quistisf: (Default)
Fandom: Persona 5
One Shot
Slice of life
Prompt: Monopoly
Parole: 1514
Partecipa al COWT 13


La scatola dei ricordi


Quando Futaba aveva visto la scatola vecchia e impolverata sullo scaffale del negozio, aveva urlato di gioia ed era corsa a prenderlo, spaventando Ren a morte.

“Questo è Monopoly, ci giocavo sempre con la mamma quando ero piccola!” Si era voltata a guardare il suo amico con la scatola di una vecchia edizione del gioco in mostra, stretta tra le mani, la speranza negli occhi: “Lo compriamo? Ci giochiamo insieme?”

Lui aveva provato a rifiutare la proposta, poiché nei suoi ricordi quello non era esattamente un gioco nelle sue corde, ma non sembrava che Futaba avrebbe accettato un no, infatti prima ancora di ascoltare la risposta, era già partita verso la casa con la scatola stretta tra le braccia.

“Torno questa sera che facciamo una partita!” Aveva proposto, o meglio, aveva deciso.

Rassegnato, Ren aveva accettato. “Magari chiamo qualcun altro, almeno ci provo…” Era piuttosto sicuro che nessuno dei Phantom Thieves avrebbe accettato di andare da lui a giocare. Forse avrebbe potuto provare a sentire Hifumi, ma non credeva fosse una buona idea, dal momento che lei e Futaba non si conoscevano e non era molto semplice stare con Futaba, soprattutto quando si lasciava andare alle dinamiche delle sfide, anche quando erano rappresentate da semplici giochi in scatola, visto quanto si era dimostrata competitiva, non accettava la sconfitta senza prima combattere con tutte le sue forze.

“Stasera chi c’è per una partita a Monopoly con me e con Futaba?” aveva tentato, cercando di suonare affabile.

“No, grazie. Devo studiare.” La risposta di Makoto era arrivata all’istante.

“Che cos’è Monopoly?” Yusuke, fuori dal mondo come sempre.

“Tu no, Inari. Stai a disegnare le tue cose.” Almeno lui aveva una scusa, pensò Ren senza tentare di convincerlo a partecipare alla serata, meglio che ne approfittasse.

“Io ci sto! Arrivo alle otto, è da tantissimo che non gioco.” Ann era sempre una buona compagnia e sapeva mettere Futaba a suo agio, non sarebbe stato male giocare con lei.

Nell’attesa della risposta di Ryuji, Ren era sceso ad aiutare Sojiro e a prendersi un caffè. “Futaba mi ha detto che stasera ha impegni.”

“Sì, ti ha detto del suo nuovo, fantastico acquisto?”

“No… devo preoccuparmi?”

“Io devo preoccuparmi, credo. Ha comprato Monopoly, mi ha anche spiegato che ci giocava con Wakaba e che ne ha un bel ricordo.”

Sojiro aveva iniziato a ridere a crepapelle. “Certo che me lo ricordo. Non vorrei essere inopportuno, ma posso unirmi a voi stasera?”

Ren era rimasto spiazzato dalla richiesta, ma aveva annuito. Aveva scritto semplicemente “Trovato il quarto giocatore!” nella chat, per poi continuare a lavare le tazze sporche del LeBlanc.

“Sarà interessante.” Aveva aggiunto Morgana, mentre si grattava la testa.

Quando Futaba entrò, facendo trillare il campanello della porta di ingresso del locale, ad accoglierla c’erano già tutti i partecipanti alla gara serale. Sojiro aveva preparato una cena per tutti. “Ti stavamo aspettando.” Le aveva detto, i piatti pronti da riempire e la tavola già pronta.

Avevano cenato con calma, chiacchierando del recente problema che aveva causato Medjed con quelle strane richieste ai Phantom Thieves.

“È la prima volta che ceniamo tutti insieme,” aveva osservato Ann. “E anche la prima volta che giochiamo tutti insieme, solo che non ho capito chi è il quarto…” Aveva guardato Morgana, che però aveva scosso la testa, ridacchiando.

“Giochiamo con Sojiro.” Ren aveva pronunciato la frase tra un boccone e l’altro, senza neppure sollevare la testa.

Futaba aveva lanciato un urlo di gioia, terrorizzando la povera Ann che non si era ancora abituata alle reazioni di entusiasmo della sua nuova amica. “Che bello, come ai vecchi tempi!”

Il gruppo aveva ripulito, mentre Futaba aveva iniziato a preparare la plancia di gioco.

“A me piacerebbe questo funghetto!” Ann aveva preso la pedina e l’aveva posizionata di fronte al suo posto.

“La mamma usava sempre la pera, io la mela. Perché lei era più alta e io più piccola. Le dicevo sempre così.” Futaba aveva preso entrambe le pedine e poi aveva posizionato la mela sulla plancia. “Questa la tengo come portafortuna.”

“Io invece usavo il fiaschetto.” Aggiunse Sojiro, scegliendo la pedina.

“Questo significa che io posso essere la candela, oppure questa bella piantina. Il verde porta bene, dicono. Pianta sia.”

La partita era iniziata in modo tranquillo: tutti compravano sistematicamente le proprietà sulle quali capitavano, sperando poi di riuscire ad accaparrarsi almeno un gruppo di proprietà complete sulle quali costruire le proprie case e poi gli alberghi.

