quistisf: (Default)
 
Fandom: Originale
Genere: fantasy, avventura, leggenda
Prompt: Il fuoco sacro
Partecipa al COWT 14

Disclaimer: tutti i riferimenti a persone e cose realmente esistiti sono puramente casuali.
Tutti i personaggi presenti nella storia sono frutto della mia fantasia.


Amtra e il Fuoco Sacro




Il Fuoco Sacro è situato nel grande tempio e arde dal giorno stesso in cui la città fu fondata dalla regina Amtra, che dà il proprio nome alla città, dopo che essa, una guaritrice, aveva salvato Orit, il Dio del Fuoco, da morte certa. 

La regina, mentre raccoglieva erbe sulla riva, aveva trovato quello che le era parso un uomo qualunque sulla sponda del fiume Parni, che attraversa la città snodandosi tra le vie in curve modellate dal tempo e dalla corrente.

Orit giaceva a terra: una freccia gli trapassava una spalla, altre gli trafiggevano la pancia e una gamba. Ella si era precipitata da lui e l'aveva soccorso come meglio aveva potuto, lavando le sue ferite al fiume e recitando le sue preghiere di guarigione, invocando gli dei perché concedessero la salvezza allo sconosciuto che aveva trovato a pochi passi dalla sua piccola capanna.

All'epoca essa non era infatti una regina, ma una reietta: una maga dagli occhi viola, considerata dagli abitanti del villaggio niente più di un cattivo presagio.

La donna portò il Dio alla guarigione e insieme essi fondarono la città, che da allora è benedetta dalla fiamma azzurra.






La città di Amtra era famosa nel regno di Ralonir per il Fuoco Sacro che bruciava nel tempio. Il giovane Elan era già stato in visita alla capitale, ma non si era mai recato al tempio prima di allora.

Quel giorno avrebbe iniziato il percorso di preparazione per diventare un protettore del tempio, finalmente avrebbe potuto ricevere le conoscenze in combattimento e in ogni altro ambito del sapere tramandate nel corso dei secoli dai Saggi e conoscere l’intera leggenda della città raccontata dal Sommo Templare in persona. Ciò che più desiderava, però, era avere l’occasione di fare la sua domanda al Fuoco Sacro, che gli avrebbe rivelato il suo destino. Tutto ciò che doveva fare era dichiarare che avrebbe protetto la fiamma azzurra a qualsiasi costo, anche se ciò avesse messo a rischio la sua stessa vita.

Il ragazzo attendeva con trepidazione di conoscere ciò che gli riservava il suo percorso di protettore del tempio e della fiamma sacra.

Era partito dal suo villaggio di prima mattina e per raggiungere Amtra si era aggregato a un carro di mercanti diretto lì vicino. Era arrivato nei pressi della porta est in anticipo. Era sceso dal carro e aveva percorso a piedi l’ultimo tratto di strada battuta che portava alla città attraversando i campi di grano. 

Prima ancora di varcare la porta di accesso ad Amtra, osservò alta nel cielo la fiamma azzurra che brillava alta sopra il tempio, convogliata lassù dall'alto camino di cemento costruito secoli prima dagli adoratori della fiamma sacra. Tra i visitatori, in molti vagavano tra le vie col naso all’insù, come ipnotizzati dal colore vivace della fiamma, simile a quello del cielo limpido del mattino, e dall’alone brillante che lasciava giorno e notte nel suo riverbero. Come un piccolo sole azzurro.


Al suo ingresso in città, Elan fu accolto da un’aria di festa: gli abitanti camminavano indaffarati lungo le strade impegnati a radunarsi in festa e a finire di appendere gli allegri festoni colorati alle pareti della case sulla via principale.

I tre carri che avrebbero accolto le nuove reclute attendevano parcheggiati sulle piazzette. Per l’occasione erano stati lavati e agghindati con lo stemma della fiamma azzurra e con comode sedute imbottite, le reclute avrebbero presto preso posto al loro interno, così da dare il via alla cerimonia di adunata.

Elan raggiunse il carro che gli era stato assegnato e si accomodò all’interno. Al suo fianco sedeva una ragazza coi capelli scuri legati in una treccia che stava scrivendo qualcosa in un taccuino. “Anche tu nella guardia?” Le aveva chiesto, amichevole.

“Che motivo avrei di essere qui, altrimenti?” Non aveva neanche alzato gli occhi, né fermato la sua penna rossa, che continuava a formare curve sul foglio.

“Giusto, domanda sciocca. Lo so che questo è il carro per i protettori.” Di fronte al suo silenzio Elan, imbarazzato, aveva abbassato lo sguardo sui sandali di pelle intrecciata che gli coprivano i piedi, era rimasto in silenzio a chiedersi perché non fosse mai in grado di stare in silenzio di fronte agli sconosciuti.

“Mi chiamo Shur, vengo dal nord.” La ragazza aveva alzato lo sguardo su di lui e gli sorrideva amichevolmente..

“Io sono Elan, molto piacere!”  Era vestita con una tunica di colore chiaro, il taglio era molto semplice, ma era elegante nei dettagli. Non era in grado di riconoscere il tessuto, ma immaginava fosse di pregio, lo si capiva dalle decorazioni a rilievo sul colletto quadrato e rigido e sulle maniche che arrivavano a metà del braccio. Calzava un paio di scarpe di cuoio di fattura elegante, che parevano comode e pratiche.

Gli occhi della ragazza erano di un viola acceso, segno che aveva dei poteri magici.

