Mar. 8th, 2025

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Fandom: Persona 3
Personaggi: Shinjiro, Kotone Shiomi, S.E.E.S.
Incipit: Entrò nella stanza chiedendosi perché lo stesse facendo.
Partecipa al COWT 14
One shot, what if?


La guarigione di un fiore appassito

Entrò nella stanza chiedendosi perché lo stesse facendo. Shinjiro la richiuse dietro di sé tenendo gli occhi chiusi. Prese fiato prima di guardarsi intorno e nel farlo sentì il suo profumo.
Che profumo? Si chiese, ma non sapeva distinguere i fiori e le essenze che lo componevano. Conoscendo Kotone, era probabile fosse un bagnoschiuma che aveva preso al supermercato. A lui ricordava la primavera, gli alberi fioriti e il calore tiepido del sole sulla pelle.
Quante volte si era domandato perché lei avesse insistito nell’approfondire il loro rapporto, quando lui aveva usato tutte le sue forze per tenerla a distanza, lei e tutti gli altri.

Il coma nel quale era caduto per lui non era stato che un sogno, neppure tanto lungo a dirla tutta. Si era svegliato e lei era seduta di fronte al letto, leggeva a voce alta un libro che lui non conosceva, era seduta rivolta alla finestra, la testa appoggiata a uno dei braccioli della poltrona, una gamba ciondolava sull’altro. “Cosa leggi?” Le aveva chiesto.
Quando i loro occhi si erano incontrati, Shinjiro l’aveva vista stanca come mai prima di allora.
Era rimasta a bocca aperta per qualche istante, prima di cominciare a parlare. “Pensavo che non ci saremmo mai più visti in questa vita.” Il suo sorriso così sincero l’aveva spinto a tentare di andarle incontro, ma il suo corpo non aveva risposto come avrebbe dovuto: il braccio aveva scostato il lenzuolo a fatica, il resto del suo corpo era rimasto immobile. Si era lasciato sfuggire un sibilo di dolore e frustrazione.
“No, stai fermo, arrivo!” Aveva urlato Kotone, alzandosi di scatto e rischiando di cadere dalla poltroncina scomoda dell’ospedale.
Gli si era avvicinata a braccia aperte, Shinjiro ricordava ancora il suo abbraccio caldo, la delicatezza delle sue mani mentre sistemavano il lenzuolo, gli accarezzavano il viso.
Si chiese perché fosse ancora lì, di fronte a lei. Proprio quando si era convinto di avere accettato la morte, si era ritrovato a sperare di potere vivere.
Con fatica, Shinjiro alzò le mani e le posò sul viso di Kotone, che non si oppose, neanche quando il suo viso si avvicinò di più, neanche quando portò le sue labbra alle sue fino a baciarla.


Shinjiro strinse i pugni. Un tempo si sarebbe abbandonato alla rabbia, ma era cambiato da quando l’aveva vista morire: Kotone si era addormentata tra le sue braccia e non si era più svegliata. Le aveva promesso che avrebbe continuato a vivere, che le avrebbe raccontato ciò che avrebbe visto una volta dall’altra parte, perché ormai lui era certo che ci fosse un’altra parte, oltre alla vita. Non poteva credere che tutto smettesse semplicemente di esistere.

Aprì gli occhi e si lasciò inondare di ricordi: il computer sulla scrivania, le sue cuffie, i libri e la matita gialla con cui una volta gli aveva scritto un biglietto. “Stasera usciamo, non andare in giro, aspettami! Kotone.” Lui l’aveva gettato nella spazzatura, che sciocco.
Il suo zaino posato sulla sedia, la giacca invernale appesa al gancio.
Shinjiro aprì l’armadio e prese la sciarpa rossa che spesso indossava. La strinse tra le mani e si distese sul letto, pianse fino a dormire.

Quando si svegliò, fuori era buio. Shinjiro si alzò e si mise in ascolto: poteva sentire in lontananza le voci di Junpei e di Akihiko. Non avrebbe potuto evitare di vederli. Prese la matita gialla e la ripose nella tasca della giacca, mise al collo la sciarpa e uscì dalla stanza.

