Mar. 22nd, 2025

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Fandom: Persona 3
Personaggi: Makoto Yuki
Prompt
 - singolarità: Il fatto di essere singolare, qualità di chi o di ciò che è singolare (nei varî sign. estens. e fig.); particolarità, eccezionalità, originalità, stranezza.

il carattere di irripetibilità, inconfondibilità, unicità, proprio del singolo, del soggetto personale

Partecipa al COWT 14 per M2


L'occhio del ciclone.

“Sei unico, il tuo è un potere speciale”.

Le parole di Mitsuru risuonavano nella sua mente senza tregua, ogni volta che viaggiava solo sulla funicolare.

Il primo giorno di scuola dopo le vacanze estive era ormai dietro l’angolo e lui aveva deciso di prendersi la giornata per girare senza meta, senza prendersi impegni particolari.

Il giorno precedente aveva incontrato Takaya al tempio. L’uomo gli aveva consegnato quel biglietto dal contenuto poco chiaro e Makoto si era chiesto di nuovo se Mitsuru e il capo gli stessero nascondendo più di quanto volesse ammettere.

Solo pochi giorni prima aveva combattuto al fianco di Takaya e ne aveva potuto osservare la potenza. Si era chiesto perché tutti i Persona User in grado di combattere fossero giovani come lui, per quale motivo non ci fossero altri adulti come Takaya a difendere la popolazione e a cercare di proteggere la popolazione. 

C’era qualcosa che non andava, ma per quanto si sforzasse, Makoto non riusciva a comprendere chi stesse guadagnando da quella situazione.

A volte si sentiva troppo stanco persino per alzarsi per andare a scuola, i rapporti con gli altri erano diventati più simili a impegni che a momenti piacevoli passati in compagnia di amici a cui si sentiva legato.

Makoto però sentiva di doversi sbrigare a formare legami con chi aveva intorno, doveva farlo prima che fosse troppo tardi.

Tardi per cosa? Si chiedeva quando il pensiero lo sfiorava, ma cercava di smettere di pensarci e si concentrava su pensieri concreti, tangibili, urgenti.

Mancavano ancora cinque ombre alla fine della loro avventura. Cinque mesi e il Tartarus sarebbe svanito per sempre, almeno così speravano tutti. La fine di una breve parentesi della sua vita.

Pharos gli era apparso in sogno la notte precedente e l’aveva avvertito di nuovo. 

Ogni volta che gli appariva, Makoto provava un enorme senso di inquietudine, perché ormai era certo che quel ragazzino fosse un messaggero oscuro che stava annunciando la fine della vita come sempre l’avevano vissuta, se non la fine del mondo intero e la distruzione totale dell’umanità.

Makoto sentiva di doversi sforzare sempre di più per trovare l’energia che tutti si aspettavano da lui: sempre a combattere, sempre in prima linea, ma la verità era che la motivazione lo stava abbandonando, il suo unico desiderio era riposare, smettere di pensare, ritirarsi e pensare alle frivolezze che i ragazzi della sua età consideravano importanti. 


La sua unicità l’aveva messo al centro della missione dei S.E.E.S., costringendolo a non avere la possibilità di mollare e di vivere in modo sereno la sua vita, come un normale studente. 

L’ultima volta che erano andati a combattere, Sanada era rimasto a casa a riposarsi dopo la sua ennesima vittoria in uno dei suoi  match di boxe. Si era concentrato sulla sua vita fuori dai S.E.E.S. e nessuno si aspettava che facesse diversamente.

Ma lui… Makoto non poteva sottrarsi al ruolo di leader che gli era stato assegnato all’inizio sulla base della sua abilità promettente nel combattimento. Decisione che in seguito era diventata un’imposizione quasi naturale per lui, che a detta di tutti. Lui, la singolarità, il prescelto tra i prescelti, che invocava ogni Persona con facilità,  grazie alle caratteristiche che tutti gli altri continuavano a definire uniche.

