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Fandom: Originale
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Prompt: zodiaco

L'acquario
Libertà
Il salmone
13/09
I banchi di pesce
il re
Panico
What the Hell was that?!
il toro in libertà
La Corrida
La bilancia





L'acquario
Enrico aveva iniziato a sviluppare da piccolo la sua passione per i pesci e per gli acquari. Sin da quando suo padre gli aveva regalato il primo pesce, che aveva tenuto sempre in modo impeccabile, trattandolo con amore e dedizione. Conosceva ogni tipo di pesce, le alghe e le piante da acquario, ogni anno poi acquistava qualcosa di nuovo e modificava qualche elemento del suo mare personale. I suoi pesci avevano una delle vasche più grandi che esistessero in mercato e lui tentava di riprodurre il loro habitat con ogni mezzo a sua disposizione.
Le luci e la temperatura erano sempre regolati al meglio.
Peccato che nessuno potesse ammirare i suoi pesci, che erano gli unici amici che aveva, gli unici che lo aspettavano ogni giorno a casa.



Libertà
“Non è crudele tenere i pesci in acquario?” Gli aveva chiesto il figlio.
“Forse starebbero meglio liberi nel mare, è vero, ma qui sono al sicuro, Lorenzo.”
“Ma sono chiusi qui, non possono andare da nessuna parte. Si divertono?”
“Sono insieme e sono amici, e qui non c’è niente che possa fare loro del male, eccetto forse il gatto se un giorno capirà come alzare il coperchio.
La natura è crudele, Lorenzo, e io con loro faccio solo quello che vorrei fare con tutte le persone che amo: li proteggo, li nutro e mi assicuro che niente possa fare loro del male. Li tengo al riparo dai predatori e in questo modo garantisco loro una vita forse noiosa, ma di certo sicura.”



Il Salmone
"Mi dici qual'è il tuo pesce preferito?" Aveva chiesto alla mamma.
"Direi che è il salmone. E il tuo invece?"
Le si erano illuminati gli occhi: "Il pesce pagliaccio, Nemo! Perché è tutto colorato e bello."
"È una buona scelta."
"E perché tu il salmone?"
"Perché è un pesce molto forte, è l'unico che arriva al mare e poi riesce a tornare al fiume controcorrente, nuotando velocissimo per andare a incontrare la... la moglie e fare tanti piccoli salmoni."
Laura si stava provando a immaginare la fatica del nuotare controcorrente, lei in piscina faceva fatica ad andare avanti e l'acqua era ferma. "Allora anche il mio è il salmone."



13/09

La data, il tredici settembre di quell’anno era incisa sul suo braccio sin da quando era nato. Sua madre gli aveva spiegato che quella giornata evidentemente segnava un’esperienza per lui molto importante.
Quella mattina quindi si era alzato pensando a cosa gli sarebbe successo: su internet aveva letto che avrebbe potuto incontrare la sua anima gemella o che avrebbe potuto morire e lui sperava sinceramente che l’opzione corretta fosse la prima. Dopo colazione si era recato all’università come al solito, dove per ore si era guardato intorno in cerca di una persona nuova, qualcuno che fosse lì per lui.
Una volta terminate le lezioni aveva iniziato a pensare che forse in effetti l’opzione corretta determinasse la sua morte e cominciava a preoccuparsi.
Nonostante questo, non si era preoccupato di guardare la strada per attraversare e si era spaventato quando aveva sentito qualcosa dietro di sé che lo strattonava.
Aveva perso l’equilibrio ed era caduto all’indietro, pensando già alla botta di testa sullo spigolo del muretto di cemento che aveva visto tante volte negli horror e che credeva questa volta avrebbe davvero posto fine alla sua vita.
Invece era semplicemente caduto, senza ulteriori ripercussioni.
Appena aveva alzato la testa i suoi occhi erano stati catturati da quelli di una ragazza, probabilmente era stata lei a buttarlo a terra.
“Non guardi dove vai? Non ci tieni alla vita?”
Forse in realtà la prima opzione era corretta: aveva incontrato la sua anima gemella.

I banchi di pesci

Era sempre stata affascinata dai banchi di pesci e dai loro movimenti veloci e sincronizzati, spesso per rilassarsi guardava un video con i pesci e la musica sinfonica di sottofondo. Non sapeva se si muovessero in base alla corrente marina o alla presenza dei predatori e non le interessava, le piacevano i loro movimenti, delicati e leggeri: sembrava danzassero. A volte si immaginava come sarebbe stato essere un pesce e vivere insieme a migliaia di altri esseri con un pensiero unico. Si credeva se in quel caso sarebbe riuscita a scomparire nella massa, invece di continuare a essere additata come strana, diversa.

