quistisf: (Default)
 

Fandom: Persona 5
Personaggi: Goro Akechi, Ren Amamiya
Prompt: risonanza
Partecipa al COWT 14


Il numero uno


Goro stava osservando l’espressione concentrata di Ren, che con attenzione si era chinato sul tavolo da biliardo per studiare la giusta traiettoria da imprimere alla biglia battente per mettere in buca la palla. Che sciocco: non si era accorto che non era quello il colpo più facile? Sospirò con impazienza, sperando che questo avrebbe innervosito il suo avversario.

“Quello è il prossimo tiro,” aveva detto Joker, indicando la biglia che il ragazzo stava fissando. “Prima metto in buca questa.” E aveva tirato, sicuro come sempre, con quell’insopportabile sorrisetto stampato sul viso. “Ecco, visto?” gli aveva ammiccato.


Aveva fatto un gran tiro, era l’unico avversario al suo livello. Goro in questi momenti provava pena per lui, in un certo senso lo riteneva una vittima collaterale. Il suo piano però aveva bisogno che lui lo diventasse, era necessario per il suo fine ultimo. 

Ren aveva messo in buca anche la seconda palla, infondendo in Goro un senso di fastidio che cresceva, lasciando poco spazio al rimorso e alla pena.Si somigliavano, più di quanto entrambi volessero ammettere. 

Per cominciare potevano controllare più di una Persona. Akechi ne aveva soltanto due, ma a dirla tutta non aveva davvero mai provato ad aumentarne il numero, Loki e Robin Hood erano più che sufficienti. 

Con l’ultima palla il suo rivale aveva concluso la partita. Un po’ di gioia prima di morire, pensò Goro. “Complimenti, sei destinato a essere il numero uno.”


Il numero uno. Parole che risuonavano nella sua mente di continuo. 

La prima persona che gli aveva promesso il successo era stata sua madre: una donna che aveva avuto l’esistenza che meritava, incapace di prendersi cura di lui e di dargli un padre. L’aveva invece costretto a vivere nella menzogna. Per lei, Goro era il numero uno perché capiva quando se ne doveva andare da casa e non diceva una parola. Obbediente, remissivo come lei desiderava. Parole a cui la donna aveva tolto il significato per sostituirlo con una bugia, come faceva con ogni aspetto della sua vita.


Il numero uno, il migliore. L’Ace Detective di cui Sae e il dipartimento di polizia avevano bisogno per l’operazione sotto copertura per catturare i Phantom Thieves. Colui che aveva risolto casi impossibili, raccolto l’ammirazione del pubblico e delle forze dell’ordine, che si era fatto notare da fan che lo cercavano e lo fotografavano di nascosto. Il numero uno.

Il compiacimento, la dimostrazione di ciò che Goro poteva fare grazie alle sue doti naturali.


Il numero uno, il primo in grado di offrire a suo padre qualcosa che nessun altro avrebbe mai potuto donargli: la volontà del popolo, la mente di chi gli si opponeva. Se solo glielo avesse chiesto, il ragazzo avrebbe messo ai piedi di Shido l’intero Giappone. Il numero uno nel risolvere le situazioni spiacevoli, così l’aveva chiamato, e Goro si era sentito finalmente apprezzato dall’uomo che l’aveva abbandonato molti anni prima, che si stava infine appoggiando al figlio reietto, seppure inconsapevolmente.


Solo di fronte a Ren non si sentiva il numero uno. Con lui era destinato a un ruolo marginale. Chiunque avesse osservato le loro azioni e conosciuto la loro storia avrebbe visto in Goro un antagonista, un personaggio mosso dall’invidia e dal desiderio di dimostrare il proprio valore in una lotta impari, nella quale sarebbe sempre risultato sconfitto se avesse lottato ad armi pari. L’uso dell’astuzia e dell’inganno gli poteva permettere di sfruttare un vantaggio e di vincere.

Lui però non aveva intenzione di dimostrargli lealtà. Stare con Ren era stimolante, era vero, ma ogni momento in sua presenza gli era sempre più difficile mantenere addosso la sua maschera.

“Fai qualcosa, salvati! Non vedi che ti sto prendendo in giro?” Avrebbe desiderato dirgli. “Ti credi tanto furbo, sostieni di essere il leader, invece sei solo una marionetta.”

Ren era sempre così difficile da comprendere, al punto che Akechi si era chiesto se non stesse indossando anche lui una maschera.


Non era possibile, lui era sempre un passo avanti.

Avrebbe ucciso il leader dei Phantom Thieves con le sue mani, proprio come aveva deciso quando aveva iniziato a pianificare il suo piano, mesi prima. Non uno speciale, solo una delle tante vittime del killer vestito di nero. Alzò lo sguardo su Haru, intenta a giocare a freccette con gli altri patetici ragazzini del gruppo e pensò a Okumura, a come ne aveva eliminato la versione cognitiva e a quanto le sue azioni non gli avessero impedito di passare del tempo con la figlia, senza alcun rimorso. Ricordava di quando le aveva anche confessato quanto la capisse, come anche lui in passato avesse perso il padre, come la sua vita fosse stata difficile, ma anche come tutto il suo dolore l’avesse reso forte.


Era il numero uno anche nel nascondersi, nel proteggere il suo grande piano di conquista del mondo senza fatica.

“Domani sarà una giornata importante, cercate di riposare.” Aveva suggerito ai Phantom Thieves nel congedarli.


Il giorno della verità: la cattura del tesoro nel Palazzo contorto di Sae Niijima. 

Sarebbe stato il giorno della sua consacrazione a numero uno, quando il suo rivale avrebbe finalmente riconosciuto la grandezza dell’intelligenza del celebre Ace Detective che lui continuava a trattare come suo pari.


Mentre tornava a casa, Goro si fermò a un telefono pubblico e compose il numero.

Al quarto squillo una voce conosciuta rispose. “Pronto?”

“Sono io.”

“Bene, parla.”

“Domani ci troveremo al Casinò. Entro due giorni la prima parte del piano sarà conclusa.”

Dall’altra parte, Shido stava in silenzio. Akechi poteva immaginarlo sorridere compiaciuto. “Mi farò vivo presto.”

“Fa’ in modo che le cose vadano come concordato.” L’uomo attaccò il telefono senza dargli la possibilità di salutare, come sempre.

Quanto avrebbe desiderato dirgli la verità. Spiegargli che ogni sua azione era un dono dal figlio rinnegato al padre. Una notte aveva sognato il momento della sua rivelazione. Nel sogno, Shido lo abbracciava, ringraziandolo per avere messo in pericolo la sua vita per lui, pregandolo di perdonare la sua assenza negli anni in cui avrebbe potuto fare la differenza.

Akechi posò la cornetta. Sapeva che quello era solo un sogno, che suo padre non si sarebbe scusato, né l’avrebbe abbracciato.

A lui bastava avere la sua riconoscenza, l’ammissione che Akechi era il numero uno.


quistisf: (Default)
Fandom: Persona 5
One Shot
Slice of life
Prompt: Monopoly
Parole: 1514
Partecipa al COWT 13


La scatola dei ricordi


Quando Futaba aveva visto la scatola vecchia e impolverata sullo scaffale del negozio, aveva urlato di gioia ed era corsa a prenderlo, spaventando Ren a morte.

“Questo è Monopoly, ci giocavo sempre con la mamma quando ero piccola!” Si era voltata a guardare il suo amico con la scatola di una vecchia edizione del gioco in mostra, stretta tra le mani, la speranza negli occhi: “Lo compriamo? Ci giochiamo insieme?”

Lui aveva provato a rifiutare la proposta, poiché nei suoi ricordi quello non era esattamente un gioco nelle sue corde, ma non sembrava che Futaba avrebbe accettato un no, infatti prima ancora di ascoltare la risposta, era già partita verso la casa con la scatola stretta tra le braccia.

“Torno questa sera che facciamo una partita!” Aveva proposto, o meglio, aveva deciso.

Rassegnato, Ren aveva accettato. “Magari chiamo qualcun altro, almeno ci provo…” Era piuttosto sicuro che nessuno dei Phantom Thieves avrebbe accettato di andare da lui a giocare. Forse avrebbe potuto provare a sentire Hifumi, ma non credeva fosse una buona idea, dal momento che lei e Futaba non si conoscevano e non era molto semplice stare con Futaba, soprattutto quando si lasciava andare alle dinamiche delle sfide, anche quando erano rappresentate da semplici giochi in scatola, visto quanto si era dimostrata competitiva, non accettava la sconfitta senza prima combattere con tutte le sue forze.

“Stasera chi c’è per una partita a Monopoly con me e con Futaba?” aveva tentato, cercando di suonare affabile.

“No, grazie. Devo studiare.” La risposta di Makoto era arrivata all’istante.

“Che cos’è Monopoly?” Yusuke, fuori dal mondo come sempre.

“Tu no, Inari. Stai a disegnare le tue cose.” Almeno lui aveva una scusa, pensò Ren senza tentare di convincerlo a partecipare alla serata, meglio che ne approfittasse.

“Io ci sto! Arrivo alle otto, è da tantissimo che non gioco.” Ann era sempre una buona compagnia e sapeva mettere Futaba a suo agio, non sarebbe stato male giocare con lei.

Nell’attesa della risposta di Ryuji, Ren era sceso ad aiutare Sojiro e a prendersi un caffè. “Futaba mi ha detto che stasera ha impegni.”

“Sì, ti ha detto del suo nuovo, fantastico acquisto?”

“No… devo preoccuparmi?”

“Io devo preoccuparmi, credo. Ha comprato Monopoly, mi ha anche spiegato che ci giocava con Wakaba e che ne ha un bel ricordo.”

Sojiro aveva iniziato a ridere a crepapelle. “Certo che me lo ricordo. Non vorrei essere inopportuno, ma posso unirmi a voi stasera?”

Ren era rimasto spiazzato dalla richiesta, ma aveva annuito. Aveva scritto semplicemente “Trovato il quarto giocatore!” nella chat, per poi continuare a lavare le tazze sporche del LeBlanc.

“Sarà interessante.” Aveva aggiunto Morgana, mentre si grattava la testa.

Quando Futaba entrò, facendo trillare il campanello della porta di ingresso del locale, ad accoglierla c’erano già tutti i partecipanti alla gara serale. Sojiro aveva preparato una cena per tutti. “Ti stavamo aspettando.” Le aveva detto, i piatti pronti da riempire e la tavola già pronta.

Avevano cenato con calma, chiacchierando del recente problema che aveva causato Medjed con quelle strane richieste ai Phantom Thieves.

“È la prima volta che ceniamo tutti insieme,” aveva osservato Ann. “E anche la prima volta che giochiamo tutti insieme, solo che non ho capito chi è il quarto…” Aveva guardato Morgana, che però aveva scosso la testa, ridacchiando.

“Giochiamo con Sojiro.” Ren aveva pronunciato la frase tra un boccone e l’altro, senza neppure sollevare la testa.

Futaba aveva lanciato un urlo di gioia, terrorizzando la povera Ann che non si era ancora abituata alle reazioni di entusiasmo della sua nuova amica. “Che bello, come ai vecchi tempi!”

Il gruppo aveva ripulito, mentre Futaba aveva iniziato a preparare la plancia di gioco.

“A me piacerebbe questo funghetto!” Ann aveva preso la pedina e l’aveva posizionata di fronte al suo posto.

“La mamma usava sempre la pera, io la mela. Perché lei era più alta e io più piccola. Le dicevo sempre così.” Futaba aveva preso entrambe le pedine e poi aveva posizionato la mela sulla plancia. “Questa la tengo come portafortuna.”

“Io invece usavo il fiaschetto.” Aggiunse Sojiro, scegliendo la pedina.

“Questo significa che io posso essere la candela, oppure questa bella piantina. Il verde porta bene, dicono. Pianta sia.”

La partita era iniziata in modo tranquillo: tutti compravano sistematicamente le proprietà sulle quali capitavano, sperando poi di riuscire ad accaparrarsi almeno un gruppo di proprietà complete sulle quali costruire le proprie case e poi gli alberghi.

Ren amava la competizione, ma quel genere di gioco non l’aveva mai attirato. Non gli piaceva l’idea di dovere fare aste per vincere le proprietà, come non amava il pensiero di guadagnare soldi alle spese di altri partecipanti basandosi sulla fortuna dei dadi. Lui amava la strategia e proprio perché conosceva le caratteristiche di Futaba si era chiesto come mai la sua nuova amica, così abile nell’uso delle sue doti tattiche, aveva scelto proprio un gioco basato sulla persuasione e sulle doti sociali, più che sulla strategia pura e mentale.