Pensò ad Aigis. Quando l’avevano incontrata gli aveva detto che lo stava cercando, che si era risvegliata proprio a causa della sua presenza, della sua vicinanza a lei, ma a Makoto questa dichiarazione aveva suscitato solo un profondo senso di inquietudine.

“Devo starti vicino e proteggerti sempre.” Gli aveva riferito. Aigis era diventata la sua ombra nel Tartarus, si risentiva sempre quando veniva lasciata indietro e i suoi occhi robotici lo cercavano in ogni istante, anche quando dormiva.

“Ti sento, so se stai bene. Il mio posto è sempre con te.”


Anche lei era unica: un essere senziente dalle sembianze simili a quelle di una ragazza, dalla mente robotica e razionale, dal corpo metallico e dotato di armi letali. Il cui scopo unico e dichiarato sarebbe dovuto essere quello di combattere le ombre, che invece era mossa dal desiderio incondizionabile di proteggere Makoto.


Perché proprio lui? Continuava a chiedersi senza che la risposta arrivasse.

Di nuovo, si era domandato cosa sarebbe successo se lui fosse sparito. Se avesse preso un treno per andare via da lì e non avesse dato spiegazioni. 

L’avrebbero cercato?
Sarebbero stati preoccupati per lui, o la loro priorità sarebbe stata la missione? 

Aigis l’avrebbe davvero trovato senza bisogno di sapere dove fosse?


Il treno aveva appena superato la fermata di Dekijima, presto sarebbe arrivato a Osaka.

Makoto aveva in programma di fare un giro lì intorno, senza una meta precisa.

Si sentiva in colpa per essere partito, come se fosse fuggito dalle sue responsabilità coi S.E.E.S., anche se in fin dei conti non stava facendo altro che una breve gita.


Ricevette un messaggio da Junpei che gli chiedeva se stesse ancora dormendo. 

“No, sono in giro, sto andando a Osaka.”

Scrisse il messaggio, ma si fermò appena prima di inviarlo. Si morse un labbro mentre metteva in ordine i pensieri: Makoto aveva in programma di fare un giro lì intorno, senza una meta precisa. 

Con un sospiro di liberazione premette il pulsante di invio.

“Wo! Osaka! La prossima volta ci andiamo insieme!”

Come immaginava, nessuno lo considerava un traditore.


Scese dal treno a Ebisucho, visto il caldo della giornata pensava che visitare il Santuario Sumiyoshi Taisha fosse la scelta migliore. La frescura dell’ombra del bosco gli avrebbe dato sollievo dal caldo torrido di Port Island.


Sperava anche che la calma del tempio lo aiutasse a sentirsi meno inquieto.

Meno necessario. Si sentiva come un eroe fragile, il punto fermo attorno a cui tutto stava accadendo.  L'occhio del ciclone attorno a cui tutto si distruggeva.

“Ti abbiamo aspettato per dieci anni,” così aveva dichiarato il capo. “Se non fossi arrivato tu, non ce l’avremmo mai fatta.”


Camminò fino al tempio, ne ammirò i quattro edifici antichi in legno, verniciati di rosso acceso come da tradizione, rialzati e protetti dalle caratteristiche ringhiere rosse. 

Si immaginò come sarebbe stato lui se avesse fatto parte della struttura del tempio: un edificio troppo grande, sghembo, costruito alla rovescia. Un elemento che avrebbe tolto armonia al luogo, catturando l’attenzione di tutti. 

L’armonia era nel gruppo di edifici uguali, nella ripetizione. La forza era nel gruppo.

Alzò lo sguardo: il bosco, fitto, permetteva ai fedeli di pregare, così come consentiva a lui di non soffrire troppo il caldo. Forse era quello il suo ruolo: essere il ristoro, contribuire nella sua singolarità a fare parte del gruppo, a proteggerli, a guidarli nella raggiunta della fine, qualunque essa fosse, così come loro proteggevano lui. 


