima di uscire le rivolse un inchino. “Grazie davvero, per tutto.”

 

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One Shot
Fandom: Persona 5
Missing moment
Prompt: Lanterna
Partecipa al COWT 13


Amnesia
 

Morgana aveva aperto gli occhi per ritrovarsi in un luogo sconosciuto. Niente di ciò che vedeva gli era in alcun modo familiare. Conosceva solo il suo nome, che non gli si addiceva per niente, ma che gli piaceva nonostante fosse sempre stato associato a una donna.

Lui era un ragazzo, questo lo ricordava. 

Si sollevò dalla branda nella quale stava dormendo per cercare di capire dove fosse: la stanza era illuminata da due lanterne fioche ed era quasi del tutto vuota. Oltre alla branda e alle lanterne c’erano delle catene, una coperta logora e un catino con dell’acqua. Al posto di una delle pareti c’erano sbarre. Morgana era in una prigione.

Si alzò e cercò di guardare fuori dalle sbarre, ma c’era qualcosa che non andava sia perché ci vedeva un po’ troppo bene considerata la luce davvero scarsa, che perché era troppo basso. Quando si osservò le mani, però, lanciò un urlo di paura: erano zampe, come quelle di un animale.

Morgana prese una delle lanterne e si avvicinò al catino. Quello non poteva essere lui: un essere dal pelo bianco e nero con orecchie a punta, artigli sulle zampe e una lunga coda nera con la punta bianca.  Il suo aspetto era molto simile a quello di un gatto, ma a cercare una definizione forse sarebbe stato più corretto dire che era un mostro. Un gatto mostruoso.

Forse era vittima di una maledizione che l’aveva trasformato? 

“Tu non sei un gatto, sei speciale.” Una voce dentro la sua testa, qualcuno che conosceva, ma che non riusciva a inquadrare.

“Dovrai combattere, io posso aiutarti.” Sempre quella voce. 

Lenta, una lanterna si stava avvicinando. Morgana d’istinto si nascose nella cella.

Una delle guardie, un’Ombra con una lanterna in mano, si avvicinò alle sbarre.

Lo sentì armeggiare con le chiavi. “Gatto! Dove sei?” Una voce metallica, innaturale. Morgana sapeva che avrebbe dovuto aspettare che l’Ombra aprisse la porta per combatterlo e uscire di lì. 

Appena sentì i passi trascinati della guardia nella cella, il gatto saltò contro di lui. Fu allora che una parte delle sue memorie si materializzò al suo fianco: Zorro, la sua Persona, che mise a tappeto l’Ombra con un solo attacco magico per poi sparire veloce come era apparso. 

Morgana uscì di corsa dalla cella, ma la sua fuga terminò alle porte del castello, perché non c’era via d’uscita. Rimase di fronte al cancello aperto a osservare l’esterno per un tempo indefinito, conscio che quello che vedeva non era il mondo reale, ma il metaverso.

Cercava di ricordare, ma i suoi sforzi sembravano inutili. 

Non oppose resistenza quando le guardie, con le loro lanterne ondeggianti, lo catturarono per riportarlo alla sua cella. Decise che sarebbe rimasto lì fino a quando la memoria non fosse tornata o fino a quando qualcuno non fosse arrivato ad aiutarlo a capire chi fosse.

Solo con se stesso, a osservare la sua ombra mostruosa proiettata dalla luce della lanterna. Lui era umano, ne era sicuro. Doveva solo capire come fare a ritornare tale.



