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Fandom: Persona 5
Personaggi: Morgana, Ren, Futaba, Phantom Thieves
Prompt: tutti dentro
Partecipa al COWT 13
Parole: 2370
Genere: Introspettivo

Solo un gatto

Sono solo un gatto.
Una frase che si ripeteva quasi ogni giorno. Quando vedeva la sua immagine riflessa oppure quando, appena sveglio e un po’ annoiato, pensava a come avrebbe passato la giornata.
Morgana non aveva molto da fare e da quando aveva seguito Ren nella sua città natale sentiva ogni giorno la mancanza del Metaverso.
Sospirò mentre si guardava allo specchio: non riconosceva quella coda irrequieta che si muoveva ondeggiando a mostrare la tensione che provava; le zampe bianche non gli consentivano di scrivere o di utilizzare la sua fionda come aveva sempre fatto nel Metaverso. L’unica parte di lui che ancora riconosceva erano gli occhi: azzurri e profondi, rivelavano la sua essenza diversa da quella di un comune gatto domestico. Morgana scosse la testa per cercare di scacciare il ricordo delle sue origini, perché per lui era difficile anche solo ricordare di aver salvato quel mondo che non poteva vivere come desiderava.
Sono solo un gatto, si ripeteva quando vedeva qualcuno passeggiare lungo la strada del paese, pensando che avrebbe desiderato scambiare due chiacchiere per una volta con qualcuno di diverso da Ren. Si sentiva talmente solo e annoiato che si sarebbe accontentato persino di Ryuji, già, gli mancava anche lui.
Quella mattina Ren era a scuola e lui, dopo aver mangiato, si stava occupando della sua consueta pulizia mattutina seguendo una routine consolidata ormai da tempo che all’inizio non gli piaceva, ma che aveva accettato perché in fin dei conti lui era solo un gatto, e in quanto tale doveva comportarsi. Non avrebbe mai accettato di farsi lavare, molto meglio arrangiarsi.
Il computer del Joker era rimasto aperto, non per caso ovviamente, ma perché Futaba avrebbe chiamato per fare due chiacchiere e per Morgana l’evento era tutt’altro che comune, visto che in genere la ragazza si faceva sentire solo quando i due erano insieme. La sera prima però aveva scritto un messaggio dove aveva avvisato della chiamata e Ren era stato ben felice di lasciare tutto a disposizione del suo gatto speciale.
Premette sul pulsante di accensione e aprì l’applicazione per ricevere la chiamata, poi si appostò di fronte al computer cercando di sorridere. Peccato che i gatti non abbiano grandi capacità di esprimere emozioni e che i suoi sforzi non avessero dato grandi risultati. Non voleva che Futaba si preoccupasse per lui, perché anche se all’inizio i loro rapporti erano stati un po’ tesi, lei si era dimostrata un’amica, la più presente con lui da quando il Metaverso era stato cancellato.
Il suono della chiamata interruppe i suoi pensieri tristi e Morgana premette sul pulsante di risposta con entusiasmo.
“Mona Chan!” Gridò l’amica.
“Guarda un po’ chi si rivede,” tentò di mantenere un tono composto nonostante la sua gioia. “Sembri in forma, ma mai quanto me!”
Futaba sghignazzò e raccontò a Morgana della sua vita, sempre un po’ troppo sociale per lei, a scuola. Il gatto le confidò che nell’ultimo periodo si stava abituando alla tranquillità della campagna, così diversa dalla vita caotica e densa di Tokyo. “Qui ti piacerebbe, dovresti provarci. Io invece sto benissimo anche in mezzo alla gente, ma qui l’aria ha un odore diverso. Io sono un gatto, sento gli odori molto meglio di voi umani”
“Mi piacerebbe infatti,” rispose la ragazza, che poi assunse un’espressione più seria. “Non ho molto tempo ancora, tra poco devo andare ad aiutare Sojiro al LeBlanc e c’è una cosa importante che ti devo chiedere, Mona Chan.”
Il gatto, incuriosito, si ricompose e riprese il ruolo che gli piaceva di più: quello di mentore, che aveva interpretato in modo più che convincente coi Phantom Thieves. “Sono qui per questo, ci sono problemi?”
“Non problemi, solo questo.” Futaba mostrò lo schermo del suo cellulare alla telecamera, che mise a fuoco un’icona che tutti loro conoscevano bene. “Il Meta Nav è riapparso ieri sera. Non so cosa significhi e non ne ho parlato con gli altri, ma vorrei vederci chiaro. Puoi controllare tu con Ren?”
Morgana annuì, mentre i suoi pensieri navigavano veloci ai ricordi di ciò che era stato il cui ritorno, almeno per lui, sarebbe stato un sogno trasformato in realtà.
“Hai sentito qualche cosa di diverso? Tu hai un rapporto speciale col Metaverso e ho pensato che saresti stato il primo ad accorgersi se qualcosa fosse cambiato.”
Futaba aveva ragione, eppure lui non si era accorto proprio di niente. Negli ultimi giorni al massimo aveva provato solo più noia del solito, visto che Ren aveva dovuto studiare per gli esami ed era stato fuori casa tutto il giorno. “No, niente di diverso.” Aveva risposto con tono sconsolato, forse le sue capacità si erano arrugginite dopo tutto quel tempo passato da semplice gatto.
“Forse lì non si è attivato, magari è una cosa di Tokyo…” Aveva ipotizzato la ragazza, sempre un passo avanti rispetto a lui. “Comunque oggi proverò a investigare un po’ con Sumire e Yusuke, sono gli unici qui intorno in questi giorni, poi li chiamo. Per ora meglio non allarmare gli altri visto quanto hanno da fare. A prestissimo!”
Morgana aveva fatto appena in tempo a rispondere al saluto, che la comunicazione era stata chiusa. Era rimasto fermo in silenzio per un bel pezzo a ragionare sul significato della presenza di quell’applicazione, poi si era accoccolato sul letto di Ren e si era appisolato.
La sensazione che provava mentre le ruote grattavano sull’asfalto del Metaverso era indescrivibile. In quel momento era il centro dei Phantom Thieves: la loro guida - anche se erano loro a guidare lui - il loro mentore, il loro mezzo per muoversi veloci e sicuri nel labirinto della coscienza comune.
Ricordava ancora quando per la prima volta si era trasformato nel furgone e li aveva accolti sui suoi comodi sedili.
“Tutti dentro, si parte!” Aveva detto Lady Ann mentre accarezzava la sua carrozzeria con le mani leggere e morbide. Il rombo del motore non era poi così diverso dalle fusa che da gatto emetteva in modo naturale e automatico quando la sua amata Ann lo prendeva tra le sue braccia o gli grattava il mento sciogliendo ogni sua resistenza.
I ragazzi la prima volta si erano seduti tutti e tre nel sedile posteriore, stupiti nel comprendere che fosse necessario che uno di loro guidasse il Morgana-Van lungo le buie e pericolose vie della metropolitana fantasma. Il Joker aveva preso il volante e solo allora Morgana si era reso conto che mai nessuno era stato nel furgone prima dei Phantom Thieves. Non era proprio un ricordo, ma almeno era stata una delle sue prime, poche certezze, perché il van era una parte di lui, una rappresentazione derivante dalla coscienza comune che nessuno aveva ancora toccato. Nessuno era stato accolto dentro il suo corpo trasfigurato in furgone prima di Ann, Ryuji e Ren, lui ne era certo.
“Morgana, cosa senti quando diventi un Van?” Gli aveva chiesto Makoto la prima volta che erano stati nei Memento insieme.
“Niente di speciale, è una mia dote naturale e come tutto quello che riguarda il Metaverso, lo faccio benissimo. Uno dei miei poteri.”
All’epoca non ricordava ancora nulla delle sue origini - solo gli incubi, ma quelli non potevano rappresentare la verità - ma era piuttosto sicuro che lì nei sotterranei dei Memento ci fosse la risposta a tutte le sue domande e diventare un furgone era uno dei compiti che doveva svolgere per recuperare i suoi ricordi e trovare un senso alla sua esistenza. Per ritornare umano.
Il dubbio si insinuava in lui con forza mentre era trasfiguarato, perché nel rombo di quel motore non c’era niente di umano, come nelle sue fusa feline. Di una cosa però era sempre stato certo: quello era il suo posto e nessuno poteva sostituire la sua presenza, né l’intelligenza di Makoto, né le capacità di navigazione di Futaba.
I momenti in cui si sentiva meglio erano proprio quelli che passavano tutti insieme, tutti dentro al suo corpo trasfigurato nel camioncino con la coda e le orecchie, dove i suoi amici erano comodi e protetti, dove erano loro a guidare, ma era lui a tenerli uniti, lui a consentire loro di fuggire veloci e sicuri nel buio grazie alla vista felina data dai suoi fari.
Quanti combattimenti avevano fatto insieme prima che i suoi ricordi tornassero, e quante volte avevano inseguito le ombre attaccandole di sorpresa grazie a Morgana e alla velocità silenziosa della sua trasfigurazione. Grazie ai suoi fari nel buio, grazie alle sue conoscenze. In fondo lì sotto si era sempre sentito a casa al punto da provare nostalgia dei Memento quando non vi si recavano da un po’ di tempo.
Morgana aveva contribuito a distruggere la sua vecchia casa, l’aveva fatto per l’intera umanità anche se sapeva che forse non avrebbe più avuto la possibilità di fare ritorno al luogo in cui era nato. Quando Igor e Lavenza gli avevano presentato la possibilità di restare con loro nella Velvet Room e di continuare a vivere insieme a loro, come forma fisica della speranza dell’umanità, o di scegliere di tornare come semplice gatto nel mondo degli uomini, Morgana non aveva avuto dubbi: lui faceva parte dell’umanità. Era nato per concedere agli uomini una possibilità di salvarsi dalla fine imminente che la divinità impazzita aveva scelto di attuare e aveva svolto il suo ruolo con la speranza nel cuore che le cose si sarebbero risolte al meglio. Il destino lo aveva messo in contatto col Trickster, che era diventato per lui un motivo in più per continuare a lottare. Più volte si era chiesto se, conoscendo la verità, avrebbe abbandonato i suoi amici, sentendosi tradito dal suo creatore che gli aveva tenuto nascosta la verità, ma Morgana aveva sempre agito per l’umanità, più che per se stesso.