Ren amava la competizione, ma quel genere di gioco non l’aveva mai attirato. Non gli piaceva l’idea di dovere fare aste per vincere le proprietà, come non amava il pensiero di guadagnare soldi alle spese di altri partecipanti basandosi sulla fortuna dei dadi. Lui amava la strategia e proprio perché conosceva le caratteristiche di Futaba si era chiesto come mai la sua nuova amica, così abile nell’uso delle sue doti tattiche, aveva scelto proprio un gioco basato sulla persuasione e sulle doti sociali, più che sulla strategia pura e mentale.

La partita era stata tutto sommato noiosa, fino a quando Ann non aveva convinto Sojiro a venderle Parco della Vittoria al costo nominale della proprietà, alla quale lei aveva aggiunto viale Costantino, sostenendo che gli sarebbe potuta essere utile per il futuro. Le capacità di persuasione della ragazza avevano avuto effetto, proprio come lo avevano sulle Ombre che combattevano ogni volta che andavano nel Metaverso, e in breve Ann aveva iniziato ad arricchirsi, grazie alle case e agli alberghi che aveva iniziato a costruire in tutte le sue proprietà.

Ren tutto sommato se la stava cavando discretamente, ma tra Sojiro e Futaba era in corso una sorta di guerra tra poveri. Come immaginava, Futaba al contrario di Ann non possedeva tecniche di persuasione adatte al gioco, la sua strategia non poteva avere effetto per il semplice fatto che non aveva mai avuto le carte per riuscire a vincere la partita e i dadi le erano stati tutt’altro che amici nel corso dei primi giri di gioco.

Nell’ipotecare una proprietà, Futaba aveva sbuffato sonoramente. “Questo gioco non è divertente come me lo ricordavo. Ed è anche parecchio lungo.”

Ann, al contrario, appariva così a suo agio nella sua ricchezza da sembrare una principessa malvagia. Morgana la stava osservando con adorazione, in silenzio per una volta.

Sojiro ridacchiava ogni volta che qualcuno capitava su una delle sue proprietà e chiedeva i soldi con fare solenne, perfettamente calato nella parte.

“Ho perso.” Aveva constatato Futaba nel tentare di vendere l’ultima delle sue proprietà. A quel punto i giocatori si erano guardati e avevano convenuto che la partita fosse durata abbastanza.

Ann si era proclamata vincitrice e Futaba le aveva regalato il gioco, sostenendo che non fosse stato divertente, ma accettando di fare una nuova partita insieme a lei in futuro, “Quando sarò più allenata a trattare con le persone.” Aveva proposto.

Sojiro si era offerto di accompagnare a casa la ragazza, dal momento che si era fatto tardi, e Futaba era rimasta rannicchiata sulla panca del LeBlanc.

“Bevi qualcosa prima di tornare a casa?” Le aveva chiesto Ren.

“Sai, quando ero piccola non giocavo così a Monopoly all’inizio. Le prime volte usavo le vie per inventarmi storie e la mamma le ascoltava.”

“Te ne ricordi qualcuna?” Le aveva chiesto.

“No. Ricordo poco di quel periodo, ma so che le mie pedine preferite erano sempre la mela e la pera, e so anche che la mamma all’inizio non voleva che giocassi così perché il gioco non era suo. Ora credo che fosse di Sojiro. Lui però non mi ha mai detto niente di male. Non si è mai lamentato.”

Ren si era seduto di fronte a lei. “Ti è dispiaciuto giocare così? Con le regole?”

Lei aveva scosso la testa. “No, dopo un po’ la mamma mi ha insegnato le regole giuste. A me non piacevano e ne avevo proposte di migliori, ma lei mi ha convinto a stare alle regole come tutti, anche se non mi piacevano.”

“Credo sia una cosa importante.”

“Tu le assomigli, sai?”

Ren non sapeva cosa dire. “A Wakaba?”

“Sì, perché mi proteggi da quello che mi fa paura e mi aiuti ad accettarlo. Anche adesso coi Phantom Thieves mi stai aiutando a prendermi cura di voi, usando i miei punti di forza per la squadra. Io sono contenta di poter stare insieme a voi, di combattere insieme.”

“Non c’è niente di male a voler passare del tempo seguendo le proprie regole, a volte.”

“No, lo so. Infatti mi sono un po’ pentita di avere lasciato il gioco a Panther. Quasi quasi domani glielo chiedo indietro per farmi una partita come quando ero piccola. O semplicemente per inventarmi delle regole migliori.”

“Oppure potremmo fare un altro gioco, uno adatto ai tuoi punti di forza.”

“Come il gioco dei mimi!” Aveva proposto scherzando Futaba. “O Pictionary, quello che piacerebbe tanto a Inari dove si fanno i disegni!” Futaba aveva sollevato l’indice. “Ho un’idea…”

Quando Sojiro era tornato, pochi minuti dopo, li aveva trovati seduti sul tavolo a scrivere una lunga lista. Il titolo era GIOCHI DA PROVARE CON REN E SOJIRO.
quistisf: (Default)
Fandom: Persona 5
Personaggi: Morgana, Ren, Futaba, Phantom Thieves
Prompt: tutti dentro
Partecipa al COWT 13
Parole: 2370
Genere: Introspettivo