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Fandom: Persona 5
Personaggi: Ren Amamiya, Morgana, Phantom Thieves
Genere: introspettivo
Prompt: E invece no, Bugo
Partecipa al COWT11




Portare a casa la nostalgia





Le metropolitane vanno molto veloci

I giornali gratis

La radio

Le voci

Bella la campagna ma mi rende un po’ triste

(E invece no - Bugo)                                                                                     

 

 

 

Il ritorno a casa dopo l’anno passato a Tokyo era stato più pensante di quanto mai avrebbe potuto immaginare. Gli mancava tutto della città: la metropolitana, veloce e affidabile, grazie alla quale poteva andare da scuola a casa o ovunque desiderasse in pochi minuti; il caos e la musica che riempivano il centro commerciale alla stazione Shibuya, perfino gli assaggi gratuiti della panetteria e i giornaletti gratuiti, quasi sempre privi di notizie interessanti, che a volte prendeva per leggere qualcosa di leggero lungo il breve percorso in metropolitana.

Soprattutto, però gli mancavano i suoi amici.

Makoto, soprattutto, perché il legame che aveva stretto con lei molto più profondo. Avevano giurato di non lasciarsi nonostante la distanza, ma Ren sapeva che lei avrebbe messo al primo posto lo studio e si sarebbe impegnata per costruire il suo futuro anche se questo li avrebbe allontanati ancora di più. Anche lui si sarebbe impegnato per avvicinarsi a lei appena possibile, ma ci sarebbe voluto almeno un altro anno perché lui finisse la scuola. A volte sentiva Makoto al telefono ed era come se fosse lì con lui, parlavano per ore di ogni argomento possibile, ma quando si salutavano lui restava solo nel silenzio leggero della campagna.

 

Un tempo, da bambino, aveva odiato quel silenzio e la distanza dai compagni di scuola che era amplificata dal fatto che lui stava in una zona un po’ isolata. Invece doveva ammettere che gli era mancato davvero. Gli riusciva naturale concentrarsi nella casa in cui era cresciuto coi suoi genitori, con il profumo dei fiori che invadeva la sua stanza silenziosa, resa rumorosa solo dal frinire delle cicale. 

Più volte a Tokyo aveva sentito la mancanza di quel silenzio, soprattutto durante il primo periodo dopo il suo arrivo. Gli mancavano i suoi genitori, anche se provava anche rabbia nei loro confronti, convinto com’era che lo avessero abbandonato a se stesso, lasciando che andasse a vivere da Sojiro per un anno intero solo per avere una preoccupazione in meno a cui pensare. Solo dopo essere tornato aveva capito quando loro avessero sentito la sua mancanza. 

“Era stata una richiesta esplicita da parte di quell’avvocato per far sì che non prendessero altri provvedimenti, non abbiamo avuto scelta, ma ci sei mancato.” Gli aveva detto sua madre con la voce rotta dalla tristezza durante la prima telefonata che gli avevano fatto una volta arrivato a Tokyo. 

Glielo avevano detto anche prima che partisse, ma Ren era così arrabbiato allora che non aveva creduto a quelle che aveva definito scuse per mettere a posto la loro coscienza.

È strano come si desideri spesso ciò che non si ha. In quel momento Ren si vedeva in metropolitana ad attendere di arrivare a Shibuya, certo che lì, in mezzo al caos della stazione, avrebbe trovato Ann e Yusuke ad attenderlo con un sorriso, pronti a una nuova avventura o più semplicemente a mangiare qualcosa di dolce insieme.

Aveva stretto più amicizie nel corso di quel periodo di quante ne avesse mai avute e, anche se i suoi amici, Sojiro, Futaba e Makoto gli mancavano tanto, sapeva che non l’avrebbero dimenticato, come lui avrebbe sempre avuto un posto nel suo cuore per lui. 

“Cosa ci fai lì zitto a fissare il soffitto?” Morgana l’aveva strappato ai suoi pensieri.

“Niente, pensavo ai Phantom Thieves. Alla prossima volta che ci vedremo.”

Il gatto aveva ridacchiato. “Meno male che sono venuto con te, saresti perso qui altrimenti.” Ren si era messo a ridere, ma dentro di sé sapeva che era davvero così.