La partita era stata tutto sommato noiosa, fino a quando Ann non aveva convinto Sojiro a venderle Parco della Vittoria al costo nominale della proprietà, alla quale lei aveva aggiunto viale Costantino, sostenendo che gli sarebbe potuta essere utile per il futuro. Le capacità di persuasione della ragazza avevano avuto effetto, proprio come lo avevano sulle Ombre che combattevano ogni volta che andavano nel Metaverso, e in breve Ann aveva iniziato ad arricchirsi, grazie alle case e agli alberghi che aveva iniziato a costruire in tutte le sue proprietà.

Ren tutto sommato se la stava cavando discretamente, ma tra Sojiro e Futaba era in corso una sorta di guerra tra poveri. Come immaginava, Futaba al contrario di Ann non possedeva tecniche di persuasione adatte al gioco, la sua strategia non poteva avere effetto per il semplice fatto che non aveva mai avuto le carte per riuscire a vincere la partita e i dadi le erano stati tutt’altro che amici nel corso dei primi giri di gioco.

Nell’ipotecare una proprietà, Futaba aveva sbuffato sonoramente. “Questo gioco non è divertente come me lo ricordavo. Ed è anche parecchio lungo.”

Ann, al contrario, appariva così a suo agio nella sua ricchezza da sembrare una principessa malvagia. Morgana la stava osservando con adorazione, in silenzio per una volta.

Sojiro ridacchiava ogni volta che qualcuno capitava su una delle sue proprietà e chiedeva i soldi con fare solenne, perfettamente calato nella parte.

“Ho perso.” Aveva constatato Futaba nel tentare di vendere l’ultima delle sue proprietà. A quel punto i giocatori si erano guardati e avevano convenuto che la partita fosse durata abbastanza.

Ann si era proclamata vincitrice e Futaba le aveva regalato il gioco, sostenendo che non fosse stato divertente, ma accettando di fare una nuova partita insieme a lei in futuro, “Quando sarò più allenata a trattare con le persone.” Aveva proposto.

Sojiro si era offerto di accompagnare a casa la ragazza, dal momento che si era fatto tardi, e Futaba era rimasta rannicchiata sulla panca del LeBlanc.

“Bevi qualcosa prima di tornare a casa?” Le aveva chiesto Ren.

“Sai, quando ero piccola non giocavo così a Monopoly all’inizio. Le prime volte usavo le vie per inventarmi storie e la mamma le ascoltava.”

“Te ne ricordi qualcuna?” Le aveva chiesto.

“No. Ricordo poco di quel periodo, ma so che le mie pedine preferite erano sempre la mela e la pera, e so anche che la mamma all’inizio non voleva che giocassi così perché il gioco non era suo. Ora credo che fosse di Sojiro. Lui però non mi ha mai detto niente di male. Non si è mai lamentato.”

Ren si era seduto di fronte a lei. “Ti è dispiaciuto giocare così? Con le regole?”

Lei aveva scosso la testa. “No, dopo un po’ la mamma mi ha insegnato le regole giuste. A me non piacevano e ne avevo proposte di migliori, ma lei mi ha convinto a stare alle regole come tutti, anche se non mi piacevano.”

“Credo sia una cosa importante.”

“Tu le assomigli, sai?”

Ren non sapeva cosa dire. “A Wakaba?”

“Sì, perché mi proteggi da quello che mi fa paura e mi aiuti ad accettarlo. Anche adesso coi Phantom Thieves mi stai aiutando a prendermi cura di voi, usando i miei punti di forza per la squadra. Io sono contenta di poter stare insieme a voi, di combattere insieme.”

“Non c’è niente di male a voler passare del tempo seguendo le proprie regole, a volte.”

“No, lo so. Infatti mi sono un po’ pentita di avere lasciato il gioco a Panther. Quasi quasi domani glielo chiedo indietro per farmi una partita come quando ero piccola. O semplicemente per inventarmi delle regole migliori.”

“Oppure potremmo fare un altro gioco, uno adatto ai tuoi punti di forza.”

“Come il gioco dei mimi!” Aveva proposto scherzando Futaba. “O Pictionary, quello che piacerebbe tanto a Inari dove si fanno i disegni!” Futaba aveva sollevato l’indice. “Ho un’idea…”

Quando Sojiro era tornato, pochi minuti dopo, li aveva trovati seduti sul tavolo a scrivere una lunga lista. Il titolo era GIOCHI DA PROVARE CON REN E SOJIRO.
quistisf: (Default)
Fandom: Persona 5
Personaggi: Morgana, Ren, Futaba, Phantom Thieves
Prompt: tutti dentro
Partecipa al COWT 13
Parole: 2370
Genere: Introspettivo

Solo un gatto

Sono solo un gatto.
Una frase che si ripeteva quasi ogni giorno. Quando vedeva la sua immagine riflessa oppure quando, appena sveglio e un po’ annoiato, pensava a come avrebbe passato la giornata.
Morgana non aveva molto da fare e da quando aveva seguito Ren nella sua città natale sentiva ogni giorno la mancanza del Metaverso.
Sospirò mentre si guardava allo specchio: non riconosceva quella coda irrequieta che si muoveva ondeggiando a mostrare la tensione che provava; le zampe bianche non gli consentivano di scrivere o di utilizzare la sua fionda come aveva sempre fatto nel Metaverso. L’unica parte di lui che ancora riconosceva erano gli occhi: azzurri e profondi, rivelavano la sua essenza diversa da quella di un comune gatto domestico. Morgana scosse la testa per cercare di scacciare il ricordo delle sue origini, perché per lui era difficile anche solo ricordare di aver salvato quel mondo che non poteva vivere come desiderava.
Sono solo un gatto, si ripeteva quando vedeva qualcuno passeggiare lungo la strada del paese, pensando che avrebbe desiderato scambiare due chiacchiere per una volta con qualcuno di diverso da Ren. Si sentiva talmente solo e annoiato che si sarebbe accontentato persino di Ryuji, già, gli mancava anche lui.
Quella mattina Ren era a scuola e lui, dopo aver mangiato, si stava occupando della sua consueta pulizia mattutina seguendo una routine consolidata ormai da tempo che all’inizio non gli piaceva, ma che aveva accettato perché in fin dei conti lui era solo un gatto, e in quanto tale doveva comportarsi. Non avrebbe mai accettato di farsi lavare, molto meglio arrangiarsi.
Il computer del Joker era rimasto aperto, non per caso ovviamente, ma perché Futaba avrebbe chiamato per fare due chiacchiere e per Morgana l’evento era tutt’altro che comune, visto che in genere la ragazza si faceva sentire solo quando i due erano insieme. La sera prima però aveva scritto un messaggio dove aveva avvisato della chiamata e Ren era stato ben felice di lasciare tutto a disposizione del suo gatto speciale.
Premette sul pulsante di accensione e aprì l’applicazione per ricevere la chiamata, poi si appostò di fronte al computer cercando di sorridere. Peccato che i gatti non abbiano grandi capacità di esprimere emozioni e che i suoi sforzi non avessero dato grandi risultati. Non voleva che Futaba si preoccupasse per lui, perché anche se all’inizio i loro rapporti erano stati un po’ tesi, lei si era dimostrata un’amica, la più presente con lui da quando il Metaverso era stato cancellato.
Il suono della chiamata interruppe i suoi pensieri tristi e Morgana premette sul pulsante di risposta con entusiasmo.
“Mona Chan!” Gridò l’amica.
“Guarda un po’ chi si rivede,” tentò di mantenere un tono composto nonostante la sua gioia. “Sembri in forma, ma mai quanto me!”
Futaba sghignazzò e raccontò a Morgana della sua vita, sempre un po’ troppo sociale per lei, a scuola. Il gatto le confidò che nell’ultimo periodo si stava abituando alla tranquillità della campagna, così diversa dalla vita caotica e densa di Tokyo. “Qui ti piacerebbe, dovresti provarci. Io invece sto benissimo anche in mezzo alla gente, ma qui l’aria ha un odore diverso. Io sono un gatto, sento gli odori molto meglio di voi umani”
“Mi piacerebbe infatti,” rispose la ragazza, che poi assunse un’espressione più seria. “Non ho molto tempo ancora, tra poco devo andare ad aiutare Sojiro al LeBlanc e c’è una cosa importante che ti devo chiedere, Mona Chan.”
Il gatto, incuriosito, si ricompose e riprese il ruolo che gli piaceva di più: quello di mentore, che aveva interpretato in modo più che convincente coi Phantom Thieves. “Sono qui per questo, ci sono problemi?”
“Non problemi, solo questo.” Futaba mostrò lo schermo del suo cellulare alla telecamera, che mise a fuoco un’icona che tutti loro conoscevano bene. “Il Meta Nav è riapparso ieri sera. Non so cosa significhi e non ne ho parlato con gli altri, ma vorrei vederci chiaro. Puoi controllare tu con Ren?”
Morgana annuì, mentre i suoi pensieri navigavano veloci ai ricordi di ciò che era stato il cui ritorno, almeno per lui, sarebbe stato un sogno trasformato in realtà.
“Hai sentito qualche cosa di diverso? Tu hai un rapporto speciale col Metaverso e ho pensato che saresti stato il primo ad accorgersi se qualcosa fosse cambiato.”
Futaba aveva ragione, eppure lui non si era accorto proprio di niente. Negli ultimi giorni al massimo aveva provato solo più noia del solito, visto che Ren aveva dovuto studiare per gli esami ed era stato fuori casa tutto il giorno. “No, niente di diverso.” Aveva risposto con tono sconsolato, forse le sue capacità si erano arrugginite dopo tutto quel tempo passato da semplice gatto.
“Forse lì non si è attivato, magari è una cosa di Tokyo…” Aveva ipotizzato la ragazza, sempre un passo avanti rispetto a lui. “Comunque oggi proverò a investigare un po’ con Sumire e Yusuke, sono gli unici qui intorno in questi giorni, poi li chiamo. Per ora meglio non allarmare gli altri visto quanto hanno da fare. A prestissimo!”
Morgana aveva fatto appena in tempo a rispondere al saluto, che la comunicazione era stata chiusa. Era rimasto fermo in silenzio per un bel pezzo a ragionare sul significato della presenza di quell’applicazione, poi si era accoccolato sul letto di Ren e si era appisolato.
La sensazione che provava mentre le ruote grattavano sull’asfalto del Metaverso era indescrivibile. In quel momento era il centro dei Phantom Thieves: la loro guida - anche se erano loro a guidare lui - il loro mentore, il loro mezzo per muoversi veloci e sicuri nel labirinto della coscienza comune.
Ricordava ancora quando per la prima volta si era trasformato nel furgone e li aveva accolti sui suoi comodi sedili.
“Tutti dentro, si parte!” Aveva detto Lady Ann mentre accarezzava la sua carrozzeria con le mani leggere e morbide. Il rombo del motore non era poi così diverso dalle fusa che da gatto emetteva in modo naturale e automatico quando la sua amata Ann lo prendeva tra le sue braccia o gli grattava il mento sciogliendo ogni sua resistenza.
I ragazzi la prima volta si erano seduti tutti e tre nel sedile posteriore, stupiti nel comprendere che fosse necessario che uno di loro guidasse il Morgana-Van lungo le buie e pericolose vie della metropolitana fantasma. Il Joker aveva preso il volante e solo allora Morgana si era reso conto che mai nessuno era stato nel furgone prima dei Phantom Thieves. Non era proprio un ricordo, ma almeno era stata una delle sue prime, poche certezze, perché il van era una parte di lui, una rappresentazione derivante dalla coscienza comune che nessuno aveva ancora toccato. Nessuno era stato accolto dentro il suo corpo trasfigurato in furgone prima di Ann, Ryuji e Ren, lui ne era certo.
“Morgana, cosa senti quando diventi un Van?” Gli aveva chiesto Makoto la prima volta che erano stati nei Memento insieme.
“Niente di speciale, è una mia dote naturale e come tutto quello che riguarda il Metaverso, lo faccio benissimo. Uno dei miei poteri.”
All’epoca non ricordava ancora nulla delle sue origini - solo gli incubi, ma quelli non potevano rappresentare la verità - ma era piuttosto sicuro che lì nei sotterranei dei Memento ci fosse la risposta a tutte le sue domande e diventare un furgone era uno dei compiti che doveva svolgere per recuperare i suoi ricordi e trovare un senso alla sua esistenza. Per ritornare umano.
Il dubbio si insinuava in lui con forza mentre era trasfiguarato, perché nel rombo di quel motore non c’era niente di umano, come nelle sue fusa feline. Di una cosa però era sempre stato certo: quello era il suo posto e nessuno poteva sostituire la sua presenza, né l’intelligenza di Makoto, né le capacità di navigazione di Futaba.
I momenti in cui si sentiva meglio erano proprio quelli che passavano tutti insieme, tutti dentro al suo corpo trasfigurato nel camioncino con la coda e le orecchie, dove i suoi amici erano comodi e protetti, dove erano loro a guidare, ma era lui a tenerli uniti, lui a consentire loro di fuggire veloci e sicuri nel buio grazie alla vista felina data dai suoi fari.
Quanti combattimenti avevano fatto insieme prima che i suoi ricordi tornassero, e quante volte avevano inseguito le ombre attaccandole di sorpresa grazie a Morgana e alla velocità silenziosa della sua trasfigurazione. Grazie ai suoi fari nel buio, grazie alle sue conoscenze. In fondo lì sotto si era sempre sentito a casa al punto da provare nostalgia dei Memento quando non vi si recavano da un po’ di tempo.
Morgana aveva contribuito a distruggere la sua vecchia casa, l’aveva fatto per l’intera umanità anche se sapeva che forse non avrebbe più avuto la possibilità di fare ritorno al luogo in cui era nato. Quando Igor e Lavenza gli avevano presentato la possibilità di restare con loro nella Velvet Room e di continuare a vivere insieme a loro, come forma fisica della speranza dell’umanità, o di scegliere di tornare come semplice gatto nel mondo degli uomini, Morgana non aveva avuto dubbi: lui faceva parte dell’umanità. Era nato per concedere agli uomini una possibilità di salvarsi dalla fine imminente che la divinità impazzita aveva scelto di attuare e aveva svolto il suo ruolo con la speranza nel cuore che le cose si sarebbero risolte al meglio. Il destino lo aveva messo in contatto col Trickster, che era diventato per lui un motivo in più per continuare a lottare. Più volte si era chiesto se, conoscendo la verità, avrebbe abbandonato i suoi amici, sentendosi tradito dal suo creatore che gli aveva tenuto nascosta la verità, ma Morgana aveva sempre agito per l’umanità, più che per se stesso.

