Fandom: Good Omens
Genere/tipo: One shot, commedia
Prompt: colpo di scena
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Telecinesi
Chi nella vita non ha mai sognato di avere un potere magico?
A tutti è capitato di pensarci e al pensiero in genere seguivano altre domande: che potere? Magari la telecinesi? Leggere nel pensiero? Oppure il grande classico: volare.
Essere un po' come Superman poteva essere la risposta generale, visto che lui faceva un po' di tutto.
Così spesso da bambini capita che ci si metta alla prova per capire se per caso un qualche potere non si fosse magicamente presentato come era capitato a Harry Potter o ad altri personaggi che purtroppo non esistevano.
Quel sabato pomeriggio il giovane Sebastiano stava, appunto immaginando cosa avrebbe potuto fare coi suoi inesistenti poteri magici, quando si era ritrovato un una situazione impossibile: La sua bicicletta stava scendendo giù per la strada che da casa sua portava al centro del paese ed era priva di controllo, quando aveva frenato, pochi metri più su, si era reso conto che non avevano reagito come avrebbero dovuto e si era detto che avrebbe frenato puntando i piedi, come quando era piccolo e non capiva l'utilità della leva sul manubrio.
Per sua sfortuna però da dietro un albero era spuntata una bambina più piccola di lui che gli stava correndo incontro. Lui colto dall'istinto si era piegato di lato per evitarla, già immaginando le conseguenze nelle sbucciature e nelle botte e sperando di non colpire in pieno l'albero, come era probabile che sarebbe successo. Misteriosamente invece era riuscito a restare in sella.
Pochi metri dopo si era fermato, chiedendosi se per caso avesse sognato tutto: come aveva fatto a non cadere? Lui si era letteralmente lanciato sul suo fianco sinistro, sperando di non farsi troppo male, era vero, ma di certo la bici non si sarebbe dovuta fermare come aveva fatto, avrebbe quanto meno dovuto cadere di lato.
Sebastiano si era guardato le mani e aveva cercato di raccogliere le idee. In quel momento non ricordava nemmeno più dove stesse andando, l'unico pensiero che aveva in testa era il suo potere, perché era stato lui, ne era certo.
Aveva ripreso la bicicletta e testato di nuovo i freni, che sembravano funzionare contrariamente a pochi minuti prima. Forse il mio potere mi aiuta ad aggiustare le cose, si era detto, sperando che magari invece fosse qualcosa di più interessante.
Forse mi sto sognando tutto e non è mai successo, forse il freno era solo bloccato e per questo sono riuscito a fermarmi.
Sebastiano aveva pedalato fino a raggiungere un piccolo parco che stava giusto dietro il luogo del non-incidente e si era seduto in un piccolo spiazzo comodo e leggermente meno centrale della parte centrale del parco, contornata di panchine bianche appena verniciate.
Lì Sebastiano aveva iniziato a guardarsi le mani, per vedere che non ci fosse magari qualcosa di diverso in lui. Per esempio, la piccola piega quando muoveva il pollice c'era sempre stata? Era da quella che era scaturita tutta la sua magia? O forse era stato il suo desiderio di salvare dal dolore e dalle ferite quella bambina innocente. Non se stesso, lui a se stesso non aveva neanche pensato, si era solo riproposto di non permettere che succedesse qualcosa a lei, che non aveva colpe. Anche se a pensarci bene neppure lui ne aveva.
Le sue mani erano sempre state calde, pensava mentre si osservava con attenzione, pronto a controllare ogni tipo di variazione. Quello poteva essere un primo segnale che il suo potere derivava dalle sue mani, doveva solo capire come imparare a richiamarlo e per farlo doveva essere certo di cosa l'avesse risvegliato: forse la sua paura più del suo desiderio di proteggere la bambina, a dirla tutta.
Sebastiano aveva deciso di tentare di concentrarsi su una foglia, gli sembrava la cosa più semplice e intendeva guidarla col pensiero verso di lui.