Al suo ritorno al dormitorio si sentiva rinfrancato, pensando che ciascuno ha la parte che il destino gli riserva. A lui era stata destinata l’unicità che lo rendeva un buon leader e avrebbe fatto la sua parte.


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Fandom: Persona 5
Personaggi: Goro Akechi, Ren Amamiya
Prompt: risonanza
Partecipa al COWT 14


Il numero uno


Goro stava osservando l’espressione concentrata di Ren, che con attenzione si era chinato sul tavolo da biliardo per studiare la giusta traiettoria da imprimere alla biglia battente per mettere in buca la palla. Che sciocco: non si era accorto che non era quello il colpo più facile? Sospirò con impazienza, sperando che questo avrebbe innervosito il suo avversario.

“Quello è il prossimo tiro,” aveva detto Joker, indicando la biglia che il ragazzo stava fissando. “Prima metto in buca questa.” E aveva tirato, sicuro come sempre, con quell’insopportabile sorrisetto stampato sul viso. “Ecco, visto?” gli aveva ammiccato.


Aveva fatto un gran tiro, era l’unico avversario al suo livello. Goro in questi momenti provava pena per lui, in un certo senso lo riteneva una vittima collaterale. Il suo piano però aveva bisogno che lui lo diventasse, era necessario per il suo fine ultimo. 

Ren aveva messo in buca anche la seconda palla, infondendo in Goro un senso di fastidio che cresceva, lasciando poco spazio al rimorso e alla pena.Si somigliavano, più di quanto entrambi volessero ammettere. 

Per cominciare potevano controllare più di una Persona. Akechi ne aveva soltanto due, ma a dirla tutta non aveva davvero mai provato ad aumentarne il numero, Loki e Robin Hood erano più che sufficienti. 

Con l’ultima palla il suo rivale aveva concluso la partita. Un po’ di gioia prima di morire, pensò Goro. “Complimenti, sei destinato a essere il numero uno.”


Il numero uno. Parole che risuonavano nella sua mente di continuo. 

La prima persona che gli aveva promesso il successo era stata sua madre: una donna che aveva avuto l’esistenza che meritava, incapace di prendersi cura di lui e di dargli un padre. L’aveva invece costretto a vivere nella menzogna. Per lei, Goro era il numero uno perché capiva quando se ne doveva andare da casa e non diceva una parola. Obbediente, remissivo come lei desiderava. Parole a cui la donna aveva tolto il significato per sostituirlo con una bugia, come faceva con ogni aspetto della sua vita.


Il numero uno, il migliore. L’Ace Detective di cui Sae e il dipartimento di polizia avevano bisogno per l’operazione sotto copertura per catturare i Phantom Thieves. Colui che aveva risolto casi impossibili, raccolto l’ammirazione del pubblico e delle forze dell’ordine, che si era fatto notare da fan che lo cercavano e lo fotografavano di nascosto. Il numero uno.

Il compiacimento, la dimostrazione di ciò che Goro poteva fare grazie alle sue doti naturali.


Il numero uno, il primo in grado di offrire a suo padre qualcosa che nessun altro avrebbe mai potuto donargli: la volontà del popolo, la mente di chi gli si opponeva. Se solo glielo avesse chiesto, il ragazzo avrebbe messo ai piedi di Shido l’intero Giappone. Il numero uno nel risolvere le situazioni spiacevoli, così l’aveva chiamato, e Goro si era sentito finalmente apprezzato dall’uomo che l’aveva abbandonato molti anni prima, che si stava infine appoggiando al figlio reietto, seppure inconsapevolmente.