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Fandom: Persona 5
Prompt: Attacco
Genere: introspettivo, angst (non direi missing moment perché nessuno parla dei passati delle ombre)
Personaggi: Yaksini, Joker, OC
Chi è Yaksini? Un'ombra che vaga per il Palazzo di Kaneshiro. 
Per la storia mi sono ispirata alle Yakshini.


Un'anima pura coperta da un'ombra



Yaksini vagava per il Palazzo senza una vera meta. Cercava solo qualcuno da poter attaccare, qualcuno da mangiare. Possibilmente sarebbe stato meglio un umano, ma sarebbe potuta sopravvivere anche con qualche altra ombra se proprio non avesse trovato di meglio.

 

Aveva combattuto spesso per vivere. Attaccando Ombre ignare alle spalle senza dar loro la speranza di sopravvivere e non era pentita, perché da quei combattimenti dipendeva la sua sopravvivenza.

Non sapeva da quanti anni fosse lì, ma anche se da qualche parte in lei sentiva di non essere sempre stata lì, non ricordava altro. Erano passati forse centinaia di anni da quando lei era cambiata, da quando qualcosa l’aveva portata in quel luogo senza uscita. 

Lei continuava a percorrere sempre lo stesso tratto di corridoio avanti e indietro, sperando di incontrare una preda che avesse un’anima, magari, per quanto non fosse nemmeno sicura di sapere cosa fosse.

 

Il ragazzo e i suoi amici erano arrivati da lei quando ormai credeva che nessun essere umano sarebbe mai passato lungo la sua strada e lei aveva fatto l’unica cosa che sapeva fare: li aveva attaccati alle spalle, felice.

Il potere del ghiaccio era con lei, infatti li aveva colpiti con successo. Le sarebbe bastato divorare uno di loro, ma i ragazzi sembravano resistere senza problemi ai suoi attacchi furiosi, quasi isterici.

Quando aveva pensato di aver vinto, gli umani le avevano sferrato un colpo magico che l’aveva tramortita. Prima di allora non le era mai capitato e già si vedeva morta, di nuovo. Una seconda morte quando ancora non riusciva a ricordare la prima.

 

Poi lui le aveva parlato.

Il ragazzo con i capelli scuri e scompigliati le aveva rivolto la parola invece di darle il colpo di grazia. “Vuoi vivere o preferisci morire?”

Da quanto tempo Yaksini non usava la sua voce per comunicare? Da quanto era un'Ombra? “Voglio vivere,” si era sorpresa della musicalità delle parole che uscivano dalla sua bocca. L’attrazione per l’anima del ragazzo di colpo era mutata. “C’è qualcos’altro che vuoi da me, è vero, umano?” 

Il ragazzo aveva sorriso. “Vuoi combattere con me?”

E solo in quel momento si era vista: nella luce dell’anima del ragazzo, Yaksini aveva ricordato chiaramente che un tempo non era un’ombra. Che un tempo era stata una divinità.

 

“Io sono te, tu sei me,” aveva pronunciato con solennità Yaksini. Era riuscita a liberarsi dalla maledizione che l’aveva tramutata in un demone. Un anatema che lei stessa aveva pronunciato per cancellare il suo passato e gli errori che aveva commesso, ma ora che si era legata all’anima del ragazzo, diventandone la Persona, le sue memorie erano tornate, prepotenti e crudeli. Avrebbe preferito non ricordare, ma quella era l’unica opportunità che aveva di tornare se stessa.

 

Non era sempre stata un’ombra. Un tempo era stata una delle Yakshi, una delle divinità in grado di far avverare i desideri degli uomini loro devoti. 

Avrebbe tanto desiderato poter pronunciare il proprio nome, ma non intendeva invocarlo neanche nella sua memoria per non infangare la purezza di colei che un tempo era stata e che con molta fatica forse un giorno sarebbe tornata a essere, se fosse riuscita a espiare i propri peccati.