Non era mai stato molto bravo a concentrarsi, glielo dicevano sempre a scuola, ma si stava impegnando più che poteva ed era certo che se il potere, come lui pensava, faceva parte di lui, avrebbe avuto modo di risvegliarlo così, semplicemente agendo nel modo giusto per richiamarlo, facendolo scattare attraverso il meccanismo che lui aveva in mente, ma che doveva comprendere e allenare.
Dopo avere passato una mezz'ora abbondante a convincere la sua energia a passare dalle sue mani alla foglia per farla muovere, Sebastiano aveva deciso di tentare di guidarla solo attraverso il pensiero, che in quel modo sarebbe in teoria stato più diretto.
Si rivedeva alla scuola del dottor Xavier a vivere da escluso nella società dei normai esseri umani, ma da felicissimo supereroe: sarebbe stato uno di quelli che aiutava i bisognosi e si comportava sempre in modo corretto, senza mai neppure pensare di fare del male a qualcuno gratuitamente.
No, lui non poteva essere uno dei cattivi, non un Glass o un Venom. Lui era Ciclope. Di più, il suo era uno dei poteri più nobili: era il dottor Xavier in persona.
La foglia all'improvviso gli era finita in mano e lui si era sentito costretto a trattenere un urlo di vittoria che avrebbe attirato sguardi curiosi che lui non desiderava avere addosso, non in quel momento così importante e definitivo per la sua vita. Aveva ancora tanto da capire e se ci fossero voluti anche giorni, lui li avrebbe impiegati a provare, a capire, a spostare la foglia.
Aveva aperto la mano e stava fissando la foglia cercando di non interrompere il contatto visivo, sentiva i muscoli del collo contrarsi e il braccio tendersi stanco di restare in quella posizione, ma non stava mollando, non avrebbe mai mollato perché sentiva che era il momento di compiere il suo destino.
Quando la foglia si era sollevata a fluttuare sulla sua mano lui aveva spalancato la bocca in preda alla più completa incredulità, subito mescolata a una gioia senza confini: non se l’era immaginato, era vero.
Aveva volato fino a raggiungere un corvo, che era appollaiato sull’albero a un paio di metri di altezza. L’uccello aveva quindi preso la foglia con una zampa e gliela aveva riportata.
A lui. Il corvo gli aveva portato la foglia, quasi quel corvo volesse dirgli qualcosa.
Sebastiano aveva teso il braccio al corvo, che dopo averla guardata aveva zampettato fino a raggiungerla e a salirci.
“Capisci quello che ti dico?” pensava di essere impazzito del tutto e si chiedeva se in effetti fosse davvero sveglio, visto che la situazione stava diventando sempre più surreale, al punto che quando il corvo aveva fatto un cenno affermativo con la testa si era scoperto ancora più sorpreso di quanto mai avrebbe potuto.
“Puoi fare qualcosa per me?” L’uccello aveva di nuovo risposto e Sebastiano allora aveva solo pensato la sua richiesta.
Il corvo era volato via, per tornare dopo poco con una caramella in bocca, che aveva poi lasciato cadere sulla sua mano tesa.
Si era convinto. Sebastiano si era alzato in piedi e aveva fatto cenno al corvo di seguirlo, comunicando con lui con la mente. In quel momento si sentiva onnipotente, pronto a salvare il mondo e a essere ricordato come un eroe, un super-bambino che avrebbe contribuito alla giustizia.
Arrivato a casa aveva continuato a farsi aiutare dal suo corvo, l’animale domestico che tutti gli avrebbero invidiato, poi si era esercitato a muovere oggetti con la forza della sua mente, sempre sotto la supervisione dell’uccello che pareva ammaliato e divertito, per quanto fosse possibile comprendere il suo comportamento.