Solo di fronte a Ren non si sentiva il numero uno. Con lui era destinato a un ruolo marginale. Chiunque avesse osservato le loro azioni e conosciuto la loro storia avrebbe visto in Goro un antagonista, un personaggio mosso dall’invidia e dal desiderio di dimostrare il proprio valore in una lotta impari, nella quale sarebbe sempre risultato sconfitto se avesse lottato ad armi pari. L’uso dell’astuzia e dell’inganno gli poteva permettere di sfruttare un vantaggio e di vincere.

Lui però non aveva intenzione di dimostrargli lealtà. Stare con Ren era stimolante, era vero, ma ogni momento in sua presenza gli era sempre più difficile mantenere addosso la sua maschera.

“Fai qualcosa, salvati! Non vedi che ti sto prendendo in giro?” Avrebbe desiderato dirgli. “Ti credi tanto furbo, sostieni di essere il leader, invece sei solo una marionetta.”

Ren era sempre così difficile da comprendere, al punto che Akechi si era chiesto se non stesse indossando anche lui una maschera.


Non era possibile, lui era sempre un passo avanti.

Avrebbe ucciso il leader dei Phantom Thieves con le sue mani, proprio come aveva deciso quando aveva iniziato a pianificare il suo piano, mesi prima. Non uno speciale, solo una delle tante vittime del killer vestito di nero. Alzò lo sguardo su Haru, intenta a giocare a freccette con gli altri patetici ragazzini del gruppo e pensò a Okumura, a come ne aveva eliminato la versione cognitiva e a quanto le sue azioni non gli avessero impedito di passare del tempo con la figlia, senza alcun rimorso. Ricordava di quando le aveva anche confessato quanto la capisse, come anche lui in passato avesse perso il padre, come la sua vita fosse stata difficile, ma anche come tutto il suo dolore l’avesse reso forte.


Era il numero uno anche nel nascondersi, nel proteggere il suo grande piano di conquista del mondo senza fatica.

“Domani sarà una giornata importante, cercate di riposare.” Aveva suggerito ai Phantom Thieves nel congedarli.


Il giorno della verità: la cattura del tesoro nel Palazzo contorto di Sae Niijima. 

Sarebbe stato il giorno della sua consacrazione a numero uno, quando il suo rivale avrebbe finalmente riconosciuto la grandezza dell’intelligenza del celebre Ace Detective che lui continuava a trattare come suo pari.


Mentre tornava a casa, Goro si fermò a un telefono pubblico e compose il numero.

Al quarto squillo una voce conosciuta rispose. “Pronto?”

“Sono io.”

“Bene, parla.”

“Domani ci troveremo al Casinò. Entro due giorni la prima parte del piano sarà conclusa.”

Dall’altra parte, Shido stava in silenzio. Akechi poteva immaginarlo sorridere compiaciuto. “Mi farò vivo presto.”

“Fa’ in modo che le cose vadano come concordato.” L’uomo attaccò il telefono senza dargli la possibilità di salutare, come sempre.

Quanto avrebbe desiderato dirgli la verità. Spiegargli che ogni sua azione era un dono dal figlio rinnegato al padre. Una notte aveva sognato il momento della sua rivelazione. Nel sogno, Shido lo abbracciava, ringraziandolo per avere messo in pericolo la sua vita per lui, pregandolo di perdonare la sua assenza negli anni in cui avrebbe potuto fare la differenza.

Akechi posò la cornetta. Sapeva che quello era solo un sogno, che suo padre non si sarebbe scusato, né l’avrebbe abbracciato.

A lui bastava avere la sua riconoscenza, l’ammissione che Akechi era il numero uno.


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Fandom: Persona 5
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Articolo di giornale


La cattura di Joker

Tokyo, 17 Marzo 2020

Phantom Thieves: svolta nelle indagini.

La popolazione è divisa di fronte alle dichiarazioni appena rilasciate dalle forze dell'ordine giapponesi: pare infatti che il leader dei Phantom Thieves sia stato finalmente catturato.

Per mesi si è dibattuto sull'esistenza effettiva e sui metodi utilizzati dai Ladri di Cuori per fare confessare le vittime e portarle al pentimento.

