Haru

Mar. 29th, 2019 07:23 pm
quistisf: (Default)
Fandom: Persona 5
Personaggi: Haru Okumura, Morgana
Parole: 1901
Partecipa al COWT9
Prompt: L'imperatrice


 
Haru

Suo padre era sempre stato bravo a tenerla fuori dalle politiche aziendali, ma se da piccola ovviamente Haru non era interessata a quell'ambito della vita del padre e non avrebbe mai voluto essere coinvolta, nell'ultimo periodo avrebbe usato ogni mezzo per parlare con lui e per sentirsi adeguata a quella vita che lui le stava regalando.

Si sentiva una specie di eletta in quel mondo ovattato e comodo nel quale lui le dava ogni cosa che lei desiderasse, almeno quando si parlava di cose, di oggetti.

 

Haru si sentiva sola. A tavola la sera si sentiva come le principesse nei film, quando vorrebbero mangiare insieme al principe, allegramente, e invece sono costrette a tenere addosso il corsetto, a moderare voce e appetito e a stare a distanza da tutti.

Haru era intrappolata in quella vita: regina di un impero che non desiderava, ma del quale comunque andava orgogliosa.

La mamma da piccola le aveva raccontato come suo nonno avesse creato il suo impero, le aveva parlato di un uomo con un sogno, di una persona grande, dall'animo pulito. Sul cuore di suo padre non poteva certo dire niente di positivo, lo considerava nero e torbido come il caffè. Certo, era presente economicamente e si vedeva che desiderava che lei stesse al sicuro, ma al sicuro per lui aveva sempre lo stesso significato: economicamente al sicuro.

A Haru non interessava avere ancora più denaro, ogni tanto si chiedeva quanto ci avrebbe messo a spenderlo tutto se avesse deciso di acquistare tutto ciò che desiderava, ma dopo averci pensato bene era giunta alla conclusione che non avrebbe mai potuto farlo, neanche se si fosse impegnata a fondo nel tentare.

Desiderava avere degli amici, ma non pareva che ci fossero persone adatte a lei, o almeno questo era quanto continuava a ripetere suo padre. Lei aveva degli amici, però: le sue piante e i suoi fiori a scuola, che non le chiedevano continuamente di quanto fatturasse la sua azienda e che non le stavano vicini per avere un tornaconto personale.

 

Aveva capito che qualcosa non andasse in suo padre già da molto tempo, ma la conferma era avvenuta solo quando aveva sentito una sua telefonata nella quale egli affermava che si sarebbe spinto a tutto pur di aumentare i profitti.

 

Da un po' di tempo lei aveva già notato come la qualità nella catena di loro proprietà fosse calata in modo drastico: come i lavoratori un tempo felici e sorridenti si fossero trasformati in stanchi automi senza desiderio di continuare a lavorare per loro. I dipendenti nell'ultimo periodo cambiavano continuamente, tanto che quando era entrata nessuno l'aveva salutata col suo nome, nessuno la conosceva. Per un attimo aveva pensato di poter vivere un secondo da ragazza comune in quel luogo che lei conosceva bene. Aveva ordinato un caffè e aveva chiesto alla ragazza che l'aveva servita come fosse lavorare lì. La dipendente aveva esibito un sorriso tirato e aveva confermato che nonostante fosse stancante il lavoro fosse estremamente soddisfacente. 

Haru aveva capito che mentiva dagli occhi della ragazza, ma non aveva chiesto altro, pensando che magari poteva essere stata addestrata a mostrarsi sempre felice ed entusiasta per il lavoro.

La cosa le era parsa triste, ma lei era abituata alla tristezza, soprattutto da quando suo padre l'aveva trattata una volta di più da principessa e le aveva imposto una scelta amorosa, un decisione aziendale a suo dire, che la metteva nella pessima posizione di dover avere a che fare con quel ragazzo tanto elegante e bello quanto meschino e violento.

Lo odiava. Il solo pensare a lui le faceva scendere brividi freddi lungo la schiena e sulle braccia. Non poteva neanche immaginare di farsi toccare dalle sua mani morbide, che lei sentiva ruvide come carta vetrata. Quel sorriso, poi. Era così difficile per lei identificare qualcosa che ricordasse la gioia in quella smorfia di crudeltà e di egoismo che gli vedeva costantemente stampata in faccia.