Sebastiano aveva passato almeno mezz’ora a cercare di spostare una sedia, m forse ormai era stanco e, nonostante i suoi sforzi, non ce l’aveva fatta. Quando la madre era arrivata nella sua camera per avvisarlo che era pronta la cena si era messa a urlare nel notare il corvaccio nero appollaiato sull’armadio, e aveva costretto il bambino a buttarlo fuori. Non aveva sentito ragioni.
Sebastiano aveva cercato di comunicargli di aspettarlo fuori sull’albero che c’era in giardino, ma quando l’aveva chiamato una volta tornato in camera non l’aveva più trovato.
Dopo quella giornata i suoi poteri non erano più apparsi. Sebastiano aveva provato e riprovato a muovere foglie, sassi e pezzi di carta, ma sempre senza successo. Non aveva più rivisto il corvo e dopo settimane di tentativi si era convinto di essersi immaginato tutto. Oppure, forse che il potere non era davvero il suo.
In realtà, alla fine era il corvo…
Quel pomeriggio Crowley era seduto sulla panchina di un parco, annoiato. Aspettava che Aziraphael si decidesse ad abboccare alle sue continue lettere anonime che purtroppo lui continuava a ignorare, quasi sapesse che c’era lui dietro a quelle richieste che avrebbe di certo definito particolari.
Aveva notato un bambino terrorizzato su una bicicletta senza freni e gli era balenata in testa l’idea di divertirsi un po’. In fin dei conti che male c’era? Quel moccioso oltretutto gli ricordava anche l’angelo, con i suoi vestiti elegantini e ordinati e quel faccione rotondo e pulito.
Aveva quindi fermato la bicicletta, impedendo all’imbranato di cadere di lato e di rovinare la sua bella pelle liscia di marmocchio.
Poi si era messo ad osservarlo: quel bambino si era guardato le mani per un bel po’, forse domandandosi cosa fosse successo. Crowley si era messo a ridere sulla panca del parco, pregustando il divertimento imminente.
Si era chiesto cosa avrebbe fatto, perché per un umano scoprire di avere poteri di telecinesi era tutt’altro che normale e si era proposto di studiare una casistica, o magari semplicemente di rifarlo in futuro e di annotare le cose più divertenti che sarebbero accadute, perché no, non era tipo da faldoni e studi precisi e complicati, ma era certo che ci sarebbe stato da ridere con quel piccoletto che credeva di aver risvegliato un potere tanto magnifico inesistente.
Temendo che il bambino perdesse interesse, gli aveva fatto arrivare tra le mani quella foglia, ritrovandosi estremamente soddisfatto quando l’aveva visto festeggiare in silenzio. Poi aveva continuato a guardarlo in forma di corvo, in effetti si sarebbe potuto divertire ancora di più a fare il corvo obbediente. Così aveva fatto in modo che la foglia arrivasse a lui, appollaiato sull’albero in posizione strategica.
Il moccioso l’aveva guardato e il corvo aveva preso la foglia con la zampa e aveva svolazzato fino a portargliela.
Crowley si stava divertendo così tanto che aveva deciso di passare la serata col ragazzino per vedere cosa avrebbe cercato di fare.
Fosse stato lui avrebbe di certo pensato a qualcosa di divertente, ma pareva che il piccoletto l’avesse presa molto più seriamente del previsto, diventava quasi completamente rosso in volto quando si concentrava per passare i suoi pensieri telepaticamente.
In realtà Crowley non aveva idea di cosa il moccioso pensasse, ma si divertiva a indovinare.
Era già piuttosto annoiato quando la madre era entrata come una furia nella camera di quel piccoletto per buttare fuori l’animale indesiderato. Portano malattie! Gli aveva detto per scacciarlo.
Crowley aveva aspettato per qualche minuto sull’albero prima di rendersi conto che la noia stava di nuovo prendendo il sopravvento e di volare via, pensando alla sua prossima preda.
A volte era davvero felice di aver scelto di stare tra gli umani.