Chi si aspettava che a inviare le calling card e a smuovere la coscienza cittadina fosse un'organizzazione formata da esperti ladri e hacker, sarà sorpreso nel sapere che in realtà il leader dei Phantom Thieves, di cui per ora non si conosce il nome, è un ragazzo ancora minorenne.

Fonti attendibili vicine alla squadra che ha partecipato all'arresto riportano: "I Phantom Thieves hanno perpetrato numerosi crimini, tra i quali vi è anche il sospetto di omicidio, viste le numerosi morti misteriose e gli incidenti avvenuti a seguito di collassi mentali nel corso degli ultimi mesi. Anche se le loro modalità operative restano tuttora sconosciute, siamo fiduciosi nell'affermare che la loro attività sia conclusa per sempre."

La cattura è stata possibile grazie alla presenza di un infiltrato, che ha lavorato a stretto contatto con Joker, questo il nome in codice del ragazzo, e che ha permesso di cogliere il gruppo di hacker dei cuori con le mani nel sacco, sebbene le forze dell’ordine abbiano rifiutato di rilasciare dettagli sul luogo dell’arresto.

Nonostante tutto, in molti sostengono che non sarà possibile accusare formalmente Joker di alcun reato, poiché i Phantom Thieves non hanno mai davvero compiuto furti. Non ci sono prove, ad oggi, della loro partecipazione agli omicidi e ai collassi mentali. Si può accusare forse qualcuno di aver mosso le coscienze di alcuni criminali e di averli convinti a confessare crimini reali? Così facendo non si metterebbe in discussione anche la carriera professionale di psicologi e terapeuti?

Alla domanda: "Credi che i Phantom Thieves siano giusti?" Il 67% della popolazione ha risposto di sì, a dimostrazione che la gente comune li vede come eroi moderni, mossi dal desiderio di migliorare la società e di far sì che le persone corrotte e i criminali si prendano la responsabilità delle proprie azioni e facciano parte del cambiamento al fine di rendere il Giappone un luogo più sicuro per tutti i suoi abitanti.

Agli occhi del cittadino medio, Joker appare come un idealista, più che un assassino. La popolazione non ha accolto la cattura del ladro in modo del tutto positivo.

Dal canto mio, io credo che a volte il fine giustifichi le azioni, anche quando sono in una linea di confine tra legalità e crimine.

Credo nella sua innocenza e confido, un giorno, in un'intervista per raccontare cosa abbia spinto i Phantom Thieves a farsi portatori di questo messaggio di giustizia e di etica.


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Originale
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Prompt: orizzonte

Disclaimer: tutti i riferimenti a persone e cose realmente esistiti sono puramente casuali.
Tutti i personaggi presenti nella storia sono frutto della mia fantasia.

Il viaggio verso l'Isola di Hermann - capitolo 1

Il rumore delle onde che si infrangevano contro la sua imbarcazione di fortuna la svegliarono. Lucilla tentò di sollevarsi e si rese conto di essere del tutto priva di energie. Ogni muscolo le doleva, si sentiva pesante e stanca nonostante avesse dormito per ore. Il suo abito era ancora bagnato, sentiva il freddo penetrarle nelle ossa e brividi gelidi le percorrevano la schiena. Era ancora viva, almeno.

Alzò lo sguardo: era ancora buio, anche se dal colore del cielo si capiva che stava per albeggiare. Si guardò intorno sperando di scorgere una luce, magari un faro o una nave in lontananza, ma niente: acqua. Solo acqua.

Ovunque si voltasse non vedeva altro. Si trovava in balia delle correnti su un insieme di travi inchiodate che un tempo era stato parte della nave sulla quale viaggiava.

Si trascinò al centro del relitto, cercando un punto più stabile. Urlò, disperata, consapevole che nessuno l’avrebbe sentita, né vista.

