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Drabble (tutte pure, da 100 parole) su Persona5
Personaggi vari
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Ispirate a questi prompt: https://mouserzwuzhere.tumblr.com/post/132849599429/another-101-drabble-prompts



“I won’t let you fall.”


Ren aveva iniziato a correre senza preoccuparsi troppo di guardare dietro di sé. Ryuji teneva il passo, quasi in modo automatico. Si vedeva quanto adorasse correre, quanto si sentisse libero mentre sfrecciava, leggero, sull’asfalto.
Poi l’aveva visto scivolare, aveva osservato il momento preciso nel quale il ginocchio era ceduto e lui aveva iniziato a volare in avanti. Era riuscito a fare un paio di passi, ma era così sbilanciato che non sarebbe chiaramente riuscito a recuperare.
Le braccia di Ren l’avevano raccolto quando ormai Ryuji si vedeva già stampato sull’asfalto.
“Scusa, il ginocchio…”
“Non preoccuparti: io non ti lascio cadere.”




2 “I’d give you my heart, but I can’t give you something you already have.”


Ann era intenta a impacchettare il regalo per Ren.
Gli aveva comprato un paio di guanti. Un regalo fuori stagione che per lei era una promessa: un augurio perché fossero ancora insieme quando lui ne avesse avuto bisogno. Erano rossi coi simboli delle carte da Poker ricamati sui polsi.
Le ricordavano i Phantom Thieves, il loro incontro e ciò che avevano in comune.
Il rosso era anche il colore dell’amore e che lei sperava tanto gli avrebbe dato modo di pensarla, quando lui fosse tornato nel suo paese di origine.
Il colore del suo cuore, che apparteneva già a lui.


3 “None of this makes sense.”


La prima volta che Morgana era uscito dal Metaverso era rimasto scioccato nel rendersi conto di essere diventato un gatto. Si era chiesto perché fosse successo, incolpando il Memento, quel luogo del quale si ricordava e che era convinto nascondesse il suo segreto.
I suoi comportamenti però avrebbero dovuto rispecchiare la sua umanità, invece Morgana si ritrovava continuamente a comportarsi in modo insensato: quando vedeva gli insetti muoversi provava l’istinto di inseguirli, in più senza pensarci continuava a trovarsi intento a leccarsi le zampe, a volte anche le parti intime.
Niente di tutto ciò aveva senso: lui era sicuramente umano.

4 “I-I can’t believe my heart.”

Non ci poteva credere: Ren doveva avere per forza a che fare con il cambiamento repentino di sua madre, gli aveva parlato giusto il giorno prima, non era una coincidenza. Hifumi si era abituata a obbedire, ma nell’ultimo periodo, da quando aveva scoperto che la madre le aveva truccato alcuni incontri, si era sentita tradita e aveva smesso di provare a capirla.
Eppure si stava scusando, sembrava così dispiaciuta che Hifumi non poteva credere alle sue orecchie.
Si sentiva finalmente in grado di scegliere cosa fare della sua vita, e poteva farlo sapendo che sua madre sarebbe stata con lei.

5 “I choose you.”


“Mi servono le medicine.” Quel ragazzino era davvero insistente.
Nella sua vita, Takemi aveva sbagliato tante volte, in effetti preferiva non sapere quante fossero.
Si era sempre fidata delle persone sbagliate, donando a loro il suo destino.
Quel ragazzo però era diverso: forse si sarebbe potuta fidare di lui, di quello sguardo determinato che la incuriosiva oltre a farle pensare che anche se forse non era stato sincero del tutto con lei, non poteva avere cattive intenzioni.
Sarebbe stato la sua piccola cavia, si sarebbe fidata del fatto che lui non l’avrebbe tradita come avevano fatto tutti prima di lui.


6 “I won’t give up if you won’t.”


Futaba stava cominciando a pensare che avrebbe passato tutto il resto della sua vita in quella stanza. Nell’ultimo periodo per quanto si sforzasse sentiva di essere davvero peggiorata: non riusciva più neanche a mettere piede fuori di casa a meno che non fosse completamente irriconoscibile, coperta da strati di vestiti, e soprattutto tornava sui suoi passi ogni volta che incontrava qualcuno.
Non poteva continuare così, lo sapeva, ma non riusciva a trovare un modo per reagire.
Poi li aveva scoperti: i Phantom Thieves erano vicini ed erano la sua ultima speranza, l’unica.
Avrebbe resistito: col loro aiuto ce l’avrebbe fatta.