Il Re
Il desiderio più grande di Andrea era vedere gli animali selvatici in libertà.
Aveva prenotato il viaggio in Africa perché la savana era l’ambiente che lo aveva sempre affascinato più degli altri, ma non si aspettava che dal vivo sarebbe stata ancora più spettacolare di quanto avesse mai immaginato.
Ricordava l’arrivo alla destinazione con la Jeep. La guida aveva detto che non c’era mai la certezza di vedere leoni o ghepardi, ma che invece gli erbivori sarebbero stati sicuramente presenti nelle vicinanze del fiume. Si era poi raccomandato che nessuno pensasse di scendere dalla Jeep e che non cercassero di fare rumore per attirare gli animali.
Aveva potuto osservare delle zebre e alcune antilopi in corsa. Ma dopo un paio d’ore finalmente era arrivato il re: un leone dal manto chiaro e splendente, dalla criniera folta e dai muscoli vibranti ben visibile sotto il corto manto. La coda terminava con un ciuffo di pelo e si muoveva elegante.
Si era semplicemente seduto all’ombra di un albero, dopo essersi stiracchiato come un grosso gatto contro il tronco. Era chiaro che avesse mangiato e che probabilmente sarebbe presto stato raggiunto dal suo branco. Era stupendo, era chiaro guardandolo perché lo chiamassero re.
Andrea non muoveva un muscolo pur di tenerlo inquadrato alla perfezione con la sua reflex. Gli aveva scattato una quantità assurda di foto.
Per sempre si sarebbe ricordato di quel giorno, anche perché la sua foto gli avrebbe fatto vincere un concorso di fotografia.

Panico
Panico
Paolo aveva sentito un urlo provenire dalla stanza della sua coinquilina. Aveva bussato alla sua camera e lei aveva gridato di nuovo: “Aiuto!”
Aveva quindi aperto lentamente la porta e l’aveva trovata in piedi sul letto, con un libro saldo tra le mani.
“C’è uno scorpione!” 
Paolo si era messo a ridere. “E tu per uno scorpioncino ti preoccupi così tanto? Sono anche insetti utili, sai?”
“Utili o no, fallo sparire.”
Paolo aveva mantenuto il controllo, ma la realtà era che lo scorpioncino era in realtà un mezzo gigante, non ne aveva mai visti di così grandi e si stava domandando come avrebbe fatto a portarlo via senza per forza ucciderlo, nonostante avesse abbastanza paura anche al solo pensiero di avvicinarsi a quella coda acuminata e pericolosa.
Aveva recuperato una scatola da scarpe, mentre la cercava sentiva Lisa che continuava a ripetere “Guarda che se sparisce io vado a dormire in camera tua, non ci resto qui, sbrigati. Per favore!”
Raccolto il suo coraggio era tornato dentro e con l’aiuto di una scopa aveva infilato l’insetto nella scatola. “Ecco fatto, ora vado a liberarlo giù.”
Lisa finalmente si era lasciata cadere sul letto, esausta. “Grazie, e scusa se ho urlato. Ora però vai che se ti scappa è la volta che svengo.”
Era sceso e l’aveva lasciato ai piedi di un albero, per poi osservarlo sparire in mezzo all’erba.





What the hell was that?!


Infilandosi gli stivali, Caterina aveva sentito qualcosa di strano, come se dentro ci fosse qualcosa, aveva quindi iniziato a tirare fuori il piede quando aveva sentito un dolore lancinante sull’alluce.
Lo scorpione era fuggito non appena si era staccato dal suo piede, lasciandola lì dolorante.
Caterina sapeva bene che le punture degli scorpioni non sono molto diverse da quelle di una vespa, quindi aveva cercato di mantenere la calma, ma aveva chiamato aiuto perché non riusciva proprio ad appoggiare il piede.
Suo marito era arrivato quasi subito e nel vedere la scena si era messo a ridere. Non riusciva a smettere. “E tu che la prendi sempre in giro,” aveva constatato ridendo. Lei non capiva a cosa si riferisse.
“Aiutami invece di fare lo stupido!”
Lui continuava a ridere. “Uno scorpione, vero?”
Lei gli aveva tirato un leggero pugno contro la gamba.
“É un sì? Sai, è successo anche a mia sorella quando era piccola, esattamente con degli stivali e esattamente su quel dito. Credo ci sia una maledizione in questa casa!”
Per fortuna Giuliano era riuscito a smettere di ridere in poco tempo, lei lo conosceva e per questo non si era arrabbiata di fronte a quella reazione. Una volta in casa aveva raccontato ai suoceri ciò che era successo ed entrambi avevano riso.
“Ora mi sa che non riderai più quando vedrai tua cognata che sbatte le scarpe, vero?” in effetti, forse un po’ se l’era meritata quella lezione.

Il toro in libertà



Paola andava spesso in campagna dai nonni e più di una volta le avevano chiesto di andare a prendere il latte dal vicino di casa. Lei amava osservare le mucche e un paio di volte il signor Giuseppe le aveva anche permesso di provare a mungerle, ricordava come avesse guidato le sue mani e come a lei fosse sembrato strano e terribilmente affascinante.
Quel giorno però il vicino non l’aveva fatta entrare nella stalla, anzi, le aveva chiesto di entrare subito nella loro casa. Paola si era chiusa dietro il portone d’ingresso, sentiva rumori continui dalla stalla e si stava spaventando.
Poi l’aveva visto attraverso la finestra: il toro aveva iniziato a correre in circolo nel cortile, aveva iniziato a compiere cerchi sempre più grandi, fino a quando non aveva deviato per campi. Libero, possente e muscoloso, correva con la testa bassa e in effetti faceva abbastanza paura.
L’avevano tenuta lì per quasi un’ora, fino a quando il toro non era stato riportato nella stalla.
Trovava incredibile quel contrasto tra le mucche, così mansuete e la forza combattiva del toro, e si chiedeva cosa avrebbe fatto se l’avesse trovato per la strada. Di certo anche lei avrebbe combattuto, in fin dei conti era del segno del toro.