Si lasciò andare alla disperazione e pianse fino a quando non si sentì svuotata di lacrime, incapace di resistere al terribile pensiero che non aveva una via di uscita.


Solo poche ore prima vestiva un abito elegante in broccato, lavorato con seta e filo di argento, decorato con merletti di burano. Durante la cena rideva spensierata in compagnia dei suoi genitori, servita al tavolo da camerieri in divisa, mangiando prelibatezze cotte da un cuoco professionista, degne del suo rango nobiliare. Le tempeste arrivano sempre all’improvviso, almeno così aveva riferito il capitano ai passeggeri, quando li aveva congedati per la notte, dopo avere visto le nuvole e i lampi all’orizzonte.


La nave era possente: in legno verniciato di bianco e azzurro, si chiamava “Dama Enrica”, in onore di sua nonna e la prima volta che l’aveva vista Lucilla ne era rimasta impressionata. Non era molto grande, ma sembrava solida ed era stata costruita trent’anni prima da una ditta specializzata di Venezia, che poi l’aveva portata fin da loro, percorrendo tutto il mediterraneo. Un gioiello. Un’imbarcazione di lusso che serviva i nobili della zona e dava anche la possibilità a chi lavorava tra l'isola e la terra ferma di avere un trasporto sicuro e veloce. La nave avrebbe dovuto portarli all’isola di Hermann, dove la famiglia di Lucilla aveva una tenuta estiva che avrebbero visitato per la prima volta per quell’annata. I passeggeri paganti oltre a loro erano poco più di una decina: la sua famiglia alloggiava nelle stanze dedicate ai nobili, mentre le cabine inferiori, più spartane, erano occupate da un altro gruppo di viaggiatori diretti all'isola per lavori temporanei ai campi e nei locali per turisti. 

Lucilla non aveva neppure parlato all'equipaggio, non si era impegnata a conoscerli, né aveva dimostrato loro il rispetto che avrebbero meritato per il loro impegno nel servire lei e i suoi genitori. 


Se ne pentiva, avrebbe desiderato interessarsi alle loro vite anziché ignorarli. Si sentiva una sciocca ragazzina viziata, ormai era tardi però, erano quasi di sicuro tutti ormai defunti e non c’era niente che lei potesse fare per loro. Non era mai stata brava a parlare con gli estranei, le era persino più difficile farlo con chi era obbligato a servirla, perché erano tutti estremamente gentili con lei e rendevano le chiacchierate artefatte e vuote. Lucilla non aveva interesse nell’essere perennemente compiaciuta.

Quella sera, dopo cena era salita sul ponte e aveva visto delle nuvole all'orizzonte. Si era fermata a guardarsi intorno e a prendere un po' di aria, poiché non si sentiva stanca. Il cameriere che li aveva serviti a cena l'aveva seguita per soddisfare le sue richieste nonostante lei l'avesse congedato. Il ragazzo doveva seguire gli ordini, quindi Lucilla lasciò perdere e si limitò a ignorarlo. Camminava a pochi passi da lei, seguendola come un’ombra, senza mai alzare lo sguardo per non metterla a disagio. A guardarlo bene poteva avere la sua stessa età, ma non gli aveva fatto domande.


Era rimasta a osservare la nave che si allontanava dalle nubi, accese dai lampi di tanto in tanto. Un temporale, meno male che si stava muovendo in direzione opposta a loro, ricordava di avere pensato.

Osservare l'orizzonte la faceva sentire piccola. Si era sporta in avanti, protetta dal parapetto, e aveva immaginato i pesci che nuotavano seguendo le correnti del mare e le piccole imbarcazioni dei pescatori, che le erano parse così fragili quando le avevano incrociate quella mattina, fuori dal porto.

“Stia attenta, il mare è agitato questa sera.” Lucilla aveva annuito sbuffando, senza rispondere al suo guardiano, gli avrebbe detto che non era una bambina ed era in grado di occuparsi di sé stessa, ma era certa che la sua sarebbe apparsa come una rimostranza da ragazzina ricca, quindi era rimasta in silenzio.