Quando il Joker tornò a casa da scuola, Morgana gli rivelò le novità e gli chiese di vedere il suo telefono. Come immaginava, però, non c’era traccia dell’applicazione di navigazione. Tutto quello che potevano fare era attendere notizie da parte di Futaba, che però tardavano ad arrivare.
“Non credi che sarebbe meglio se andassimo a Tokyo?” Gli chiese Ren quella sera, sembrava preoccupato. “Noi due ce la potremmo cavare anche entrando nel Metaverso da soli, ma Sumire e Yusuke potrebbero avere bisogno di una mano. Futaba non è molto d’aiuto nel combattimento e non vorrei che si trovassero in difficoltà.”
Morgana era d’accordo e accettò di partire per la capitale con Ren, che aveva convinto i suoi genitori a lasciargli prendere un paio di giorni di vacanza dalla scuola, approfittando degli esami appena conclusi e del suo ottimo rendimento. Gatto e ragazzo avevano quindi preso il primo treno per un viaggio imprevisto con lo scopo ufficiale di festeggiare il compleanno di Futaba, che lui aveva descritto in modo struggente come la sua sorella di Tokyo, che lui ormai considerava una parte della famiglia.
L’aria della città odorava in modo molto diverso da quella a cui Morgana si era abituato negli ultimi mesi in campagna: lo smog, il profumo del cibo e l’umidità accompagnate dal sottofondo musicale della stazione della metropolitana gli fecero provare un po’ di nostalgia. Ren sollevò il cellulare e richiamò la sua attenzione: l’applicazione di navigazione era apparsa. Se lo aspettava.
Con un cenno del capo, il ragazzo premette sul logo a forma di occhio e il mondo intorno ai due iniziò a cambiare.
“È incredibile!” Strillò Morgana nel constatare che il suo aspetto era tornato quello di un tempo.
"Bentornato, Mona Monster Cat.” Rise il Joker, “Avevo dimenticato come ti stesse bene quella bandana gialla.”
Il gatto rise, carico di adrenalina al pensiero che un nuovo mistero si era dipanato di fronte a loro, una nuova avventura per i ladri fantasma. Non fece in tempo a pensare che sarebbe stato bellissimo essere di nuovo tutti insieme, che un grido di gioia riempì il silenzio di quel luogo spettrale. “Joker! Mona!”
Lady Ann si lanciò contro Ren in un abbraccio, mentre Haru e Futaba si contesero Morgana. Makoto, Ryuji, Yusuke e Sumire erano di fronte a loro, increduli e felici.
“Non ho capito perché il Metaverso sia riapparso così all’improvviso, ma sapere che ci siete anche voi mi rende più serena.” Confessò Makoto.
“Adesso cosa possiamo fare?” Chiese Ryuji, osservando Morgana.
Lui sapeva cosa fare. Con fare teatrale sorrise. “Lasciate che ci pensi io,” disse, mentre il suo corpo felino si trasformava nel van. “Tutti dentro, scopriamo cosa è successo.”
Ren fu il primo a entrare. Il leader dei Phantom Thieves si accomodò nel retro, lasciando il volante a Makoto come sempre da quando si era dimostrata così abile nel guidare.
Ann si sedette di fianco a lei. “Mi ero dimenticata quanto fossero comodi i tuoi sedili, Mona!” Esclamò accarezzando il cruscotto.
Anche Haru si mise al loro fianco e depositò un bacio sulla pelle della carrozzeria. “Grazie, Mona-Chan, per prenderti cura di noi così.”
Se fosse stato umano, Morgana sarebbe arrossito, da furgone si limitò a far suonare il clacson. “Forza, tutti dentro, altrimenti vi lascio qui!”
Ryuji si accomodò di fianco al Joker. “Avete mai pensato a quanto sia inquietante questa cosa che entriamo dentro il gatto? Ogni tanto mi domando che cosa sto toccando e spero di non scoprirlo mai.”
“Affascinante,” aggiunse Yusuke sedendosi dal lato opposto. “In effetti non ci avevo mai pensato.”
Sumire sembrava un po’ restia a entrare, soprattutto dopo i discorsi di Ryuji che avevano fatto calare il silenzio, decise perciò di tentare di sollevare la tensione. “Che bello! Qui dentro c’è posto per tutti! Pronti per partire!” Si sedette di fianco a Ren, che non sembrava impressionato da quella sciocca frase di circostanza. Sumire non era mai stata brava a improvvisare.
“Siamo tutti dentro. Andiamo a scoprire cosa sta succedendo, Phantom Thieves!”
Di fronte alla richiesta del leader, Makoto premette l’acceleratore e il furgone iniziò a muoversi.
Fu in quel momento, mentre proteggeva la sua squadra ed insieme esploravano il Metaverso, che si rese conto di una cosa: mentre tutti loro erano dentro il suo corpo, lui era in grado di donare loro una piccola parte di sé, e probabilmente era la speranza che gli aveva dato forma. Ma anche loro gli donavano qualcosa: ne respirava l’umanità.
quistisf: (Default)
Prompt: scuola
Partecipa al COWT 13
Fandom: Persona 5
Personaggi: Sadayo Kawakami, Ren Amamiya, Ann Takamaki
One shot
 
Uno studente rispettabile.




Appena aveva messo piede nella metropolitana, Ren si era sentito addosso gli sguardi di tutti gli studenti della Shujin. Aveva cercato di mantenere la sua consueta calma, sorridendo con distacco quando incrociava i loro sguardi a volte stupiti, altre volte curiosi.

Nel cortile della scuola aveva trovato ad accoglierlo Ann e Ryuji, pronti a mantenersi fedeli alla storia raccontata da Kawakami sul viaggio di Ren nella sua città nativa per un imprevisto in famiglia.

Ann l’aveva abbracciato con trasporto e lui per un attimo aveva pensato a quanto gli sarebbe mancata quando sarebbe davvero tornato a casa. Mancava davvero poco.

Aveva ricambiato l’abbraccio stringendola forte a sé. “Mi sei mancata.”

“Anche tu, sono contenta che tu sia tornato.”

“Oh, ma che scena sdolcinata! E io allora?” Ryuji si era unito al benvenuto dando un pugno amichevole alla testa del suo amico. “Bentornato.”

La scenetta era stata osservata con attenzione da tutti gli studenti presenti, che durante il mese di assenza del nuovo studente si erano chiesti se fosse morto, se fosse veramente lui il leader dei Phantom Thieves.

Ren si era sentito osservato per tutta la giornata. Sia i professori che i compagni avevano evitato di parlargli, in compenso continuava a notare sguardi e sussurri che si interrompevano ogni volta che li intercettava. Stanco per la situazione, in pausa pranzo aveva deciso di farla finita. “Allora, posso rispondere a qualche domanda: Yuko?”

La ragazza era arrossita. “I-Io non…”

“E tu, Shinji?”

“Lo sai cosa ci chiediamo tutti: dove sei stato?”

“Sono stato via per problemi in famiglia, come vedete sto benissimo e non ho intenzione di andarmene fino alla fine dell’anno.”

“Sei uno dei Phantom Thieves?” Yuko aveva trovato il coraggio di fare la domanda per tutto.”

“Ne sarei felice, lo racconterei a tutti.”

“Invece sei un povero studente che non ha ricevuto gli appunti dell’ultimo mese di lezione e che da oggi avrà ogni minuto occupato per recuperare.” Kawakami era entrata in quel momento trasinandosi dietro un borsone pesante. “Avete cinque minuti.”

Il resto delle lezioni era trascorso tranquillo, la professoressa pareva di ottimo umore e si era dilungata sul ripassare quanto visto nel corso dell’assenza di Ren “Per gli esami,” a suo dire.

Alla fine delle lezioni, proprio quando stava per uscire, Ren si era sentito chiamare.

“Amamiya, posso rubarti un attimo del tuo tempo.” Kawakami lo guardava con aria severa. Il ragazzo aveva atteso che tutti uscissero dall’aula, a quel punto la professoressa aveva chiuso le porte. “Che bello rivederti a scuola!” Aveva esclamato, saltellando verso di lui. “Non sai che paura mi hai fatto prendere, potevi almeno rispondere ai messaggi, razza di ingrato.”

Ren si stupiva sempre di quanto in fretta Sadayo fosse in grado di cambiare tono di voce e umore. Ormai la considerava più di una professoressa, conosceva la parte segreta della sua vita. Lei l’aveva protetto, proprio come aveva fatto con Takase prima della sua morte.

“Cos’è quella faccia da rimbambito? Non ti ho coperto perché tu restassi indietro con gli esami. Ti avrei anche mandato tutto al LeBlanc se tu fossi stato così gentile da degnarti di rispondermi.” Aveva tirato fuori dal borsone una plico di fogli preoccupante e l’aveva lanciato con un rumoroso tonfo sulla cattedra. “Ora avrai tempo di rimetterti in pari, se cominci subito.”

Ren aveva spalancato gli occhi, cercando di contrastare il suo istinto a fuggire.

“So già che per te non sarà un problema, ma nel caso in cui dovessi avere bisogno di una mano, sai già che numero chiamare per contare su di me.”

“Potrei chiamarti stasera.” Aveva risposto Ren mentre sfogliava le pagine fitte di appunti, sempre più pallido.

“Se pensi di farlo davvero, mi aspetto un bel regalo, capo.” Sadayo aveva fatto l’occhiolino, sorridendo con spensieratezza.

Il ragazzo aveva annuito, l’espressione di nuovo seria, glielo doveva, eccome. Senza il suo prezioso aiuto non sarebbe stato così semplice giustificare la sua assenza e il suo rientro. Raccolse il materiale e prima di uscire le rivolse un inchino. “Grazie davvero, per tutto.”

 

quistisf: (Default)

Fandom: Persona 5
Personaggi: Ren Amamiya, Morgana, Phantom Thieves
Genere: introspettivo
Prompt: E invece no, Bugo
Partecipa al COWT11




Portare a casa la nostalgia





Le metropolitane vanno molto veloci

I giornali gratis

La radio

Le voci

Bella la campagna ma mi rende un po’ triste

(E invece no - Bugo)                                                                                     

 

 

 

Il ritorno a casa dopo l’anno passato a Tokyo era stato più pensante di quanto mai avrebbe potuto immaginare. Gli mancava tutto della città: la metropolitana, veloce e affidabile, grazie alla quale poteva andare da scuola a casa o ovunque desiderasse in pochi minuti; il caos e la musica che riempivano il centro commerciale alla stazione Shibuya, perfino gli assaggi gratuiti della panetteria e i giornaletti gratuiti, quasi sempre privi di notizie interessanti, che a volte prendeva per leggere qualcosa di leggero lungo il breve percorso in metropolitana.

Soprattutto, però gli mancavano i suoi amici.

Makoto, soprattutto, perché il legame che aveva stretto con lei molto più profondo. Avevano giurato di non lasciarsi nonostante la distanza, ma Ren sapeva che lei avrebbe messo al primo posto lo studio e si sarebbe impegnata per costruire il suo futuro anche se questo li avrebbe allontanati ancora di più. Anche lui si sarebbe impegnato per avvicinarsi a lei appena possibile, ma ci sarebbe voluto almeno un altro anno perché lui finisse la scuola. A volte sentiva Makoto al telefono ed era come se fosse lì con lui, parlavano per ore di ogni argomento possibile, ma quando si salutavano lui restava solo nel silenzio leggero della campagna.