Solo un gatto

Sono solo un gatto.
Una frase che si ripeteva quasi ogni giorno. Quando vedeva la sua immagine riflessa oppure quando, appena sveglio e un po’ annoiato, pensava a come avrebbe passato la giornata.
Morgana non aveva molto da fare e da quando aveva seguito Ren nella sua città natale sentiva ogni giorno la mancanza del Metaverso.
Sospirò mentre si guardava allo specchio: non riconosceva quella coda irrequieta che si muoveva ondeggiando a mostrare la tensione che provava; le zampe bianche non gli consentivano di scrivere o di utilizzare la sua fionda come aveva sempre fatto nel Metaverso. L’unica parte di lui che ancora riconosceva erano gli occhi: azzurri e profondi, rivelavano la sua essenza diversa da quella di un comune gatto domestico. Morgana scosse la testa per cercare di scacciare il ricordo delle sue origini, perché per lui era difficile anche solo ricordare di aver salvato quel mondo che non poteva vivere come desiderava.
Sono solo un gatto, si ripeteva quando vedeva qualcuno passeggiare lungo la strada del paese, pensando che avrebbe desiderato scambiare due chiacchiere per una volta con qualcuno di diverso da Ren. Si sentiva talmente solo e annoiato che si sarebbe accontentato persino di Ryuji, già, gli mancava anche lui.
Quella mattina Ren era a scuola e lui, dopo aver mangiato, si stava occupando della sua consueta pulizia mattutina seguendo una routine consolidata ormai da tempo che all’inizio non gli piaceva, ma che aveva accettato perché in fin dei conti lui era solo un gatto, e in quanto tale doveva comportarsi. Non avrebbe mai accettato di farsi lavare, molto meglio arrangiarsi.
Il computer del Joker era rimasto aperto, non per caso ovviamente, ma perché Futaba avrebbe chiamato per fare due chiacchiere e per Morgana l’evento era tutt’altro che comune, visto che in genere la ragazza si faceva sentire solo quando i due erano insieme. La sera prima però aveva scritto un messaggio dove aveva avvisato della chiamata e Ren era stato ben felice di lasciare tutto a disposizione del suo gatto speciale.
Premette sul pulsante di accensione e aprì l’applicazione per ricevere la chiamata, poi si appostò di fronte al computer cercando di sorridere. Peccato che i gatti non abbiano grandi capacità di esprimere emozioni e che i suoi sforzi non avessero dato grandi risultati. Non voleva che Futaba si preoccupasse per lui, perché anche se all’inizio i loro rapporti erano stati un po’ tesi, lei si era dimostrata un’amica, la più presente con lui da quando il Metaverso era stato cancellato.
Il suono della chiamata interruppe i suoi pensieri tristi e Morgana premette sul pulsante di risposta con entusiasmo.
“Mona Chan!” Gridò l’amica.
“Guarda un po’ chi si rivede,” tentò di mantenere un tono composto nonostante la sua gioia. “Sembri in forma, ma mai quanto me!”
Futaba sghignazzò e raccontò a Morgana della sua vita, sempre un po’ troppo sociale per lei, a scuola. Il gatto le confidò che nell’ultimo periodo si stava abituando alla tranquillità della campagna, così diversa dalla vita caotica e densa di Tokyo. “Qui ti piacerebbe, dovresti provarci. Io invece sto benissimo anche in mezzo alla gente, ma qui l’aria ha un odore diverso. Io sono un gatto, sento gli odori molto meglio di voi umani”
“Mi piacerebbe infatti,” rispose la ragazza, che poi assunse un’espressione più seria. “Non ho molto tempo ancora, tra poco devo andare ad aiutare Sojiro al LeBlanc e c’è una cosa importante che ti devo chiedere, Mona Chan.”
Il gatto, incuriosito, si ricompose e riprese il ruolo che gli piaceva di più: quello di mentore, che aveva interpretato in modo più che convincente coi Phantom Thieves. “Sono qui per questo, ci sono problemi?”
“Non problemi, solo questo.” Futaba mostrò lo schermo del suo cellulare alla telecamera, che mise a fuoco un’icona che tutti loro conoscevano bene. “Il Meta Nav è riapparso ieri sera. Non so cosa significhi e non ne ho parlato con gli altri, ma vorrei vederci chiaro. Puoi controllare tu con Ren?”
Morgana annuì, mentre i suoi pensieri navigavano veloci ai ricordi di ciò che era stato il cui ritorno, almeno per lui, sarebbe stato un sogno trasformato in realtà.
“Hai sentito qualche cosa di diverso? Tu hai un rapporto speciale col Metaverso e ho pensato che saresti stato il primo ad accorgersi se qualcosa fosse cambiato.”
Futaba aveva ragione, eppure lui non si era accorto proprio di niente. Negli ultimi giorni al massimo aveva provato solo più noia del solito, visto che Ren aveva dovuto studiare per gli esami ed era stato fuori casa tutto il giorno. “No, niente di diverso.” Aveva risposto con tono sconsolato, forse le sue capacità si erano arrugginite dopo tutto quel tempo passato da semplice gatto.
“Forse lì non si è attivato, magari è una cosa di Tokyo…” Aveva ipotizzato la ragazza, sempre un passo avanti rispetto a lui. “Comunque oggi proverò a investigare un po’ con Sumire e Yusuke, sono gli unici qui intorno in questi giorni, poi li chiamo. Per ora meglio non allarmare gli altri visto quanto hanno da fare. A prestissimo!”
Morgana aveva fatto appena in tempo a rispondere al saluto, che la comunicazione era stata chiusa. Era rimasto fermo in silenzio per un bel pezzo a ragionare sul significato della presenza di quell’applicazione, poi si era accoccolato sul letto di Ren e si era appisolato.
La sensazione che provava mentre le ruote grattavano sull’asfalto del Metaverso era indescrivibile. In quel momento era il centro dei Phantom Thieves: la loro guida - anche se erano loro a guidare lui - il loro mentore, il loro mezzo per muoversi veloci e sicuri nel labirinto della coscienza comune.
Ricordava ancora quando per la prima volta si era trasformato nel furgone e li aveva accolti sui suoi comodi sedili.
“Tutti dentro, si parte!” Aveva detto Lady Ann mentre accarezzava la sua carrozzeria con le mani leggere e morbide. Il rombo del motore non era poi così diverso dalle fusa che da gatto emetteva in modo naturale e automatico quando la sua amata Ann lo prendeva tra le sue braccia o gli grattava il mento sciogliendo ogni sua resistenza.
I ragazzi la prima volta si erano seduti tutti e tre nel sedile posteriore, stupiti nel comprendere che fosse necessario che uno di loro guidasse il Morgana-Van lungo le buie e pericolose vie della metropolitana fantasma. Il Joker aveva preso il volante e solo allora Morgana si era reso conto che mai nessuno era stato nel furgone prima dei Phantom Thieves. Non era proprio un ricordo, ma almeno era stata una delle sue prime, poche certezze, perché il van era una parte di lui, una rappresentazione derivante dalla coscienza comune che nessuno aveva ancora toccato. Nessuno era stato accolto dentro il suo corpo trasfigurato in furgone prima di Ann, Ryuji e Ren, lui ne era certo.
“Morgana, cosa senti quando diventi un Van?” Gli aveva chiesto Makoto la prima volta che erano stati nei Memento insieme.
“Niente di speciale, è una mia dote naturale e come tutto quello che riguarda il Metaverso, lo faccio benissimo. Uno dei miei poteri.”
All’epoca non ricordava ancora nulla delle sue origini - solo gli incubi, ma quelli non potevano rappresentare la verità - ma era piuttosto sicuro che lì nei sotterranei dei Memento ci fosse la risposta a tutte le sue domande e diventare un furgone era uno dei compiti che doveva svolgere per recuperare i suoi ricordi e trovare un senso alla sua esistenza. Per ritornare umano.
Il dubbio si insinuava in lui con forza mentre era trasfiguarato, perché nel rombo di quel motore non c’era niente di umano, come nelle sue fusa feline. Di una cosa però era sempre stato certo: quello era il suo posto e nessuno poteva sostituire la sua presenza, né l’intelligenza di Makoto, né le capacità di navigazione di Futaba.
I momenti in cui si sentiva meglio erano proprio quelli che passavano tutti insieme, tutti dentro al suo corpo trasfigurato nel camioncino con la coda e le orecchie, dove i suoi amici erano comodi e protetti, dove erano loro a guidare, ma era lui a tenerli uniti, lui a consentire loro di fuggire veloci e sicuri nel buio grazie alla vista felina data dai suoi fari.
Quanti combattimenti avevano fatto insieme prima che i suoi ricordi tornassero, e quante volte avevano inseguito le ombre attaccandole di sorpresa grazie a Morgana e alla velocità silenziosa della sua trasfigurazione. Grazie ai suoi fari nel buio, grazie alle sue conoscenze. In fondo lì sotto si era sempre sentito a casa al punto da provare nostalgia dei Memento quando non vi si recavano da un po’ di tempo.
Morgana aveva contribuito a distruggere la sua vecchia casa, l’aveva fatto per l’intera umanità anche se sapeva che forse non avrebbe più avuto la possibilità di fare ritorno al luogo in cui era nato. Quando Igor e Lavenza gli avevano presentato la possibilità di restare con loro nella Velvet Room e di continuare a vivere insieme a loro, come forma fisica della speranza dell’umanità, o di scegliere di tornare come semplice gatto nel mondo degli uomini, Morgana non aveva avuto dubbi: lui faceva parte dell’umanità. Era nato per concedere agli uomini una possibilità di salvarsi dalla fine imminente che la divinità impazzita aveva scelto di attuare e aveva svolto il suo ruolo con la speranza nel cuore che le cose si sarebbero risolte al meglio. Il destino lo aveva messo in contatto col Trickster, che era diventato per lui un motivo in più per continuare a lottare. Più volte si era chiesto se, conoscendo la verità, avrebbe abbandonato i suoi amici, sentendosi tradito dal suo creatore che gli aveva tenuto nascosta la verità, ma Morgana aveva sempre agito per l’umanità, più che per se stesso.