Elan avrebbe desiderato chiederle quali fossero, se si fossero già manifestati, ma immaginò che sarebbe stato inaccettabile da parte sua fare domande così private a qualcuno del suo rango, al punto che rimase a fissarla a bocca aperta come uno sciocco campagnolo, non abituato a vedere gli occhi viola dei maghi di Ralonir.

“Sono una guaritrice.” gli disse, rispondendo alla sua silente domanda. “Almeno per ora il mio potere si limita a questo. Sono qui per aiutare i Templari con un supporto protettivo, dovesse servire.” Strizzò un occhio, sorridendo.

Il ragazzo si rilassò nel constatare che la prima maga a cui aveva rivolto la parola non l’avesse trattato come un poveraccio.

“Sai leggere?” Gli chiese.

Lui scosse la testa e rispose con amarezza. “Sono andato a scuola e ho imparato un po’, ma non ho mai avuto occasione di allenarmi. Noi a casa non abbiamo libri.”

“Peccato, se vuoi fare carriera nei Templari devi studiare molto, sempre che tu voglia fare carriera. Spero tu decida di partecipare ai corsi di lettura, oltre che a quelli di combattimento. A che sezione vuoi unirti?”

Elan sospirò, pensando alle vicissitudini che l’avevano portato su quel carro. “Non ho una preferenza. La mia famiglia mi fatto scegliere se continuare a lavorare con loro alla fattoria o se partire, io ho deciso di provare a studiare al Tempio, per trovare la mia strada. Spero di riuscire a proteggerlo e di conoscere la vera storia del Fuoco Sacro.”

Shur osservò con sospetto l’accesso al carro, su cui fino a quel momento erano saliti solo loro. Gli si avvicinò e sussurrò: “Non dire in giro che vuoi la verità, in realtà credo non la conosca più quasi nessuno.” Lo sguardo di lei era serio e preoccupato, Elan si chiese cosa lei intendesse dire, ma tenne per sé la sua domanda, anche perché proprio in quel momento altre due reclute salirono sul carro e si sedettero sul lato opposto rispetto al loro.

Shur cambiò espressione e assunse un tono spensierato. "Quindi vorresti anche studiare, è saggio da parte tua. Credo sia importante imparare a conoscere la storia della nostra capitale.” Un sospiro. “Io invece sono qui perché non ho avuto scelta. Quando il potere si è manifestato mi hanno subito aggiunta alla lista. Non trovo niente di romantico o di interessante nel combattimento, ma il mio è un ruolo di vera protezione. Riconosco che i guaritori siano necessari in caso di attacco e che la città e il tempio debbano tentare di difendere se stessi e i cittadini di Amtra con ogni mezzo possibile.”

Uno dei ragazzi appena saliti rise. “Ma state tranquilli, non accadrà nulla! Non ci sono guerre da anni!”

“Vero,” convenne Shur, “Ma non usare il passato come esempio per il futuro, non è mai stato saggio farlo. Se anche non vediamo una guerra da molto, questo non significa che non ce ne saranno presto.”

Elan ebbe l’impressione che la maga sapesse qualcosa che stava tenendo nascosto, lo capì dallo sguardo infuriato che aveva rivolto al nuovo arrivato e dal nervosismo con cui aveva risposto alla sua osservazione, che per quanto fosse sciocca e immatura, non gli era parsa così grave. Shur si era quindi rimessa a scrivere i suoi appunti.

Ci volle un’ora perché tutte le reclute destinate al carro arrivassero e prendessero posto. Il mezzo partì e si avviò lentamente per il giro trionfale della città appena il rullo dei tamburi annunciò l’inizio della cerimonia di benvenuto per le reclute. La popolazione radunata fuori dalle case cantava il suo buon augurio ai futuri Templari, in molti battevano le mani e agitavano tessuti azzurri come il vessillo della città. I carri percorrevano lenti le vie di Amtra e gli abitanti depositavano sulle ceste appese intorno a essi le loro offerte per il tempio.

La città vista dal carro gli parve più piccola di come se la ricordava: le strade erano strette e tortuose, il passare del tempo si poteva notare su alcune delle case, che presentavano finestre rotte o la necessità di qualche lavoro, alcune erano state sistemate in modo precario, altre semplicemente chiuse con assi di legno inchiodate.

Un contrasto immenso con il tempio, le cui mura esterne di pietra bianca, lucidata e curata al punto da risultare quasi brillante. Tutto attorno alla porta principale, scene scolpite nel marmo bianco raccontavano la fondazione della città e la leggenda del Fuoco Sacro.

La grande porta di legno che portava al tempio si aprì davanti al carro per rivelare il grande giardino interno, adornato con alberi rigogliosi e fiori dai colori tenui, e la struttura principale: il tempio del Fuoco Sacro, la cui fiamma alta era visibile fino a fuori della città e attorniata da tutti gli altri piccoli edifici che costituivano il complesso del tempio: il palazzo dei Templari, la casa dei saggi del tempio e l’armeria, dove avevano sede anche la grande biblioteca e le sale d'insegnamento.

I tre carri entrarono uno dopo l’altro e tutte le reclute scesero, alcune emozionate, altre nervose, altre ancora indifferenti all’accoglienza.

I nuovi arrivati vennero subito divisi nei ranghi iniziali: Shur si sedette su una panca insieme all’unico altro mago presente e a un nobile, mentre gli altri tredici ragazzi furono lasciati in piedi, in fila per essere identificati e portati alle loro stanze.

Elan aveva sempre creduto che le reclute fossero centinaia ogni anno, vedere che invece il numero era così basso lo aveva confuso: forse vista l’assenza di guerre degli ultimi decenni non c’era necessità di nuovi Templari?