 

Un tempo, da bambino, aveva odiato quel silenzio e la distanza dai compagni di scuola che era amplificata dal fatto che lui stava in una zona un po’ isolata. Invece doveva ammettere che gli era mancato davvero. Gli riusciva naturale concentrarsi nella casa in cui era cresciuto coi suoi genitori, con il profumo dei fiori che invadeva la sua stanza silenziosa, resa rumorosa solo dal frinire delle cicale. 

Più volte a Tokyo aveva sentito la mancanza di quel silenzio, soprattutto durante il primo periodo dopo il suo arrivo. Gli mancavano i suoi genitori, anche se provava anche rabbia nei loro confronti, convinto com’era che lo avessero abbandonato a se stesso, lasciando che andasse a vivere da Sojiro per un anno intero solo per avere una preoccupazione in meno a cui pensare. Solo dopo essere tornato aveva capito quando loro avessero sentito la sua mancanza. 

“Era stata una richiesta esplicita da parte di quell’avvocato per far sì che non prendessero altri provvedimenti, non abbiamo avuto scelta, ma ci sei mancato.” Gli aveva detto sua madre con la voce rotta dalla tristezza durante la prima telefonata che gli avevano fatto una volta arrivato a Tokyo. 

Glielo avevano detto anche prima che partisse, ma Ren era così arrabbiato allora che non aveva creduto a quelle che aveva definito scuse per mettere a posto la loro coscienza.

È strano come si desideri spesso ciò che non si ha. In quel momento Ren si vedeva in metropolitana ad attendere di arrivare a Shibuya, certo che lì, in mezzo al caos della stazione, avrebbe trovato Ann e Yusuke ad attenderlo con un sorriso, pronti a una nuova avventura o più semplicemente a mangiare qualcosa di dolce insieme.

Aveva stretto più amicizie nel corso di quel periodo di quante ne avesse mai avute e, anche se i suoi amici, Sojiro, Futaba e Makoto gli mancavano tanto, sapeva che non l’avrebbero dimenticato, come lui avrebbe sempre avuto un posto nel suo cuore per lui. 

“Cosa ci fai lì zitto a fissare il soffitto?” Morgana l’aveva strappato ai suoi pensieri.

“Niente, pensavo ai Phantom Thieves. Alla prossima volta che ci vedremo.”

Il gatto aveva ridacchiato. “Meno male che sono venuto con te, saresti perso qui altrimenti.” Ren si era messo a ridere, ma dentro di sé sapeva che era davvero così.

quistisf: (Default)

Fandom: Persona 5
Prompt: Attacco
Genere: introspettivo, angst (non direi missing moment perché nessuno parla dei passati delle ombre)
Personaggi: Yaksini, Joker, OC
Chi è Yaksini? Un'ombra che vaga per il Palazzo di Kaneshiro. 
Per la storia mi sono ispirata alle Yakshini.


Un'anima pura coperta da un'ombra



Yaksini vagava per il Palazzo senza una vera meta. Cercava solo qualcuno da poter attaccare, qualcuno da mangiare. Possibilmente sarebbe stato meglio un umano, ma sarebbe potuta sopravvivere anche con qualche altra ombra se proprio non avesse trovato di meglio.

 

Aveva combattuto spesso per vivere. Attaccando Ombre ignare alle spalle senza dar loro la speranza di sopravvivere e non era pentita, perché da quei combattimenti dipendeva la sua sopravvivenza.

Non sapeva da quanti anni fosse lì, ma anche se da qualche parte in lei sentiva di non essere sempre stata lì, non ricordava altro. Erano passati forse centinaia di anni da quando lei era cambiata, da quando qualcosa l’aveva portata in quel luogo senza uscita. 

Lei continuava a percorrere sempre lo stesso tratto di corridoio avanti e indietro, sperando di incontrare una preda che avesse un’anima, magari, per quanto non fosse nemmeno sicura di sapere cosa fosse.

 

Il ragazzo e i suoi amici erano arrivati da lei quando ormai credeva che nessun essere umano sarebbe mai passato lungo la sua strada e lei aveva fatto l’unica cosa che sapeva fare: li aveva attaccati alle spalle, felice.

Il potere del ghiaccio era con lei, infatti li aveva colpiti con successo. Le sarebbe bastato divorare uno di loro, ma i ragazzi sembravano resistere senza problemi ai suoi attacchi furiosi, quasi isterici.

Quando aveva pensato di aver vinto, gli umani le avevano sferrato un colpo magico che l’aveva tramortita. Prima di allora non le era mai capitato e già si vedeva morta, di nuovo. Una seconda morte quando ancora non riusciva a ricordare la prima.

 

Poi lui le aveva parlato.

Il ragazzo con i capelli scuri e scompigliati le aveva rivolto la parola invece di darle il colpo di grazia. “Vuoi vivere o preferisci morire?”

Da quanto tempo Yaksini non usava la sua voce per comunicare? Da quanto era un'Ombra? “Voglio vivere,” si era sorpresa della musicalità delle parole che uscivano dalla sua bocca. L’attrazione per l’anima del ragazzo di colpo era mutata. “C’è qualcos’altro che vuoi da me, è vero, umano?” 

Il ragazzo aveva sorriso. “Vuoi combattere con me?”

E solo in quel momento si era vista: nella luce dell’anima del ragazzo, Yaksini aveva ricordato chiaramente che un tempo non era un’ombra. Che un tempo era stata una divinità.

 

“Io sono te, tu sei me,” aveva pronunciato con solennità Yaksini. Era riuscita a liberarsi dalla maledizione che l’aveva tramutata in un demone. Un anatema che lei stessa aveva pronunciato per cancellare il suo passato e gli errori che aveva commesso, ma ora che si era legata all’anima del ragazzo, diventandone la Persona, le sue memorie erano tornate, prepotenti e crudeli. Avrebbe preferito non ricordare, ma quella era l’unica opportunità che aveva di tornare se stessa.

 

Non era sempre stata un’ombra. Un tempo era stata una delle Yakshi, una delle divinità in grado di far avverare i desideri degli uomini loro devoti. 

Avrebbe tanto desiderato poter pronunciare il proprio nome, ma non intendeva invocarlo neanche nella sua memoria per non infangare la purezza di colei che un tempo era stata e che con molta fatica forse un giorno sarebbe tornata a essere, se fosse riuscita a espiare i propri peccati.

Era passato così tanto tempo da quando la sua esistenza era mutata che ormai faceva fatica a rammentare il passato, ma chiudendo gli occhi le tornava ancora la memoria di quando un tempo gli uomini andassero a cercarla per ottenere fortuna, ricchezza e felicità. La invocavano sotto gli alberi di Kadamba, col caldo o con la pioggia, di giorno e di notte. Ricchi o poveri che fossero non c'era differenza, perché tutti arrivavano a piedi all’albero e portavano con loro canfora, legno di sandalo e burro chiarificato, doni per lei, rituali imparati dagli avi. Ripetevano il mantra migliaia di volte, e poi ancora migliaia di volte purché lei li ascoltasse ed esaudisse i loro desideri.

 

Lei però donava la sua benedizione solo a chi presentava le motivazioni più pure, a chi desiderava quanto necessario e forse qualcosa in più, ma sempre a chi non osava approfittarsi del suo aiuto. Mostrava loro la sua divinità nel suo corpo di donna prosperosa, pronta a portar loro la prosperità.

 

Poi un giorno tutto era cambiato: un giorno si era innamorata dell'aspetto di uno degli uomini che era andato a invocarla. La sua voce l'aveva incantata prima ancora che lei riuscisse a vederlo davvero e, quando con la mente la Yakshi l'aveva raggiunto, ne era rimasta ammaliata. L’aveva amato e l'aveva accontentato senza preoccuparsi per la prima volta nella sua esistenza divina di ascoltare fino in fondo al cuore i suoi veri desideri: pensieri impuri e terribili nascosti sotto un aspetto angelico, un sorriso aperto che pareva sincero e che invece era desiderio di morte.

 

La dea si era concentrata sulla voce melliflua e suadente che accompagnava le parole senza cercare di mettersi in risonanza col cuore marcio dell’uomo.

Da quel giorno aveva iniziato a perdere contatto con la sua anima divina: aveva perso l'interesse negli uomini e aveva iniziato ad attaccarsi a lui in modo offensivo, ammirando il suo corpo,  a osservarlo e a desiderarlo dimenticandosi di ciò che invece la sua divinità le imponeva di fare. 

Lui la ringraziava ogni mattina per aver esaudito i suoi desideri e lei ogni mattina, invisibile ai suoi occhi, restava attaccata al cuore marcio dell’uomo mancando di rispetto al suo vero ruolo di Yakshi.

 

Così, dopo qualche tempo, aveva potuto constatare ciò che egli aveva fatto con la ricchezza e la fortuna che lei gli aveva donato così incautamente. Egli aveva rubato denaro, merce e onore alla famiglia rivale alla sua. Aveva sposato con l’inganno una donna che lo detestava, della quale lui amava solo la ricchezza materiale.

La maltrattava ogni giorno e la donna era arrivata a essere infelice al punto che l’aveva lasciato perdendo tutto e ritrovandosi a vivere sola in povertà.

La Yakshi si era attaccata a lui ancora di più, incapace di vedere oltre l’aura ammaliante che egli possedeva, felice di avergli donato prosperità e gioia. Non vedeva altro che lui e non riusciva a pensare con purezza al cuore degli uomini che aiutava distratta, senza spinta, senza più il cuore puro di un tempo.

 

Poi un giorno il suo aspetto aveva iniziato a cambiare.

I desideri corrotti della sua anima avevano iniziato a manifestarsi rendendo la sua pelle violacea, come morta. Stava diventando la manifestazione della corruzione così invisibile nell'uomo che l'aveva ingannata, così evidente in lei e nel suo cuore un tempo puro.

Aveva quasi smesso di sentire i mantra che gli uomini le dedicavano, doveva concentrarsi così tanto per riuscirci che rischiava di perderlo, quindi aveva smesso di provarci.

L'attaccamento all'uomo la stava privando della sua divinità, ma a lei non importava.

Da pura a oscura, un giorno si era risvegliata come Ombra.

 


Ora che la sua memoria era tornata, si era resa conto di essere stata vittima di un incanto di malia che le aveva fatto perdere la via della rettitudine che lei aveva sempre seguito con grande attenzione e amore nei confronti degli uomini. 

Pregava che, quando il ragazzo l’avrebbe lasciata andare, sarebbe stata perdonata dalle divinità che le avevano un tempo donato quel potere meraviglioso che, di nuovo, desiderava. Sarebbe tornata Janaranjika.

quistisf: (Default)
Fandom: Persona 5
Personaggi: Goro Akechi, Ren Amamiya
Spoiler!
Scritta per la Maritombola, prompt: 
68. “Non pensavo mi saresti mancato/a tanto.” / “Tu invece non mi sei mancato/a affatto.”
E se tornassi?



Negli ultimi giorni Ren aveva immaginato più volte di vedere Akechi con la coda dell’occhio, al punto che era arrivato a chiedersi se il suo fosse senso di colpa o tristezza per aver perso un amico. Akechi aveva sbagliato, era vero. Era un assassino e avrebbe dovuto pagare per ciò che aveva fatto perché, al contrario dei Phantom Thieves, lui aveva ucciso in nome della giustizia e questo non era perdonabile e mai lo sarebbe stato. 

Akechi aveva pagato con la vita i suoi errori e Ren si era chiesto tante volte come avrebbe fatto a continuare a vivere dopo essersi pentito di ciò che aveva fatto. Ogni giorno avrebbe dovuto fare i conti con le vite che aveva spezzato, con il dolore che aveva causato. Non era sicuro che ce l’avrebbe fatta.

“Ciao, Ren.”

Quando aveva sentito la sua voce si era sentito di pietra. Aveva stretto i pugni e voltato la testa per trovarsi di fronte il sorriso di Akechi, superbo e sicuro come al solito. 

Akechi era vivo e sembrava divertito. “Non pensavo mi saresti mancato tanto, Amamiya.”

 “Tu invece non mi sei mancato affatto, Goro.” Non era vero, ma forse, in effetti, lo sapeva già.

 
quistisf: (Default)
 Fandom: Persona 5

Personaggi: Futaba Sakura, Ren Amamiya

Prompt: https://www.youtube.com/watch?v=3EmUmbhDRiY

One Shot

Partecipa al COWT10

 

 

Stay tonight

 

Can't you stay

Stay with me into the night

Stay, I need you close

You can go back when the sun rise again

Just stay tonight, just stay

(KEiiNO - Spirit In The Sky) 

 

 

Durante le ultime notti Futaba non era riuscita a dormire. Continuava a cercare di pensare ad altro, ma il suo pensiero tornava sempre e comunque a lui, a Ren. 

Mancava poco ormai alla realizzazione del loro piano. Entro pochi giorni lui sarebbe stato costretto a fingere la sua morte e loro avrebbero dovuto fingere che fosse successa davvero.