Quando il Joker tornò a casa da scuola, Morgana gli rivelò le novità e gli chiese di vedere il suo telefono. Come immaginava, però, non c’era traccia dell’applicazione di navigazione. Tutto quello che potevano fare era attendere notizie da parte di Futaba, che però tardavano ad arrivare.
“Non credi che sarebbe meglio se andassimo a Tokyo?” Gli chiese Ren quella sera, sembrava preoccupato. “Noi due ce la potremmo cavare anche entrando nel Metaverso da soli, ma Sumire e Yusuke potrebbero avere bisogno di una mano. Futaba non è molto d’aiuto nel combattimento e non vorrei che si trovassero in difficoltà.”
Morgana era d’accordo e accettò di partire per la capitale con Ren, che aveva convinto i suoi genitori a lasciargli prendere un paio di giorni di vacanza dalla scuola, approfittando degli esami appena conclusi e del suo ottimo rendimento. Gatto e ragazzo avevano quindi preso il primo treno per un viaggio imprevisto con lo scopo ufficiale di festeggiare il compleanno di Futaba, che lui aveva descritto in modo struggente come la sua sorella di Tokyo, che lui ormai considerava una parte della famiglia.
L’aria della città odorava in modo molto diverso da quella a cui Morgana si era abituato negli ultimi mesi in campagna: lo smog, il profumo del cibo e l’umidità accompagnate dal sottofondo musicale della stazione della metropolitana gli fecero provare un po’ di nostalgia. Ren sollevò il cellulare e richiamò la sua attenzione: l’applicazione di navigazione era apparsa. Se lo aspettava.
Con un cenno del capo, il ragazzo premette sul logo a forma di occhio e il mondo intorno ai due iniziò a cambiare.
“È incredibile!” Strillò Morgana nel constatare che il suo aspetto era tornato quello di un tempo.
"Bentornato, Mona Monster Cat.” Rise il Joker, “Avevo dimenticato come ti stesse bene quella bandana gialla.”
Il gatto rise, carico di adrenalina al pensiero che un nuovo mistero si era dipanato di fronte a loro, una nuova avventura per i ladri fantasma. Non fece in tempo a pensare che sarebbe stato bellissimo essere di nuovo tutti insieme, che un grido di gioia riempì il silenzio di quel luogo spettrale. “Joker! Mona!”
Lady Ann si lanciò contro Ren in un abbraccio, mentre Haru e Futaba si contesero Morgana. Makoto, Ryuji, Yusuke e Sumire erano di fronte a loro, increduli e felici.
“Non ho capito perché il Metaverso sia riapparso così all’improvviso, ma sapere che ci siete anche voi mi rende più serena.” Confessò Makoto.
“Adesso cosa possiamo fare?” Chiese Ryuji, osservando Morgana.
Lui sapeva cosa fare. Con fare teatrale sorrise. “Lasciate che ci pensi io,” disse, mentre il suo corpo felino si trasformava nel van. “Tutti dentro, scopriamo cosa è successo.”
Ren fu il primo a entrare. Il leader dei Phantom Thieves si accomodò nel retro, lasciando il volante a Makoto come sempre da quando si era dimostrata così abile nel guidare.
Ann si sedette di fianco a lei. “Mi ero dimenticata quanto fossero comodi i tuoi sedili, Mona!” Esclamò accarezzando il cruscotto.
Anche Haru si mise al loro fianco e depositò un bacio sulla pelle della carrozzeria. “Grazie, Mona-Chan, per prenderti cura di noi così.”
Se fosse stato umano, Morgana sarebbe arrossito, da furgone si limitò a far suonare il clacson. “Forza, tutti dentro, altrimenti vi lascio qui!”
Ryuji si accomodò di fianco al Joker. “Avete mai pensato a quanto sia inquietante questa cosa che entriamo dentro il gatto? Ogni tanto mi domando che cosa sto toccando e spero di non scoprirlo mai.”
“Affascinante,” aggiunse Yusuke sedendosi dal lato opposto. “In effetti non ci avevo mai pensato.”
Sumire sembrava un po’ restia a entrare, soprattutto dopo i discorsi di Ryuji che avevano fatto calare il silenzio, decise perciò di tentare di sollevare la tensione. “Che bello! Qui dentro c’è posto per tutti! Pronti per partire!” Si sedette di fianco a Ren, che non sembrava impressionato da quella sciocca frase di circostanza. Sumire non era mai stata brava a improvvisare.
“Siamo tutti dentro. Andiamo a scoprire cosa sta succedendo, Phantom Thieves!”
Di fronte alla richiesta del leader, Makoto premette l’acceleratore e il furgone iniziò a muoversi.
Fu in quel momento, mentre proteggeva la sua squadra ed insieme esploravano il Metaverso, che si rese conto di una cosa: mentre tutti loro erano dentro il suo corpo, lui era in grado di donare loro una piccola parte di sé, e probabilmente era la speranza che gli aveva dato forma. Ma anche loro gli donavano qualcosa: ne respirava l’umanità.
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One Shot
Fandom: Persona 5
Missing moment
Prompt: Lanterna
Partecipa al COWT 13


Amnesia
 

Morgana aveva aperto gli occhi per ritrovarsi in un luogo sconosciuto. Niente di ciò che vedeva gli era in alcun modo familiare. Conosceva solo il suo nome, che non gli si addiceva per niente, ma che gli piaceva nonostante fosse sempre stato associato a una donna.