La Corrida


Era andata in Spagna per la prima volta negli anni ottanta, era solo una ragazza in vacanza coi genitori e nessuno di loro si era preoccupato troppo di ciò che avrebbero visitato. Avevano preso un pacchetto viaggio completo da un’agenzia che comprendeva alcune visite e spettacoli.
Quando erano entrati nello stadio della Corrida, subito Monica aveva pensato che l’aspetto non sembrasse per nulla divertente: pareva un circo, con la terra al centro e attorno gli spalti. Non c’era molta gente, ma lentamente lo stadio si stava riempiendo e c’erano anche bambini, quindi aveva pensato che assomigliasse a uno spettacolo da circo.
Aveva detto ai suoi che avrebbe preferito non andare, ma visto che avevano il biglietto alla fine si era fatta convincere, soprattutto perché sapeva che non l’avrebbero lasciata da sola e che quindi avrebbero rinunciato anche loro altrimenti.
Quando era entrato il torero, si era esibito facendo svolazzare un po’ il telo rosso che aveva e le bandierine che teneva in mano, Monica non aveva capito cosa fossero di preciso, l’avrebbe purtroppo scoperto presto.
Quando il toro era entrato, il pubblico aveva iniziato a incitare il torero gridando “Olé!” ogni volta che riusciva a evitare l’animale.
Il toro sembrava furibondo ed era triste vederlo lì a rispondere alle provocazioni di quell’uomo che chiaramente non aveva buone intenzioni.
Quando la prima di quelle bandierine gli era stata piantata sulla schiena il toro aveva sollevato il collo in segno di dolore e lei aveva visto subito le gocce di sangue sulla sabbia. Nel vedere quello spettacolo, sempre più difficile da sopportare, nell’osservare e nel sentire i lamenti del toro sempre più lento, sempre più debole, aveva iniziato a piangere. I suoi genitori che all’inizio si erano uniti ai cori di incitamento col pubblico, avevano smesso di parlare. 
“Andiamo via,” aveva detto suo padre.
A Monica erano venuti in mente i Gladiatori all’epoca degli antichi romani e si era ricordata di come tutti in classe si fossero chiesti come la morte potesse essere considerata intrattenimento. Forse, pensava, se un povero toro poteva soffrire in quel modo solo per una questione di divertimento, l’umanità non si era civilizzata poi tanto in duemila anni.

La bilancia


La bilancia era sempre stata la sua peggior nemica. Adele era a dieta da sempre e nell’ultimo periodo, da quando aveva iniziato a uscire con Leonardo, non aveva più fatto molto caso a ciò che mangiava. Tra cene fuori, dolci e pizze immaginava di aver preso peso. La verità però era che si sentiva molto meglio in quel periodo di quanto non si fosse sentita in tutta la sua vita.
Le importava poco il suo peso in quel momento, perché finalmente aveva iniziato a sentirsi bella nonostante la cellulite, nonostante la pancia e i polpacci grossi.
Per questo quando invece si era accorta di aver perso ben due chili e mezzo, aveva quasi fatto un salto di gioia: era davvero felice.

Salamandre

Mar. 23rd, 2019 12:47 pm
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Parole: 500
Missione Drabble

Salamandre


Renata stava camminando col nonno lungo un sentiero della montagna, quando aveva visto quella strana creatura, che sembrava una lucertola, ma che era lucida, tutta nera, macchiata di un giallo brillante che l’aveva ammaliata. “Nonno, guarda, è bellissimo quello!”


Il nonno aveva sempre pensato che sua nipote fosse una bambina speciale, anche perché di fronte all'aspetto affascinante e minaccioso di quegli animali pensava che fosse più facile spaventarsi che restarne colpiti. Aveva già notato la salamandra sulla riva, lucida per l'umidità era ferma sulla parete verticale di cemento del canale, sembrava quasi stesse lì per magia. "Quella è una salamandra."

"Possiamo portarla a casa?” A Renata brillavano gli occhi mentre la osservava, rapita.

"No, tesoro, non possiamo. Puoi venire qui a vederle tutte le volte che vuoi, però. Guarda quante ce ne sono!" Osservando bene, la bambina aveva notato che in effetti erano parecchie, tutte bellissime, tutte gialle e nere, sembravano quasi creature magiche, così simili alle lucertole, eppure così differenti, quasi regali.

"Nonno, posso accarezzarle?" 

Lui si era messo a ridere: "Non si fanno prendere, non sono mica cagnolini, sono animali selvatici e hanno una storia molto interessante. Vuoi sapere come sono nate le salamandre?"

Renata aveva annuito senza staccare gli occhi da quell'animale affascinante e per lei così nuovo.

"Le salamandre sono nate dal fuoco."

Renata si era voltata verso il nonno, scettica. "Ma se sta dentro l'acqua."