In quel momento però a occupare tutti i suoi pensieri c’era la grande fiamma azzurra: il Fuoco Sacro che bruciava in alto, in cima al camino lungo e affusolato del tempio. Elan immaginò il momento in cui sarebbe entrato all'interno e avrebbe finalmente potuto vedere dal vivo il Fuoco Sacro nel punto in cui si era originato. Una fiamma potente e magica, che ardeva da centinaia di anni senza necessità di legna, né olio.

Si chiese quale domanda avrebbe potuto rivolgerli. Se gli avrebbe rivelato il suo destino, come gli avevano detto i due saggi che erano andati a trovarlo a casa dopo che il ragazzo aveva presentato la domanda per entrare nella guardia del tempio.


Ricordava come fossero passate solo poche ore la coppia di uomini rugosi che avevano bussato alla porta. Elan era appena tornato dal campo insieme a sua madre, che aveva aperto con indosso ancora gli abiti sporchi di fango per il duro lavoro. “Stiamo cercando il signor Elan, della famiglia Luneis.”

Sua madre l’aveva indicato e si era congedata per preparare una bevanda calda e del cibo per i saggi, Elan li aveva fatti accomodare all’unico tavolo dell’umile casa della sua famiglia, sperando che portassero buone notizie.

“Siamo venuti a conoscere uno dei nostri potenziali Templari, l’unico che arriva da questa zona di campagna a est della capitale.” Il ragazzo ricordò di avere pensato che fosse strano che lui fosse l'unico in quella zona, ricca di piccoli villaggi in cui il culto del Fuoco Sacro era radicato, ma non aveva fatto domande, pensando che forse dipendesse dall'annata. Poco male, pensò, vorrà dire che sarò seguito meglio.

I due uomini avevano accettato quanto offerto dalla famiglia e gli avevano sottoposto un questionario piuttosto generico sulle motivazioni che l'avevano spinto a decidere di entrare nella guardia dei Templari.

"Per proteggere il Fuoco Sacro." Aveva ammesso, consapevole che era ciò che si aspettavano.

"E tu sai come è nata la fiamma azzurra, presumo." Gli aveva chiesto l'uomo più anziano con uno sguardo supponente. Elan conosceva la leggenda e, anche se non credeva che fosse legata alla realtà, aveva annuito convinto. I due, dopo il pasto, gli avevano lasciato una pergamena nella quale erano indicati il giorno e il luogo preciso in cui si sarebbe dovuto recare il giorno dell'arrivo delle reclute a Amtra. Quando chiuse la porta, Elan ripensò alla leggenda così come, ancora bambino, l'aveva sentita raccontare dal Saggio del villaggio.




Il Dio Orit si svegliò dal suo lungo sonno e vide la donna che dormiva sul pavimento al suo fianco. Tentò di sollevarsi, ma i bendaggi stretti attorno alla sua spalla glielo resero impossibile.

La donna nel sentirlo si sollevò di soprassalto. "Siete sveglio! Le mie preghiere hanno funzionato!"

Quando Amtra posò la sua mano tiepida silla fronte del Dio, egli vide le sue giornate, la fatica con cui l'aveva trascinato fino alla sua capanna, il pudore con cui aveva lavato le sue vesti e medicato le sue ferite per tre giorni interi prima che lui si risvegliasse.

In ogni momento, durante quelle giornate, era rimasta a vegliare su di lui, ripulendo le sue ferite, medicando il suo corpo e cantando i suoi incantesimi.

"Come ti chiami? Chi è stato a ferirti?"

"Sono un mercante, vengo da una città oltre il mare a sud. Alcuni briganti mi hanno aggredito e… sono stato derubato." Mentì.

La ascoltò mentre lei gli illustrava la gravità delle ferite che presentava: "Le frecce che vi hanno colpito erano avvelenate. Non sono stata in grado di riconoscere il veleno, ma l'ho visto nel vostro corpo e nel vostro sangue. Ho tentato di purificarlo con erbe e incanti, ma visto che continuavate a dormire temevo di non essere riuscita nel mio intento. Spero che quanto ho compiuto vi permetta di rimettervi in forze e di tornare in salute, anche se… non sono sicura che le ferite potranno guarire del tutto."

Orit provò un immenso senso di gratitudine per lei, ma anche se si fidava della donna aveva continuato a tenere segreta la sua vera natura. Quando lei gli aveva detto che si sarebbe recata alla città per vendere le uova delle sue galline e acquistare della farina, l'aveva pregata di non fare parola della sua presenza e del fatto che lui fosse ancora in vita. “Non voglio che i briganti si vendichino proprio di colei che mi ha restituito la possibilità di vivere.”

Amtra aveva continuato a prendersi cura di lui senza fargli altre domande. Il Dio Orit si stava riprendendo molto più in fretta di quanto avrebbe fatto un essere umano: nel giro di pochi giorni aveva iniziato ad alzarsi dal letto per aiutarla nel portare in casa la legna.

Per quanto la donna lo avesse pregato di riposarsi e di non fare fatica, Orit non l'aveva ascoltata, conscio del fatto che il suo corpo divino era già di nuovo forte e sarebbe di certo guarito del tutto. 

Nelle sere che avevano passato insieme le aveva raccontato una storia sul suo passato da mercante di stoffe, di come desiderasse aspettare prima di tornare a casa per essere sicuro di non imbattersi di nuovo in coloro che avevano attentato alla sua vita. Le aveva detto di chiamarsi Oreste e le aveva descritto il carro trainato dal cavallo pezzato che gli era stato rubato dai suoi attentatori. Menzogne ideate sulla base di uomini che il Dio aveva incontrato in passato, comode per rendere la sua immedesimazione in un essere umano più realistica.