Era passato così tanto tempo da quando la sua esistenza era mutata che ormai faceva fatica a rammentare il passato, ma chiudendo gli occhi le tornava ancora la memoria di quando un tempo gli uomini andassero a cercarla per ottenere fortuna, ricchezza e felicità. La invocavano sotto gli alberi di Kadamba, col caldo o con la pioggia, di giorno e di notte. Ricchi o poveri che fossero non c'era differenza, perché tutti arrivavano a piedi all’albero e portavano con loro canfora, legno di sandalo e burro chiarificato, doni per lei, rituali imparati dagli avi. Ripetevano il mantra migliaia di volte, e poi ancora migliaia di volte purché lei li ascoltasse ed esaudisse i loro desideri.

 

Lei però donava la sua benedizione solo a chi presentava le motivazioni più pure, a chi desiderava quanto necessario e forse qualcosa in più, ma sempre a chi non osava approfittarsi del suo aiuto. Mostrava loro la sua divinità nel suo corpo di donna prosperosa, pronta a portar loro la prosperità.

 

Poi un giorno tutto era cambiato: un giorno si era innamorata dell'aspetto di uno degli uomini che era andato a invocarla. La sua voce l'aveva incantata prima ancora che lei riuscisse a vederlo davvero e, quando con la mente la Yakshi l'aveva raggiunto, ne era rimasta ammaliata. L’aveva amato e l'aveva accontentato senza preoccuparsi per la prima volta nella sua esistenza divina di ascoltare fino in fondo al cuore i suoi veri desideri: pensieri impuri e terribili nascosti sotto un aspetto angelico, un sorriso aperto che pareva sincero e che invece era desiderio di morte.

 

La dea si era concentrata sulla voce melliflua e suadente che accompagnava le parole senza cercare di mettersi in risonanza col cuore marcio dell’uomo.

Da quel giorno aveva iniziato a perdere contatto con la sua anima divina: aveva perso l'interesse negli uomini e aveva iniziato ad attaccarsi a lui in modo offensivo, ammirando il suo corpo,  a osservarlo e a desiderarlo dimenticandosi di ciò che invece la sua divinità le imponeva di fare. 

Lui la ringraziava ogni mattina per aver esaudito i suoi desideri e lei ogni mattina, invisibile ai suoi occhi, restava attaccata al cuore marcio dell’uomo mancando di rispetto al suo vero ruolo di Yakshi.

 

Così, dopo qualche tempo, aveva potuto constatare ciò che egli aveva fatto con la ricchezza e la fortuna che lei gli aveva donato così incautamente. Egli aveva rubato denaro, merce e onore alla famiglia rivale alla sua. Aveva sposato con l’inganno una donna che lo detestava, della quale lui amava solo la ricchezza materiale.

La maltrattava ogni giorno e la donna era arrivata a essere infelice al punto che l’aveva lasciato perdendo tutto e ritrovandosi a vivere sola in povertà.

La Yakshi si era attaccata a lui ancora di più, incapace di vedere oltre l’aura ammaliante che egli possedeva, felice di avergli donato prosperità e gioia. Non vedeva altro che lui e non riusciva a pensare con purezza al cuore degli uomini che aiutava distratta, senza spinta, senza più il cuore puro di un tempo.

 

Poi un giorno il suo aspetto aveva iniziato a cambiare.

I desideri corrotti della sua anima avevano iniziato a manifestarsi rendendo la sua pelle violacea, come morta. Stava diventando la manifestazione della corruzione così invisibile nell'uomo che l'aveva ingannata, così evidente in lei e nel suo cuore un tempo puro.

Aveva quasi smesso di sentire i mantra che gli uomini le dedicavano, doveva concentrarsi così tanto per riuscirci che rischiava di perderlo, quindi aveva smesso di provarci.

L'attaccamento all'uomo la stava privando della sua divinità, ma a lei non importava.

Da pura a oscura, un giorno si era risvegliata come Ombra.

 


Ora che la sua memoria era tornata, si era resa conto di essere stata vittima di un incanto di malia che le aveva fatto perdere la via della rettitudine che lei aveva sempre seguito con grande attenzione e amore nei confronti degli uomini. 