Dopo aver fatto il giro del ponte, era scesa nella sua cabina personale, dal cui oblò poteva vedere il mare sul lato della nave e anche da lì aveva osservato l'orizzonte nella notte illuminata dalla luna piena.

In principio si era proposta di scrivere una lettera o di leggere il libro che si era portata per il viaggio, ma poi aveva pensato di evitare lettura per quella notte, poiché non si fidava molto ad accendere la lampada a olio con il mare mosso, nonostante i suoi genitori le avessero ripetuto che non ci sarebbero stati problemi, un senso di inquietudine continuava ad affacciarsi tra i suoi pensieri.


Si era addormentata a fatica, poi all'improvviso aveva sentito il boato e le urla dell’equipaggio. Si era chiesta cosa stesse accadendo e aveva cercato di svegliare sua madre, che però l’aveva scacciata con la mano, minimizzando. “Vedrai che è tutto sotto controllo. Abbiamo viaggiato spesso su questa tratta, se ci fossero problemi, l’equipaggio ci chiamerebbe."

Lucilla però non si sentiva tranquilla. Si era infilata una vestaglia, aveva legato i capelli, aveva percorso lo stretto corridoio ed era salita lungo la scala ripida. Arrivata al ponte si era resa conto che la situazione non era per niente sotto controllo.

"Torni giù, signorina!" La voce del capitano era ferma, nonostante la nave apparisse danneggiata. Lucilla si chiese cosa avesse causato quello squarcio all'altezza del ponte: le assi di legno erano rotte come se qualcosa di molto pesante le avesse colpite, solo che non c’era niente in vista.

Fece qualche passo indietro per osservare la situazione mentre il capitano comandava le operazioni di recupero. Pensò di tornare giù, ma non riusciva a muoversi. Era aggrappata alla porta principale e osservava l'equipaggio correre da una parte all'altra cercando di limitare i danni.

Un senso di panico si impossessò di lei, perché non riusciva a trovare un senso alla situazione. Alzò gli occhi per rendersi conto che vedeva ancora sia la luna che le stelle. Non stava piovendo, quindi non c’era la tempesta. Non vedeva altre navi, né sentiva rumori all’esterno. Cosa poteva essere accaduto?

Un altro tonfo, la nave sobbalzò, lei si aggrappò alla porta con entrambe le mani e rimase in piedi.

"Ci ha colpito di nuovo!" La voce di un marinaio sul ponte della nave.

Lucilla osservò la scena terrorizzata, poi lo vide: un tentacolo gigante, e scuro, alto almeno quanto la nave. Lucilla urlò, immobilizzata dalla paura. Sentì voci alle sue spalle, gli ospiti stavano salendo sul ponte. "La nave imbarca acqua!" Uno dei passeggeri si mise a correre lungo il ponte, per poi fermarsi a bocca aperta a osservare il tentacolo del mostro alto sulla nave. In pochi istanti la creatura colpì di nuovo e il ponte si spezzò.

Non c'era salvezza. la nave era perduta e, se anche fossero stati vicino alla terraferma, il mostro non avrebbe lasciato loro possibilità di fuga.

Lucilla rimase lì, attaccata alla porta per qualche istante, chiedendosi quale sarebbe stata la morte meno dolorosa, poi qualcuno la prese per il braccio e la strattonò fino alla prua della nave. Mentre si precipitavano lungo il ponte, la loro corsa sulla nave, pianeggiante sul mare, si era trasformata in una salita, la parte centrale della nave stava affondando sotto il peso dell'acqua.

La bestia marina attaccò di nuovo, per loro fortuna dal lato opposto rispetto a quello in cui si trovavano. Il ragazzo si muoveva frenetico intorno a lei, che si appese al ramo della nave cercando di non cadere.