Quando il Joker tornò a casa da scuola, Morgana gli rivelò le novità e gli chiese di vedere il suo telefono. Come immaginava, però, non c’era traccia dell’applicazione di navigazione. Tutto quello che potevano fare era attendere notizie da parte di Futaba, che però tardavano ad arrivare.
“Non credi che sarebbe meglio se andassimo a Tokyo?” Gli chiese Ren quella sera, sembrava preoccupato. “Noi due ce la potremmo cavare anche entrando nel Metaverso da soli, ma Sumire e Yusuke potrebbero avere bisogno di una mano. Futaba non è molto d’aiuto nel combattimento e non vorrei che si trovassero in difficoltà.”
Morgana era d’accordo e accettò di partire per la capitale con Ren, che aveva convinto i suoi genitori a lasciargli prendere un paio di giorni di vacanza dalla scuola, approfittando degli esami appena conclusi e del suo ottimo rendimento. Gatto e ragazzo avevano quindi preso il primo treno per un viaggio imprevisto con lo scopo ufficiale di festeggiare il compleanno di Futaba, che lui aveva descritto in modo struggente come la sua sorella di Tokyo, che lui ormai considerava una parte della famiglia.
L’aria della città odorava in modo molto diverso da quella a cui Morgana si era abituato negli ultimi mesi in campagna: lo smog, il profumo del cibo e l’umidità accompagnate dal sottofondo musicale della stazione della metropolitana gli fecero provare un po’ di nostalgia. Ren sollevò il cellulare e richiamò la sua attenzione: l’applicazione di navigazione era apparsa. Se lo aspettava.
Con un cenno del capo, il ragazzo premette sul logo a forma di occhio e il mondo intorno ai due iniziò a cambiare.
“È incredibile!” Strillò Morgana nel constatare che il suo aspetto era tornato quello di un tempo.
"Bentornato, Mona Monster Cat.” Rise il Joker, “Avevo dimenticato come ti stesse bene quella bandana gialla.”
Il gatto rise, carico di adrenalina al pensiero che un nuovo mistero si era dipanato di fronte a loro, una nuova avventura per i ladri fantasma. Non fece in tempo a pensare che sarebbe stato bellissimo essere di nuovo tutti insieme, che un grido di gioia riempì il silenzio di quel luogo spettrale. “Joker! Mona!”
Lady Ann si lanciò contro Ren in un abbraccio, mentre Haru e Futaba si contesero Morgana. Makoto, Ryuji, Yusuke e Sumire erano di fronte a loro, increduli e felici.
“Non ho capito perché il Metaverso sia riapparso così all’improvviso, ma sapere che ci siete anche voi mi rende più serena.” Confessò Makoto.
“Adesso cosa possiamo fare?” Chiese Ryuji, osservando Morgana.
Lui sapeva cosa fare. Con fare teatrale sorrise. “Lasciate che ci pensi io,” disse, mentre il suo corpo felino si trasformava nel van. “Tutti dentro, scopriamo cosa è successo.”
Ren fu il primo a entrare. Il leader dei Phantom Thieves si accomodò nel retro, lasciando il volante a Makoto come sempre da quando si era dimostrata così abile nel guidare.
Ann si sedette di fianco a lei. “Mi ero dimenticata quanto fossero comodi i tuoi sedili, Mona!” Esclamò accarezzando il cruscotto.
Anche Haru si mise al loro fianco e depositò un bacio sulla pelle della carrozzeria. “Grazie, Mona-Chan, per prenderti cura di noi così.”
Se fosse stato umano, Morgana sarebbe arrossito, da furgone si limitò a far suonare il clacson. “Forza, tutti dentro, altrimenti vi lascio qui!”
Ryuji si accomodò di fianco al Joker. “Avete mai pensato a quanto sia inquietante questa cosa che entriamo dentro il gatto? Ogni tanto mi domando che cosa sto toccando e spero di non scoprirlo mai.”
“Affascinante,” aggiunse Yusuke sedendosi dal lato opposto. “In effetti non ci avevo mai pensato.”
Sumire sembrava un po’ restia a entrare, soprattutto dopo i discorsi di Ryuji che avevano fatto calare il silenzio, decise perciò di tentare di sollevare la tensione. “Che bello! Qui dentro c’è posto per tutti! Pronti per partire!” Si sedette di fianco a Ren, che non sembrava impressionato da quella sciocca frase di circostanza. Sumire non era mai stata brava a improvvisare.
“Siamo tutti dentro. Andiamo a scoprire cosa sta succedendo, Phantom Thieves!”
Di fronte alla richiesta del leader, Makoto premette l’acceleratore e il furgone iniziò a muoversi.
Fu in quel momento, mentre proteggeva la sua squadra ed insieme esploravano il Metaverso, che si rese conto di una cosa: mentre tutti loro erano dentro il suo corpo, lui era in grado di donare loro una piccola parte di sé, e probabilmente era la speranza che gli aveva dato forma. Ma anche loro gli donavano qualcosa: ne respirava l’umanità.
quistisf: (Default)
 Fandom: Persona 5