Pregava che, quando il ragazzo l’avrebbe lasciata andare, sarebbe stata perdonata dalle divinità che le avevano un tempo donato quel potere meraviglioso che, di nuovo, desiderava. Sarebbe tornata Janaranjika.

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Fandom: Persona 5
One shot
Personaggi: Sadayo Kawakami, Takase

Warning: morte


Prompt: pioggia/sereno
Parteciipa al COWT11, forza team Meridian!

Il mio sole




 






Il tonfo del telefono l'aveva fatta tornare alla realtà. Sadayo non aveva idea di quanto tempo fosse passato, di quanto avesse pianto cercando di respirare e di riprendere il controllo del suo stesso corpo. 

Come era potuto succedere? Era morto davvero o era uno stupido scherzo pensato con crudeltà da uno dei suoi studenti?

Teneva a lui, forse più che a tutti gli altri alunni. Il suo viso continuava a tornarle in mente, lo vedeva, accigliato e stanco, e lo sentiva lì al suo fianco. Forse avrebbe dovuto parlargli, forse il suo spirito avrebbe potuto sentirla.

È colpa mia... 

Aveva biascicato. Tutto intorno a lei non vedeva che nebbia. Aveva stretto le palpebre e si era resa conto che stava piangendo.

Che ore sono?

Si era guardata intorno e aveva messo a fuoco la finestra. La pioggia. Forse la colpa era della pioggia.

Sadayo continuava a piangere, maledicendo il terribile destino che l’aveva condotto da lei, perché se lei non fosse stata così tenace nel convincerlo a impegnarsi a lavorare e a studiare sodo in nome del futuro lui forse non sarebbe stato così stanco. Se non l’avesse abbandonato a se stesso lui non sarebbe morto.


Continua così, puoi farcela... Studia ancora un po', non accontentarti! 
Sei giovane, ne hai di tempo per riposare, ora stai costruendo il tuo futuro.

 

Lo aveva spronato ogni volta che ne aveva avuto l'occasione nel corso degli ultimi mesi. Grazie alle lezioni private che gli aveva dedicato e alle ore di studio, spesso notturno, era diventato uno studente promettente. L'intelligenza non gli mancava e finalmente aveva qualcuno pronto a credere in lui. Sadayo non lo aveva mai giudicato per le sue frequentazioni passate e per il suo carattere burrascoso e difficile, dovuto solo alle difficili prove che la vita gli aveva messo davanti. Lei credeva davvero in Takase e glielo ricordava ogni volta che ne aveva la possibilità.


Sono stanco, non so se avrò le forze per resistere fino alla fine dell'anno.


Glielo aveva confessato con un mezzo sorriso, come a dire che non era realmente così, che in realtà si stava lamentando solo per sentirsi dire quanto invece avesse tutto sotto controllo, quanto il suo futuro fosse sempre più chiaro e limpido ogni giorno.

La classica luce in fondo al tunnel che nessuno sembrava avergli dato la possibilità di vedere fino a quel momento e che Kawakami, la sua professoressa, finalmente gli aveva mostrato.

Lei sperava di essere diventata il faro che l'avrebbe guidato verso il futuro, non avrebbe mai pensato che invece sarebbe stata la causa della sua morte.





La prima volta che la professoressa si era presentata alla sua porta per le lezioni private si era sentito invaso dalla speranza, come se il sole fosse tornato a far parte della sua vita. All'inizio era convinto che avrebbe rinunciato, che se ne sarebbe andata senza rimpianti, come tutti quelli che gli avevano dato fiducia ed erano rimasti delusi. 
Questa volta però si era sbagliato: era rimasta con lui. Kawakami era paziente e molto precisa, come a scuola, e pareva determinata a insegnargli tutto ciò di cui aveva bisogno per superare gli esami, costringendolo a dimostrare a tutti di essere un ragazzo intelligente, come lei gli ribadiva ogni volta.