Lui era un ragazzo, questo lo ricordava. 

Si sollevò dalla branda nella quale stava dormendo per cercare di capire dove fosse: la stanza era illuminata da due lanterne fioche ed era quasi del tutto vuota. Oltre alla branda e alle lanterne c’erano delle catene, una coperta logora e un catino con dell’acqua. Al posto di una delle pareti c’erano sbarre. Morgana era in una prigione.

Si alzò e cercò di guardare fuori dalle sbarre, ma c’era qualcosa che non andava sia perché ci vedeva un po’ troppo bene considerata la luce davvero scarsa, che perché era troppo basso. Quando si osservò le mani, però, lanciò un urlo di paura: erano zampe, come quelle di un animale.

Morgana prese una delle lanterne e si avvicinò al catino. Quello non poteva essere lui: un essere dal pelo bianco e nero con orecchie a punta, artigli sulle zampe e una lunga coda nera con la punta bianca.  Il suo aspetto era molto simile a quello di un gatto, ma a cercare una definizione forse sarebbe stato più corretto dire che era un mostro. Un gatto mostruoso.

Forse era vittima di una maledizione che l’aveva trasformato? 

“Tu non sei un gatto, sei speciale.” Una voce dentro la sua testa, qualcuno che conosceva, ma che non riusciva a inquadrare.

“Dovrai combattere, io posso aiutarti.” Sempre quella voce. 

Lenta, una lanterna si stava avvicinando. Morgana d’istinto si nascose nella cella.

Una delle guardie, un’Ombra con una lanterna in mano, si avvicinò alle sbarre.

Lo sentì armeggiare con le chiavi. “Gatto! Dove sei?” Una voce metallica, innaturale. Morgana sapeva che avrebbe dovuto aspettare che l’Ombra aprisse la porta per combatterlo e uscire di lì. 

Appena sentì i passi trascinati della guardia nella cella, il gatto saltò contro di lui. Fu allora che una parte delle sue memorie si materializzò al suo fianco: Zorro, la sua Persona, che mise a tappeto l’Ombra con un solo attacco magico per poi sparire veloce come era apparso. 

Morgana uscì di corsa dalla cella, ma la sua fuga terminò alle porte del castello, perché non c’era via d’uscita. Rimase di fronte al cancello aperto a osservare l’esterno per un tempo indefinito, conscio che quello che vedeva non era il mondo reale, ma il metaverso.

Cercava di ricordare, ma i suoi sforzi sembravano inutili. 

Non oppose resistenza quando le guardie, con le loro lanterne ondeggianti, lo catturarono per riportarlo alla sua cella. Decise che sarebbe rimasto lì fino a quando la memoria non fosse tornata o fino a quando qualcuno non fosse arrivato ad aiutarlo a capire chi fosse.

Solo con se stesso, a osservare la sua ombra mostruosa proiettata dalla luce della lanterna. Lui era umano, ne era sicuro. Doveva solo capire come fare a ritornare tale.



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Fandom: Persona 5
Personaggi: Ren Amamiya, Morgana, Phantom Thieves
Genere: introspettivo
Prompt: E invece no, Bugo
Partecipa al COWT11




Portare a casa la nostalgia





Le metropolitane vanno molto veloci

I giornali gratis

La radio

Le voci

Bella la campagna ma mi rende un po’ triste

(E invece no - Bugo)                                                                                     

 

 

 

Il ritorno a casa dopo l’anno passato a Tokyo era stato più pensante di quanto mai avrebbe potuto immaginare. Gli mancava tutto della città: la metropolitana, veloce e affidabile, grazie alla quale poteva andare da scuola a casa o ovunque desiderasse in pochi minuti; il caos e la musica che riempivano il centro commerciale alla stazione Shibuya, perfino gli assaggi gratuiti della panetteria e i giornaletti gratuiti, quasi sempre privi di notizie interessanti, che a volte prendeva per leggere qualcosa di leggero lungo il breve percorso in metropolitana.

Soprattutto, però gli mancavano i suoi amici.

Makoto, soprattutto, perché il legame che aveva stretto con lei molto più profondo. Avevano giurato di non lasciarsi nonostante la distanza, ma Ren sapeva che lei avrebbe messo al primo posto lo studio e si sarebbe impegnata per costruire il suo futuro anche se questo li avrebbe allontanati ancora di più. Anche lui si sarebbe impegnato per avvicinarsi a lei appena possibile, ma ci sarebbe voluto almeno un altro anno perché lui finisse la scuola. A volte sentiva Makoto al telefono ed era come se fosse lì con lui, parlavano per ore di ogni argomento possibile, ma quando si salutavano lui restava solo nel silenzio leggero della campagna.

 

Un tempo, da bambino, aveva odiato quel silenzio e la distanza dai compagni di scuola che era amplificata dal fatto che lui stava in una zona un po’ isolata. Invece doveva ammettere che gli era mancato davvero. Gli riusciva naturale concentrarsi nella casa in cui era cresciuto coi suoi genitori, con il profumo dei fiori che invadeva la sua stanza silenziosa, resa rumorosa solo dal frinire delle cicale. 

Più volte a Tokyo aveva sentito la mancanza di quel silenzio, soprattutto durante il primo periodo dopo il suo arrivo. Gli mancavano i suoi genitori, anche se provava anche rabbia nei loro confronti, convinto com’era che lo avessero abbandonato a se stesso, lasciando che andasse a vivere da Sojiro per un anno intero solo per avere una preoccupazione in meno a cui pensare. Solo dopo essere tornato aveva capito quando loro avessero sentito la sua mancanza. 

“Era stata una richiesta esplicita da parte di quell’avvocato per far sì che non prendessero altri provvedimenti, non abbiamo avuto scelta, ma ci sei mancato.” Gli aveva detto sua madre con la voce rotta dalla tristezza durante la prima telefonata che gli avevano fatto una volta arrivato a Tokyo. 

Glielo avevano detto anche prima che partisse, ma Ren era così arrabbiato allora che non aveva creduto a quelle che aveva definito scuse per mettere a posto la loro coscienza.

È strano come si desideri spesso ciò che non si ha. In quel momento Ren si vedeva in metropolitana ad attendere di arrivare a Shibuya, certo che lì, in mezzo al caos della stazione, avrebbe trovato Ann e Yusuke ad attenderlo con un sorriso, pronti a una nuova avventura o più semplicemente a mangiare qualcosa di dolce insieme.

Aveva stretto più amicizie nel corso di quel periodo di quante ne avesse mai avute e, anche se i suoi amici, Sojiro, Futaba e Makoto gli mancavano tanto, sapeva che non l’avrebbero dimenticato, come lui avrebbe sempre avuto un posto nel suo cuore per lui. 