Personaggi: Futaba Sakura, Ren Amamiya

Prompt: https://www.youtube.com/watch?v=3EmUmbhDRiY

One Shot

Partecipa al COWT10

 

 

Stay tonight

 

Can't you stay

Stay with me into the night

Stay, I need you close

You can go back when the sun rise again

Just stay tonight, just stay

(KEiiNO - Spirit In The Sky) 

 

 

Durante le ultime notti Futaba non era riuscita a dormire. Continuava a cercare di pensare ad altro, ma il suo pensiero tornava sempre e comunque a lui, a Ren. 

Mancava poco ormai alla realizzazione del loro piano. Entro pochi giorni lui sarebbe stato costretto a fingere la sua morte e loro avrebbero dovuto fingere che fosse successa davvero.

Futaba continuava a chiedersi cosa avrebbe fatto se lui fosse morto davvero, se per qualunque ragione il loro piano fosse fallito e la colpa fosse in qualche modo stata sua non avrebbe mai potuto perdonarselo. 

Si sentiva persa, distrutta e sola come non lo era mai stata prima. 

Prima di conoscerlo la solitudine era per lei una sensazione rassicurante, da sola era artefice del suo destino e poteva incontrare amici online se lo desiderava, dove lei era conosciuta e rispettata, ma nessuno sapeva davvero chi fosse, era solo Medjed: l’unica e originale, potente e imitata. 

Nella vita reale invece era molto diversa: indifesa, terrorizzata all’idea che qualcuno le parlasse o la vedesse in carne e ossa, fragile come si sentiva.

Aveva chiesto aiuto ai Phantom Thieves proprio perché non riusciva più a vivere chiusa in casa, nella sua tomba in attesa che la morte arrivasse a prenderla donandole sollievo, ai suoi occhi. Spiare Ren e gli altri le aveva fatto capire che doveva cambiare qualcosa e se lei non fosse riuscita a farlo in tempi brevi, non ne sarebbe uscita più.