“Vivono vicino all'acqua perché se dovessero asciugarsi rischierebbero di tornare a bruciare, è per questo che le dobbiamo lasciare lì, per questo nessuno può addomesticarle, anche se sono così belle è importante che stiano nel loro ambiente."

La bambina non era molto convinta che il nonno le stesse dicendo la verità, ma doveva ammettere che il discorso sembrava quasi avere senso. 

Avevano proseguito lungo la via dell'acqua e Renata aveva indicato ognuna delle salamandre che aveva visto lungo la strada.

La passione le era rimasta, tanto che il nonno per il suo ottavo compleanno le aveva regalato un libro sulle leggende nel quale si raccontava anche la leggenda delle salamandre nate dal fuoco. Renata aveva consumato quel libro da quante volte l'aveva letto.

Col tempo aveva imparato che in effetti le storie del nonno non rispecchiavano esattamente la realtà. Aveva studiato l'anatomia dell’anfibio,  e aveva continuato a pensare che non ci fosse niente di più affascinante di quella creatura meravigliosa.

Era stato grazie alle passeggiate in mezzo alla natura con lui, grazie alle salamandre e a tutti gli altri animali e insetti che col nonno continuava a osservare nelle loro passeggiate in mezzo alla natura, che Renata aveva scelto il suo percorso di studi: era diventata una zoologa e si era specializzata in erpetologia, aveva seguito il suo sogno, un sogno che parecchi dei suoi coetanei non riuscivano a comprendere, del quale invece il nonno andava fiero come fosse il suo. Raccontava a tutti che sua nipote era speciale. Quando gli aveva dedicato la sua tesi di laurea si era emozionato moltissimo. Era fiero di Renata, lo era sempre stato.


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Prompt: talking and communication issues
One shot
Originale
Parole: 547

Rane nello stomaco 

Lorenzo continuava a sentire il suo stomaco fare quel terribile rumore. 

Stai tranquillo, hai solo le rane nello stomaco. Gli aveva detto la mamma. Lorenzo non si era sentito più tranquillo, anzi: gli sembrava che fosse una cosa piuttosto grave e non si spiegava come facesse sua madre a stare così tranquilla.

Quando bevi troppa acqua poi ti crescono le rane nello stomaco, sai? Devi stare attento. 

 

La nonna aveva confermato quella terribile diagnosi e Lorenzo si era preoccupato, tanto che non riusciva a dormire. Si sentiva affamato, ma non voleva dare da mangiare del cibo facile a quelle rane infestanti che si erano messe a vivere nel suo stomaco.

Il giorno seguente avrebbe sicuramente chiesto a sua madre se magari non ci fosse un modo veloce di far sparire le rane, magari anche per evitare che si arrampicassero fino alla sua gola e che gli uscissero dalla bocca. Lorenzo era terrorizzato all'idea che avrebbe potuto svegliarsi e tossire fuori quelle rane. Se le immaginava piccolissime e terribili a saltellare in giro, forse sarebbero uscite dal naso, o gli sarebbero cresciute così tanto nella pancia che gli sarebbe cresciuta come quella della mamma quando doveva nascere sua sorella.

Se le immaginava a saltellare nel suo stomaco e a divertirsi a giocare l’una con l’altra. Pensava che fosse mentre si inseguivano che il suo stomaco iniziava a fare quegli strani rumori.

Lorenzo continuava a non riuscire a dormire e all’ennesimo brontolio aveva iniziato a piangere ed era corso dalla mamma, piangendo l’aveva pregata: “Mamma, ho paura delle rane, falle smettere!”

La mamma dormiva, si era svegliata di colpo senza capire bene quale fosse il problema. Lorenzo continuava a piangere e sembrava disperato. “Che problema c’è?”

“Puoi far sparire le rane, mamma? Come fanno a uscire? Ho paura che mi escano dalla bocca…”

Suo figlio era disperato e la mamma rideva senza alcun ritegno. Stava quasi piangendo dalle lacrime pensando a come la sua battuta avesse terrorizzato Lorenzo. 

“Amore, era uno scherzo… Non hai davvero le rane nello stomaco!”

Lorenzo aveva iniziato a piangere ancora più forte, la paura si stava trasformando lentamente in rabbia. “Cattiva,” aveva detto, lentamente, con un filo di voce.

“Mi dispiace tanto, era solo uno scherzo, non pensavo che tu avresti creduto di avere davvero le rane nello stomaco…” 

Suo figlio era arrabbiato, teneva le braccia incrociate e osservava sua madre tenendo la testa bassa. Si sentiva un po’ sciocco ad aver creduto a quello che pensandoci era abbastanza chiaramente uno scherzo. Alla sua età non avrebbe dovuto cascarci.

“Stai tranquillo,” la mamma lo stava abbracciando, finalmente Lorenzo si sentiva al sicuro, protetto. Sua madre si sentiva un po’ in colpa per non aver spiegato al figlio che quello era solo uno scherzo, lo stesso che le aveva fatto anche sua madre quando era piccola e che era diventato il loro piccolo modo di dire, non avrebbe mai pensato che lui si sarebbe potuto spaventare così. “Puoi dormire con noi se vuoi, stanotte.”

La mamma chiaramente si sentiva in colpa. Prima di addormentarsi tra le sue braccia, ancora un po’ scosso da quella paura, l’aveva sentita ridere. 