Futaba continuava a chiedersi cosa avrebbe fatto se lui fosse morto davvero, se per qualunque ragione il loro piano fosse fallito e la colpa fosse in qualche modo stata sua non avrebbe mai potuto perdonarselo. 

Si sentiva persa, distrutta e sola come non lo era mai stata prima. 

Prima di conoscerlo la solitudine era per lei una sensazione rassicurante, da sola era artefice del suo destino e poteva incontrare amici online se lo desiderava, dove lei era conosciuta e rispettata, ma nessuno sapeva davvero chi fosse, era solo Medjed: l’unica e originale, potente e imitata. 

Nella vita reale invece era molto diversa: indifesa, terrorizzata all’idea che qualcuno le parlasse o la vedesse in carne e ossa, fragile come si sentiva.

Aveva chiesto aiuto ai Phantom Thieves proprio perché non riusciva più a vivere chiusa in casa, nella sua tomba in attesa che la morte arrivasse a prenderla donandole sollievo, ai suoi occhi. Spiare Ren e gli altri le aveva fatto capire che doveva cambiare qualcosa e se lei non fosse riuscita a farlo in tempi brevi, non ne sarebbe uscita più.

 

Le dispiaceva anche per Sojiro, che provava a proteggerla con tutte le sue forze, ma che in quel frangente non poteva fare nulla per aiutarla, perché Futaba sapeva che il cambiamento doveva arrivare da lei direttamente e soltanto lei avrebbe potuto decidere di uscire dalla sua prigione e far entrare il mondo.

I ragazzi si erano dimostrati tutti molto comprensivi con lei fin da subito, anche se la prima sera li aveva spaventati a morte. Per la prima volta  dopo tanto tempo, ripensandoci aveva riso di gusto, ricordandosi di Makoto e del suo terrore.

Ne avevano passate tante da allora e Futaba si era affezionata a tutti loro, ma Ren le tornava nei pensieri molto più spesso di tutti gli altri, e i pensieri che aveva su di lui cominciavano a farla sentire a disagio.

 

Aveva iniziato a sognarlo e nei sogni la abbracciava, la stringeva a sé e la ringraziava per tutto quello che lei faceva per il gruppo. Futaba si svegliava su di giri e rossa in viso, accaldata e col cuore in gola. Non aveva mai avuto il coraggio di esprimergli i suoi sentimenti, perché immaginava che lui avrebbe riso di fronte alla sua dichiarazione. In fin dei conti si era accorta di non essere l’unica a essere interessata a lui, e tra tutte si chiedeva come avrebbe potuto sceglierla, stramba e incapace di stare al mondo com’era.

C’era Makoto, intelligente, abile e coraggiosa; e poi Ann, la bellezza fatta persona. La dolce, premurosa e bellissima Ann. 

Haru, poi, era l’eleganza e la raffinatezza ed era anche ricca, cosa che non guastava.

Cosa aveva lei più di loro, si chiedeva Futaba e non era in grado di rispondere. Grande cervello, ma non aveva intelligenza pratica. Era carina, questo lo sapeva, ma non bella come le altre e il suo portamento non era altrettanto buono, ricurva e imbranata com’era.


Quella sera però stava cercando di non pensare a tutti i suoi difetti. Quella sera voleva andare da lui perché sapeva che poteva essere la sua unica possibilità e non voleva rimpiangerla per il resto della sua vita.

Era arrivata nella sua stanza trafelata, quasi correndo perché sapeva che se si fosse fermata, se si fosse data il tempo di pensare sarebbe tornata indietro e si sarebbe seppellita sotto il suo letto per passare la notte nella vergogna della sua paura. Non poteva avere paura di lui, doveva provare.

 

Gli era saltata al collo tremando di paura e lui aveva risposto al suo abbraccio. Morgana per fortuna non era lì a vedere quel pessimo spettacolo e ad aggiungere vergogna a quella che già provava. 

“Futaba, va tutto bene?”
“No, non va bene. Io… non voglio perderti.”

Ren le stava accarezzando i capelli con una mano, mentre con l’altra la stringeva con affetto. “Non mi perderete, funzionerà. Ho fiducia in te, in voi.”

“Puoi… puoi…” Non riusciva a parlare, con la testa appoggiata al suo petto, sentiva il suo cuore battere regolare e non faceva altro che cercare un modo per trovare le parole. Per un attimo era arrivata a pensare di scrivergli un messaggio col cellulare, visto che le parole non volevano uscirle dalla bocca. “Io… Ren, io posso… posso restare con te?”

Futaba aveva alzato la testa ed era riuscita a guardarlo negli occhi. La paura che lui la rifiutasse si stava facendo più flebile ogni secondo che passava. Si stava domandando se lui la vedesse come una sorellina minore, come una sciocca ragazzina infatuata di lui come le altre. Ma negli occhi scuri di Ren non c’era disprezzo, non c’era imbarazzo e neppure paura.

“Posso restare con te stanotte?” Gli aveva chiesto raccogliendo tutte le sue forze. Lui l’aveva attirata a sé in un bacio che era stato diverso da come lo aveva sempre immaginato Futaba.

Non che la ragazza avesse alcun tipo di esperienza, ma pensava che sarebbe stato difficile e invece tutto era stato anche troppo naturale. Avevano passato la notte insieme sul letto di Ren, quasi senza parlare. Futaba si era addormentata tra le sue braccia ed era stato il sonno più bello della sua vita. Sentiva di aver superato un ostacolo che aveva sempre creduto insormontabile.

 

Sperava di cuore che il piano funzionasse, perché voleva di più dei baci di quella notte, voleva una vita con Ren, voleva diventare una donna a tutti gli effetti, una donna in grado di uscire a cena con lui e di andare a comprargli un regalo senza arrossire e sapeva che con lui avrebbe potuto farcela. Con lui sarebbe diventata una persona migliore persino lei, nonostante la sua incapacità cronica di vivere come una persona normale.

 

Futaba era uscita dal LeBlanc con un sorriso beato stampato sul volto ed era tornata nel suo letto sperando che Sojiro non si fosse accorto della sua assenza quella notte. In realtà anche se lui l’avesse scoperta non le sarebbe importato. Era troppo felice, ci si sarebbe potuta abituare.

 


quistisf: (Default)
Ricordi di un ladro fantasma
Ricordi di una vita tranquilla


Fandom: Persona 5
Personaggi: Ren Amamiya, Morgana, Phantom Thieves, Genitori di Ren
Prompt: scambio di persona. Cosa succederebbe se il Joker un giorno si risvegliasse nella casa dove ha sempre vissuto coi suoi genitori e scoprisse che non è mai stato il leader dei Phantom Thieves? E se l'altro Ren, quello che invece ha sempre avuto una vita normale si risvegliasse di fianco a un gatto parlante? Chissà se alla fine sarebbero contenti dei loro destini
Partecipa al COWT10



 

 

Al suo risveglio, Ren si sentiva più stanco di quando era andato a dormire, eppure non aveva neanche messo la sveglia per quella domenica di tranquillità.

Aveva promesso a Futaba che sarebbero andati al cinema insieme, lei aveva già un film in mente e di certo sarebbe stato qualcosa di avventuroso con dei robot da qualche parte.

Si era alzato in piedi con l’idea di controllare la televendita di Tanaka e poi di correre a farsi una doccia per poi essere tranquillo e libero.

Solo che quello non era il suo solito letto e lui non era al Leblanc: era nella casa dove aveva sempre vissuto coi suoi genitori. Si alzò di scatto per accendere la luce e ne ebbe la conferma.

Scese le scale circospetto per trovarsi di fronte ai suoi genitori che come se niente fosse stavano preparando la colazione.

“Bevi un caffè, Ren? Oggi abbiamo preparato la colazione all’americana: pancake! Sei contento?”
Il ragazzo era immobile come uno spaventapasseri, la bocca aperta alla ricerca di qualcosa da dire. “Grazie,” rispose, sedendosi senza riuscire ancora a riordinare i pensieri.

Che fosse impazzito? Che stesse sognando?

A pensarci bene sembrava più un sogno la sua vita a Tokyo con i Phantom Thieves.

“Ma che giorno è?” Domandò fissando sua madre.

“Ren, stai bene? Sei pallido e mi sembri quasi sul punto di svenire.”

“Sono… confuso. Ma il processo come… devo andare a Tokyo?”

Sua madre si mise a ridere. “Ma cosa stai dicendo? Ma quale processo? Devi avere fatto un bel sogno interessante.”

 

E la sua Persona? La Velvet room che fine avevano fatto? Non poteva aver perso mesi della sua vita senza averne neppure il ricordo, eppure pareva proprio fosse così anche se il calendario gli diceva che esattamente il giorno che si aspettava che fosse. Era forse finito in un’altra dimensione? E se lui era lì, chi c’era al suo posto?

Si era messo a ridere al pensiero del nuovo Ren e al suo risveglio di fianco a Morgana, chissà che colpo poteva aver preso. Sperava che non fosse fuggito urlando dalla stanza pensando di essere vittima di uno scherzaccio di cattivo gusto.

Si chiedeva solo se era ancora in grado di invocare le Persona. Le sentiva a pensarci, doveva solo trovare un palazzo o il memento della sua città, sempre che esitesse.

 

Aveva iniziato a girare il paese subito dopo colazione. Si era concentrato nella ricerca di un qualsiasi indizio e aveva installato l’app, ma nulla era apparso.

Quando aveva iniziato a perdere tutte le sue speranze aveva visto qualcosa che l’aveva fatto sperare, però.

Aveva seguito la ragazza bionda correndo fino a quando si era trovato di fronte alla porta della Velvet room. Justine e Caroline gli sorridevano. “In questa realtà non hai ancora fatto il patto, puoi scegliere. Se entrerai nella velvet room di tua volontà però il tuo destino sarà deciso, e non sarà la storia che hai già vissuto, ma un’altra storia diversa, con persone diverse. Non puoi tornare indietro ormai.”

Il Joker era solo Ren. Avrebbe potuto continuare a vivere la sua adolescenza preoccupandosi solo dei problemi che un comune studente doveva affrontare. Non c’era stato il processo e questo significava che il se stesso di cui aveva preso il posto aveva ignorato le richieste di aiuto di quella ragazza, evitando di scontrarsi con l’uomo che poi l’aveva denunciato.

Lui però era diverso, lui non si sarebbe seduto comodamente a lasciarsi guidare dalle decisioni altrui. Nonostante i rischi che ben conosceva avrebbe aperto quella porta e avrebbe compiuto il suo destino. In fin dei conti non c’era più Ren senza il Joker.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ricordi di una vita tranquilla

 

 

 

 

Ren si era svegliato in un luogo sconosciuto. L’unico essere vivente nella stanza oltre a lui era un gatto nero che dormiva sul letto al suo fianco. Che fosse un sogno? Si era vestito in tutta fretta e aveva iniziato a impacchettare le sue cose quando aveva sentito una voce.

“Ren, ma dove vai?”

Il ragazzo aveva sussultato e si era voltato ancora più confuso. Non c’era nessuno dietro di lui, solo il gatto. Infatti l’animale lo stava guardando seduto sul letto. “Ma che ti prende oggi?”

Aveva urlato con tutto il fiato che aveva in gola. Il gatto aveva parlato.

“La vuoi smettere di fare il cretino? Ren, smettila di urlare adesso! Hey, che succede?”

“Ma tu chi sei? Dove sono?”
“Ma sei ubriaco? Io sono Morgana, tu sei Ren e sei a Tokyo, al Cafè LeBlanc, dove vivi.”

“Io non abito a Tokyo… E questo deve essere un sogno.”

Morgana aveva sospirato. “Ok, allora è un sogno. Siediti sul letto, prendi il tuo cellulare e guardalo.”

Ren aveva seguito gli ordini del gatto. Le fotografie nel suo telefono gli mostravano una vita che non conosceva, che non ricordava e della quale era francamente un po’ spaventato. I messaggi allo stesso modo sembravano scritti in codice visti gli argomenti assurdi che trattavano.

Futaba era arrivata in pochi minuti e aveva cercato di capire cosa fosse successo, ma non ci era riuscita neppure lei. “È come se tu venissi da un’altra dimensione nella quale Ren non è mai arrivato a Tokyo e non ha mai risvegliato i poteri delle sue Persona. Chissà se saresti ancora capace di invocarle? Ma soprattutto, chissà se esiste ancora il Memento.”

Morgana era intervenuta. “Certo che esiste, non so se sarei qui altrimenti.”

I due avevano iniziato a parlare senza che Ren riuscisse a capire una parola dei loro discorsi: memento, palazzi, persona, tesori da rubare e cuori da prendere, phantom thieves e altre sciocchezze che non riusciva neppure a ricordare. “Scusate.”

Li aveva interrotti. “Mi aiutate a capirci qualcosa? Io penso ancora che sia tutto troppo assurdo per essere vero.”