“Cosa ci fai lì zitto a fissare il soffitto?” Morgana l’aveva strappato ai suoi pensieri.

“Niente, pensavo ai Phantom Thieves. Alla prossima volta che ci vedremo.”

Il gatto aveva ridacchiato. “Meno male che sono venuto con te, saresti perso qui altrimenti.” Ren si era messo a ridere, ma dentro di sé sapeva che era davvero così.

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Fandom: Persona 5
Personaggi: Morgana
Genere: introspettivo
Partecipa al COWT11, prompt:
 Cielo



Le cose che conosco

Come poteva conoscere il concetto di cielo se non l'aveva mai visto?
 

Morgana si era chiesto tante volte da dove arrivassero le sue memorie selettive: sapeva cosa fosse il tonno o come fosse fatto un umano. Da subito aveva ammesso con se stesso di avere le sembianze di un gatto, ma non ricordava di aver conosciuto e visto il mondo al di fuori del Palazzo nel quale Ren l'aveva trovato. Il Memento, invece, lo conosceva come le sue tasche.

La prima volta che era uscito dal palazzo, Morgana aveva faticato a mantenere il suo comportamento sicuro di guida nei confronti dei due umani, perché si era ritrovato in un luogo che lui in qualche modo conosceva, ma che gli era nuovo, anche se non l'avrebbe mai ammesso coi suoi due nuovi amici. Erano amici? 

L'aria fresca gli solleticava la pelliccia e gli odori si mescolavano nelle sue fini narici di felino. 

Il mondo era vivo e Morgana poteva percepire le persone, gli animali e la natura attorno a lui. 

Ciò che lo aveva stupito da subito, però, era stato il cielo: la prima volta che ricordava di averlo visto era azzurro, limpido e infinito. Un colore che era convinto di non avere mai visto prima e che gli dava un senso di pace e di gioia che non si spiegava. Non riusciva neppure a immaginare la pioggia e le nuvole minacciose dei temporali, ma sapeva che esistevano. Poi, la prima volta che aveva sentito la pioggia, era rimasto immobile a osservarla cadere per qualche ora, a sentirne l'odore così unico, cercando di ricordare da dove arrivasse quella memoria del suo passato.


Per quanto si fosse sforzato di sembrare forte e sicuro di sé, la verità però era che si doveva arrendere, perché non avrebbe trovato risposta. Forse era sempre stato un gatto. Forse era nato nei Memento e non avrebbe mai avuto una normale esistenza come essere umano. Forse Lady Ann non l'avrebbe mai guardato come un uomo.


Morgana sentiva che il suo destino era di essere lì: a guardare le nuvole nel cielo fuori dalla finestra al primo piano del Le Blanc mentre aspettava che Ren tornasse a casa, magari con un bel pezzo di tonno per il lui. 

Qualunque cosa fosse successa, finché fosse vissuto non avrebbe dimenticato i Phantom Thieves, i suoi amici. Sospirando, Morgana aveva trascinato la coperta sotto la finestra e si era acciambellato a guardare ancora un po' il cielo.


Non mancava molto alla fine della loro missione e se il collegamento tra il Metaverso e il mondo reale fosse svanito, anche lui forse avrebbe fatto la stessa fine. Non poteva saperlo, ma avrebbe combattuto con i Phantom Thieves fino alla fine. Era ciò che desiderava, Morgana si sentiva finalmente felice.

 

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Ricordi di un ladro fantasma
Ricordi di una vita tranquilla


Fandom: Persona 5
Personaggi: Ren Amamiya, Morgana, Phantom Thieves, Genitori di Ren
Prompt: scambio di persona. Cosa succederebbe se il Joker un giorno si risvegliasse nella casa dove ha sempre vissuto coi suoi genitori e scoprisse che non è mai stato il leader dei Phantom Thieves? E se l'altro Ren, quello che invece ha sempre avuto una vita normale si risvegliasse di fianco a un gatto parlante? Chissà se alla fine sarebbero contenti dei loro destini
Partecipa al COWT10



 

 

Al suo risveglio, Ren si sentiva più stanco di quando era andato a dormire, eppure non aveva neanche messo la sveglia per quella domenica di tranquillità.

Aveva promesso a Futaba che sarebbero andati al cinema insieme, lei aveva già un film in mente e di certo sarebbe stato qualcosa di avventuroso con dei robot da qualche parte.

Si era alzato in piedi con l’idea di controllare la televendita di Tanaka e poi di correre a farsi una doccia per poi essere tranquillo e libero.

Solo che quello non era il suo solito letto e lui non era al Leblanc: era nella casa dove aveva sempre vissuto coi suoi genitori. Si alzò di scatto per accendere la luce e ne ebbe la conferma.

Scese le scale circospetto per trovarsi di fronte ai suoi genitori che come se niente fosse stavano preparando la colazione.

“Bevi un caffè, Ren? Oggi abbiamo preparato la colazione all’americana: pancake! Sei contento?”
Il ragazzo era immobile come uno spaventapasseri, la bocca aperta alla ricerca di qualcosa da dire. “Grazie,” rispose, sedendosi senza riuscire ancora a riordinare i pensieri.

Che fosse impazzito? Che stesse sognando?

A pensarci bene sembrava più un sogno la sua vita a Tokyo con i Phantom Thieves.

“Ma che giorno è?” Domandò fissando sua madre.

“Ren, stai bene? Sei pallido e mi sembri quasi sul punto di svenire.”

“Sono… confuso. Ma il processo come… devo andare a Tokyo?”

Sua madre si mise a ridere. “Ma cosa stai dicendo? Ma quale processo? Devi avere fatto un bel sogno interessante.”

 

E la sua Persona? La Velvet room che fine avevano fatto? Non poteva aver perso mesi della sua vita senza averne neppure il ricordo, eppure pareva proprio fosse così anche se il calendario gli diceva che esattamente il giorno che si aspettava che fosse. Era forse finito in un’altra dimensione? E se lui era lì, chi c’era al suo posto?

Si era messo a ridere al pensiero del nuovo Ren e al suo risveglio di fianco a Morgana, chissà che colpo poteva aver preso. Sperava che non fosse fuggito urlando dalla stanza pensando di essere vittima di uno scherzaccio di cattivo gusto.

Si chiedeva solo se era ancora in grado di invocare le Persona. Le sentiva a pensarci, doveva solo trovare un palazzo o il memento della sua città, sempre che esitesse.

 

Aveva iniziato a girare il paese subito dopo colazione. Si era concentrato nella ricerca di un qualsiasi indizio e aveva installato l’app, ma nulla era apparso.

Quando aveva iniziato a perdere tutte le sue speranze aveva visto qualcosa che l’aveva fatto sperare, però.

Aveva seguito la ragazza bionda correndo fino a quando si era trovato di fronte alla porta della Velvet room. Justine e Caroline gli sorridevano. “In questa realtà non hai ancora fatto il patto, puoi scegliere. Se entrerai nella velvet room di tua volontà però il tuo destino sarà deciso, e non sarà la storia che hai già vissuto, ma un’altra storia diversa, con persone diverse. Non puoi tornare indietro ormai.”

Il Joker era solo Ren. Avrebbe potuto continuare a vivere la sua adolescenza preoccupandosi solo dei problemi che un comune studente doveva affrontare. Non c’era stato il processo e questo significava che il se stesso di cui aveva preso il posto aveva ignorato le richieste di aiuto di quella ragazza, evitando di scontrarsi con l’uomo che poi l’aveva denunciato.