Orit aveva imparato a conoscere la donna e si era rattristato quando ne aveva percepito l'immensa solitudine. 

Nonostante lei si sentisse abbandonata e debole, i suoi occhi viola ne indicavano la potenza. "Ti hanno allontanata perché non ti capiscono, temono ciò che va oltre le loro deboli menti."

"Forse hai ragione, ma le cose non cambieranno mai: la mia stirpe è destinata all'alienazione."

Il Dio non riusciva a comprendere gli esseri umani e la loro cecità di fronte a chi avrebbe potuto guidarli. La forza di individui come Amtra avrebbe potuto essere una risorsa, una grande ricchezza per il popolo di Ralonir, invece veniva percepita con paura e gli individui unici come lei venivano abbandonati in una sorta di esilio, proprio come era accaduto alla sua salvatrice.

Orit non era a conoscenza del mandante del proprio tentato deicidio. Sapeva che chiunque avesse tentato di ucciderlo l'aveva fatto sapendo chi fosse il destinatario delle frecce avvelenate.

"Le tue ferite stanno guarendo molto velocemente."

"Per merito tuo, mia cara salvatrice." Aveva percepito il dubbio nel tono di voce della donna, che aveva continuato a comportarsi con lui come aveva sempre fatto, senza mettere in discussione le sue parole.

Orit era rimasto con lei anche quando era completamente guarito. Prima di allora non aveva mai avuto interesse nelle condizioni del popolo degli umani, che aveva sempre considerato ignoranti e incapaci di prendere decisioni sensate. Con lei aveva conosciuto un aspetto dell'umanità che non immaginava potesse esistere: la gentilezza e il desiderio incondizionato di aiutare, anche uno sconosciuto come lui. Sapeva di non avere un aspetto raccomandabile: era alto, possente, con una folta barba scura e capelli corvini.

Il Dio aveva trovato nella donna un'amica e si abbandonava a intense conversazioni sui suoi pensieri sulla vita, sulla morte, sui poteri che le avevano segnato l'esistenza e sugli dei.

"Gli dei non sono poi così diversi dagli uomini: sono egoisti e fanno i loro interessi a scapito del fatto che potrebbero concederci una vita migliore, se solo agissero al nostro fianco e non si combattessero tra loro."

Orit fu costretto a trovarsi in accordo con lei su questo. Si era sempre occupato di se stesso, di divertirsi, di avere i favori degli uomini e di farsi adorare. Si sentiva cambiato, messo in discussione dal veleno che lo aveva reso vulnerabile come mai prima di allora.

Rendendosi conto di non essere immortale aveva abbracciato la sua parte meno divina.

Desiderava stare vicino ad Amtra molto più di quanto volesse tornare tra gli infidi e inviDiosi dei. In lei trovò una confidente saggia, una donna forte e coraggiosa, abituata a combattere.

Le chiese di restare insieme a lei.

I due iniziarono a vivere come sposi e stettero insieme per alcuni mesi, fino a quando Orit non decise che era tempo di trovare chi aveva attentato alla sua vita.

L'inverno era alle porte e la coppia aveva necessità di reperire sempre più risorse per vivere in modo sicuro e sereno la stagione fredda.

"Devo partire, ma tornerò presto," le promise un giorno il Dio del Fuoco. "Hai la mia parola."

"Dove devi andare?"

"È necessario che io mi occupi di miei attentatori, devo scoprire chi erano e quali motivazioni avevano."

La donna lo capiva. "Buon viaggio e buona fortuna." Gli augurò. "Pregherò per te in ogni momento di veglia."

Orit partì. Appena si lasciò alle spalle il capanno di Amtra, sentì la rabbia iniziare a crescergli dentro. Una sensazione che per qualche ragione in presenza della donna era riuscito a non provare per tutto quel tempo. Aveva un punto di partenza chiaro e definito. In principio chiese a Irna, la dea dell'acqua, se l'acqua del fiume avesse visto chi l'avesse colpito, ma non ricevetter risposta alcuna. Poi si recò da Lada, la dea del bosco sua amica da secoli, la quale riconobbe il suo veleno. "Questi sono gli alberi da cui si ricava. Le frecce avvelenate vengono ricavate dai suoi rami, mentre il veleno viene raccolto dalle sue radici, che vengono fatte bruciare e bruciare fino alla polvere. Si impregna la resina con la polvere e infine se ne cospargono le frecce. Sono in pochi a conoscere questo veleno. Ma credo di sapere chi ti ha colpito."

Lada si rifutò di preparare il veleno, ma decise di assistere Orit nella sua preparazione. Il Dio non utilizzò frecce, ma la sua ascia umana, l'arma che gli aveva donato Amtra per fare legna nel bosco.

Si sentiva un traditore nel prendere un oggetto di difesa e nel farne un'arma di offesa, ma non aveva scelta, perché era certo che se l'attentatore era chi lui e Lada credevano, non si sarebbe fermato una volta che avesse capito che il Dio era vivo.

L'uccisore di dei era un uomo. Uno dei signori della terra di Ralonir, donata proprio dagli stessi dei che ora lui cercava di uccidere. Orit si recò alla corte dell'uomo e offrì il suo servizio come taglialegna, come falegname. Con la sua ascia avvelenata fabbricò per il nobile ogni tipo di mobilia, entrò nelle sue camere e verniciò il suo letto. Conobbe sua moglie e le fabbricò uno specchio. La furia nel suo cuore era sempre più feroce, al punto che il Dio del Fuoco si sentiva ardere in modo così forte da non riuscire quasi a fermare le sue mani, che desideravano solo il sangue.