Suo padre in quel periodo le ricordava proprio lui, anche per questo odiava che le si avvicinasse. Solo che mentre il signor Okumura non le concedeva mai neanche un minimo contatto fisico, e lei a volte avrebbe tanto avuto bisogno di un abbraccio o un comportamento da padre, pareva che quel maiale pareva non desiderasse altro. Le sue mani erano sempre invadenti e quando lei diceva no, lui sembrava quasi felice nel dimostrarle che se proprio avesse voluto farlo, avrebbe potuto continuare a suo piacimento, che si fermava per rispetto nei confronti della sua futura moglie.

 

Il matrimonio combinato era stato troppo e l’aveva spinta a reagire.

Stava camminando per strada, era appena stata a incontrare suo padre al lavoro, dove alla fine in realtà non era neanche riuscita a parlare con lui visto che era arrivato un tizio importante, forse un politico, che aveva avuto la meglio sulla figlia. Sugimura all’inizio si era offerto di accompagnarla a casa, ma lei piuttosto sarebbe andata a piedi e con una scusa era riuscita a evitarlo.

 

Lungo la strada aveva visto quel gatto, che girava lì intorno come se stesse cercando qualcosa. Il comportamento dell’animale era strano, sembrava che stesse cercando un luogo particolare o un modo per entrare, Haru si era stupita di quanto a guardarlo le ricordasse un essere umano.

Si era quindi avvicinata al gatto e all’improvviso era avvenuto un fatto stranissimo: il mondo attorno a lei era mutato e lei aveva visto quella enorme astronave.

Aveva urlato, terrorizzata stava cercando una spiegazione a quella strana allucinazione, ma era sicura di non essere sotto l’effetto di droghe o di alcool, l’unica soluzione possibile era che fosse svenuta, o peggio… forse era stata rapita dagli alieni, anche quella poteva essere una soluzione.

Poi aveva visto quella strana figura, sembrava comunque simile a un gatto e avrebbe potuto giurare di essere convinta che quello fosse lo strano animale che stava seguendo.

“Non gridare, per favore.” l’essere si era avvicinato e sembrava preoccupato per lei. “Mi spiace averti trascinata qui dentro. Ora ti riporto fuori.”

“Che posto è questo?” Haru era terrorizzata, ma pensava che forse non sarebbe stato male essere rapita dagli alieni ed essere costretta a cambiare vita, a non avere più niente a che fare con il suo vecchio mondo ricco di sfarzo e povero di libertà. Si era messa a piangere: “Voglio stare qui, non mandarmi via.”

Attirate probabilmente dalle urla di  Haru, erano arrivate alcune creature che poi la ragazza avrebbe saputo essere le ombre. Il gatto l’aveva protetta all’inizio e la ragazza aveva capito subito perché lui la volesse allontanare da quel posto: era pericoloso. Lei però era davvero stanca di sentirsi così poco utile, qualcosa in lei gridava per uscire. 

“Non preoccuparti, non ti succederà nulla.” Il felice sembrava sempre più stanco, ma combatteva con forza e decisione, Haru lo ammirava dal profondo del cuore per il modo quasi divertito che aveva di continuare a incitarla tra un attacco e l’altro. Era solo colpa sua se li avevano trovati e lei lo sapeva perché se non avesse urlato il suo difensore sarebbe passato, forse, inosservato. Forse avrebbe potuto anche scappare se non avesse dovuto difendere lei. Non poteva permettere che gli succedesse qualcosa.

“Ne mancano pochi.” 

Non era vero. Erano parecchi. La voce nella testa della ragazza continuava a ripeterle di accettare il suo destino, di smetterla di comportarsi da damigella in difficoltà e di cominciare a decidere da sola per il suo futuro. Smetti di fare la principessa, sei un’imperatrice!

All’improvviso si era sentita un fuoco arderle ovunque, come se una parte di lei stesse prendendo vita, come se fino a quel momento avesse solo dormito.