Era vero: alla sua età avrebbe dovuto capire che la mamma scherzava, ma nonostante fosse quasi grande, per quella sera avrebbe dormito volentieri con i suoi genitori. 


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Prompt: Talking and communication issues

Parole: 500


Incontrare un'amica


Erica non vedeva Paola da almeno sei mesi. Si conoscevano da almeno quindici anni e insieme ne avevano passate di tutti i colori. Non vedevano l’ora di incontrarsi e avevano scelto un ristorante All you can eat, ormai stavano facendo diventare un’abitudine quel pranzo insieme durante il quale parlavano delle loro vite e di cosa era cambiato nei mesi nei quali non si erano viste. Avevano scelto il Sakura, Erica ci era andata parecchie volte trovandosi sempre bene e, siccome quella volta avevano scelto la sua città per incontrarsi, aveva scritto un messaggio a Paola col nome del ristorante, l’amica sarebbe stata portata lì dal suo fedele navigatore.

 

Erica era entrata nel ristorante dopo aver aspettato per almeno venti minuti in macchina. Era  sicura di aver tenuto sott’occhio la porta di ingresso, ma era possibile che semplicemente non avesse visto la sua amica entrare, anche perché era strano che fosse in ritardo, non lo era mai.

Era comunque entrata e aveva parlato alla signora al banco: “Buongiorno, abbiamo una prenotazione per due a nome Erica, non so se la mia amica sia già qui però.”

La signora aveva controllato e l'aveva immediatamente accompagnata al tavolo. "Vuole da bere nel frattempo?"

Erica aveva preso una bottiglia di acqua, per poi scrivere un messaggio a Paola: Dove sei? 

Dopo pochi secondi era arrivata la risposta: Al tavolo. Tu invece?

Erica si era guardata intorno con aria smarrita. Io sono al tavolo. Mi prendi in giro? Quando arrivi?

 

Il telefono aveva iniziato a squillare, Erica aveva risposto, sempre più confusa: "Non ti vedo, dove ti hanno messa?" Paola al telefono sembrava seccata. "Sono vicino alla finestrona in fondo al ristorante, mi sono alzata in piedi per farmi vedere.”

"Ma si chiama Sakura, vero?" la sua amica era sempre meno sicura. “E ha l’insegna rossa col fiore stilizzato?”

"Sì, esattamente quello, come avevamo detto, ho anche prenotato." 

"Però non c'era la tua prenotazione, almeno così mi hanno detto."

"Come? Ma se mi hanno fatta accomodare subito."

"Bene, allora vado a chiedere, forse sei nell'altra sala."

All'improvviso Erica aveva capito. "No, aspetta: quale altra sala?"

“Come? Ho sbagliato qualcosa?”

Erica si era messa a ridere. “Scusa, avevo dimenticato che in città ce ne sono due. Aspettami lì che arrivo subito.” 

La signora al banco le aveva detto di andare pure senza farla pagare dopo aver capito cosa fosse successo. Erica era corsa alla macchina dandosi della sciocca per non aver pensato a quell’altro ristorante. Le dispiaceva un po’ andare lì perché non ci era mai stata, il suo preferito era quello in cui era andata lei, non pensava minimamente all’altro.

Nel giro di quindici minuti era arrivata, fortunatamente le due amiche si erano date appuntamento presto, quindi non era ancora troppo tardi per il pranzo. 

Erica era entrata quasi correndo e aveva abbracciato l’amica: “Scusami, non avevo proprio pensato a questo posto. Meno male che abito qui.”

“L’importante è che finalmente avremo un po’ di tempo di parlare insieme, ma prima ordiniamo, che sono affamatissima!”


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Fandom: Originale
Prompt: in fuga
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Parole: 540
Il serpente gigante

Paolo amava stare alla casa di campagna dei nonni per molti motivi: prima di tutto perché erano sempre disponibili a esaudire ogni sua richiesta, essendo lui uno degli unici due nipoti che avevano, e poi anche perché i nonni, oltre all'orto e agli alberi da frutto, avevano il pollaio con le galline. 

Il bambino amava andare a vedere se ci fossero uova nel pollaio, la nonna lo mandava lì almeno quattro volte al giorno per farlo contento, nonostante sapesse che il più delle volte il suo sarebbe stato un viaggio a vuoto.

Quel giorno, mentre la nonna stava preparando una torta con le uova che Paolo aveva raccolto, il bambino aveva pensato di andare a fare una corsa giù per le colline, tra i vigneti, insieme a sua cugina Marta che era appena arrivata. A lei era sempre piaciuto gareggiare. Insieme decidevano un percorso da fare e poi cercavano di completarlo nel più breve tempo possibile. Paolo doveva ammettere che lei vinceva più spesso, in fin dei conti era più grande e più veloce di lui.

I due avevano scelto di scendere seguendo la strada larga, quella che in genere si percorreva coi trattori, e di tornare su dal lato dei vigneti, dove suo nonno solo il giorno prima aveva tagliato l'erba.  Il nonno si era raccomandato tanto che i due bambini non andassero a camminare dove c'era l'erba alta, era l'unica preoccupazione che aveva e lo ripeteva continuamente.