Alone

Mar. 16th, 2019 10:40 pm
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Fandom: Persona 5

Personaggi: Morgana

Partecipa al COWT9

Prompt: fuga

Parole: 521

 

Alone

 

Da quando era arrivata Futaba, Morgana si sentiva completamente inutile. 

Le sembrava che ormai tutti tenessero in considerazione molto di più le opinioni di Makoto e la guida di Futaba, che era così portata da rendere Morgana tutt'altro che necessario. Nonostante avesse l'esperienza dalla sua e fosse così speciale.


Anche se tutti lo trattavano come un membro dei Phantom Thieves, Morgana si sentiva tutt'altro che integrato e si era reso conto che la differenza tra lui e gli altri era sempre più marcata. Morgana aveva un fine diverso da tutti gli altri che sembravano cercare di rendere migliore il loro mondo; voleva tornare in possesso dei suoi ricordi, sapere come fosse arrivato in quel mondo e soprattutto sapere perché era un gatto, per quale motivo sapeva tutte quelle cose sul Metaverso.


In tutto quel tempo le sue domande continuavano a non trovare risposta e Morgana era sempre più frustrato anche perché sembrava che tutti stessero migliorando tranne lui, che sempre più spesso non riusciva a dare risposta alle loro domande sempre più specifiche, sempre meno frequenti.


I sogni erano sempre più frequenti e per quanto ci provasse il significato continuava a essergli ignoto. Non aveva fatto neanche mezzo passo avanti nella sua ricerca della verità e tutti gli indizi che gli arrivavano lo portavano verso una verità che non gli piaceva e che non avrebbe mai accettato, perché non poteva essere la verità: lui doveva essere un essere umano, era l'unica certezza che aveva.


Aveva preso la decisione di andarsene già da qualche giorno, quando effettivamente aveva trovato il coraggio di andarsene. Morgana avrebbe voluto parlarne col Joker, spiegargli le sue motivazioni, anche per evitare che si preoccupasse troppo per lui, ma non aveva avuto il coraggio di parlare, non riusciva a pensare di salutare tutti perché sapeva che se avesse manifestato le sue intenzioni, avrebbero provato a fermarlo. Lui non voleva che questo accadesse. Voleva soltanto cercare la sua strada, cercare quantomeno una risposta a tutte le sue domande, ne bastava una. Doveva trovare un senso nella sua esistenza e stando con loro, tutti insieme, non ce l'avrebbe fatta. 


Morgana se n'era andato quando nessuno avrebbe potuto fermarlo, conscio del fatto che questo suo comportamento li avrebbe fatti preoccupare. Per un attimo, pensando a Lady Ann, aveva considerato l'idea di restare, ma non poteva farlo, era il momento di pensare a se stesso e di dimostrare una volta per tutte il suo valore, perché lui era in grado di fare da solo tutto ciò che loro facevano in gruppo. L'avrebbero visto, l'avrebbero capito. 


Un gatto da solo in città non era esattamente autonomo, lo doveva ammettere. Girare in mezzo alle auto non era divertente e Morgana continuava a pensare quanto fosse comodo per lui, pigro di natura, girare nello zaino del Joker.

Non era il momento di pensare alla comodità: doveva andare a prendere il tesoro del palazzo di Okumura e l'avrebbe fatto da solo. Avrebbe superato i suoi limiti per dimostrare a tutti che lui era speciale, che lui era molto di più di quello che credevano.

Avrebbe ritrovato se stesso combattendo da solo, sarebbe tornato umano molto presto.

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Fandom: Persona 5
Personaggi: Makoto Niijima, Sae Niijima 
Parole: 530
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Take your heart!