Lui però era diverso, lui non si sarebbe seduto comodamente a lasciarsi guidare dalle decisioni altrui. Nonostante i rischi che ben conosceva avrebbe aperto quella porta e avrebbe compiuto il suo destino. In fin dei conti non c’era più Ren senza il Joker.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ricordi di una vita tranquilla

 

 

 

 

Ren si era svegliato in un luogo sconosciuto. L’unico essere vivente nella stanza oltre a lui era un gatto nero che dormiva sul letto al suo fianco. Che fosse un sogno? Si era vestito in tutta fretta e aveva iniziato a impacchettare le sue cose quando aveva sentito una voce.

“Ren, ma dove vai?”

Il ragazzo aveva sussultato e si era voltato ancora più confuso. Non c’era nessuno dietro di lui, solo il gatto. Infatti l’animale lo stava guardando seduto sul letto. “Ma che ti prende oggi?”

Aveva urlato con tutto il fiato che aveva in gola. Il gatto aveva parlato.

“La vuoi smettere di fare il cretino? Ren, smettila di urlare adesso! Hey, che succede?”

“Ma tu chi sei? Dove sono?”
“Ma sei ubriaco? Io sono Morgana, tu sei Ren e sei a Tokyo, al Cafè LeBlanc, dove vivi.”

“Io non abito a Tokyo… E questo deve essere un sogno.”

Morgana aveva sospirato. “Ok, allora è un sogno. Siediti sul letto, prendi il tuo cellulare e guardalo.”

Ren aveva seguito gli ordini del gatto. Le fotografie nel suo telefono gli mostravano una vita che non conosceva, che non ricordava e della quale era francamente un po’ spaventato. I messaggi allo stesso modo sembravano scritti in codice visti gli argomenti assurdi che trattavano.

Futaba era arrivata in pochi minuti e aveva cercato di capire cosa fosse successo, ma non ci era riuscita neppure lei. “È come se tu venissi da un’altra dimensione nella quale Ren non è mai arrivato a Tokyo e non ha mai risvegliato i poteri delle sue Persona. Chissà se saresti ancora capace di invocarle? Ma soprattutto, chissà se esiste ancora il Memento.”

Morgana era intervenuta. “Certo che esiste, non so se sarei qui altrimenti.”

I due avevano iniziato a parlare senza che Ren riuscisse a capire una parola dei loro discorsi: memento, palazzi, persona, tesori da rubare e cuori da prendere, phantom thieves e altre sciocchezze che non riusciva neppure a ricordare. “Scusate.”

Li aveva interrotti. “Mi aiutate a capirci qualcosa? Io penso ancora che sia tutto troppo assurdo per essere vero.”

Futaba aveva scritto qualcosa sul cellulare a velocità impossibile e il suo telefono aveva vibrato. “Andiamo nel Memento e vediamo cosa succede. Ho chiamato gli altri.”

 

Gli altri erano di certo molto più normali del gatto e della ragazza nerd stranissima che aveva già conosciuto. Ren si era stupito nel constatare che a combattere ci fossero due ragazze all’apparenza bellissime, un teppista ossigenato e un ragazzo che sembrava non voler stare lì con loro.

Al segnale dato da Morgana erano stati trasportati magicamente in un luogo assurdo.

“Almeno ha la maschera,” aveva osservato Futaba, ancora irritata per aver perso il suo Ren.

Il ragazzo si stava guardando intorno spaesato ed era impallidito quando si era accorto che anche i suoi abiti erano cambiati. Si stava toccando la faccia per cercare di capire cosa avesse addosso. “Eccoci al Memento, e siamo solo all’inizio. Ora vediamo se sai combattere.”

Non era facile per lui stare lì in mezzo a quegli strani ragazzi, ma dopo avere provato a resistere alle storie di Morgana e di Futaba aveva deciso di concedere loro il beneficio del dubbio. I documenti che attestavano il processo di cui non aveva memoria, poi, l’avevano convinto che forse era vero che veniva da un’altra realtà.

Il messaggio che aveva mandato ai suoi ne era stato la conferma. Di fronte al suo “come state” avevano risposto chiedendo come andava a Tokyo e gli avevano detto quanto fossero entrambi in attesa di aprile per poterlo riabbracciare finalmente.

 

Aveva seguito i ragazzi lungo le scale. “Vedrai, sono sicura che combattere ti risulterà naturale, sei sempre stato il più forte tra noi.”

Ren aveva fatto un salto quando il gatto si era trasformato in un pulmino, o forse era un camioncino, ma era salito insieme agli altri. Dopo meno di un minuto si erano trovati di fronte a una creatura orribile. “Ecco un’ombra, preparati.” Aveva detto Makoto guardandolo con speranza.

Gli altri avevano evocato quelle che loro avevano chiamato Persona, e lui era rimasto lì immobile.

“Joker, vai, combatti con noi.”

Ren aveva preso coraggio e aveva cercato dentro di sé la forza per invocare la sua Persona. Non era stato facile riuscire a sentire la capacità di riuscirci, qualcosa di nuovo e di stranissimo, ma quando aveva iniziato a pensare all’invocazione era successo tutto in modo naturale.

La Persona era apparsa e lui si era sentito strano. Quell’essere separato da lui era come se fosse parte della sua stessa anima. Agiva come un prolungamento della sua volontà.

Ren aveva lanciato il colpo di grazia sull’ombra e alla fine del combattimento era rimasto a fissare la Persona, quell’essere che sentiva di conoscere e che non aveva mai visto prima. E quando era scomparsa, o l’aveva lasciata andare, ancora non capiva bene come funzionasse, si era sentito un eroe.

“Lo facciamo ancora?” Aveva chiesto rivolto agli altri Phantom Thieves, che lo stavano osservando con sguardo interrogativo.

“Come ti senti?” Aveva chiesto Ann.

“Benissimo, è una sensazione unica e non vedo l’ora di imparare a combattere.”

Avevano continuato ad allenarsi per qualche ora, fino a quando Ren non aveva iniziato a prendere confidenza con tutte le Persona che poteva controllare.

 

Al loro rientro gli altri ragazzi erano sembrati poco entusiasti. “Scusaci,” aveva detto Ryuji. “Tu sei diverso dal Ren che abbiamo conosciuto noi, ma sei come lui. Ora non sappiamo bene se sperare che tu resti o che torni il vecchio Ren e che tu riacquisisca la tua vecchia vita.”

“Capisco,” Aveva risposto Ren. “Se anche dovessi tornare alla mia vecchia vita, credo che verrei comunque a cercarvi, ora che so che questo mondo esiste.”

Quella notte Ren era andato a dormire presto, stanco a causa dei combattimenti. Morgana si era messo al suo fianco come sempre, ma sembrava inquieto.

“Credi che tornerò alla mia vecchia vita al mio risveglio.”

“Non ne ho idea,” aveva risposto il saggio gatto. “Comunque vada sono stato contento di averti conosciuto, spero solo che non arrivi un altro Ren ancora domani, perché ho fatto una fatica a spiegarti tutto oggi e non vorrei ripetere l’esperienza.”

Ren si era messo a ridere, ma sentiva dentro una strana amarezza: desiderava avere indietro la sua vecchia vita, ma non avrebbe lasciato questa, della quale aveva potuto assaporare un solo assaggio che non gli era bastato per niente. Non poteva immaginare di tornare un ragazzo semplice di provincia ora che sapeva che avrebbe potuto essere il Joker, il leader del gruppo dei ladri di cuori che con il loro potere stava rendendo il mondo un posto migliore.