Correndo lungo la discesa i due andavano veloci come il vento. Non avevano mai avuto paura di quel luogo, durante l'estate stavano lì a correre e giocare e ne conoscevano ogni metro come le loro tasche.

Una volta arrivati in fondo alla discesa, avevano girato a destra e si erano ritrovati nel territorio del vicino del nonno, anche lui un parente lontano che conoscevano poco. Marta era già avanti di qualche metro, quando si era fermata all'improvviso. Aveva fatto un cenno al cugino di stare in silenzio e di fermarsi. Paolo era arrivato non capendo bene cosa stesse succedendo, quando l'aveva vista: una grossa biscia nera se ne stava arrotolata su se stessa al centro del sentiero.

I due bambini stavano immobili come spaventapasseri a fissarla.

"Dici che sia una vipera?" Aveva chiesto Paolo.

"Credo di no, le vipere non sono nere." Marta non sembrava molto convinta, ma spesso aveva chiesto quali fossero i serpenti pericolosi e quindi sapeva che in teoria quel grosso rettile spaventoso non lo era.

In quel momento, la biscia aveva mosso la coda.

I due cugini allora avevano davvero messo il turbo: avevano corso senza fermarsi neppure un istante fino a tornare appena fuori dalla casa dei nonni. Erano arrivati urlando col cuore in gola, giurando di fronte alla nonna che il serpente nero, che secondo loro era una vipera, li aveva seguiti sibilando dietro di loro, veloce come un fulmine, lungo almeno sei metri e terribilmente spaventoso. I bambini avevano descritto gli occhi rossi del rettile che li avevano puntati e terrorizzati.

"Avete fatto bene a tornare a casa di corsa. Adesso imparerete ad ascoltare la nonna!" Certo, sapeva che i due avevano esagerato e che non avevano visto altro che una biscia innocua, ma forse finalmente avevano imparato a guardare dove mettevano i piedi.

L'amante

Mar. 16th, 2019 10:38 pm
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Fandom: Originale

Parole: 540

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Prompt: scontro

 

L’amante

 

Mi dispiace, Luca, ma purtroppo papà non vivrà più con noi. Ha deciso di andare a stare coi nonni per un po', ma lo rivedrai quando vuoi.

La mamma gli aveva preso le mani e gli aveva dato questa notizia. Luca aveva visto i suoi occhi rossi, tristi. Nell'ultimo periodo si era accorto che la mamma piangeva spesso. Quando capitava a lui la mamma lo abbracciava e gli diceva che lei sarebbe sempre stata lì per lui, ogni volta che lui avesse avuto bisogno di lei, ogni volta che lui l'avesse chiamata.

Luca sapeva, ormai era abbastanza grande da capire quando qualcosa non andava, solo che non lo era abbastanza da sapere cosa fare, come gestire il momento. Aveva visto suo padre con l'altra donna e lui l'aveva pregato di non dire niente alla mamma per evitare di farla piangere. "è perché hai visto l'altra signora?" Aveva chiesto. La mamma era rimasta di pietra. 

"L'altra signora ora è la migliore amica del tuo papà."

La mamma aveva parlato solo dopo aver preso fiato, dosando bene le parole e cercando di avere una voce calma.

Amante, quella parola era stata detta da tutti i suoi compagni di classe. Il tuo papà ha l'amante. 

 

Luca non voleva ripeterla per evitare di causare troppo dolore in sua madre, che già gli pareva abbastanza sofferente.

Quel sabato aveva visto suo padre per la prima volta. Era andato a prenderlo a scuola e l'aveva caricato in macchina. "Dove è la mamma?" gli aveva chiesto Luca. Il padre era rimasto impassibile, gli aveva detto che sarebbero andati dai nonni a pranzo e che poi sarebbero usciti a mangiare un gelato.

Luca aveva molte domande per il padre, ma aveva tempo per fargliele, sicuramente non mentre il padre guidava, perché Luca sapeva che alla guida il padre non parlava molto.

 

Una volta arrivati dai nonni avevano pranzato, poi il padre l'aveva accompagnato sul divano e si era seduto al suo fianco.

"La mamma ti ha spiegato cosa è successo?"

"Ha detto che non vuoi vivere con noi." Luca si osservava le scarpe, incapace di guardare il padre negli occhi.

"Non proprio. Io voglio vivere con voi, ma io e la mamma non stiamo più bene insieme..."

"Sei un bugiardo." 

Il padre l'aveva preso per i polsi e girato verso di sé. "Non sono bugie. A volte queste cose capitano tra adulti." Luca si era divincolato e si era alzato in piedi. Arrabbiato, triste. "Tutti nella mia classe parlano di te e dicono che hai un'amante!" 

Il padre, sorpreso, aveva cercato di abbracciarlo, scuoteva la testa con un'espressione quasi delusa, forse si sentiva in colpa. 

Luca aveva cominciato a colpire l'aria con i pugni chiusi, il padre non aveva ceduto e aveva tentato di abbracciarlo mentre Luca gli colpiva il petto, le braccia, le spalle. Una volta esaurita la rabbia, gli era rimasta solo la tristezza e allora Luca aveva iniziato a piangere, accettando finalmente l'abbraccio del padre.

