L'occhio del ciclone - Persona 3
Mar. 22nd, 2025 09:45 amPersonaggi: Makoto Yuki
Prompt - singolarità: Il fatto di essere singolare, qualità di chi o di ciò che è singolare (nei varî sign. estens. e fig.); particolarità, eccezionalità, originalità, stranezza.
il carattere di irripetibilità, inconfondibilità, unicità, proprio del singolo, del soggetto personale
L'occhio del ciclone.
“Sei unico, il tuo è un potere speciale”.
Le parole di Mitsuru risuonavano nella sua mente senza tregua, ogni volta che viaggiava solo sulla funicolare.
Il primo giorno di scuola dopo le vacanze estive era ormai dietro l’angolo e lui aveva deciso di prendersi la giornata per girare senza meta, senza prendersi impegni particolari.
Il giorno precedente aveva incontrato Takaya al tempio. L’uomo gli aveva consegnato quel biglietto dal contenuto poco chiaro e Makoto si era chiesto di nuovo se Mitsuru e il capo gli stessero nascondendo più di quanto volesse ammettere.
Solo pochi giorni prima aveva combattuto al fianco di Takaya e ne aveva potuto osservare la potenza. Si era chiesto perché tutti i Persona User in grado di combattere fossero giovani come lui, per quale motivo non ci fossero altri adulti come Takaya a difendere la popolazione e a cercare di proteggere la popolazione.
C’era qualcosa che non andava, ma per quanto si sforzasse, Makoto non riusciva a comprendere chi stesse guadagnando da quella situazione.
A volte si sentiva troppo stanco persino per alzarsi per andare a scuola, i rapporti con gli altri erano diventati più simili a impegni che a momenti piacevoli passati in compagnia di amici a cui si sentiva legato.
Makoto però sentiva di doversi sbrigare a formare legami con chi aveva intorno, doveva farlo prima che fosse troppo tardi.
Tardi per cosa? Si chiedeva quando il pensiero lo sfiorava, ma cercava di smettere di pensarci e si concentrava su pensieri concreti, tangibili, urgenti.
Mancavano ancora cinque ombre alla fine della loro avventura. Cinque mesi e il Tartarus sarebbe svanito per sempre, almeno così speravano tutti. La fine di una breve parentesi della sua vita.
Pharos gli era apparso in sogno la notte precedente e l’aveva avvertito di nuovo.
Ogni volta che gli appariva, Makoto provava un enorme senso di inquietudine, perché ormai era certo che quel ragazzino fosse un messaggero oscuro che stava annunciando la fine della vita come sempre l’avevano vissuta, se non la fine del mondo intero e la distruzione totale dell’umanità.
Makoto sentiva di doversi sforzare sempre di più per trovare l’energia che tutti si aspettavano da lui: sempre a combattere, sempre in prima linea, ma la verità era che la motivazione lo stava abbandonando, il suo unico desiderio era riposare, smettere di pensare, ritirarsi e pensare alle frivolezze che i ragazzi della sua età consideravano importanti.
La sua unicità l’aveva messo al centro della missione dei S.E.E.S., costringendolo a non avere la possibilità di mollare e di vivere in modo sereno la sua vita, come un normale studente.
L’ultima volta che erano andati a combattere, Sanada era rimasto a casa a riposarsi dopo la sua ennesima vittoria in uno dei suoi match di boxe. Si era concentrato sulla sua vita fuori dai S.E.E.S. e nessuno si aspettava che facesse diversamente.
Ma lui… Makoto non poteva sottrarsi al ruolo di leader che gli era stato assegnato all’inizio sulla base della sua abilità promettente nel combattimento. Decisione che in seguito era diventata un’imposizione quasi naturale per lui, che a detta di tutti. Lui, la singolarità, il prescelto tra i prescelti, che invocava ogni Persona con facilità, grazie alle caratteristiche che tutti gli altri continuavano a definire uniche.