"Non puoi proprio lasciare almeno uno dei tuoi lavori?" gli aveva chiesto, il suo sorriso illuminato di speranza.

"Non posso. Non guadagnerei abbastanza per vivere." Era rassegnato al fatto che i suoi tutori non gli avrebbero mai regalato niente. Lo sapeva e in fondo non gli importava molto: non avrebbe più avuto bisogno di loro di lì a breve. Una volta maggiorenne sarebbe andato a vivere da solo, ovunque pur di non stare più con gli zii che ogni giorno gli ricordavano quanto lui fosse solo un peso, un costo per loro. Una vergogna che occupava una stanza in casa e che consumava cibo e spazio, utile solo a racimolare qualche soldo.
Kawakami si rabbuiava ogni volta che lui tirava fuori l'argomento soldi. Era certo che lei non gli credesse fino in fondo, perché lei aveva vissuto nella normalità, col calore di una famiglia che l'aveva sempre amata. Non avrebbe mai capito, e non era colpa sua. 

"Ce la farai, ne sono certa," glielo ripeteva prima di andarsene. "Mi raccomando, cerca di dormire stanotte!" 

C'erano poche certezze nella vita di Takase, una era lei: il raggio di sole che lo stava guidando verso un futuro nel quale non avrebbe mai più dovuto affidarsi ai suoi tutori e ai loro ricatti subdoli, un futuro senza senso di colpa.




Era andato tutto liscio per qualche mese, Takase si stava quasi abituando ad avere un'amica, ma quella chiamata aveva rovinato tutto.

Aveva risposto sorridendo dopo aver visto che a chiamare era proprio Kawakami, ma la sua voce al telefono era ombrosa, triste. Desolata.

Non posso più aiutarti, mi dispiace.


Aveva fermato la bicicletta e aveva accostato, incapace di prendere fiato. Un altro rifiuto, una porta in faccia. Si sentiva solo, piccolo e indifeso come da bambino, quando i suoi zii l'avevano accompagnato nella sua nuova stanza completamente vuota, a eccezione del tatami e del borsone che aveva portato da casa, e avevano chiuso la porta uscendo, lasciandolo solo. Aveva imparato a difendersi da solo, ad arrangiarsi, e avrebbe continuato così.

Anche dopo settimane, l
a voce della professoressa Kawakami continuava a risuonargli nella testa. Era l'ultimo dell'anno, un giorno di festa e di divertimento per quasi tutti i suoi coetanei, ma anche un giorno nel quale c'era da lavorare. 
Pioveva a dirotto e c'erano parecchie consegne da fare, la gente come sempre era scontrosa e lui si sentiva stanco.

Anche la sera della telefonata pioveva.
Non posso più aiutarti, mi dispiace.


Aveva detto che le dispiaceva, ma lui non ci credeva. Takase aveva imparato a bastare a se stesso già da piccolo, solo che questa volta non se l'aspettava, non da lei. Kawakami gli era sempre sembrata sincera, e allora perché? Perché l'aveva abbandonato anche lei?

Nonostante il suo cuore si fosse inaridito nel corso degli anni di solitudine vissuti coi suoi tutori, Takase non era stato in grado di trattenere le lacrime per quell'ennesimo abbandono. Aveva ricominciato a provare un minimo di fiducia nel genere umano soltanto grazie a Kawakami e aveva sbagliato, di nuovo.

Nessuno, neanche un amico. Era solo ed era stanco. Troppo stanco per continuare a pedalare, troppo per lottare ancora. La pioggia che impregnava i suoi vestiti era pesante e fredda, gli occhi bruciavano e Takase provava un forte desiderio di gridare. 


Contro i suoi tutori, che si erano approfittati di lui e non gli avevano mai dato la possibilità di vivere la sua età con spensieratezza. 