Aveva però promesso a Lada e, soprattutto, alla sua Amtra che lui avrebbe ucciso solo chi si era macchiato a sua volta di un delitto. Immaginò la sua cara moglie umana e i suoi occhi viola, sentì la sua voce lontana che lo avvolgeva in un canto di protezione che gli arrivava fino a laggiù, lontano chilometri da lei.

Era un Dio, ma si era nascosto come un umano qualunque. Aveva smesso le sue vesti pregiate per indossare lana di pecora e cotone ricavato dai fiori che crescevano nei campi. Non mangiava più ogni giorno leccornie degne del suo rango nel palazzo dove un tempo aveva vissuto. Sapeva che doveva avere pazienza. Infine fu ripagato per la sua perseveranza.

Il Dio Madunai arrivò al palazzo all'improvviso, discese dal cielo in una scia di polvere e fiamme rosse. Egli era il cugino di Orit, nonché il secondo tra gli dei del Fuoco.

Madunai consegnò al nobile beni di ogni tipo e prese la parola.

"Vi prego, oh popolo, di accogliere con gioia il vostro signore, e di prestare a lui fedeltà. Egli è protetto dal Dio Madunai, il primo tra gli dei del Fuoco. Mi ha dato prova della sua fedeltà e io lo ripago con la pace e la mia protezione."

Madunai accese una fiamma nella sua mano destra e con essa accese un bastone. "Fintanto che questo bastone brucerà, disse, io proteggerò questa città."

Orit restò in ombra, sperando che suo cugino non lo riconoscesse. A un tratto il Dio guardò in sua direzione, ma passò oltre il suo volto in cerca di altri fedeli da rendere devoti al suo nome.

Come è cieco alla realtà, si disse il Dio, proprio come lo ero io. Ma mai mi sarei sognato di uccidere uno di noi, mai mi sarei macchiato di sangue divino.

Orit faticava a contenere la rabbia. Si continuava a concentrare su Amtra per mantenere la calma. Avrebbe aspettato la notte per ottenere infine la sua dolce vendetta.


Madunai amava i banchetti, il vino, le donne umane e l'adulazione. Quella sera al palazzo nobiliare ebbe tutto ciò che desiderava. Era da mesi ormai che aveva realizzato il suo più grande desiderio: era diventato davvero il primo tra gli dei del Fuoco. Quando aveva proposto al ricco e sciocco nobile doni in cambio della vita di suo cugino, si era stupito che l'essere umano avesse accettato. Gli aveva spiegato per filo e per segno come causare la morte di Orit e l'uomo aveva preso appunti come uno scolaretto che impara a far di conto.

Essere secondo era una sensazione terribile, ogni volta che veniva presentato come "secondo dopo Orit" provava il desiderio di incenerire tutto ciò che lo circondava senza permettere la fuga.

Le cose però erano cambiate, finalmente.

Entrò nella stanza che gli era stata riservata e sbatté la porta dietro di sé. Era solo. Aveva lasciato i lacchè e le donne nella sala principale. Aveva bevuto parecchio anche per un Dio, al punto che desiderava soltanto riposare gli occhi.

Si tolse la giacca di lino e seta e slacciò i pantaloni coordinati. Le decorazioni tessute con filo d'oro brillavano alla debole luce della luna che entrava dalla finestra.

Madunai si stese sul letto e iniziò a ridere. Si sentiva inebriato di potere. Aveva finto di essere preoccupato per il suo futuro mentre se ne stava in alto nel suo palazzo insieme agli altri dei, ora non gli restava che godersi i frutti della sua opera, orchestrata con saggezza. Aveva persino dovuto uccidere gli altri due deucoli prima di Orit, ma erano soltanto vittime collaterali. Avrebbe tanto voluto dire loro che erano defunti solo perché a nessuno importava veramente di loro e di trovare i loro assassini.

Poi vide una sorta di lampo. Il dolore alla pancia lo colse di sorpresa. Ancora inebriato dalla serata, con una mano illuminò la stanza. Di fronte a lui: un fantasma.

Cercò di alzarsi, ma l'ascia piantata nelle sue viscere gli aveva reciso i muscoli.

"Resta pure fermo, sciocco Dio vanitoso."

"O- Orit, cosa ci fai qui? Te... Temevo fossi morto." La sua voce era già debole.

"Lascia perdere. Non ho pagato per un biglietto a teatro, ma per vedere la morte di un traditore."

"Tu, non hai prove."

Orit rise. "Prove? Le prove sono nell'altra stanza, quel nobile ha di certo già confessato tutto."

"Come...?"

"Lada, lei ti aveva insegnato a creare il veleno, vero?"

Madunai, la bocca piena di sangue, si era messo a ridere. "Credo di essere ubriaco."

"Una fine da vero Dio in declino. Non preoccuparti, il veleno farà effetto in fretta."



Orit osservò la vita abbandonare quello che un tempo era stato il suo protetto: il cugino a cui aveva insegnato a controllare le fiamme. Giovane, ambizioso, travolto dal suo desiderio di essere glorificato. Orit non ne sentiva più il bisogno.

Si alzò e attese che la delegazione entrasse nella stanza. Era stato lui a convocarli per raccogliere le testimonianze degli assassini. Tutti avevano confermato.

"Ora puoi tornare da noi." Gli aveva proposto Lada. "Sempre che tu non decida di restare per un po'." La dea aveva sorriso. Era l'unica che forse avrebbe potuto comprendere o condividere il suo desiderio di passare il tempo con gli umani. Lei passava quasi tutto il suo tempo sulla terra, in compagnia di ninfe, animali e umani abitanti dei boschi. Li proteggeva, li osservava e ne guidava il cammino. Fino a poco tempo pima Orit non la capiva, ma le cose erano cambiate.

