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Perdere tempo


 

A volte bisogna perdersi per trovare quello che cerchiamo. 

A me era successo un giorno, per caso. Giravo per quella città ancora nuova per me quasi di corsa, chiedendomi se ci fossero strade migliori per arrivare più velocemente alla mia meta. Anche se avevo una minima conoscenza dei posti che in genere dovevo raggiungere, in genere usavo il navigatore per muovermi, per cercare sempre la via più rapida. Quella volta non potevo farlo, avevo scordato a casa il caricabatterie esterno e avevo poca batteria nel cellulare, quindi sarei andata a memoria, a naso.

Siccome non avevo molta fretta, avevo deciso di usufruire del passaggio di un amico fino a casa sua, che era sulla mia strada, e poi di percorrere il resto della strada a piedi, evitando per una volta l'autobus. Avevo pensato che questo mi avrebbe aiutata a prendere un po' di confidenza in più con quella città che a volte mi sembrava fredda e cupa, ma che sapevo essere anche meravigliosa, a guardarla bene.

Così avevo deciso di perdermi, metaforicamente, tra le vie della mia nuova città, affidandomi alla mia memoria e ai miei occhi per arrivare a casa.

Sarebbe stata una specie di visita turistica della mia città, sono i turisti infatti a camminare lentamente e a soffermarsi sui dettagli che danno bellezza ai palazzi, a notare i parchi e le aiuole. Chi vive in una città in genere tende a notarne il traffico, la sporcizia per terra e i difetti in generale. Io stavo facendo lo stesso.

Per questo mi ero presa il mio tempo. Quando avevo detto al mio amico che avrei proseguito a piedi fino a casa lui mi aveva detto che ero pazza. "Ma saranno almeno quaranta minuti a piedi."

Avevo annuito. Lo sapevo. Spesso andavo a passeggiare negli immediati dintorni di casa mia, ma c'erano parti della città che non conoscevo e che non avrei mai conosciuto se non mi fossi lasciata andare all'esplorazione.

Così avevo scovato un parco enorme, proprio a due passi da una delle vie più trafficate della città. Avevo percorso quella strada in automobile e in autobus parecchie volte, ma non l'avevo mai notato prima di allora. Non ero entrata, ma avevo visto quanta gente ci fosse seduta sulle panchine, quanti bambini giocassero nella zona più lontana dalla strada. Proseguendo, avevo attraversato qualche edificio dell'università, incontrato ragazzi che ballavano in mezzo alla strada, altri che chiacchieravano ridendo tra loro. Un ambiente che mi causava una certa nostalgia e che mi riempiva il cuore di speranza.

Mi ero resa conto che nonostante avessi percorso quei tre chilometri una quantità indefinita di volte, non mi ero mai fermata davvero ad apprezzare ciò che la città mi poteva donare. 

Quel giorno mi ero ripromessa di lasciare di nuovo a casa la fretta (o il caricabatterie esterno, come era successo a me) e di perdermi ancora, magari in un'altra zona di quella città che desideravo vivere. 

Sapevo che non era perfetta, che c'erano zone più pericolose, altre per niente poetiche, ma avevo deciso che avrei fatto il possibile per viverla al meglio. 

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