In cuor suo sapeva che in ogni caso quell’esperienza sarebbe stata per sempre parte di lui e un po’ si dispiaceva al pensiero dell’altro Ren, che probabilmente in quel momento stava solo studiando.

 
 
quistisf: (Default)
Unite nello spirito
Memory loss
L'isola felice
La beffa
Istinto felino
Battle Royale
You in the dark




Fandom: Persona5
Personaggi: Twin Warden, Morgana, Ann, Ryuji, Kawakami
 
Justine e Caroline erano una cosa sola, entrambe lo sapevano, perché pensavano all’unisono e ciascuna sapeva sempre cosa l'altra avrebbe detto.
Erano gemelle, entrambe pensavano fosse per questo che non avevano mai bisogno di esprimere le loro idee e i loro sentimenti con la voce, perché loro comunicavano attraverso lo spirito.
Anche i dubbi dell'ultimo periodo sembravano averle assalite nello stesso momento.
A entrambe il comportamento di Igor pareva strano e, anche se sapevano che non avrebbero dovuto mettere in dubbio il loro maestro, non avevano potuto evitare di guardarsi a lungo negli occhi, ponendo quella domanda: è sempre stato così?

 
 
Quando avevano aperto gli occhi, era bastato un istante a entrambe per sentire la presenza dell’altra.
La ragazza si era rivolta verso la gemella conscia che l’unica cosa che sapeva era che loro dovevano stare insieme, qualunque cosa fosse successa.
“Tu ti ricordi qualcosa?”
“No, neppure il mio nome. So solo che siamo sorelle.”
Si erano fatte forza e si erano alzate in piedi, avevano notato i loro abiti: erano divise da guardie e intorno a loro c’erano delle celle. Che quella fosse una prigione? C’era qualcosa che non quadrava in quel loro risveglio, prima o poi insieme avrebbero capito cosa fosse.


 
 
 
 
Sadayo andava spesso a pescare, la rilassava.
Ne approfittava quasi sempre per leggere un libro tra quelli che aveva da parte, visto che la sua biblioteca personale continuava ad arricchirsi e lei tra la scuola, il secondo lavoro, gli impegni extra e i lavori di casa che si accavallavano sempre, non sarebbe mai riuscita a occuparsi della lettura nel suo appartamento, perché c’era sempre qualcosa di più importante da fare. Lì invece aveva iniziato a farsi una certa reputazione e in molti andavano a chiederle consigli. A lei piaceva restare in quel luogo e spesso non usava neanche l’esca, prendeva solo il pesce che poi avrebbe consumato e per il resto si rilassava e si lasciava andare alla lettura. Era la sua isola felice.


Gli avevano detto che gli avrebbero portato del sushi e Morgana non riusciva a evitare di sbavare al solo pensiero. Il suo tonno, poteva immaginarne il profumo e la fragranza. Poteva sentirlo sciogliersi sulla sua ruvida lingua felina.
Quando Ren, Futaba e il Boss erano entrati dalla porta, Morgana li stava aspettando seduto sullo sgabello, la coda vorticante di desiderio come un serpente. Ma l'espressione del Joker non gli diceva niente di buono.
"Mi dispiace, non avevamo più soldi... si è mangiata tutto lei."
Il gatto era deluso e furibondo. Era la seconda volta che capitava, la prima le cose erano andate in modo imprevedibile e lui aveva perdonato, ma questa volta non avevano scuse.
Futaba si era avvicinata a Morgana e gli aveva fatto qualche carezza, per poi dargli qualche pizzicata sul muso. "Mona, mi farò perdonare, te lo prometto!"
"E va bene, cos'altro posso fare?" Da gatto non poteva certo andare al ristorante a comprarsi del sushi, in fin dei conti.
Sconsolato, era sceso dalla sedia e si era accontentato di un vecchio pacco di crocchette al tonno.
 
 
A Morgana non era piaciuta per niente la gita sulla spiaggia. Forse era la sua parte felina a fargli odiare l’acqua e la sabbia che scottava bollente sotto le sue zampe, era però vero che la sua parte umana invece aveva apprezzato la rilassatezza del luogo e le ragazze in costume.
Morgana si stava annoiando così tanto che aveva deciso di fare un giro sul bagnasciuga, dove l’aria era meno asfissiante. I suoi occhi di felino erano stupido stati attirati da un granchio che stava imprudentemente muovendosi verso di lui.
Quando aveva avvicinato il muso per annusarlo, col solo intento di conoscerne l’odore, il granchietto gli aveva pizzicato il naso con decisione. Morgana aveva miagolato, infastidito. Chiunque avesse capito davvero le sue parole, avrebbe sentito i suoi variopinti insulti alla bestiolina.
Era in momenti come quello che Morgana si convinceva di essere un umano, un vero gatto si sarebbe mangiato quel piccolo tesserino fastidioso. Lui, invece, l’aveva lasciato andare via.




Battle Royale!AU
 
Ann si era nascosta in cima a un albero, non riusciva a pensare a cosa le sarebbe potuto succedere se lui l’avesse vista. Ormai erano rimasti solo in due: lei e Ryuji, il suo amico d’infanzia che probabilmente l’avrebbe uccisa appena l’avesse individuata.
Lei non avrebbe mai potuto, lei sarebbe morta pur di non spezzare la sua vita. A volte si era chiesta cosa sarebbe successo se fossero stati solo loro due a sopravvivere, ma non era stata in grado di rispondere.
Sperava che lui ricordasse che loro erano anime gemelle, fatte per stare insieme, per non farsi mai del male.
In quel momento Ann aveva incrociato il suo sguardo. Lui aveva alzato le mani, abbandonando le armi ed era corso verso di lei.
Forse sarebbero morti insieme, ma nessuno dei due avrebbe mai potuto interrompere volontariamente la vita dell’altro.
 




Midnight Channel!AU
Gli sembrava che fosse davvero una sciocchezza, ma Ryuji si era sempre chiesto se lui, che non era mai neanche riuscito a provare a invitare fuori una ragazza, avesse un'anima gemella. Quella notte pioveva e lui non riusciva a dormire.
Tanto valeva che ci provasse.
Si era messo a fissare la televisione spenta, fino a quando d'un tratto non vi aveva visto una figura lontana, con dei lunghi capelli biondi. Aveva capito subito chi fosse: Ann era sempre più vicina, al punto che temeva potesse uscire dallo schermo. E invece era svanita così com’era arrivata.
Ryuji era rimasto a fissare il nero della televisione con la bocca aperta. Non poteva crederci, ma a pensarci bene era felice che fosse lei.

Haru

Mar. 29th, 2019 07:23 pm
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Fandom: Persona 5
Personaggi: Haru Okumura, Morgana
Parole: 1901
Partecipa al COWT9
Prompt: L'imperatrice


 
Haru

Suo padre era sempre stato bravo a tenerla fuori dalle politiche aziendali, ma se da piccola ovviamente Haru non era interessata a quell'ambito della vita del padre e non avrebbe mai voluto essere coinvolta, nell'ultimo periodo avrebbe usato ogni mezzo per parlare con lui e per sentirsi adeguata a quella vita che lui le stava regalando.

Si sentiva una specie di eletta in quel mondo ovattato e comodo nel quale lui le dava ogni cosa che lei desiderasse, almeno quando si parlava di cose, di oggetti.