 

Le dispiaceva anche per Sojiro, che provava a proteggerla con tutte le sue forze, ma che in quel frangente non poteva fare nulla per aiutarla, perché Futaba sapeva che il cambiamento doveva arrivare da lei direttamente e soltanto lei avrebbe potuto decidere di uscire dalla sua prigione e far entrare il mondo.

I ragazzi si erano dimostrati tutti molto comprensivi con lei fin da subito, anche se la prima sera li aveva spaventati a morte. Per la prima volta  dopo tanto tempo, ripensandoci aveva riso di gusto, ricordandosi di Makoto e del suo terrore.

Ne avevano passate tante da allora e Futaba si era affezionata a tutti loro, ma Ren le tornava nei pensieri molto più spesso di tutti gli altri, e i pensieri che aveva su di lui cominciavano a farla sentire a disagio.

 

Aveva iniziato a sognarlo e nei sogni la abbracciava, la stringeva a sé e la ringraziava per tutto quello che lei faceva per il gruppo. Futaba si svegliava su di giri e rossa in viso, accaldata e col cuore in gola. Non aveva mai avuto il coraggio di esprimergli i suoi sentimenti, perché immaginava che lui avrebbe riso di fronte alla sua dichiarazione. In fin dei conti si era accorta di non essere l’unica a essere interessata a lui, e tra tutte si chiedeva come avrebbe potuto sceglierla, stramba e incapace di stare al mondo com’era.

C’era Makoto, intelligente, abile e coraggiosa; e poi Ann, la bellezza fatta persona. La dolce, premurosa e bellissima Ann. 

Haru, poi, era l’eleganza e la raffinatezza ed era anche ricca, cosa che non guastava.

Cosa aveva lei più di loro, si chiedeva Futaba e non era in grado di rispondere. Grande cervello, ma non aveva intelligenza pratica. Era carina, questo lo sapeva, ma non bella come le altre e il suo portamento non era altrettanto buono, ricurva e imbranata com’era.


Quella sera però stava cercando di non pensare a tutti i suoi difetti. Quella sera voleva andare da lui perché sapeva che poteva essere la sua unica possibilità e non voleva rimpiangerla per il resto della sua vita.

Era arrivata nella sua stanza trafelata, quasi correndo perché sapeva che se si fosse fermata, se si fosse data il tempo di pensare sarebbe tornata indietro e si sarebbe seppellita sotto il suo letto per passare la notte nella vergogna della sua paura. Non poteva avere paura di lui, doveva provare.

 

Gli era saltata al collo tremando di paura e lui aveva risposto al suo abbraccio. Morgana per fortuna non era lì a vedere quel pessimo spettacolo e ad aggiungere vergogna a quella che già provava. 

“Futaba, va tutto bene?”
“No, non va bene. Io… non voglio perderti.”

Ren le stava accarezzando i capelli con una mano, mentre con l’altra la stringeva con affetto. “Non mi perderete, funzionerà. Ho fiducia in te, in voi.”

“Puoi… puoi…” Non riusciva a parlare, con la testa appoggiata al suo petto, sentiva il suo cuore battere regolare e non faceva altro che cercare un modo per trovare le parole. Per un attimo era arrivata a pensare di scrivergli un messaggio col cellulare, visto che le parole non volevano uscirle dalla bocca. “Io… Ren, io posso… posso restare con te?”

Futaba aveva alzato la testa ed era riuscita a guardarlo negli occhi. La paura che lui la rifiutasse si stava facendo più flebile ogni secondo che passava. Si stava domandando se lui la vedesse come una sorellina minore, come una sciocca ragazzina infatuata di lui come le altre. Ma negli occhi scuri di Ren non c’era disprezzo, non c’era imbarazzo e neppure paura.

“Posso restare con te stanotte?” Gli aveva chiesto raccogliendo tutte le sue forze. Lui l’aveva attirata a sé in un bacio che era stato diverso da come lo aveva sempre immaginato Futaba.

Non che la ragazza avesse alcun tipo di esperienza, ma pensava che sarebbe stato difficile e invece tutto era stato anche troppo naturale. Avevano passato la notte insieme sul letto di Ren, quasi senza parlare. Futaba si era addormentata tra le sue braccia ed era stato il sonno più bello della sua vita. Sentiva di aver superato un ostacolo che aveva sempre creduto insormontabile.

 

Sperava di cuore che il piano funzionasse, perché voleva di più dei baci di quella notte, voleva una vita con Ren, voleva diventare una donna a tutti gli effetti, una donna in grado di uscire a cena con lui e di andare a comprargli un regalo senza arrossire e sapeva che con lui avrebbe potuto farcela. Con lui sarebbe diventata una persona migliore persino lei, nonostante la sua incapacità cronica di vivere come una persona normale.

 

Futaba era uscita dal LeBlanc con un sorriso beato stampato sul volto ed era tornata nel suo letto sperando che Sojiro non si fosse accorto della sua assenza quella notte. In realtà anche se lui l’avesse scoperta non le sarebbe importato. Era troppo felice, ci si sarebbe potuta abituare.

 


quistisf: (Default)
 

Fandom: Persona 5

Personaggi: Goro Akechi

Genere: introspettivo

Prompt: Homo Faber fortunae suae 

Flashfic

Partecipa al COWT10

Homo faber fortunae suae

 

L'uomo è l'artefice della sua fortuna

 

 


Akechi non aveva mai accettato il fatto che il padre avesse abbandonato lui e la madre come fossero spazzatura, che si fosse limitato a ignorare le richieste di aiuto da parte della donna che aveva tentato di crescerlo e che non avesse mai voluto incontrare il figlio.