Futaba aveva scritto qualcosa sul cellulare a velocità impossibile e il suo telefono aveva vibrato. “Andiamo nel Memento e vediamo cosa succede. Ho chiamato gli altri.”

 

Gli altri erano di certo molto più normali del gatto e della ragazza nerd stranissima che aveva già conosciuto. Ren si era stupito nel constatare che a combattere ci fossero due ragazze all’apparenza bellissime, un teppista ossigenato e un ragazzo che sembrava non voler stare lì con loro.

Al segnale dato da Morgana erano stati trasportati magicamente in un luogo assurdo.

“Almeno ha la maschera,” aveva osservato Futaba, ancora irritata per aver perso il suo Ren.

Il ragazzo si stava guardando intorno spaesato ed era impallidito quando si era accorto che anche i suoi abiti erano cambiati. Si stava toccando la faccia per cercare di capire cosa avesse addosso. “Eccoci al Memento, e siamo solo all’inizio. Ora vediamo se sai combattere.”

Non era facile per lui stare lì in mezzo a quegli strani ragazzi, ma dopo avere provato a resistere alle storie di Morgana e di Futaba aveva deciso di concedere loro il beneficio del dubbio. I documenti che attestavano il processo di cui non aveva memoria, poi, l’avevano convinto che forse era vero che veniva da un’altra realtà.

Il messaggio che aveva mandato ai suoi ne era stato la conferma. Di fronte al suo “come state” avevano risposto chiedendo come andava a Tokyo e gli avevano detto quanto fossero entrambi in attesa di aprile per poterlo riabbracciare finalmente.

 

Aveva seguito i ragazzi lungo le scale. “Vedrai, sono sicura che combattere ti risulterà naturale, sei sempre stato il più forte tra noi.”

Ren aveva fatto un salto quando il gatto si era trasformato in un pulmino, o forse era un camioncino, ma era salito insieme agli altri. Dopo meno di un minuto si erano trovati di fronte a una creatura orribile. “Ecco un’ombra, preparati.” Aveva detto Makoto guardandolo con speranza.

Gli altri avevano evocato quelle che loro avevano chiamato Persona, e lui era rimasto lì immobile.

“Joker, vai, combatti con noi.”

Ren aveva preso coraggio e aveva cercato dentro di sé la forza per invocare la sua Persona. Non era stato facile riuscire a sentire la capacità di riuscirci, qualcosa di nuovo e di stranissimo, ma quando aveva iniziato a pensare all’invocazione era successo tutto in modo naturale.

La Persona era apparsa e lui si era sentito strano. Quell’essere separato da lui era come se fosse parte della sua stessa anima. Agiva come un prolungamento della sua volontà.

Ren aveva lanciato il colpo di grazia sull’ombra e alla fine del combattimento era rimasto a fissare la Persona, quell’essere che sentiva di conoscere e che non aveva mai visto prima. E quando era scomparsa, o l’aveva lasciata andare, ancora non capiva bene come funzionasse, si era sentito un eroe.

“Lo facciamo ancora?” Aveva chiesto rivolto agli altri Phantom Thieves, che lo stavano osservando con sguardo interrogativo.

“Come ti senti?” Aveva chiesto Ann.

“Benissimo, è una sensazione unica e non vedo l’ora di imparare a combattere.”

Avevano continuato ad allenarsi per qualche ora, fino a quando Ren non aveva iniziato a prendere confidenza con tutte le Persona che poteva controllare.

 

Al loro rientro gli altri ragazzi erano sembrati poco entusiasti. “Scusaci,” aveva detto Ryuji. “Tu sei diverso dal Ren che abbiamo conosciuto noi, ma sei come lui. Ora non sappiamo bene se sperare che tu resti o che torni il vecchio Ren e che tu riacquisisca la tua vecchia vita.”

“Capisco,” Aveva risposto Ren. “Se anche dovessi tornare alla mia vecchia vita, credo che verrei comunque a cercarvi, ora che so che questo mondo esiste.”

Quella notte Ren era andato a dormire presto, stanco a causa dei combattimenti. Morgana si era messo al suo fianco come sempre, ma sembrava inquieto.

“Credi che tornerò alla mia vecchia vita al mio risveglio.”

“Non ne ho idea,” aveva risposto il saggio gatto. “Comunque vada sono stato contento di averti conosciuto, spero solo che non arrivi un altro Ren ancora domani, perché ho fatto una fatica a spiegarti tutto oggi e non vorrei ripetere l’esperienza.”

Ren si era messo a ridere, ma sentiva dentro una strana amarezza: desiderava avere indietro la sua vecchia vita, ma non avrebbe lasciato questa, della quale aveva potuto assaporare un solo assaggio che non gli era bastato per niente. Non poteva immaginare di tornare un ragazzo semplice di provincia ora che sapeva che avrebbe potuto essere il Joker, il leader del gruppo dei ladri di cuori che con il loro potere stava rendendo il mondo un posto migliore.

In cuor suo sapeva che in ogni caso quell’esperienza sarebbe stata per sempre parte di lui e un po’ si dispiaceva al pensiero dell’altro Ren, che probabilmente in quel momento stava solo studiando.

 
 
quistisf: (Default)
 

Fandom: Persona 5
Genere/tipo: slice of life
Prompt: Luoghi di Nocturnia
Partecipa al COWT10!

 

A dieta, mai.


- Ma che idea è chiamare una cioccolateria Dieta. Come gli è venuto in mente?

Ren aveva alzato le spalle - Non ci avevo neanche pensato in realtà.

- Che facciano solo dolci dietetici? Oh, sarebbe meraviglioso, Potrei finalmente mangiare tutto il cioccolato che voglio e non preoccuparmi di ingrassare. Magari ne regalerei un po' anche a Mika, magari si calma un po' e la smette di essere così competitiva. - Ann si era fermata e aveva fatto a Ren cenno di entrare.

- Va bene, mangiamo qualcosa.

All'interno c'erano un'enorme vetrina piena di praline diversi e un'altra ricca di tavolette di cioccolata, di biscotti e di altri dolcetti di ogni tipo.

Una signora dalle guance paffute, con una cuffia e un grembiule rosso con il nome della cioccolateria, li aveva accolti con un aperto sorriso.

- Perché dieta? - Aveva chiesto Ann.

- Perché per chi è a dieta abbiamo dei dolcetti proteici, e sono buonissimi, anche se in realtà ne abbiamo solo di due tipi, laggiù. Abbiamo comunque anche i classici dolci che possono andare bene per tutti, ovviamente. Nessuno dovrebbe davvero stare a dieta, soprattutto non voi che siete così belli. La dieta va fatta col cuore felice. -

Ann era rimasta a osservare i vassoi già pronti, pensando alle parole della donna. Lei la pensava un po' così, non poteva neanche pensare di mettersi a Dieta. Aveva iniziato a contare con le dita guardando un punto indistinto del vuoto.

- Desiderate un vassoietto di praline? - aveva chiesto la proprietaria, perché a guardarla bene doveva esserlo.

- No. - Aveva risposto Ann, continuando a contare. - Ne vorrei dodici.


Prima che i due pagassero, la donna aveva dato ai due una pralina a testa in assaggio. Era senza dubbio cioccolato eccellente.

- Arrivederci, - li aveva salutati la signora con allegria.


Ren stava portando i due sacchetti colmi di pacchetti regalo - Ma per chi è tutta questa cioccolata? 

- Per cominciare uno è per te, ne ho presa per tutti, la signora era simpatica.

Ren era felice del regalo. Li avrebbe conservati con cura e gli avrebbero aiutato a pensare a lei. - Grazie. Ora torniamo a casa.

quistisf: (Default)
Fandom: Persona 5
One shot
Partecipa al COWT9
Prompt: Arcani maggiori
Note: In Persona 5 ogni personaggio è associato a uno degli Arcani Maggiori, che ne determina le caratteristiche.

Afficionado
La Veggente
Sadayo
Il Tonfo
Doubts
Il test
Yaldabaoth


 
"There are probably a lot of people who have high hopes for the Phantom Thieves' next move. So I've also implemented an anonymous poll on the site. "Do you believe in the Phantom Thieves, or not?""

—Yuuki Mishima, Persona 5
Dopo aver confessato ad Amamiya e a Sakamoto ciò che veramente accadeva con Kamoshida, Yuuki si era sentito più leggero.
Arrivato a casa, si era domandato perché tutti continuassero a mantenere il segreto, visto che la gloria per le vittorie della squadra di pallavolo era tutta per il professore, loro, che si impegnavano al massimo per ottenere risultati, spesso sforzandosi più di quanto sarebbe stato accettabile in una scuola, non avevano che rimproveri e vessazioni continue. Dove era la soddisfazione che avevano l’anno precedente? Quando prima che arrivasse Kamoshida la squadra non vinceva sempre, ma almeno era unita e non cercavano continuamente di incolparsi a vicenda per evitare di dover subire le ire del loro allenatore.
Quei due avevano ragione e il giorno seguente Yuuki avrebbe parlato anche con gli altri della squadra, avrebbe tentato di mettersi in prima linea per trovare una soluzione.
Shiho aveva pagato le conseguenze delle paure della squadra. Il solo pensare di essere stato lui a mandarla nell’ufficio di quel maiale lo faceva stare male. Aveva la nausea da quando aveva visto la ragazza volare giù dal tetto della scuola e si chiedeva cosa avrebbe potuto fare per evitare quella situazione. Lui, un codardo. Sapeva benissimo che non avrebbe mai veramente agito, nemmeno quando lui era stato colpito dalla crudeltà di Kamoshida era stato in grado di reagire.
Era un debole, lo era sempre stato e la cosa non sarebbe cambiata da un giorno all’altro, ma Yuuki avrebbe provato a lavorarci.
 
Il giorno seguente a scuola aveva visto tutti quegli strani adesivi:
Ruberemo il tuo cuore
Sig. Suguru Kamoshida
Il lussurioso bastardo
Speriamo che tu sia pronto.
the Phantom Thieves of Hearts
 
Dal giorno seguente, Kamoshida non si era più presentato a scuola e Yuuki immaginava, sebbene fosse quasi assurdo, potesse esserci una correlazione tra quei biglietti e l’improvvisa malattia del professore, ma non riusciva a immaginare come qualcuno potesse rubare il cuore di qualcun altro.
Aveva osservato Amamiya, Sakamoto e Takamaki e li aveva visti più sereni, soddisfatti. Ann l’aveva anche ringraziato per aver detto loro la verità, anche se era chiaro che pensava fosse troppo tardi.
 
Aveva avuto la certezza che i Phantom Thieves fossero loro solo il giorno della confessione di Kamoshida. Come potevano avere fatto? Le domande continuavano a frullargli in testa, ma non otteneva alcuna risposta, perché quello che avevano fatto era semplicemente impossibile.
 
Mishima aveva preso coraggio, era andato da Ren a chiedergli come avessero fatto a rubare il cuore del professore e se avessero in mente un nuovo obiettivo.
“Voglio aiutarvi,” gli occhi gli brillavano, conscio che avrebbe potuto farlo veramente.
Ren aveva negato. “Non so di cosa tu stia parlando, mi sembra una roba da film, non crederai davvero che sia possibile rubare i cuori della gente, vero?”
Yuuki aveva ignorato le sue negazioni, era sicuro che lui fosse uno di loro e non aveva certo bisogno di conferme, anche se avrebbe voluto avere almeno qualche risposta. “Il Phantom Afficionado Website, sarà un sito nel quale la gente potrà commentare, in più posterò anche dei sondaggi per aiutarvi a trovare il nuovo obiettivo, per aiutarvi.”
A Mishima non era sfuggito lo sguardo sorpreso di Amamiya, era evidente che l’avesse preso sottogamba, ma lui non era un semplice fan e non sarebbe stato un peso per loro, al contrario: li avrebbe aiutati, finalmente aveva uno scopo nella vita.