"Io ti voglio bene, tu sarai sempre mio figlio. Ora non puoi capire, ma vedrai che un giorno mi crederai."

Luca non poteva comprendere cosa stesse succedendo, era vero, ma ciò che desiderava in quel momento era credere a suo padre, e aveva deciso che gli avrebbe dato una possibilità.

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Parole:
Perdere tempo


 

A volte bisogna perdersi per trovare quello che cerchiamo. 

A me era successo un giorno, per caso. Giravo per quella città ancora nuova per me quasi di corsa, chiedendomi se ci fossero strade migliori per arrivare più velocemente alla mia meta. Anche se avevo una minima conoscenza dei posti che in genere dovevo raggiungere, in genere usavo il navigatore per muovermi, per cercare sempre la via più rapida. Quella volta non potevo farlo, avevo scordato a casa il caricabatterie esterno e avevo poca batteria nel cellulare, quindi sarei andata a memoria, a naso.

Siccome non avevo molta fretta, avevo deciso di usufruire del passaggio di un amico fino a casa sua, che era sulla mia strada, e poi di percorrere il resto della strada a piedi, evitando per una volta l'autobus. Avevo pensato che questo mi avrebbe aiutata a prendere un po' di confidenza in più con quella città che a volte mi sembrava fredda e cupa, ma che sapevo essere anche meravigliosa, a guardarla bene.

Così avevo deciso di perdermi, metaforicamente, tra le vie della mia nuova città, affidandomi alla mia memoria e ai miei occhi per arrivare a casa.

Sarebbe stata una specie di visita turistica della mia città, sono i turisti infatti a camminare lentamente e a soffermarsi sui dettagli che danno bellezza ai palazzi, a notare i parchi e le aiuole. Chi vive in una città in genere tende a notarne il traffico, la sporcizia per terra e i difetti in generale. Io stavo facendo lo stesso.

Per questo mi ero presa il mio tempo. Quando avevo detto al mio amico che avrei proseguito a piedi fino a casa lui mi aveva detto che ero pazza. "Ma saranno almeno quaranta minuti a piedi."

Avevo annuito. Lo sapevo. Spesso andavo a passeggiare negli immediati dintorni di casa mia, ma c'erano parti della città che non conoscevo e che non avrei mai conosciuto se non mi fossi lasciata andare all'esplorazione.

Così avevo scovato un parco enorme, proprio a due passi da una delle vie più trafficate della città. Avevo percorso quella strada in automobile e in autobus parecchie volte, ma non l'avevo mai notato prima di allora. Non ero entrata, ma avevo visto quanta gente ci fosse seduta sulle panchine, quanti bambini giocassero nella zona più lontana dalla strada. Proseguendo, avevo attraversato qualche edificio dell'università, incontrato ragazzi che ballavano in mezzo alla strada, altri che chiacchieravano ridendo tra loro. Un ambiente che mi causava una certa nostalgia e che mi riempiva il cuore di speranza.

Mi ero resa conto che nonostante avessi percorso quei tre chilometri una quantità indefinita di volte, non mi ero mai fermata davvero ad apprezzare ciò che la città mi poteva donare. 

Quel giorno mi ero ripromessa di lasciare di nuovo a casa la fretta (o il caricabatterie esterno, come era successo a me) e di perdermi ancora, magari in un'altra zona di quella città che desideravo vivere. 

Sapevo che non era perfetta, che c'erano zone più pericolose, altre per niente poetiche, ma avevo deciso che avrei fatto il possibile per viverla al meglio. 

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Prima di partire per un viaggio... Fai una lista

Finalmente il grande giorno era arrivato. 

Stefano aveva comprato i biglietti per il suo viaggio dei sogni due mesi prima, appena aveva avuto conferma delle ferie. Aveva programmato ogni giornata della sua vacanza nei dettagli, selezionando anche quali delle piccole mete che aveva scelto erano sacrificabili e quindi sarebbero saltate nel caso di imprevisti di qualunque genere, ma non ce ne dovevano essere: li aveva considerati solo per precauzione, anche un po' per scaramanzia.

 

La valigia era pronta da almeno tre giorni, Stefano non era certo il tipo di persona che si prendeva all'ultimo. Anche il viaggio verso l'aeroporto era stato organizzato nei dettagli: si sarebbe fatto venire a prendere dalla sua amica Elena, che come lui amava i viaggi e alla quale avrebbe prima o poi restituito il favore. 

 

La sera prima della partenza, aveva tirato fuori tutte le sue cose dalla valigia per controllare che ci fosse tutto: il costume per il mare c'era, vestiti di ogni genere, macchina fotografica, occhiali da sole (quelli li avrebbe tenuti addosso), documenti, biglietto, denaro già pronto col cambio, caricabatterie di ogni genere e adattatori per le prese di corrente.

Del resto, pensava che se anche avesse dimenticato qualcosa probabilmente avrebbe potuto comprarlo una volta giunto a destinazione, o se lo sarebbe fatto dare dall'hotel, quindi non ci voleva pensare troppo.

 

Quella mattina, il telefono squillò all'improvviso. Stefano si era alzato di scatto dal letto conscio del fatto che era tardi. "Pronto?" 

"Ciao, Stef, sto partendo da casa adesso, ti prendo qualcosa per colazione?"