Non l'avrebbe mai perdonato, né si sarebbe mai arreso al suo destino. Lui non era che il figlio di una prostituta che si era limitata a riempirgli lo stomaco di cibo e a cacciarlo di casa quando incontrava i suoi clienti. Non era stata in grado di gestire la sua vita e che alla fine si era suicidata dopo aver reso l'esistenza di suo figlio un inferno di vergogna, che l'aveva portato solo a cercare di nascondersi, di annullarsi e di confondersi nella massa di persone che abitavano la città e il quartiere a luci rosse. Non c'erano tanti bambini nel suo palazzo, perché in genere le donne come sua madre riuscivano a rimboccarsi le maniche e a trovare un lavoro più adatto a una madre. La sua no, lei era una debole e aveva ceduto all'alcool, alla droga e infine anche alla morte.

L'uomo è l'artefice della sua fortuna.

L'aveva sentito dire a Masayoshi Shido: suo padre in una conferenza che aveva rilasciato in televisione. Akechi ci aveva ragionato e aveva reso suo quel pensiero, sembrava raccontare la sua vita e il suo scopo. Aveva deciso che avrebbe iniziato a credere nelle sue possibilità, non si sarebbe più nascosto, avrebbe dimostrato a tutti che sotto quei modi gentili e dimessi c'era un leone pronto a ruggire e a prendersi il suo posto nel mondo, anche se pareva che fino a quel momento il mondo fosse contento di averlo potuto ignorare. Non avevano mai avuto aiuti, solo la borsa di studio per la scuola che alla fine si era presa cura di lui, dopo che la madre aveva deciso di morire, lavandosi anche lei le mani di lui e condannandolo a un'esistenza di solitudine, ma ricca di possibilità, perché finalmente Akechi era libero. È un bambino intelligente, fatto per essere un leader, avevano detto le sue insegnanti a scuola. Nonostante fosse solo e a volte la disperazione prendesse il sopravvento sulla sua determinazione Akechi avrebbe infine trionfato.

Avrebbe preso ciò che era suo di diritto, non gli importava come. Chiunque si fosse trovato al suo cospetto avrebbe dovuto riconoscere il suo valore di detective e la sua intelligenza superiore, perché lui non si sarebbe fermato di fronte a nessun ostacolo. Sarebbe arrivato a suo padre e lui l'avrebbe riconosciuto, si sarebbe scusato per aver permesso che la sua infanzia fosse così miserabile e, alla fine, avrebbe capito quanto avesse perso quando aveva deciso di abbandonarlo. Perché Akechi era speciale, era unico, ed era l'artefice del proprio meraviglioso destino.

A volte sognava la voce sicura del padre rotta dalle lacrime, immaginava la sorpresa e la gioia da parte sua nello scoprire che fino a quel momento era stato guidato nelle scelte proprio dal figlio che aveva abbandonato, che invece aveva scelto di stare al suo fianco nonostante fosse in grado di fare molto da solo. Non aveva bisogno di lui, ma era necessario che Shido si rendesse conto di chi aveva di fronte: un uomo che si era fatto da solo, a partire da sotto zero.

 

Fandom: Persona 5

Personaggi: Futaba Sakura

Genere: introspettivo

Prompt: Nosce te ipsum

Flashfic

Partecipa al COWT10

 

 

Nosce te ipsum

conosci te stesso


Futaba non era mai stata in grado di comprendere bene i sentimenti e le intenzioni di chi le stava intorno. Non le era mai riuscito naturale come invece pareva essere per Ann, nei confronti della quale aveva provato ammirazione fin da quando l'aveva conosciuta.

Il suo percorso di comprensione del mondo la stava portando ad analizzare la socialità degli esseri umani come lei non facesse parte della stessa umanità, si sentiva un pesce fuor d'acqua, una strana creatura aliena costretta a vivere secondo le regole della società quando tutto le appariva fin troppo complicato.

Non era uscita di casa quasi per niente, se non per andare da Sojiro qualche rara volta per poi scappare a nascondersi appena un singolo cliente entrava dalla porta.

Era molto più semplice per lei comprendere il codice informatico, che non mentiva e non ammetteva interpretazioni. Non correva il rischio di sbagliare quando scriveva un codice, né quando trovava l'accesso a siti protetti cercando tra le righe pulite un punto debole.


Magari le altre persone fossero state così, se solo fosse stato sufficiente conoscere il linguaggio per comprenderle. Purtroppo però non era così e in fondo Futaba cominciava a lasciarsi sedurre dal fascino dell'umanità in Ann, come soprattutto in Ren.


Ren. Grazie a lui avrebbe imparato a conoscere il mondo, sotto la sua guida gentile avrebbe compreso un po' meglio se stessa e quello strano calore che sentiva dentro quando lui le era vicina. Che fosse amore? 

Futaba arrossiva quando la domanda le passava per la mente, ma anche lo fosse stato non era ancora pronta ad affrontarlo: la sua strada per conoscere se stessa era ancora lunga e l'unica certezza che aveva era che lui, in ogni caso, le sarebbe stato accanto in quel viaggio avventuroso tra le insidie che la sua stessa mente creava per farla rallentare. 

Alla fine avrebbe trionfato, sarebbe stata in grado di vivere nel mondo e di essere orgogliosa di se stessa, senza paura, senza scappare.