Era mattina quando in una scia di Fuoco il Dio Orit si presentò alla capanna di Amtra, libero dal fardello della vendetta, pronto infine a svelarle chi fosse in realtà.



Elan era stato messo nella stessa stanza di un altro novellino di nome Arth, che aveva sempre vissuto ad Amtra. Aveva appreso che tutte le idee che si era fatto sui Templari erano state romanzate da anni di propaganda, in quanto in realtà l'Ordine militare non era che un piccolissimo gruppo di soldati che in caso di attacco avrebbe faticato a difendere anche solo la città.

Nonostante le sue aspettative fossero state disattese, aveva preso sul serio il suo impegno nello stuDio delle tecniche di combattimento insieme alle altre reclute e si impegnava anche a studiare in biblioteca ogni volta che ne aveva l'occasione. Shur era diventata per lui una guida nella comprensione dei volumi più complicati e spesso la cercava di sera, il libro carico di segnalibri: uno per ciascuna delle domande che le avrebbe rivolto, lei gli rispondeva sempre con serenità, ammettendo ciò che non sapeva e dimostrando una grandissima conoscenza.

I Maghi al tempio erano solamente cinque: Shur e Agi erano gli unici tra le reclute, vi era poi un uomo di mezza età e due anziani, ormai troppo persino per insegnare ai giovani, che passavano quasi tutto il loro tempo a viaggiare senza meta tra le terre del regno.

"Ormai non ci sono più molti maghi," gli aveva rivelato Shur. "Agi è l'unico della mia età che io abbia mai incontrato." Da come ne parlava, Elan aveva capito che la sua amica non si fidava molto del ragazzo, condividendo la sua stessa impressione.

I suoi poteri erano offensivi lui li usava senza neanche provare a contenerli, al punto che durante un combattimento di prova il mago aveva ferito una delle reclute, causandogli una ustione sul braccio col quale stava tenendo la spada.


Mancavano pochi giorni alla conclusione della prima parte dell’addestramento: presto sarebbero potuti entrare nel tempio e infine avrebbero avuto la possibilità di fare la loro domanda al Fuoco Sacro.

“Tu sai già cosa chiedere?” 

Shur scosse la testa. “Forse, ho un paio di domande in mente, ma non riesco proprio a decidermi… Tu invece?”

“Credo che improvviserò, non sono mai stato bravo a fare programmi, ogni volta che ci provo vanno a finire male.”





Shur era preoccupata. Gli addestramenti stavano andando per le lunghe e non era ancora riuscita a fare la sua domanda al Fuoco Sacro. Si era chiesta tante volte se tentare di entrare di nascosto nella sala della fiamma per accelerare i tempi, ma sapeva che non ce l’avrebbe fatta. Era riuscita a tenere nascosti i suoi poteri offensivi e non poteva ancora scoprirsi. 

Sapeva che a tutti era consentita una sola domanda e lei in questo non era diversa dalle altre reclute. Conosceva già il quesito che avrebbe posto, era stato deciso nel momento stesso in cui la ragazza era nata. 

La sua missione era una sola ed era molto importante che lei la realizzasse il prima possibile: per la salvezza di Amtra e per il volere del Dio Orit, doveva spegnere il Fuoco Sacro.



quistisf: (Default)
 
Originale
Partecipa al COWT 14
Prompt: orizzonte

Disclaimer: tutti i riferimenti a persone e cose realmente esistiti sono puramente casuali.
Tutti i personaggi presenti nella storia sono frutto della mia fantasia.

Il viaggio verso l'Isola di Hermann - capitolo 1

Il rumore delle onde che si infrangevano contro la sua imbarcazione di fortuna la svegliarono. Lucilla tentò di sollevarsi e si rese conto di essere del tutto priva di energie. Ogni muscolo le doleva, si sentiva pesante e stanca nonostante avesse dormito per ore. Il suo abito era ancora bagnato, sentiva il freddo penetrarle nelle ossa e brividi gelidi le percorrevano la schiena. Era ancora viva, almeno.

Alzò lo sguardo: era ancora buio, anche se dal colore del cielo si capiva che stava per albeggiare. Si guardò intorno sperando di scorgere una luce, magari un faro o una nave in lontananza, ma niente: acqua. Solo acqua.

Ovunque si voltasse non vedeva altro. Si trovava in balia delle correnti su un insieme di travi inchiodate che un tempo era stato parte della nave sulla quale viaggiava.

Si trascinò al centro del relitto, cercando un punto più stabile. Urlò, disperata, consapevole che nessuno l’avrebbe sentita, né vista.

Si lasciò andare alla disperazione e pianse fino a quando non si sentì svuotata di lacrime, incapace di resistere al terribile pensiero che non aveva una via di uscita.


Solo poche ore prima vestiva un abito elegante in broccato, lavorato con seta e filo di argento, decorato con merletti di burano. Durante la cena rideva spensierata in compagnia dei suoi genitori, servita al tavolo da camerieri in divisa, mangiando prelibatezze cotte da un cuoco professionista, degne del suo rango nobiliare. Le tempeste arrivano sempre all’improvviso, almeno così aveva riferito il capitano ai passeggeri, quando li aveva congedati per la notte, dopo avere visto le nuvole e i lampi all’orizzonte.