Non capiva come fosse successo, ma un essere soprannaturale, la sua Persona, aveva iniziato a combattere al suo fianco, come fosse una parte di lei. Haru non si sentiva ancora pienamente risvegliata, aveva capito che quello era solo l’inizio.

 

Dopo il combattimento il gatto l’aveva invitata a correre lontano da lì e l’aveva portata fuori.

Haru all’inizio aveva fatto fatica a comprendere cosa fosse il Metaverso e perché si fosse trovata lì con quello strano essere. Avesse parlato di quelle cose a qualcuno l’avrebbero presa per pazza. Stava chiacchierando con un gatto, era assurdo. Ancora più assurdo era il discorso che le stava facendo: quel posto strano dove avevano combattuto era il mondo cognitivo di suo padre, creato da lui. Haru aveva capito che qualcosa non andava in quel mondo e aveva iniziato a fare domande specifiche a Morgana, gli aveva chiesto cosa comportassero i combattimenti.

Aveva capito che il gatto era stato un membro dei Phamtom Thieves e che li aveva lasciati perché loro non avevano un obiettivo comune.

“E quale sarebbe il tuo obiettivo?"
“Devo ritrovare la mia vera forma fisica. Io… sono un essere umano.” Haru provava simpatia e affetto nei confronti di quel tenero esserino che in realtà sembrava essere meno indifeso e più esperto di lei, aveva provato il desiderio di aiutarlo, sì, ma anche di aiutare suo padre a cambiare.

“Quindi se noi rubassimo il suo Tesoro, lui cambierebbe. Come è successo agli altri, vero?”

“Sì. Smetterebbe di cercare di mantenere il suo desiderio distorto e cambierebbe.”

“Allora voglio rubare il suo tesoro. Voglio che il suo cuore cambi…” 

“Ti dovrai allenare se vuoi combattere ancora, ma ti posso aiutare, ti posso insegnare.” 

“Certo, sono disposta a fare tutto ciò che serve per aiutare mio padre, e per aiutare te a ritrovare la tua forma, anche. Grazie per tutto quello che hai fatto fino ad oggi.” Haru era sempre stata molto formale e non era sicura di come avrebbe dovuto comportarsi al di fuori di quella formalità, anche se si sentiva un po’ strana a inchinarsi di fronte a un gatto, il rispetto per quella creatura per lei andava al di là della sua forma animale, era chiaro che Morgana fosse un essere speciale e che Haru avrebbe potuto finalmente cambiare la sua vita, ritrovare la sua libertà grazie a lei.

Morgana le aveva dato la zampa e la ragazza l’aveva stretta. Si erano fatti una promessa.

 

 

 

Le cose purtroppo non erano andate come previsto. Suo padre non c’era più e Haru non sapeva cosa fare, cosa dire. Si era ritrovata improvvisamente da sola e non era sicura che la sua morte fosse del tutto collegata a ciò che lei aveva fatto coi Phantom Thieves. Tutti continuavano a scriverle, a chiederle come stava e se volesse parlare o stare con loro. Ma Haru aveva solo bisogno di stare da sola a capire cosa potesse fare. In quei giorni si era accorta che suo padre era cambiato, non vedeva l’ora di poter finalmente pranzare con lui, da soli, senza parlare solo di soldi o dell’a Big Bang Burger. Non vedeva l’ora di uscire con lui, di andare in vacanza insieme, magari. Invece non sarebbe mai successo niente di tutto questo e lei continuava a incolparsi per questo e per aver convinto tutto il gruppo a prendere parte a quella missione così egoista. 

Avrebbe scoperto chi fosse il vero colpevole e gliela avrebbe fatta pagare per tutto il dolore che aveva causato e non solo a lei.

L’inizio della sua nuova vita però sarebbe arrivato nel momento in cui lei fosse riuscita a rendersi la vera artefice del suo futuro. Avrebbe cominciato a porre le sue regole, non sarebbe più stata la principessa in difficoltà, Haru era l’imperatrice e soprattutto adesso che aveva Milady al suo fianco sarebbe riuscita a comportarsi come tale.


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