 

quistisf: (Default)
Fandom: Persona 5
Personaggi: Futaba Sakura, Wakaba
Parole: 801
Partecipa al COWT9
Prompt: L'eremita

Dream Catcher


Nell'ultimo periodo, Futaba aveva iniziato ripetere continuamente lo stesso sogno: attraversava la strada a Shibuya, persa in mezzo a centinaia di persone. A nessuno nel sogno importava di lei, di come fosse vestita o di dove stesse andando.

Nel sogno lei non si sentiva oppressa da tutte quelle persone, perché era come se fosse trasparente lì in mezzo, come un fantasma che avrebbe potuto osservare tutti senza essere visto. Come se avesse avuto addosso un filtro, pensava da sveglia.

Eppure durante il giorno le cose cambiavano e lei non riusciva più neanche a pensare di uscire dalla sua stanza. Guardava la maniglia e pensava a quanto fosse pericolosa e difficile  anche solo da toccare. Se la immaginava rovente e si chiedeva come avrebbe trovato la forza di uscire da lì, se mai ce l'avesse fatta. Ma se la porta della camera era un ostacolo che riusciva ad affrontare, anche più volte al giorno per andare in bagno o per recuperare qualche provvista, quella d'ingresso era invece invalicabile: una montagna, un deserto senza oasi dal quale lei non sarebbe mai riuscita a uscire viva. 

Ricordava come una volta fosse rimasta ferma immobile a osservarla per almeno un'ora. Aveva bisogno di contattare Sojiro, perché gli aveva promesso di nuovo che l'avrebbe raggiunto al Le Blanc. "Tranquilla, non ci sono mai clienti e oggi piove, quindi non devi preoccuparti: saremo solo io e te e ti preparerò del Curry. Il tuo preferito…”

 

Futaba continuava a pensare al suo curry, alla ricetta di sua madre che lei aveva tanto amato, che continuava a essere il suo cibo preferito, ma non era riuscita comunque a uscire da lì. Nonostante la pioggia, nonostante fuori non ci fosse nessuno visto il tempaccio e il freddo, era rimasta di fronte alla porta per un tempo che le era sembrato eterno senza riuscire neppure a toccare quella maniglia.

Sentiva di non avere più speranza, sapeva che era tutto nelle sue mani, ma lei non aveva modo di muoversi, non avrebbe superato quella terribile situazione di prigionia autoimposta. "Vuoi che venga a prenderti?" Le aveva chiesto.

 

"Se vuoi arrivare qui, puoi portarmi tu il curry, io vengo la prossima volta."

 

Ma sapevano entrambi che non sarebbe mai successo.

Se c'era una cosa che continuava a rendere Futaba sempre più triste, era il senso di colpa che leggeva negli occhi di Sojiro. Lui ce la metteva tutta a darle gli stimoli e gli spunti per muoversi, per uscire di lì, per tornare a vivere. Ma lei non era in grado di coglierli, sarebbe morta in quella casa. Sarebbe stata la sua tomba.

Nell'ultimo periodo anche vedere Sojiro, l'unica persona di cui ancora si fidava, le costava sempre più fatica. Lui aveva chiamato un dottore per cercare una soluzione, ma Futaba si era chiusa in camera, rifiutandosi di aprire. Aveva bloccato la porta e si era nascosta nell'armadio per tentare di impedire al dottore e a Sojiro di sentire il suo pianto. Perché non era felice di quella situazione, solo che non era in grado di capire come avrebbe potuto superarla. 

Se nella mente continuava a ripetersi che aprire quella porta non le avrebbe causato dolore, il suo corpo reagiva in un modo difficile da capire, per lei: la bloccava, i muscoli si paralizzavano, le mani tremavano e poi d'un tratto si muoveva senza decidere lei ciò che stava succedendo.

Era sempre stata molto strana, glielo dicevano tutti. Sua madre le ripeteva che era la sua intelligenza fuori dal comune che l'aveva resa un po' diversa dai suoi coetanei e che per questo non aveva molti amici. La realtà era che Futaba già all'epoca mentiva a sua madre, sin da piccola era sola e andava avanti con la sua vita solo per inerzia.

La scuola la annoiava e stava perdendo interesse anche nelle materie di studio, cosa che non era passata inosservata agli occhi di Wakaba, che però era presissima dal suo lavoro e che quindi stava dando la priorità a quello, pensando che la figlia ce l'avrebbe fatta. "Tu sei speciale.” Le ripeteva di continuo, accarezzandole la fronte.

E poi l'aveva abbandonata. Sua madre, Wakaba, si era suicidata per colpa di Futaba. Così le avevano detto quegli uomini. Erano passati anni e lei non era più riuscita a uscire di casa, poco importava dove fosse, non voleva più avere a che fare con quel mondo che non era mai stato suo amico, non voleva più causare dolore in chi amava, compreso Sojiro, il quale non aveva modo di aiutarla. 


La vera vita di Futaba era al computer, ma nell'ultimo periodo c'era poco che lei non fosse in grado di fare. Era diventata una hacker famosa, ma non avrebbe mai rivelato la sua identità segreta ad anima viva, perché il suo obiettivo era soltanto passare più inosservata che poteva, come in quel sogno.


Profile

quistisf: (Default)
quistis

April 2025

S M T W T F S
  1234 5
678 9101112
13 141516 17 18 19
20212223242526
27282930   

Syndicate

RSS Atom

Most Popular Tags

Style Credit

Expand Cut Tags

No cut tags
Page generated Jun. 7th, 2025 11:32 pm
Powered by Dreamwidth Studios