La nave era possente: in legno verniciato di bianco e azzurro, si chiamava “Dama Enrica”, in onore di sua nonna e la prima volta che l’aveva vista Lucilla ne era rimasta impressionata. Non era molto grande, ma sembrava solida ed era stata costruita trent’anni prima da una ditta specializzata di Venezia, che poi l’aveva portata fin da loro, percorrendo tutto il mediterraneo. Un gioiello. Un’imbarcazione di lusso che serviva i nobili della zona e dava anche la possibilità a chi lavorava tra l'isola e la terra ferma di avere un trasporto sicuro e veloce. La nave avrebbe dovuto portarli all’isola di Hermann, dove la famiglia di Lucilla aveva una tenuta estiva che avrebbero visitato per la prima volta per quell’annata. I passeggeri paganti oltre a loro erano poco più di una decina: la sua famiglia alloggiava nelle stanze dedicate ai nobili, mentre le cabine inferiori, più spartane, erano occupate da un altro gruppo di viaggiatori diretti all'isola per lavori temporanei ai campi e nei locali per turisti. 

Lucilla non aveva neppure parlato all'equipaggio, non si era impegnata a conoscerli, né aveva dimostrato loro il rispetto che avrebbero meritato per il loro impegno nel servire lei e i suoi genitori. 


Se ne pentiva, avrebbe desiderato interessarsi alle loro vite anziché ignorarli. Si sentiva una sciocca ragazzina viziata, ormai era tardi però, erano quasi di sicuro tutti ormai defunti e non c’era niente che lei potesse fare per loro. Non era mai stata brava a parlare con gli estranei, le era persino più difficile farlo con chi era obbligato a servirla, perché erano tutti estremamente gentili con lei e rendevano le chiacchierate artefatte e vuote. Lucilla non aveva interesse nell’essere perennemente compiaciuta.

Quella sera, dopo cena era salita sul ponte e aveva visto delle nuvole all'orizzonte. Si era fermata a guardarsi intorno e a prendere un po' di aria, poiché non si sentiva stanca. Il cameriere che li aveva serviti a cena l'aveva seguita per soddisfare le sue richieste nonostante lei l'avesse congedato. Il ragazzo doveva seguire gli ordini, quindi Lucilla lasciò perdere e si limitò a ignorarlo. Camminava a pochi passi da lei, seguendola come un’ombra, senza mai alzare lo sguardo per non metterla a disagio. A guardarlo bene poteva avere la sua stessa età, ma non gli aveva fatto domande.


Era rimasta a osservare la nave che si allontanava dalle nubi, accese dai lampi di tanto in tanto. Un temporale, meno male che si stava muovendo in direzione opposta a loro, ricordava di avere pensato.

Osservare l'orizzonte la faceva sentire piccola. Si era sporta in avanti, protetta dal parapetto, e aveva immaginato i pesci che nuotavano seguendo le correnti del mare e le piccole imbarcazioni dei pescatori, che le erano parse così fragili quando le avevano incrociate quella mattina, fuori dal porto.

“Stia attenta, il mare è agitato questa sera.” Lucilla aveva annuito sbuffando, senza rispondere al suo guardiano, gli avrebbe detto che non era una bambina ed era in grado di occuparsi di sé stessa, ma era certa che la sua sarebbe apparsa come una rimostranza da ragazzina ricca, quindi era rimasta in silenzio.

Dopo aver fatto il giro del ponte, era scesa nella sua cabina personale, dal cui oblò poteva vedere il mare sul lato della nave e anche da lì aveva osservato l'orizzonte nella notte illuminata dalla luna piena.

In principio si era proposta di scrivere una lettera o di leggere il libro che si era portata per il viaggio, ma poi aveva pensato di evitare lettura per quella notte, poiché non si fidava molto ad accendere la lampada a olio con il mare mosso, nonostante i suoi genitori le avessero ripetuto che non ci sarebbero stati problemi, un senso di inquietudine continuava ad affacciarsi tra i suoi pensieri.


Si era addormentata a fatica, poi all'improvviso aveva sentito il boato e le urla dell’equipaggio. Si era chiesta cosa stesse accadendo e aveva cercato di svegliare sua madre, che però l’aveva scacciata con la mano, minimizzando. “Vedrai che è tutto sotto controllo. Abbiamo viaggiato spesso su questa tratta, se ci fossero problemi, l’equipaggio ci chiamerebbe."

Lucilla però non si sentiva tranquilla. Si era infilata una vestaglia, aveva legato i capelli, aveva percorso lo stretto corridoio ed era salita lungo la scala ripida. Arrivata al ponte si era resa conto che la situazione non era per niente sotto controllo.

"Torni giù, signorina!" La voce del capitano era ferma, nonostante la nave apparisse danneggiata. Lucilla si chiese cosa avesse causato quello squarcio all'altezza del ponte: le assi di legno erano rotte come se qualcosa di molto pesante le avesse colpite, solo che non c’era niente in vista.

Fece qualche passo indietro per osservare la situazione mentre il capitano comandava le operazioni di recupero. Pensò di tornare giù, ma non riusciva a muoversi. Era aggrappata alla porta principale e osservava l'equipaggio correre da una parte all'altra cercando di limitare i danni.

Un senso di panico si impossessò di lei, perché non riusciva a trovare un senso alla situazione. Alzò gli occhi per rendersi conto che vedeva ancora sia la luna che le stelle. Non stava piovendo, quindi non c’era la tempesta. Non vedeva altre navi, né sentiva rumori all’esterno. Cosa poteva essere accaduto?

Un altro tonfo, la nave sobbalzò, lei si aggrappò alla porta con entrambe le mani e rimase in piedi.