Contro i suoi genitori, morti troppo presto, che non si erano preoccupati di ciò che ne sarebbe stato di lui alla loro morte e che l'avevano condannato.

Contro la scuola, indifferente ai suoi tentativi di studiare, al suo impegno nonostante la stanchezza e la fatica.

Contro i suoi amici, inesistenti, che erano svaniti nel nulla perché lui era diverso, perché lui non aveva i soldi.
Contro i clienti al lavoro, che non avevano mai una parola di conforto, un ringraziamento, e anche contro il ristorante che gli chiedeva di essere veloce e sorridente, anche dopo ore di pedalate senza riposo.

Contro Kawakami, che era stata la personificazione della speranza e che l'aveva abbandonato dopo averlo illuso.
Ma soprattutto contro se stesso, che non ce la faceva più, che aveva esaurito la speranza.


Non avrebbe mai più creduto in niente. Sarebbe rimasto da solo, proprio come aveva sempre fatto da quando i suoi erano morti. 

Alla fine aveva gridato, gli occhi chiusi e la bocca spalancata. aveva lasciato andare il dolore che sentiva dentro, dandogli voce e corpo. Ruggendolo fuori come a lasciarlo andare, a farlo sentire a tutti.


Non aveva neanche sentito l'impatto con il camioncino. Non aveva fatto in tempo a rendersi conto di ciò che stava succedendo.

All'improvviso aveva smesso di piovere. 


Takase non aveva più freddo, non era più bagnato. Il sole brillava tiepido nel cielo irreale, azzurro e limpido, illuminando un mondo differente da quello in cui aveva sempre vissuto.

La sua bicicletta era di fronte a lui, scolorite, sgretolata, distrutta dall'impatto. Anche il suo corpo era lì, inerte, rosso di sangue e grigio di morte. Takase sapeva che non avrebbe potuto toccarlo, perché era in un mondo diverso dal suo.


Era rimasto fermo a osservare l'arrivo dell'ambulanza, le lacrime dell'autista del camion, lo sconforto dei passanti che parevano tenere a lui più dei suoi tutori. 

Erano arrivati anche loro, le sanguisughe, dopo un tempo indefinibile. Fingevano di disperarsi, rossi di rabbia e di rancore verso il ragazzo che era deceduto prima della maggiore età e che aveva tolto loro i sussidi che fino a quel momento avevano sperperato senza remore. 

Takase aveva sentito i sentimenti di tutte quelle persone: la desolazione dell'autista, la pena sincera dei passanti e l'ingordigia di quelli che mai lui avrebbe chiamato genitori. Tutta questa tristezza per la morte triste e spaventosa del giovane ragazzo senza nome lo faceva sorridere: gli sconosciuti piangevano per lui.
 

Ma il dolore più grande era arrivato con lei: lutto, senso di colpa. Kawakami aveva portato con sé dei fiori che aveva posato sul ciglio della strada; era rimasta chinata, in silenzio. Non era colpa sua e Takase desiderava tanto che lei lo sapesse, continuava a ripeterlo, a ringraziarla, a scusarsi per essere stato così stupido e incosciente da buttarsi contro la morte. Doveva saperlo.


Aveva iniziato a seguirla, ad accompagnarla e a incitarla a resistere nei momenti difficili. Aveva osservato con disprezzo le due sanguisughe avvicinarsi a lei, incolparla e pretendere da lei il denaro che lui non avrebbe più potuto fruttare. Si era arrabbiato e aveva sperato di poter diventare uno di quei fantasmi dei film, in grado di attraversare le dimensioni e di farsi vedere e sentire, per spaventarli e per costringerli al pentimento. Ma non ci riusciva, per quanto ci provasse.

Aveva osservato Kawakami mentre lavorava come maid, sempre più stanca, sempre più rassegnata a dover espiare una colpa che non aveva mai avuto. In nome di Takase era diventata la pedina triste nelle mani dei due disgraziati che gli avevano messo un tetto sulla testa.