 
 

Makoto si sentiva estremamente colpevole per come si stava comportando con sua sorella. Da quando era diventata una dei Phantom Thieves le aveva tenuto nascoste molte cose: aveva mentito, l'aveva usata. Raccogliere i dati dal suo computer e darli a Futaba era stata la scelta giusta, ma a che prezzo per Makoto? Faceva fatica a guardare la sorella negli occhi, la sentiva distante, sempre più frustrata per come quel caso, che le riguardava entrambe, stava procedendo. 

Le giornate di Sae al lavoro erano sempre più lunghe. Quando tornava la sera, Makoto la vedeva sempre più stanca, sempre meno motivata dalla passione, semmai sembrava essere la rabbia a muoverla, pareva che ciò che la faceva alzare dal letto la mattina non fosse più l'amore per la giustizia, ma il desiderio di far vedere ai suoi capi quanto valesse. Makoto l'aveva capito anche dai discorsi che le faceva ogni volta che si vedevano: era diventata una specie di automa.

 

Quando Makoto aveva aperto l'app di navigazione nel suo cellulare, non era sicura di ciò che stava facendo. L'idea le era venuta quando in un lampo aveva pensato che a Sae avrebbe fatto bene un cambio di cuore. L'aveva cercata nei Memento, ma non l'aveva vista ed era sempre più convinta che potesse avere un Palazzo. Desiderava sbagliarsi, voleva che l’app non le desse ragione. Invece

aveva detto il suo nome e aveva avuto la conferma.

Quando era successo? Quando Sae aveva perso la strada?  Quando il suo desiderio si era distorto?

 

Makoto era sempre stata razionale, sapeva che piangere non avrebbe aiutato a risolvere il problema, ma sapeva anche che non c'era altro che potesse fare in quel momento. Non riusciva a fermare le lacrime, sembravano trovare la loro strada senza fatica, senza permettere alla parte razionale della ragazza di comandarle. Per una volta, Makoto non aveva una risposta. 

Piangeva senza sosta, senza sapere cosa dire agli altri, perché non c'era niente che loro potessero fare. Avrebbe voluto chiedere ai ragazzi di andare a rubare il suo tesoro, ma si sentiva egoista, non poteva chiedere una cosa del genere, soprattutto non dopo quello che era successo al signor Okumura. Haru non parlava molto, ma Makoto immaginava quanto stesse male dopo aver perso suo padre, soprattutto sapendo che forse avrebbe potuto evitare che succedesse.


E se a Sae fosse capitata la stessa cosa? No, Makoto non poteva neanche immaginarlo. Sua sorella era l'unica famiglia che aveva e lei non era disposta a perderla per nessuna ragione al mondo. L'avrebbe salvata con il suo affetto, le avrebbe parlato e l'avrebbe aiutata. Non era troppo tardi per Sae.

Makoto piangeva e cercava risposte, soluzioni. Il suo era un pianto controllato, ma continuo. Non riusciva a smettere, non trovava pace. 

Aveva bisogno di pensare, ma la sua testa era annebbiata dalla tristezza e tutto ciò che riusciva a fare era dare sfogo ai suoi sentimenti. Dare una forma alle sue paure con quelle lacrime che le bruciavano sulle guance e che le arrossavano gli occhi.

Tra le lacrime l’unico pensiero che riusciva a formulare era la risposta: Per Sae lei avrebbe fatto di tutto. L’avrebbe salvata, anche a costo di prendere il suo cuore da sola.

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Fandom: Persona 5
Personaggi: Ann Takamaki, Kamoshida, Shiho
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Solo per lei

 

Ann Takamaki non era certo una ragazza che passava inosservata, lo aveva sempre saputo, del resto faceva la modella da un po' ormai e capiva come il suo aspetto esotico la rendesse particolarmente interessante agli occhi dei Giapponesi.


Aveva imparato in fretta a rispondere a chi la importunava, ma non si aspettava che a rendersi inopportuno nei suoi confronti sarebbe stato un insegnante. 