La casa di Elena distava appena cinque minuti dalla sua: non avrebbe tardato, per un pelo. "Sì, grazie, se non ti dispiace..."

"Ok, allora ci vediamo tra dieci minuti circa."

 

Stefano aveva lanciato sul letto il telefono ed era corso a lavarsi. Non poteva affrontare un viaggio senza cominciare con una doccia rinfrescante. Elena aveva suonato il campanello proprio mentre lui usciva dal bagno con indosso l'asciugamano, si stava ancora lavando i denti. Aveva aperto il portone d'ingresso e si era infilato i vestiti che aveva già pronti sulla cassettiera. 

Quando Elena era entrata, lui era quasi pronto, anche se non era riuscito ad asciugarsi i capelli.

Avevano bevuto il caffè e consumato i croissant in fretta, poi Stefano aveva preso valigia e bagaglio a mano e insieme erano partiti per l'aeroporto.


A quell'ora, ci avrebbero messo più o mento quaranta minuti ad arrivare, i due amici avevano parlato senza sosta, prima delle mete imminenti di lui e poi del prossimo viaggio di Elena, che sarebbe stato il mese seguente.

Arrivati all'aeroporto, si erano salutati ed Elena era ripartita immediatamente, dopo avergli augurato buon viaggio.

Solo quando era arrivato al check-in, Stefano si era reso conto che gli mancava qualcosa: il cellulare.

Cercava una vacanza rilassante e probabilmente non c'era modo migliore per staccare da tutto: dallo stress del lavoro, dalla pressante presenza delle notifiche sui social, dalle mail. 

Avrebbe avvisato i genitori e sarebbe andato all'avventura, come si faceva una volta, quando non era così strano partire staccando veramente la spina. Sì, sarebbe stata un'esperienza interessante.

 


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Breakup sociale

 

Certo che è proprio stupido, non si è accorto che Lu gli va dietro ogni volta che scrive?

 

Lucia aveva fatto in tempo a leggere il messaggio nell’anteprima del gruppo, immediatamente era stato cancellato. Era chiaro che Emma avesse sbagliato gruppo, ma in ogni caso a farci la figuraccia sarebbe stata lei, tanto per cambiare. 

Lui le piaceva, era così chiaro a tutti? Lucia aveva trattenuto il respiro per qualche secondo, pensando mentalmente a quante possibilità ci fossero che lui avesse visto il messaggio.

Non erano tante, in effetti. Lei aveva il telefono in mano e solo per questo era stato in grado di leggerlo, Emma l’aveva cancellato alla velocità della luce.
Lu aveva controllato gli ultimi accessi di tutti quelli del gruppo, purtroppo oltre a Emma e a Sara (alla quale era probabilmente destinato il messaggio inviato per sbaglio nel gruppo, anche Andrea aveva fatto da poco l’accesso, e lui era il miglior amico di Filippo, sicuramente ne avrebbe parlato con lui e lei allora sarebbe stata scoperta.

 

Era così brutta come cosa? Lucia era arrabbiata con se stessa per essersi fatta scoprire da Emma e aveva deciso che per un po’ si sarebbe data alla macchia.

 

Smettere di rispondere ai messaggi sarebbe stato poco gentile da parte sua, ma sarebbe stato sicuramente meglio rispetto alla prospettiva di essere presa in giro da tutto il gruppo. 

 

Lucia aveva deciso di scrivere un messaggio giusto a Sara, nella quale la avvisava che non si sentiva bene e che non sarebbe uscita con loro quella sera.

Poi aveva pensato di mettere il telefono in modalità aereo e non guardarlo fino alla fine del week end.

 

Non poteva sparire così, però. Se qualcuno avesse avuto bisogno di lei cosa avrebbe fatto? 

Lucia si era chiusa in camera, aveva silenziato il gruppo ed era rimasta lì immobile per qualche ora. Erano arrivati i messaggi di Sara, nel gruppo stavano scrivendo, ma lei non voleva fare l’accesso. Voleva solo fingere di non esistere.

 

Si sarebbero dimenticati di tutto, si sarebbero dimenticati di parlare del pettegolezzo che probabilmente avrebbe impegnato le loro serate insieme e la sua vita sarebbe tornata alla normalità entro pochi giorni. Solo pochi giorni. 

O poche settimane, non era sicura che in effetti bastassero pochi giorni. Ma i messaggi poteva leggerli, solo non doveva rispondere, non certo a lui, soprattutto.

 

Lucia era contenta che non andassero nella stessa scuola: loro studiavano tutti in città, lei invece aveva scelto un liceo in una città vicina, la stessa scuola che aveva frequentato sua madre, e quindi non avrebbe avuto troppi problemi a evitare di incontrarli. Si era inventata qualche scusa sullo studio pesante e aveva scritto privatamente a Sara che non sarebbe stata con loro neanche quella settimana. 

Per giorni era uscita solo per andare a scuola ed era tornata a casa sempre facendo le vie più nascoste, quelle prive di luoghi di interesse per loro. 

Le mancava il coraggio di tornare con loro, ma presto, ed era questione di giorni, forse settimane, l’avrebbe trovato. Nel frattempo si accontentava di sognare.

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