 

Haru si sentiva sola. A tavola la sera si sentiva come le principesse nei film, quando vorrebbero mangiare insieme al principe, allegramente, e invece sono costrette a tenere addosso il corsetto, a moderare voce e appetito e a stare a distanza da tutti.

Haru era intrappolata in quella vita: regina di un impero che non desiderava, ma del quale comunque andava orgogliosa.

La mamma da piccola le aveva raccontato come suo nonno avesse creato il suo impero, le aveva parlato di un uomo con un sogno, di una persona grande, dall'animo pulito. Sul cuore di suo padre non poteva certo dire niente di positivo, lo considerava nero e torbido come il caffè. Certo, era presente economicamente e si vedeva che desiderava che lei stesse al sicuro, ma al sicuro per lui aveva sempre lo stesso significato: economicamente al sicuro.

A Haru non interessava avere ancora più denaro, ogni tanto si chiedeva quanto ci avrebbe messo a spenderlo tutto se avesse deciso di acquistare tutto ciò che desiderava, ma dopo averci pensato bene era giunta alla conclusione che non avrebbe mai potuto farlo, neanche se si fosse impegnata a fondo nel tentare.

Desiderava avere degli amici, ma non pareva che ci fossero persone adatte a lei, o almeno questo era quanto continuava a ripetere suo padre. Lei aveva degli amici, però: le sue piante e i suoi fiori a scuola, che non le chiedevano continuamente di quanto fatturasse la sua azienda e che non le stavano vicini per avere un tornaconto personale.

 

Aveva capito che qualcosa non andasse in suo padre già da molto tempo, ma la conferma era avvenuta solo quando aveva sentito una sua telefonata nella quale egli affermava che si sarebbe spinto a tutto pur di aumentare i profitti.

 

Da un po' di tempo lei aveva già notato come la qualità nella catena di loro proprietà fosse calata in modo drastico: come i lavoratori un tempo felici e sorridenti si fossero trasformati in stanchi automi senza desiderio di continuare a lavorare per loro. I dipendenti nell'ultimo periodo cambiavano continuamente, tanto che quando era entrata nessuno l'aveva salutata col suo nome, nessuno la conosceva. Per un attimo aveva pensato di poter vivere un secondo da ragazza comune in quel luogo che lei conosceva bene. Aveva ordinato un caffè e aveva chiesto alla ragazza che l'aveva servita come fosse lavorare lì. La dipendente aveva esibito un sorriso tirato e aveva confermato che nonostante fosse stancante il lavoro fosse estremamente soddisfacente. 

Haru aveva capito che mentiva dagli occhi della ragazza, ma non aveva chiesto altro, pensando che magari poteva essere stata addestrata a mostrarsi sempre felice ed entusiasta per il lavoro.

La cosa le era parsa triste, ma lei era abituata alla tristezza, soprattutto da quando suo padre l'aveva trattata una volta di più da principessa e le aveva imposto una scelta amorosa, un decisione aziendale a suo dire, che la metteva nella pessima posizione di dover avere a che fare con quel ragazzo tanto elegante e bello quanto meschino e violento.

Lo odiava. Il solo pensare a lui le faceva scendere brividi freddi lungo la schiena e sulle braccia. Non poteva neanche immaginare di farsi toccare dalle sua mani morbide, che lei sentiva ruvide come carta vetrata. Quel sorriso, poi. Era così difficile per lei identificare qualcosa che ricordasse la gioia in quella smorfia di crudeltà e di egoismo che gli vedeva costantemente stampata in faccia.

Suo padre in quel periodo le ricordava proprio lui, anche per questo odiava che le si avvicinasse. Solo che mentre il signor Okumura non le concedeva mai neanche un minimo contatto fisico, e lei a volte avrebbe tanto avuto bisogno di un abbraccio o un comportamento da padre, pareva che quel maiale pareva non desiderasse altro. Le sue mani erano sempre invadenti e quando lei diceva no, lui sembrava quasi felice nel dimostrarle che se proprio avesse voluto farlo, avrebbe potuto continuare a suo piacimento, che si fermava per rispetto nei confronti della sua futura moglie.

 

Il matrimonio combinato era stato troppo e l’aveva spinta a reagire.

Stava camminando per strada, era appena stata a incontrare suo padre al lavoro, dove alla fine in realtà non era neanche riuscita a parlare con lui visto che era arrivato un tizio importante, forse un politico, che aveva avuto la meglio sulla figlia. Sugimura all’inizio si era offerto di accompagnarla a casa, ma lei piuttosto sarebbe andata a piedi e con una scusa era riuscita a evitarlo.

 

Lungo la strada aveva visto quel gatto, che girava lì intorno come se stesse cercando qualcosa. Il comportamento dell’animale era strano, sembrava che stesse cercando un luogo particolare o un modo per entrare, Haru si era stupita di quanto a guardarlo le ricordasse un essere umano.

Si era quindi avvicinata al gatto e all’improvviso era avvenuto un fatto stranissimo: il mondo attorno a lei era mutato e lei aveva visto quella enorme astronave.

Aveva urlato, terrorizzata stava cercando una spiegazione a quella strana allucinazione, ma era sicura di non essere sotto l’effetto di droghe o di alcool, l’unica soluzione possibile era che fosse svenuta, o peggio… forse era stata rapita dagli alieni, anche quella poteva essere una soluzione.

Poi aveva visto quella strana figura, sembrava comunque simile a un gatto e avrebbe potuto giurare di essere convinta che quello fosse lo strano animale che stava seguendo.

“Non gridare, per favore.” l’essere si era avvicinato e sembrava preoccupato per lei. “Mi spiace averti trascinata qui dentro. Ora ti riporto fuori.”

“Che posto è questo?” Haru era terrorizzata, ma pensava che forse non sarebbe stato male essere rapita dagli alieni ed essere costretta a cambiare vita, a non avere più niente a che fare con il suo vecchio mondo ricco di sfarzo e povero di libertà. Si era messa a piangere: “Voglio stare qui, non mandarmi via.”

Attirate probabilmente dalle urla di  Haru, erano arrivate alcune creature che poi la ragazza avrebbe saputo essere le ombre. Il gatto l’aveva protetta all’inizio e la ragazza aveva capito subito perché lui la volesse allontanare da quel posto: era pericoloso. Lei però era davvero stanca di sentirsi così poco utile, qualcosa in lei gridava per uscire. 

“Non preoccuparti, non ti succederà nulla.” Il felice sembrava sempre più stanco, ma combatteva con forza e decisione, Haru lo ammirava dal profondo del cuore per il modo quasi divertito che aveva di continuare a incitarla tra un attacco e l’altro. Era solo colpa sua se li avevano trovati e lei lo sapeva perché se non avesse urlato il suo difensore sarebbe passato, forse, inosservato. Forse avrebbe potuto anche scappare se non avesse dovuto difendere lei. Non poteva permettere che gli succedesse qualcosa.

“Ne mancano pochi.” 

Non era vero. Erano parecchi. La voce nella testa della ragazza continuava a ripeterle di accettare il suo destino, di smetterla di comportarsi da damigella in difficoltà e di cominciare a decidere da sola per il suo futuro. Smetti di fare la principessa, sei un’imperatrice!

All’improvviso si era sentita un fuoco arderle ovunque, come se una parte di lei stesse prendendo vita, come se fino a quel momento avesse solo dormito.