"Resisti, possiamo sopravvivere. Devi lottare, non mollare." Le aveva preso il viso tra le mani guardandola negli occhi con convinzione, tanto che per un attimo Lucilla si era sentita al sicuro.

La ragazza chiuse gli occhi, del tutto inerme in quella situazione. Pensò che era molto probabile che i suoi genitori ormai fossero morti annegati, se non erano stati mangiati dal mostro marino.

Poi un altro colpo e la ragazza cadde in acqua. L'impatto la risvegliò dallo stato di panico in cui si sentiva. La ragazza aprì gli occhi e cercò la luce. Iniziò a nuotare verso quella che credeva fosse la superficie, ma le sembrava di restare immobile. Era certa che sarebbe morta lì sotto. Che tutti i suoi sogni di una vita diversa da quella di sua madre, di libertà, di conoscenza, sarebbero svaniti insieme al ricordo della sua esistenza. I suoi cugini avrebbero ereditato la tenuta e i possedimenti della famiglia. Loro sarebbero stati dimenticati.


Non ricordava come avesse fatto a salvarsi, era convinta che qualcuno l'avesse aiutata a salire sul relitto, che l'avesse guidata nuotando al suo fianco e che l'avesse messa al sicuro, cantandole una canzone che l'aveva aiutata a calmarsi e a dormire.

La sensazione che provava era di calore al pensiero, ma i suoi ricordi erano ancora annebbiati.


In ogni caso non aveva tempo per concentrarsi sul passato, poiché il presente era abbastanza problematico: non aveva con sé alcun tipo di provvista ed era consapevole che presto sarebbe morta, se qualcuno non l’avesse trovata in fretta.

Si alzò in piedi, cercando di restare in equilibrio nonostante il movimento oscillatorio del mezzo precario su cui stava viaggiando.

L'acqua era il problema principale, perché una volta che il sole avesse iniziato a battere sulla sua testa, avrebbe avuto necessità di bere.

Non c’era traccia di altri pezzi della nave intorno a lei, il mare era calmo e la luce del giorno aveva iniziato a illuminare il cielo e l’acqua. A est, Lucilla vide la prima porzione del sole rosso apparire e cercò di capire verso che direzione si stesse muovendo.

Era difficile senza riferimenti, in più lei non era esperta in materia, sapeva solo da che punto sorgesse il sole. Chiuse gli occhi e si concentrò sulle sue sensazioni, ma non era certa di aver capito. Osservò le onde e sospirò, speranzosa. Se davvero stava andando verso nord, il relitto l'avrebbe portata prima o poi in vista dell'isola.

Osservò il mare in cerca di altri pezzi di legno o persone, sperando di vedere le provviste di cui la nave era carica, ma anche se avesse identificato un barile o una cassa, lei non sarebbe mai stata in grado di scendere dal relitto e raggiungerle. Si spogliò, mise ad asciugare gli abiti ancora bagnati e si rimise addosso la vestaglia che un tempo era la sua preferita, ora era a brandelli. 

Un pensiero frivolo, lo riconosceva, del resto doveva pensare a essere decorosa, quando l'avessero ritrovata morta sul relitto intendeva essere il più presentabile possibile.

Constatato che non ci fosse niente intorno a lei, la ragazza decise di concentrarsi sull'orizzonte. Non intendeva passare le sue ultime ore dormendo, forse anche avesse voluto, non ce l’avrebbe fatta.

Il sole non era troppo caldo, anzi, era mite e l'aveva aiutata a scaldarsi. Pensò che probabilmente aveva la febbre visti i brividi, ma a causarli poteva essere anche la sete. Non importava in fin dei conti.

Il mare le era sempre piaciuto, ma promise a se stessa che se fosse sopravvissuta non avrebbe mai più preso una nave in vita sua.

Doveva solo attendere, osservando l'orizzonte, di conoscere il futuro che le aveva riservato il destino.


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