 





Sin da piccola, Chihaya aveva avuto delle intuizioni difficili da attribuire al caso.
Riusciva sempre a capire cosa stesse per succedere e non sapeva spiegarsi come facesse a indovinare ogni volta. Sua nonna le aveva raccontato di avere lo stesso dono. “L’ho sentito in te quando ti ho vista per la prima volta.” E un giorno le aveva regalato un mazzo di Tarocchi.
Chihaya li aveva trovati splendidi: i colori vibranti la attiravano e i disegni erano a volte quasi spaventosi, ma in ciascuno di essi lei vedeva bellezza e opportunità.
Appena aveva toccato le carte, aveva sentito un calore diffondersi nel suo corpo a partire dalle sue mani, come se quegli arcani fossero sempre stati parte di lei, come se prima le fosse mancato qualcosa.
La nonna l'aveva invitata a mescolarle, a sentirle sulle mani una a una e a fare amicizia con le carte per avere la loro fiducia, perché non la tradissero quando chiedeva loro di avere le risposte che cercava.
Chihaya aveva sentito dentro di sé che l'avevano accettata quasi subito e, quando si era sentita pronta, aveva preso una carta e l'aveva messa sul tavolo di fronte sé.
"Come immaginavo," La nonna sembrava contenta. "Sai cosa significa?"
"Che il destino può cambiare?"
"No, Aya, significa che il destino non cambia, che dobbiamo accettare i cambiamenti della nostra vita, che non è altro che un piccolo frammento nel disegno cosmico del destino. La carta ti dice che questo è il tuo destino e ti invita ad accettarlo e a compierlo."
Chihaya sentiva da sempre la voce dell’universo e aveva accettato la sua sorte sin dalla prima volta che ne aveva avuta la possibilità, quando aveva aiutato una delle sue amiche a capire cosa desiderasse sua madre per il compleanno.
"Pensi di poter accettare un destino così bello e così difficile?"
"Sì."
"Sai che qualcuno potrebbe non capire e avere paura delle tue facoltà, anche la tua mamma forse. Quindi stai attenta. Se hai dubbi, chiedi aiuto alle carte, loro non ti mentiranno, se seguirai il tuo destino."
Chihaya l'aveva abbracciato, ma aveva ascoltato il consiglio della nonna e non aveva mai fatto previsioni apertamente, soprattutto non aveva mai usato le carte in pubblico.
Un giorno però tornando a casa aveva avuto una pessima sensazione: il suo sguardo continuava a essere catturato da un condominio che vedeva ogni giorno tornando da scuola e non l'aveva mai notato, non così. In particolare osservava una finestra e continuava a pensare alla distruzione.
Era corsa in camera sua a tirare fuori le carte, mentre l'inquietudine dentro di lei continuava a crescere, e aveva chiesto loro di aiutarla a capire. Aveva estratto la torre, la distruzione, e subito dopo la morte rovesciata: sciagura, morte, esplosione. Aveva visto tutto nella sua mente.
Aveva capito subito ed era corsa da sua madre con le lacrime agli occhi: "Mamma, il palazzo, quello laggiù, esploderà, dobbiamo fermarlo."
Sia madre la guardava come se si fosse appena svegliata da un incubo
"Cosa? Calmati, Aya, cosa stai dicendo?"
"L'ho visto."
Chihaya era corsa fuori e uscita sulla strada. Il condominio era uno dei più grandi nel loro paese e di certo se fosse successo qualcosa sarebbe stato un disastro, sia per la gente per le strade che per gli abitanti del condominio.
Era corsa a suonare a tutti i campanelli, chiedendo agli abitanti di uscire e di chiamare i pompieri.
C'era gente ovunque, qualcuno era preoccupato, altri erano semplicemente curiosi di capire cosa volesse quella bambina.
I pompieri avevano fatto un controllo e in effetti avevano riscontrato un'importante fuga di gas.
"Hai sentito l'odore?" Chihaya, che da ore urlava disperata finalmente si stava calmando, ora che le avevano detto che grazie a lei era andato tutto bene, ma si chiedeva se fosse davvero quello il suo destino: l'essere trattata da pazza dalla quasi totalità della gente.
Quando erano tornate a casa, sua madre le aveva chiesto come avesse fatto a sentire l'odore di gas da quella distanza e Aya aveva scosso la testa. "Non lo so, io... l'ho sentito."
Sua madre non aveva messo in dubbio quelle parole, anche se aveva capito che sua figlia molto probabilmente possedeva lo stesso dono di sua nonna, la maledizione che l'aveva costretta a cambiare casa da ragazza. Sperava che lei l'avrebbe superato, perché sua madre sapeva quanto la sua Aya fosse speciale e l'avrebbe protetta a ogni costo.




 
 
Sadayo aveva chiesto a Takase di presentarsi nel suo ufficio dopo la scuola. Si sentiva in colpa per ciò che avrebbe dovuto dirgli, sotto ordine del preside, e aveva pensato di tentare di conoscere le sue ragioni prima di chiedergli gentilmente di andarsene da quella scuola, cosa che avrebbe semplicemente fatto partire un circolo vizioso che avrebbe ridotto il povero ragazzo a cambiare parecchie scuole e a finire col perdere la possibilità di completare gli studi.
Takase era entrato nella sala professori con uno sguardo spaventato, sembrava avere capito ciò che lo aspettava ed era evidente che fosse rassegnato a eseguire gli ordini della sua professoressa.
"Buongiorno, Takase."
"Buongiorno professoressa Kawakami." Lei l'aveva invitato a sedersi.

"Parliamoci chiaro, Taiki, sei qui perché i tuoi voti sono i peggiori della scuola e tu sai benissimo che così non si può andare avanti."
Il ragazzo teneva gli occhi bassi, si osservava le mani rovinate dal contatto con l'acqua. "Lo so... Solo che io non riesco a fare meglio. Vorrei andare meglio, ma devo lavorare da quando i miei genitori sono morti, se non lo facessi non potrei venire a scuola."
Sadayo aveva sentito un groppo allo stomaco nel constatare quanto il ragazzo all'apparenza duro e svogliato sembrasse tenere alla propria istruzione. "Quante ore lavori a settimana?"
Lui aveva iniziato a contare sottovoce. "Di solito almeno trentacinque, a volte di più..."
"Cosa? Ma è un lavoro a tempo pieno!"
"Sono tre part time."
Sadayo aveva intenzione di parlare al preside della situazione difficile di Takase, ma aveva l'impressione che a lui non importasse conoscere le motivazioni dietro lo scarso rendimento del ragazzo, voleva soltanto liberarsi del problema per mantenere alte le medie della scuola.
"Ti posso aiutare io, dare qualche lezione privata. Gratuita, ovviamente. Perché il tuo impegno mostra dedizione e ti meriti un aiuto."
"Grazie, professoressa Kawakami." Taiki si era alzato e aveva fatto un inchino in segno di referenza.
"Di niente, fammi avere una lista dei tuoi orari liberi e faremo un piano per le lezioni private."
Il ragazzo sembrava sollevato, e Sadayo sentiva che era proprio con quel genere di studenti che aveva la possibilità di dimostrare la sua dedizione al lavoro di insegnante che aveva scelto anche per poter aiutare i ragazzi più bisognosi di attenzione e di tempo. Non avrebbe lasciato perdere, avrebbe combattuto con Taiki per la sua promozione.
"Ora devo andare al lavoro, grazie, davvero."
Il preside non aveva accolto con gioia l'iniziativa di Sadayo, ma le aveva detto di fare come credeva.
I due si incontravano tre volte a settimana. La professoressa si era impegnata a fargli recuperare alcune materie, partendo da quelle per le quali doveva recuperare di più e recuperando man mando e stava avendo dei risultati che qualcuno avrebbe potuto definire mediocri, ma che vista la situazione di Takase erano in realtà ottimi.
Il ragazzo era sempre più stanco, ma si impegnava più che poteva per far sì che l'impegno di entrambi non fosse vanificato dal suo fallimento, che quasi tutti si aspettavano.
Le aveva raccontato dei suoi tutori, che non si prendevano cura di lui dal punto di vista economico e l'avevano praticamente lasciato a se stesso, consci del fatto che in quel modo non sarebbe stato in grado di diplomarsi. Lui però si era rimboccato le maniche e aveva iniziato a lavorare per mantenersi. Sadayo lo considerava uno dei ragazzi più forti che conosceva.
Purtroppo in quel periodo le voci sul conto di Takase avevano iniziato a moltiplicarsi e qualcuno aveva iniziato a insinuare che il ragazzo fosse coinvolto in affari loschi non ben definiti. Le chiacchiere erano arrivate anche al preside che l'aveva convocata.
"Può scegliere: o lascia perdere il ragazzo o io mi vedrò costretto a perdere un'insegnante che rispetto a causa di un piccolo delinquente che non merita il nostro tempo."
Sadayo si era trovata con le spalle al muro. Non voleva lasciare Takase a se stesso, ma non poteva perdere il suo lavoro, non riusciva a immaginare di dover rinunciare a tutta la sua classe, ai ragazzi che aveva portato a crescere fino a quel momento, per lui.
Avrebbe trovato un modo per aiutarlo.
"Se vuole restare, glielo deve dire adesso." Il preside le aveva indicato il telefono del suo ufficio. "Lo chiami e gli dica che non potete continuare con le lezioni private."
Sadayo aveva avuto l'impulso di andare via sbattendo la porta. Per lei era impensabile che un preside decidesse in modo volontario di lasciare che uno studente, forse non troppo promettente, ma comunque proveniente da una situazione difficile, venisse abbandonato dal sistema scolastico che avrebbe dovuto invece tutelarlo.
Era combattuta, ma sapeva che avrebbe sistemato le cose, avrebbero fatto di nascosto, bastava solo che lei lo chiamasse e poi avrebbero parlato di persona, le cose potevano ancora risolversi.
"Pronto, Takase. Sono Kawakami. Mi dispiace, ma non posso più darti le mie lezioni private..."
Il ragazzo aveva salutato con entusiasmo quando aveva sentito la voce della professoressa, per poi attaccare immediatamente appena aveva compreso il motivo di quella chiamata.
Avrebbero trovato una soluzione. Lei nel peggiore dei casi avrebbe pagato un tutor al ragazzo e le cose sarebbero andate bene. Ci voleva solo un po' di tempo.
Il giorno dopo Sadayo leggendo il giornale aveva appreso la terribile verità. Non avrebbe avuto altro tempo per risolvere le cose con Taiki, perché quel ragazzo problematico non c'era più. Complici la forte pioggia e la stanchezza accumulata lavorando era andato a sbattere contro un mezzo pesante e aveva perso la vita.
Sentiva che la colpa era sua.
 
 
 


 

Di nuovo il tonfo.
Quel rumore terribile e cupo che l'aveva accompagnato per anni nelle sue notti piene di incubi era tornato a tormentarlo.
Da un paio di notti, Akechi si svegliava di soprassalto, spaventato da quel rumore.
Poteva ricordare quel giorno come se fosse appena successo: era solo un bambino, ancora quasi innocente ed era appena tornato da scuola. La mamma non era andato a prenderlo e lui ci era rimasto male, ma era ormai abituato alla sua assenza costante. Da quando il padre se n'era andato lei non era più stata la stessa persona.
Era sempre stanca, nell'ultimo periodo aveva anche smesso di cucinare e Goro si trovava a mangiare soltanto del riso bollito a cui lui cercava di aggiungere qualcosa per dare un po' di sapore. Doveva chiederle di lavare i suoi vestiti, perché lui non era capace di farlo e spesso si ritrovava con la divisa della scuola sporca la mattina ed era costretto a mettersela comunque.
Quando era entrato in casa aveva visto la mamma in cucina, stava piangendo distesa sul pavimento. "Goro, vieni qui, vieni dalla mamma." Lui le era andato incontro, preoccupato.
"Stai male, mamma?" Le aveva domandato, sempre più terrorizzato nel constatare che non rispondeva e continuava singhiozzare.
"Goro, amore, non preoccuparti per me. Non è colpa tua."
Il bambino si era messo a piangere. Per quanto provasse a capire cosa avesse sua madre, non riusciva a fare nulla per farla stare meglio. L'assenza del padre l'aveva buttata completamente a terra e lei aveva anche smesso di andare a lavorare.
"Vado a fare i compiti." Goro se n'era andato lasciandola distesa sul pavimento della cucina. In quel momento non stava piangendo.
Poi aveva sentito la porta del terrazzo che si apriva e aveva guardato fuori dalla finestra della sua camera, che dava sul terrazzo. Aveva visto sua madre in terrazzo, si stava sporgendo per guardare giù e lui non ne comprendeva il motivo.
Aveva pensato di andare a farle compagnia, anche perché sentiva addosso un brivido di inquietudine che non riusciva a scacciare. Quando era arrivato di fronte alla porta del terrazzo, aveva fatto giusto in tempo a incrociare con lei lo sguardo per un unico, eterno, istante, prima che lei si lasciasse andare e volasse come un angelo fino a colpire l'asfalto. Quel suono cupo che lui avrebbe ricordato per sempre.
Crescendo aveva capito che sua madre era depressa, ma ovviamente da bambino non avrebbe potuto immaginarlo e per un lungo periodo aveva incolpato se stesso della sua morte.
Goro era corso fuori dall'appartamento e aveva preso l'ascensore per scendere i cinque piani che lo separavano da lei. Era lì per terra, in una strana posizione innaturale, contornata da un'aura di sangue.
Subito una signora l'aveva preso per portarlo via di lì. L'aveva preso in braccio e tenuto con sé per un tempo che a lui era sembrato indefinibile. Era eterno e breve allo stesso tempo, perché Goro non riusciva a pensare e aveva passato quel tempo a farsi sempre la stessa domanda: Perché? Perché?
Non era giusto, Non meritava il destino che si era ritrovato a dovere sopportare.
Anche anni dopo, quando il suo piano per vendicarsi finalmente si era delineato e lui iniziava a pensare che avrebbe potuto portarlo a compimento, si domandava se il suo nuovo potere non fosse un modo della giustizia di ripagarlo della sua pessima infanzia, di tutte le famiglie affidatarie che aveva dovuto sopportare, di sua madre, troppo debole per la vita, e di suo padre, un uomo che presto sarebbe stato costretto a riconoscere la sua esistenza.
Tutto sommato forse era vero che c'era una giustizia che comandava le vite degli esseri umani e dopo tutta la sua sofferenza, dopo tutti i suoi sforzi per prendere ciò che gli spettava, finalmente qualcosa di inaspettato in senso positivo era successo: Goro Akechi era diventato un Dio.
 