Il professor Kamoshida era l'allenatore della squadra di pallavolo, oltre a essere il professore di educazione fisica. Pareva averla presa di mira già dal primo giorno di scuola, però era da poco che si era fatto insistente: da quando Shiho era stata presa nella squadra. Kamoshida aveva iniziato a sfogare la sua frustrazione su tutti i suoi studenti, ma Ann si era accorta che quando lei lo rifiutava se la prendeva sempre con la sua amica Shiho. Quella mattina pioveva e Ann aveva fatto il grosso errore di scordare a casa l'ombrello, quindi era rintanata sotto il portico della stazione quando aveva visto passare Kamoshida. Lui aveva abbassato il finestrino e l'aveva invitata a entrare.  Ti accompagno, così eviti di bagnarti, non avrai mica paura di me? Ann non aveva alcuna intenzione di lasciarsi convincere, ma poi lui l'aveva fatto di nuovo. Aveva detto il suo nome.

"Sto pensando di mettere Shiho in squadra, ma non sono sicuro. Secondo te se lo merita? Vuoi parlarne con me mentre ti accompagno a scuola?"

Ann sapeva che la sua migliore amica ce la stava mettendo tutta per entrare da titolare nella squadra. Si allenava giorno e notte, ogni volta che poteva farlo. Per questo aveva accettato il passaggio. Per Shiho era disposta a questo compromesso, anche a non mandare a quel paese quel maiale di Kamoshida. Certo, non avrebbe accettato altro, ma il passaggio poteva anche sopportarlo.

Una volta in macchina, si era allacciata la cintura tenendo la testa bassa. Aveva sentito il pollice e l'indice di Kamoshida sul suo mento. Stava voltandole il viso. "Buongiorno, bellezza."

Ann era scioccata al pensiero che lui fosse convinto che una battuta del genere avrebbe potuto colpirla, semmai era così ridicola come frase che lei avrebbe potuto colpire lui, magari con uno dei suoi libri. Kamoshida le aveva carezzato la guancia scendendo fino al collo, poi si era messo a ridere. "Sei tutta rossa, si vede che hai bisogno di un po' di tempo con me. Sai, ci sono molte cose che ti posso insegnare oltre alla pallavolo, cosa ne dici?" 

Ann non pensava che il suo professore avrebbe avuto l'indecenza di comportarsi così. 

L'automobile era ripartita e Ann aveva continuato a guardare dritto davanti a sé. Erano quasi arrivati, quando aveva sentito la mano di Kamoshida sulla coscia. Aveva avuto un sussulto, che subito era stato sostituito dall'indignazione e dalla rabbia. Come si permetteva di fare una cosa del genere?

Ann non vedeva l'ora di arrivare a scuola.

"Non mi hai risposto, principessa." La sua mano si muoveva lentamente e Ann non riusciva a concentrarsi. Avesse dato ascolto al suo istinto gli avrebbe urlato quanto lo odiava e quanto il suo comportamento fosse sbagliato. Ma continuava a tornarle in mente Shiho e i suoi sforzi. In fin dei conti non si sarebbe potuto spingere oltre. No. Ann non gli avrebbe permesso di spingersi oltre.

"Lei è il mio professore," gli aveva risposto. "Credo che sarebbe meglio che per ora, finché sono nella sua classe, ci si limiti alla scuola." 

Era scesa dall'auto sentendosi sporca e nervosa. Come era possibile che nessuno dicesse niente a quel maiale? Ann non poteva più resistere, anche se per la sua migliore amica aveva sopportato fino a quel momento, era davvero troppo. 

Mentre Shiho le correva incontro, Ann aveva deciso che era davvero ora di smetterla.

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Autrice: Quistis (Fabi_)
Fandom: Persona5
One Shot
Introspettivo, Missing Moment
 
 Il destino è come la pioggia


Akechi aveva chiuso l'ombrello di fronte a LeBlanc dopo essere passato lì di fronte almeno quattro volte. Cosa avrebbe potuto pensare la gente a vederlo girare in quel modo? Doveva decidersi, era stupido restare lì fuori.

 

Immaginava che il gatto avesse capito, quindi sperava di non incontrarlo perché sapeva che avrebbe cercato di azzannarlo appena l'avesse visto. Sempre che il gatto fosse lì, perché ora che Amamiya non c'era più non aveva senso che restasse in quel buco. Sarebbe andato a casa di uno degli altri, forse, o più probabilmente avrebbe lasciato per sempre la città. Il gatto lo incuriosiva, oltre a infastidirlo parecchio, Akechi avrebbe voluto conoscere le sue origini e capire perché sembrava sapere così tanti dettagli sul metaverso, parecchi più di lui a dirla tutta.