Non capiva come fosse successo, ma un essere soprannaturale, la sua Persona, aveva iniziato a combattere al suo fianco, come fosse una parte di lei. Haru non si sentiva ancora pienamente risvegliata, aveva capito che quello era solo l’inizio.

 

Dopo il combattimento il gatto l’aveva invitata a correre lontano da lì e l’aveva portata fuori.

Haru all’inizio aveva fatto fatica a comprendere cosa fosse il Metaverso e perché si fosse trovata lì con quello strano essere. Avesse parlato di quelle cose a qualcuno l’avrebbero presa per pazza. Stava chiacchierando con un gatto, era assurdo. Ancora più assurdo era il discorso che le stava facendo: quel posto strano dove avevano combattuto era il mondo cognitivo di suo padre, creato da lui. Haru aveva capito che qualcosa non andava in quel mondo e aveva iniziato a fare domande specifiche a Morgana, gli aveva chiesto cosa comportassero i combattimenti.

Aveva capito che il gatto era stato un membro dei Phamtom Thieves e che li aveva lasciati perché loro non avevano un obiettivo comune.

“E quale sarebbe il tuo obiettivo?"
“Devo ritrovare la mia vera forma fisica. Io… sono un essere umano.” Haru provava simpatia e affetto nei confronti di quel tenero esserino che in realtà sembrava essere meno indifeso e più esperto di lei, aveva provato il desiderio di aiutarlo, sì, ma anche di aiutare suo padre a cambiare.

“Quindi se noi rubassimo il suo Tesoro, lui cambierebbe. Come è successo agli altri, vero?”

“Sì. Smetterebbe di cercare di mantenere il suo desiderio distorto e cambierebbe.”

“Allora voglio rubare il suo tesoro. Voglio che il suo cuore cambi…” 

“Ti dovrai allenare se vuoi combattere ancora, ma ti posso aiutare, ti posso insegnare.” 

“Certo, sono disposta a fare tutto ciò che serve per aiutare mio padre, e per aiutare te a ritrovare la tua forma, anche. Grazie per tutto quello che hai fatto fino ad oggi.” Haru era sempre stata molto formale e non era sicura di come avrebbe dovuto comportarsi al di fuori di quella formalità, anche se si sentiva un po’ strana a inchinarsi di fronte a un gatto, il rispetto per quella creatura per lei andava al di là della sua forma animale, era chiaro che Morgana fosse un essere speciale e che Haru avrebbe potuto finalmente cambiare la sua vita, ritrovare la sua libertà grazie a lei.

Morgana le aveva dato la zampa e la ragazza l’aveva stretta. Si erano fatti una promessa.

 

 

 

Le cose purtroppo non erano andate come previsto. Suo padre non c’era più e Haru non sapeva cosa fare, cosa dire. Si era ritrovata improvvisamente da sola e non era sicura che la sua morte fosse del tutto collegata a ciò che lei aveva fatto coi Phantom Thieves. Tutti continuavano a scriverle, a chiederle come stava e se volesse parlare o stare con loro. Ma Haru aveva solo bisogno di stare da sola a capire cosa potesse fare. In quei giorni si era accorta che suo padre era cambiato, non vedeva l’ora di poter finalmente pranzare con lui, da soli, senza parlare solo di soldi o dell’a Big Bang Burger. Non vedeva l’ora di uscire con lui, di andare in vacanza insieme, magari. Invece non sarebbe mai successo niente di tutto questo e lei continuava a incolparsi per questo e per aver convinto tutto il gruppo a prendere parte a quella missione così egoista. 

Avrebbe scoperto chi fosse il vero colpevole e gliela avrebbe fatta pagare per tutto il dolore che aveva causato e non solo a lei.

L’inizio della sua nuova vita però sarebbe arrivato nel momento in cui lei fosse riuscita a rendersi la vera artefice del suo futuro. Avrebbe cominciato a porre le sue regole, non sarebbe più stata la principessa in difficoltà, Haru era l’imperatrice e soprattutto adesso che aveva Milady al suo fianco sarebbe riuscita a comportarsi come tale.


Alone

Mar. 16th, 2019 10:40 pm
quistisf: (Default)
 

 

Fandom: Persona 5

Personaggi: Morgana

Partecipa al COWT9

Prompt: fuga

Parole: 521

 

Alone

 

Da quando era arrivata Futaba, Morgana si sentiva completamente inutile. 

Le sembrava che ormai tutti tenessero in considerazione molto di più le opinioni di Makoto e la guida di Futaba, che era così portata da rendere Morgana tutt'altro che necessario. Nonostante avesse l'esperienza dalla sua e fosse così speciale.


Anche se tutti lo trattavano come un membro dei Phantom Thieves, Morgana si sentiva tutt'altro che integrato e si era reso conto che la differenza tra lui e gli altri era sempre più marcata. Morgana aveva un fine diverso da tutti gli altri che sembravano cercare di rendere migliore il loro mondo; voleva tornare in possesso dei suoi ricordi, sapere come fosse arrivato in quel mondo e soprattutto sapere perché era un gatto, per quale motivo sapeva tutte quelle cose sul Metaverso.


In tutto quel tempo le sue domande continuavano a non trovare risposta e Morgana era sempre più frustrato anche perché sembrava che tutti stessero migliorando tranne lui, che sempre più spesso non riusciva a dare risposta alle loro domande sempre più specifiche, sempre meno frequenti.


I sogni erano sempre più frequenti e per quanto ci provasse il significato continuava a essergli ignoto. Non aveva fatto neanche mezzo passo avanti nella sua ricerca della verità e tutti gli indizi che gli arrivavano lo portavano verso una verità che non gli piaceva e che non avrebbe mai accettato, perché non poteva essere la verità: lui doveva essere un essere umano, era l'unica certezza che aveva.


Aveva preso la decisione di andarsene già da qualche giorno, quando effettivamente aveva trovato il coraggio di andarsene. Morgana avrebbe voluto parlarne col Joker, spiegargli le sue motivazioni, anche per evitare che si preoccupasse troppo per lui, ma non aveva avuto il coraggio di parlare, non riusciva a pensare di salutare tutti perché sapeva che se avesse manifestato le sue intenzioni, avrebbero provato a fermarlo. Lui non voleva che questo accadesse. Voleva soltanto cercare la sua strada, cercare quantomeno una risposta a tutte le sue domande, ne bastava una. Doveva trovare un senso nella sua esistenza e stando con loro, tutti insieme, non ce l'avrebbe fatta. 


Morgana se n'era andato quando nessuno avrebbe potuto fermarlo, conscio del fatto che questo suo comportamento li avrebbe fatti preoccupare. Per un attimo, pensando a Lady Ann, aveva considerato l'idea di restare, ma non poteva farlo, era il momento di pensare a se stesso e di dimostrare una volta per tutte il suo valore, perché lui era in grado di fare da solo tutto ciò che loro facevano in gruppo. L'avrebbero visto, l'avrebbero capito. 


Un gatto da solo in città non era esattamente autonomo, lo doveva ammettere. Girare in mezzo alle auto non era divertente e Morgana continuava a pensare quanto fosse comodo per lui, pigro di natura, girare nello zaino del Joker.

Non era il momento di pensare alla comodità: doveva andare a prendere il tesoro del palazzo di Okumura e l'avrebbe fatto da solo. Avrebbe superato i suoi limiti per dimostrare a tutti che lui era speciale, che lui era molto di più di quello che credevano.

Avrebbe ritrovato se stesso combattendo da solo, sarebbe tornato umano molto presto.

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