Pensò ad Aigis. Quando l’avevano incontrata gli aveva detto che lo stava cercando, che si era risvegliata proprio a causa della sua presenza, della sua vicinanza a lei, ma a Makoto questa dichiarazione aveva suscitato solo un profondo senso di inquietudine.
“Devo starti vicino e proteggerti sempre.” Gli aveva riferito. Aigis era diventata la sua ombra nel Tartarus, si risentiva sempre quando veniva lasciata indietro e i suoi occhi robotici lo cercavano in ogni istante, anche quando dormiva.
“Ti sento, so se stai bene. Il mio posto è sempre con te.”
Anche lei era unica: un essere senziente dalle sembianze simili a quelle di una ragazza, dalla mente robotica e razionale, dal corpo metallico e dotato di armi letali. Il cui scopo unico e dichiarato sarebbe dovuto essere quello di combattere le ombre, che invece era mossa dal desiderio incondizionabile di proteggere Makoto.
Perché proprio lui? Continuava a chiedersi senza che la risposta arrivasse.
Di nuovo, si era domandato cosa sarebbe successo se lui fosse sparito. Se avesse preso un treno per andare via da lì e non avesse dato spiegazioni.
L’avrebbero cercato?
Sarebbero stati preoccupati per lui, o la loro priorità sarebbe stata la missione?
Aigis l’avrebbe davvero trovato senza bisogno di sapere dove fosse?
Il treno aveva appena superato la fermata di Dekijima, presto sarebbe arrivato a Osaka.
Makoto aveva in programma di fare un giro lì intorno, senza una meta precisa.
Si sentiva in colpa per essere partito, come se fosse fuggito dalle sue responsabilità coi S.E.E.S., anche se in fin dei conti non stava facendo altro che una breve gita.
Ricevette un messaggio da Junpei che gli chiedeva se stesse ancora dormendo.
“No, sono in giro, sto andando a Osaka.”
Scrisse il messaggio, ma si fermò appena prima di inviarlo. Si morse un labbro mentre metteva in ordine i pensieri: Makoto aveva in programma di fare un giro lì intorno, senza una meta precisa.
Con un sospiro di liberazione premette il pulsante di invio.
“Wo! Osaka! La prossima volta ci andiamo insieme!”
Come immaginava, nessuno lo considerava un traditore.
Scese dal treno a Ebisucho, visto il caldo della giornata pensava che visitare il Santuario Sumiyoshi Taisha fosse la scelta migliore. La frescura dell’ombra del bosco gli avrebbe dato sollievo dal caldo torrido di Port Island.
Sperava anche che la calma del tempio lo aiutasse a sentirsi meno inquieto.
Meno necessario. Si sentiva come un eroe fragile, il punto fermo attorno a cui tutto stava accadendo. L'occhio del ciclone attorno a cui tutto si distruggeva.
“Ti abbiamo aspettato per dieci anni,” così aveva dichiarato il capo. “Se non fossi arrivato tu, non ce l’avremmo mai fatta.”
Camminò fino al tempio, ne ammirò i quattro edifici antichi in legno, verniciati di rosso acceso come da tradizione, rialzati e protetti dalle caratteristiche ringhiere rosse.
Si immaginò come sarebbe stato lui se avesse fatto parte della struttura del tempio: un edificio troppo grande, sghembo, costruito alla rovescia. Un elemento che avrebbe tolto armonia al luogo, catturando l’attenzione di tutti.
L’armonia era nel gruppo di edifici uguali, nella ripetizione. La forza era nel gruppo.
Alzò lo sguardo: il bosco, fitto, permetteva ai fedeli di pregare, così come consentiva a lui di non soffrire troppo il caldo. Forse era quello il suo ruolo: essere il ristoro, contribuire nella sua singolarità a fare parte del gruppo, a proteggerli, a guidarli nella raggiunta della fine, qualunque essa fosse, così come loro proteggevano lui.
Al suo ritorno al dormitorio si sentiva rinfrancato, pensando che ciascuno ha la parte che il destino gli riserva. A lui era stata destinata l’unicità che lo rendeva un buon leader e avrebbe fatto la sua parte.