 

L'aveva vista rasserenarsi quando aveva trovato un nuovo ragazzo impossibile, come lui. Amamiya, si chiamava. Gli aveva raccontato della sua morte, dei due viscidi tutori che la minacciavano.

 

E lui aveva avuto successo in ciò che Takase non era mai riuscito a realizzare: li aveva costretti a desistere. Aveva costretto i loro cuori a cambiare.

 

Nel suo mondo c’era sempre il sereno, ma quel giorno Takase aveva capito che qualcosa era cambiato quando gocce di pioggia avevano iniziato a cadere attorno a lui, donandogli un ultimo ricordo dell’esistenza da vivo. La pioggia era piacevole, quasi tiepida, e sembrava guidarlo lieve verso il passo successivo, verso un altro viaggio. Takase salutò Kawakami e iniziò a camminare verso il sole bianco di quella dimensione. Seguendo la luce, forse avrebbe rivisto i suoi genitori.

 

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Fandom: Persona 5
Personaggi: Morgana
Genere: introspettivo
Partecipa al COWT11, prompt:
 Cielo



Le cose che conosco

Come poteva conoscere il concetto di cielo se non l'aveva mai visto?
 

Morgana si era chiesto tante volte da dove arrivassero le sue memorie selettive: sapeva cosa fosse il tonno o come fosse fatto un umano. Da subito aveva ammesso con se stesso di avere le sembianze di un gatto, ma non ricordava di aver conosciuto e visto il mondo al di fuori del Palazzo nel quale Ren l'aveva trovato. Il Memento, invece, lo conosceva come le sue tasche.

La prima volta che era uscito dal palazzo, Morgana aveva faticato a mantenere il suo comportamento sicuro di guida nei confronti dei due umani, perché si era ritrovato in un luogo che lui in qualche modo conosceva, ma che gli era nuovo, anche se non l'avrebbe mai ammesso coi suoi due nuovi amici. Erano amici? 

L'aria fresca gli solleticava la pelliccia e gli odori si mescolavano nelle sue fini narici di felino. 

Il mondo era vivo e Morgana poteva percepire le persone, gli animali e la natura attorno a lui. 

Ciò che lo aveva stupito da subito, però, era stato il cielo: la prima volta che ricordava di averlo visto era azzurro, limpido e infinito. Un colore che era convinto di non avere mai visto prima e che gli dava un senso di pace e di gioia che non si spiegava. Non riusciva neppure a immaginare la pioggia e le nuvole minacciose dei temporali, ma sapeva che esistevano. Poi, la prima volta che aveva sentito la pioggia, era rimasto immobile a osservarla cadere per qualche ora, a sentirne l'odore così unico, cercando di ricordare da dove arrivasse quella memoria del suo passato.


Per quanto si fosse sforzato di sembrare forte e sicuro di sé, la verità però era che si doveva arrendere, perché non avrebbe trovato risposta. Forse era sempre stato un gatto. Forse era nato nei Memento e non avrebbe mai avuto una normale esistenza come essere umano. Forse Lady Ann non l'avrebbe mai guardato come un uomo.


Morgana sentiva che il suo destino era di essere lì: a guardare le nuvole nel cielo fuori dalla finestra al primo piano del Le Blanc mentre aspettava che Ren tornasse a casa, magari con un bel pezzo di tonno per il lui. 

Qualunque cosa fosse successa, finché fosse vissuto non avrebbe dimenticato i Phantom Thieves, i suoi amici. Sospirando, Morgana aveva trascinato la coperta sotto la finestra e si era acciambellato a guardare ancora un po' il cielo.


Non mancava molto alla fine della loro missione e se il collegamento tra il Metaverso e il mondo reale fosse svanito, anche lui forse avrebbe fatto la stessa fine. Non poteva saperlo, ma avrebbe combattuto con i Phantom Thieves fino alla fine. Era ciò che desiderava, Morgana si sentiva finalmente felice.

 

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