"Ci ha colpito di nuovo!" La voce di un marinaio sul ponte della nave.

Lucilla osservò la scena terrorizzata, poi lo vide: un tentacolo gigante, e scuro, alto almeno quanto la nave. Lucilla urlò, immobilizzata dalla paura. Sentì voci alle sue spalle, gli ospiti stavano salendo sul ponte. "La nave imbarca acqua!" Uno dei passeggeri si mise a correre lungo il ponte, per poi fermarsi a bocca aperta a osservare il tentacolo del mostro alto sulla nave. In pochi istanti la creatura colpì di nuovo e il ponte si spezzò.

Non c'era salvezza. la nave era perduta e, se anche fossero stati vicino alla terraferma, il mostro non avrebbe lasciato loro possibilità di fuga.

Lucilla rimase lì, attaccata alla porta per qualche istante, chiedendosi quale sarebbe stata la morte meno dolorosa, poi qualcuno la prese per il braccio e la strattonò fino alla prua della nave. Mentre si precipitavano lungo il ponte, la loro corsa sulla nave, pianeggiante sul mare, si era trasformata in una salita, la parte centrale della nave stava affondando sotto il peso dell'acqua.

La bestia marina attaccò di nuovo, per loro fortuna dal lato opposto rispetto a quello in cui si trovavano. Il ragazzo si muoveva frenetico intorno a lei, che si appese al ramo della nave cercando di non cadere.

"Resisti, possiamo sopravvivere. Devi lottare, non mollare." Le aveva preso il viso tra le mani guardandola negli occhi con convinzione, tanto che per un attimo Lucilla si era sentita al sicuro.

La ragazza chiuse gli occhi, del tutto inerme in quella situazione. Pensò che era molto probabile che i suoi genitori ormai fossero morti annegati, se non erano stati mangiati dal mostro marino.

Poi un altro colpo e la ragazza cadde in acqua. L'impatto la risvegliò dallo stato di panico in cui si sentiva. La ragazza aprì gli occhi e cercò la luce. Iniziò a nuotare verso quella che credeva fosse la superficie, ma le sembrava di restare immobile. Era certa che sarebbe morta lì sotto. Che tutti i suoi sogni di una vita diversa da quella di sua madre, di libertà, di conoscenza, sarebbero svaniti insieme al ricordo della sua esistenza. I suoi cugini avrebbero ereditato la tenuta e i possedimenti della famiglia. Loro sarebbero stati dimenticati.


Non ricordava come avesse fatto a salvarsi, era convinta che qualcuno l'avesse aiutata a salire sul relitto, che l'avesse guidata nuotando al suo fianco e che l'avesse messa al sicuro, cantandole una canzone che l'aveva aiutata a calmarsi e a dormire.

La sensazione che provava era di calore al pensiero, ma i suoi ricordi erano ancora annebbiati.


In ogni caso non aveva tempo per concentrarsi sul passato, poiché il presente era abbastanza problematico: non aveva con sé alcun tipo di provvista ed era consapevole che presto sarebbe morta, se qualcuno non l’avesse trovata in fretta.

Si alzò in piedi, cercando di restare in equilibrio nonostante il movimento oscillatorio del mezzo precario su cui stava viaggiando.

L'acqua era il problema principale, perché una volta che il sole avesse iniziato a battere sulla sua testa, avrebbe avuto necessità di bere.

Non c’era traccia di altri pezzi della nave intorno a lei, il mare era calmo e la luce del giorno aveva iniziato a illuminare il cielo e l’acqua. A est, Lucilla vide la prima porzione del sole rosso apparire e cercò di capire verso che direzione si stesse muovendo.

Era difficile senza riferimenti, in più lei non era esperta in materia, sapeva solo da che punto sorgesse il sole. Chiuse gli occhi e si concentrò sulle sue sensazioni, ma non era certa di aver capito. Osservò le onde e sospirò, speranzosa. Se davvero stava andando verso nord, il relitto l'avrebbe portata prima o poi in vista dell'isola.

Osservò il mare in cerca di altri pezzi di legno o persone, sperando di vedere le provviste di cui la nave era carica, ma anche se avesse identificato un barile o una cassa, lei non sarebbe mai stata in grado di scendere dal relitto e raggiungerle. Si spogliò, mise ad asciugare gli abiti ancora bagnati e si rimise addosso la vestaglia che un tempo era la sua preferita, ora era a brandelli. 

Un pensiero frivolo, lo riconosceva, del resto doveva pensare a essere decorosa, quando l'avessero ritrovata morta sul relitto intendeva essere il più presentabile possibile.

Constatato che non ci fosse niente intorno a lei, la ragazza decise di concentrarsi sull'orizzonte. Non intendeva passare le sue ultime ore dormendo, forse anche avesse voluto, non ce l’avrebbe fatta.

Il sole non era troppo caldo, anzi, era mite e l'aveva aiutata a scaldarsi. Pensò che probabilmente aveva la febbre visti i brividi, ma a causarli poteva essere anche la sete. Non importava in fin dei conti.

Il mare le era sempre piaciuto, ma promise a se stessa che se fosse sopravvissuta non avrebbe mai più preso una nave in vita sua.

Doveva solo attendere, osservando l'orizzonte, di conoscere il futuro che le aveva riservato il destino.


Profile

quistisf: (Default)
quistis

April 2025

S M T W T F S
  1234 5
678 9101112
13 141516 17 18 19
20212223242526
27282930   

Syndicate

RSS Atom

Most Popular Tags

Style Credit

Expand Cut Tags

No cut tags
Page generated Jul. 1st, 2025 10:30 pm
Powered by Dreamwidth Studios