 
 
 



 
 
 

 
 
 
La prima volta che Sojiro aveva incontrato Ren, aveva notato il suo sguardo era profondo e sincero e si era convinto di aver fatto la scelta giusta, perché forse aveva ragione, forse le cose non erano andate come dicevano.
Sojiro aveva letto della faccenda ed era andato subito a informarsi dai suoi vecchi colleghi. Quando Wakaba era stata uccisa, lui era certo che non si fosse suicidata, si era ripromesso di fare tutto ciò che era in suo potere per farla pagare al mandante ed era convinto di avere bene in mente chi fosse. Aveva seguito le mosse di quell'uomo e per questo alla fine si era ritrovato a osservare il processo al ragazzo, che era stato praticamente una farsa.
Non poteva essere un caso che improvvisamente la testimone avesse cambiato completamente idea e che questo avesse messo il ragazzo in una pessima posizione, confermando le dichiarazioni di quel vile che non aveva neanche messo il suo nome o la sua faccia nel rovinare il futuro a un ragazzo che, ormai ne era quasi convinto del tutto, era innocente.
Quando aveva accettato di prendersi cura di lui, Sojiro non sapeva con chi avrebbe avuto a che fare: poteva essere davvero un delinquente, una testa calda che non vedeva l'ora di attaccare briga con chiunque gli si presentasse di fronte, ma solo il pensiero che il ragazzo fosse stato incastrato l'aveva spinto ad agire.

 
La sua famiglia sarà ben lieta di liberarsi di lui, non hanno opposto resistenza quando è stato condannato. Sicuro di volerti tenere sulle spalle un fardello simile, Sakura?
 
E Sojiro aveva confermato di volere avere in affido il ragazzo. Lo doveva a Wakaba, era come se prendere lui con sé avrebbe potuto in parte cancellare le colpe che sentiva di avere con lei, per non averla salvata. Poteva aiutare qualcuno a ripararsi dall'oscurità di cui quel tale Shido si circondava. Non poteva neanche immaginare che la gente intorno a lui riuscisse a credere alle sue fandonie, invece sembravano tutti incantati da quel suo modo di fare da politico nuovo, da uomo onesto trascinato in un mondo corrotto che non accettava, quando in realtà si era macchiato di crimini terribili, perché aveva ucciso lui Wakaba, ne era sicuro.
 
 
Quel ragazzo sembrava arrabbiato, era vero, ma chiunque al suo posto lo sarebbe stato. Non gli avrebbe neanche domandato se avesse davvero assalito quel tipo, non gli interessava. Se davvero l'avesse fatto probabilmente gli avrebbe raccontato una bugia e a Sojiro non serviva una rassicurazione, era capacissimo di rendersi conto da solo del valore del ragazzo e in tutta sincerità anche lui avrebbe assalito quell'uomo se ne avesse avuta la possibilità. Gli aveva riferito la sua unica richiesta: "Non creare problemi."
 
Col tempo forse gli avrebbe fatto le dovute domande, nel frattempo si sarebbe limitato a osservarlo, senza interferire, dandogli la possibilità di esprimersi e aiutandolo quando glielo avesse chiesto. Era giusto dargli questa opportunità di dimostrarsi per ciò che era dandogli la libertà di farlo secondo i suoi termini e i suoi tempi. Solo così l'esperienza avrebbe potuto essere positiva per lui.
Sojiro sentiva che se avesse scommesso di credere in lui, il ragazzo non l'avrebbe deluso.
 




 
 
Tae non era il tipo di persona che si arrende di fronte ai problemi, ma quella volta sentiva di non avere voce per decidere.
"Io sono contraria, vorrei che la mia posizione fosse chiara a tutti. È troppo presto per la sperimentazione di quel farmaco. Va perfezionato, ci sono ancora dei test da fare e io non credo sia il caso."
"Non è il tuo progetto, dottoressa Takemi, è di tutto il gruppo di ricerca, io ho deciso che si può fare e si farà, soprattutto se l'unica a opporsi sei tu. Preoccupati di annotare i dati in questa fase e non lamentarti mai più."
Il dottor Shoichi Oyamada sembrava voler sfruttare la sua posizione per decidere da solo come agire. Forte della presenza del padre e dello zio nell'ospedale, era diventato direttore prima di raggiungere una sufficiente maturità e questo rischiava di ricadere sui pazienti.
Aveva dei meriti, certo, ma il suo comportamento quando qualcuno gli andava contro ricordava quello di un bambino viziato che si vede negata una caramella.
Tae era giovane ed era entrata in quel progetto per le sue doti nella chimica farmaceutica, superiori a quelle di tutti i medici che avevano partecipato alle prime fasi dell'esperimento.
Quel pomeriggio era andata a pregare al tempio Meiji perché i test continuassero in modo positivo.
La paura più grande di Tae era che i fisici debilitati dei malati non avrebbero retto il principio attivo del farmaco e la cosa avrebbe potuto debilitarli ulteriormente, rendendo quindi la guarigione impossibile. Andava fatto prima un esperimento su soggetti sani, o almeno un po' meno gravi di quella ragazza, la piccola guerriera che Tae andava spesso a trovare in camera, tra una somministrazione e l'altra.
Dopo soli due giorni, Tae aveva cercato di convincere il dottor Oyamada a fermare il progetto, spiegando che lo stato dei pazienti era peggiorato, e gli esami ne confermavano la debilitazione. La ricercatrice era stata messa a tacere con la minaccia di essere cacciata e lei aveva accettato di non opporsi, continuando lei stessa a somministrare il farmaco.
Il quinto giorno, la domenica, aveva ricevuto una chiamata nella quale veniva informata che il test era concluso e che lei non si sarebbe più dovuta preoccupare di presentarsi al laboratorio. L'avevano licenziata.
L'unica contraria, a ragione viste le prove, era stata scelta per pagare al posto dei veri responsabili. Si aspettava che sarebbe potuto succedere, ma la cosa non la rendeva certo meno furibonda.
Il giorno seguente, Tae aveva cercato di entrare nel laboratorio a prendere le sue cose, ma era stata fermata all'ingresso dell'area privata: "Gliele manderemo a casa il prima possibile. Non si preoccupi."
"Sta dicendo che non posso recuperare le mie cose? Almeno me le faccia avere adesso. E mi faccia parlare con Oyamada.
Alla fine, dopo qualche telefonata, la receptionist l'aveva invitata a recarsi all'ufficio del supervisore, che aveva trovato seduto, solo e rosso in volto. Lo sguardo di chi prova vergogna, ma ha perso ogni dignità.
"Avete avuto un bel coraggio a scacciarmi. Ero l'unica contraria alla vostra idea."
 
"Ma c'era la tua firma, Takemi, sui fogli del test." Il vile uomo sorrideva, a metà tra l'imbarazzato di chi sa di mentire e il soddisfatto di chi ha portato a termine un piano ben definito. Ne era uscito vincitore e lei aveva solo le sue parole contro quell'uomo e tutti gli altri, che di sicuro si sarebbero lasciati convincere piuttosto in fretta a usare lei come capro espiatorio e poi a dimenticarla. A fare finta che non fosse mai esistita.
A pensare che fino a qualche giorno prima Tae rideva con loro, passava il suo tempo con loro, raccontava loro le sue giornate e i suoi desideri. Ed ecco come era stata ripagata: con bugie e occhiate sfuggevoli.
"Il nome sul medicinale è comunque tuo. Sai perché il test è stato interrotto?"
"No, ma presumo per ciò che avevo detto e dimostrato?"
"Sarebbe stato bello, per te. Invece no: Miwa è morta. Ecco perché abbiamo smesso."
Tae era distrutta, non riusciva a capire come superare quel momento. Avrebbe dovuto combattere con le unghie e con i denti per farsi valere, doveva andarsene lei per impedire questo terribile epilogo che le aveva fatto perdere tutto: il lavoro, la passione, la fiducia nelle sue possibilità e, soprattutto, la sua dolce, piccola guerriera, la sua Miwa-chan.
 
 
 
 



Yaldabaoth
Yaldabaoth
La memoria di Igor era ancora molto confusa: si era risvegliato in quella prigione buia, senza finestre, la cui porta sembrava essere sbarrata da incanti e da lucchetti di ogni genere. Si sentiva molto stanco, come se avesse compiuto un grande sforzo prima di essere imprigionato. Qualcosa di importante.
Dopo aver atteso per giorni, i ricordi avevano iniziato a ritornare.
Quando l'essere si era presentato nella Velvet room, Igor l'aveva accolto come sempre aveva fatto con tutti: con educazione e curiosità. Lavenza si era innervosita, invece, era evidente che la sua creatura fosse stata più attenta di lui in quel caso.
"E così tu saresti il proprietario di questo posto?" Yaldabaoth lo osservava con supponenza. "Direi che mi piace qui, anche se ci sarebbe bisogno di una piccola aggiustatina all'arredamento."
"Posso sapere il motivo della sua visita, esimio Yaldabaoth?"
"Ma certo," il divino essere si era seduto di fronte a Igor. "Sono qui perché abbiamo un interesse in comune: l'umanità. Ho sempre avuto il desiderio di metterli alla prova per capire se davvero meritino il libero arbitrio o se invece farebbero bene a non avere la possibilità di scegliere. Mi piacerebbe governarli come un giusto Dio."
Igor cominciava a capire, sapeva di avere poche possibilità di fare qualcosa contro un essere come Yaldabaoth e temeva che per quanto si fosse impegnato avrebbe comunque perso. Quindi aveva radunato le sue forze mentre il Dio, il Sacro Graal raccontava il suo piano studiato nei dettagli, stava impiegando quel tempo prezioso a raccogliere la speranza dell'umanità e a darle forma. Come in passato era riuscito a dare vita a Margaret, a Elizabeth, a Theodore e infine a Lavenza, stava formando Morgana: la speranza, l'unica che restava all'umanità.
Nel frattempo il Dio raccontava di come avesse individuato un Trickster: un ragazzo guidato dall'Arcano del Matto, che l'avrebbe aiutato a testare l'umanità, iniziando il suo percorso verso lo scontro con la sua nemesi che sarebbe stato inevitabile, grazie a lui.
Non c'era molto tempo prima che Yaldabaoth si stancasse di parlare, il processo di creazione forse non sarebbe giunto al termine in tempo. Lavenza, che aveva capito che cosa stava succedendo, aveva allora attirato l'attenzione del Dio.
"Non cederemo tanto facilmente, non hai in diritto di giocare con il destino dell'umanità nonostante la tua natura divina.” Lavenza aveva lanciato un incantesimo contro il Dio, certa che non avrebbe funzionato.
Yaldabaoth aveva parato il colpo senza sforzo e aveva risposto con un unico incanto che l’aveva messa fuorigioco. Rideva, conscio che contro il suo potere non avevano speranza di vincere.
"Veniamo a lei, signor proprietario: non si deve preoccupare, quando avrò completato il mio piano le restituirò questo luogo al quale pare essere così affezionato."
Igor aveva fatto in tempo a sentire la nascita della creatura nel suo cuore prima di cedere all'incanto di Yaldabaoth.
 
Non c'erano vie d'uscita da quella prigione, per quanto ne cercasse.
Si chiedeva cosa fosse successo a Lavenza e purtroppo la risposta più plausibile a quella domanda non gli piaceva per niente: Yaldabaoth poteva benissimo averla uccisa, perché se così non fosse stato di certo lei sarebbe andata a liberarlo.
Era anche possibile che l'avesse imprigionata da qualche parte, ma dove. Concentrandosi Igor avrebbe forse potuto sentire la sua presenza, ma era ancora troppo provato dalla creazione per riuscirci.
Tutto ciò che poteva fare era aspettare e affidarsi alla speranza. E con lui tutto il resto dell'umanità.
 

Profile

quistisf: (Default)
quistis

April 2025

S M T W T F S
  1234 5
678 9101112
13 141516 17 18 19
20212223242526
27282930   

Syndicate

RSS Atom

Most Popular Tags

Style Credit

Expand Cut Tags

No cut tags
Page generated Jun. 28th, 2025 10:04 am
Powered by Dreamwidth Studios