 

Aveva abbassato la maniglia e si era trovato di fronte il locale come sempre quasi deserto. 

Quell'uomo: Sakura, lo guardava con un'espressione vuota.

"Non ti ho più visto, ero preoccupato per te." Gli sorrideva, Akechi si era quasi sorpreso nel sentirlo parlare, pensava che al massimo gli avrebbe chiesto cosa desiderasse consumare.

"Ho sentito le brutte notizie... Speravo fosse un errore," Akechi si lasciò andare a un sospiro triste, stava mostrando la sua miglior faccia contrita, eppure sentiva dentro un mare in tempesta, perché una parte di lui avrebbe tanto voluto ridere. “È morto davvero?”

"Purtroppo è così." L'uomo aveva abbassato lo sguardo, stretto i pugni, si vedeva quanto fosse distrutto.

"Mi dispiace." Un po' era vero, si sentiva in lutto per aver perso un degno avversario, una persona che forse avrebbe potuto capirlo.

"Eravate amici."

 

"Già, lo rispettavo." Era vero. Per una volta non aveva mentito.

Akechi era lì per il caffè, almeno questo era quanto aveva comunicato a Sakura. Era felice di non aver incrociato il gatto o gli altri, quei ragazzini, quegli stupidi che si credevano furbi e che erano stati marionette nelle sue mani.

 

Aveva salutato con la mano ed era uscito.

 

Una volta fuori si era trovato di nuovo di fronte a quella pioggia torrenziale. 

 

Sotto la pioggia potrei fare un buon allenamento, ma non oggi, pensava. 

Quando aveva aperto l’ombrello, aveva iniziato a pensare a tutto quello che aveva fatto e al suo punto d'arrivo. Era così vicino, era andato tutto secondo i piani fino a quel momento e non c’era ragione di preoccuparsi troppo, in fin dei conti aveva tutto sotto controllo.

 

Poi, in un lampo nella pioggia, gli era sembrato di vederlo. Lui, l’unico con cui avrebbe forse potuto avere un confronto. L’unico che doveva morire immediatamente, purtroppo. Uno spreco.

Non riusciva a togliersi di lì, avrebbe voluto domandare di salire nella sua camera per prendere almeno un pezzetto di lui: un quaderno, una spilla, un libro. Akechi sentiva il bisogno di raccogliere un trofeo, o forse un ricordo, non aveva voglia di esaminare i suoi pensieri, perché già alcune volte si era fermato ad ascoltarsi e la cosa non lo aiutava a stare meglio.

 

La pioggia continuava a battere sull’ombrello. Ritmica, inevitabile, come il destino di chi si era scontrato con lui fino a quel momento. 

Le persone normali lasciano che il loro destino scorra, accettandolo. Akechi era diverso, lui lo plasmava a suo piacimento.

Era davvero a suo piacimento come aveva pensato fino a quel momento?

Per un attimo, si era sentito come se una parte molto importante del suo piano fosse stata sbagliata, come se qualcosa mancasse, come se il suo destino lo stesse inseguendo.

Aveva scostato l’ombrello e alzato la testa, perché lui non era il tipo di persona che si nascondeva di fronte al suo destino. Lo stava guardando in faccia, come quella pioggia. Aveva sentito il mormorio dei passanti, che si chiedevano perché quel folle avesse deciso di inzupparsi a quel modo, visto quanto forte era quella pioggia.

Sì, era la metafora perfetta per la sua vita in quel momento: il suo destino era pioggia torrenziale e lui non aveva un riparo, era destinato a sopravvivere, cercando riparo negli angoli o chiedendo aiuto ad altra gente; ma lui, Akechi, si era costruito tutto ciò che gli serviva per stare in mezzo alla pioggia, senza paura.

Era completamente zuppo, ma si sentiva bene, di nuovo vivo come quando gli era vicino. Con Ren era stato così fino all'ultimo, fino a quando non gli aveva sparato il colpo in testa.

Akechi aveva fatto un inchino verso la finestra della camera di Amamiya e aveva ricominciato a camminare, senza preoccuparsi troppo della pioggia.

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