Scese le scale cercando di fare rumore per annunciare la sua presenza. Non voleva che qualcuno si spaventasse nel trovarselo di fronte come era già successo in passato.
“Shinji-” Mitsuru fu la prima ad avvicinarsi. “Come stai? Sono passati… giorni.”
Lui annuì. “Sono passato a prendere… un ricordo.” Indicò la sciarpa.
“Hai fatto bene a tornare.” Akihiko si avvicinò lentamente, come si fa con le creature selvagge quando non si vuole che scappino. “Resti con noi per cena? Stiamo preparando un… non so cosa in effetti, ma ce n’è anche per te.”
Desiderava andare via, continuare ad aggrapparsi al suo lutto e al dolore che provava in ogni istante, ma annuì e si lasciò guidare al tavolo dai suoi amici. “Grazie dell’invito.”
“Dove stai dormendo?” Mitsuru era sempre stata diretta.
“Ho dormito così tanto che ultimamente non ho molto sonno.” Tentò di scherzare, ridacchiando in modo forzato.
“Dormi qui, allora.”
Di nuovo, Shinjiro si ritrovò ad annuire.
Era certo che Akihiko desiderasse fargli un centinaio di domande, lo osservava mentre preparava la tavola. Sembrava nervoso, preoccupato, ma felice di vederlo.
Shinjiro si schiarì la voce: “Chi avrebbe mai immaginato che sarei arrivato vivo oltre il vostro diploma? Eppure eccomi qui!”
“Stai prendendo qualcosa?” Akihiko aveva un tono serio.
“No, da quando mi sono svegliato non ho preso i soppressori, né altro. Devo ammettere che mi sento un po’ meglio da quando è tutto finito.”
“Bene,” Mitsuru sorrise e alzò lo sguardo con prudenza prima di continuare. “Domani chiamo qualcuno, vorrei fare dei controlli con un medico per capire se è possibile aiutarti, se vuoi.”
“Mmh- ti ringrazio. Non ti prometto che mi farò di nuovo trattare come un esperimento da laboratorio, ma apprezzo per la proposta.” Shinjiro avrebbe voluto rispondere che non gli interessava della sua vita, che non se ne sarebbe fatto niente di sapere se sarebbe vissuto oppure no, ma doveva la sua vita a Kotone e l’avrebbe rispettata, avrebbe fatto del suo meglio per togliersi di dosso quel senso di colpa che si stava portando dietro da ormai troppo tempo. “Farò del mio meglio.”

Le cose non stavano andando così male. Shinjiro aveva iniziato la sua riabilitazione nell'ospedale dove era stato ricoverato durante il coma, inoltre aveva accettato l'aiuto di Mitsuru. Gli avevano fatto una quantità enorme di esami, aveva dovuto seguire diverse terapie per sopportare il dolore e per tentare di far regredire i suoi sintomi.
Dopo sei mesi, finalmente Shinjiro poteva dire di stare abbastanza bene. L'Ora Buia non esisteva più ormai, e la vecchia vita dei S.E.E.S. era rimasta nel passato.
I medici gli avevano spiegato che la sua condizione era migliorata proprio in virtù di questo mutamento nella realtà, che si era ripercosso anche nella sua condizione fisica.

Il telefono iniziò a vibrare e Shinjiro lesse il nome di Mitsuru, si sentivano spesso, ma in genere lei non lo chiamava. "Pronto, come va?"
"Ciao, direi che va bene! Ho sentito le buone notizie, pare che resterai con noi ancora un po' di tempo."
"Pare di sì, la terapia sembra funzionare, anche il dolore è diminuito parecchio."
"Io ti ho chiamato perché, lo sai: dobbiamo liberare la stanza. Io non vorrei, ma... Volevo chiederti se vuoi farlo tu, se desideri tenere qualcosa." Se lo aspettava. Immaginò quando la sua amica avesse aspettato prima di chiamarlo.
"Ci vediamo stasera."

Entrò per l’ultima volta nella stanza di Kotone sperando di ritrovare ancora il suo profumo nell'aria, che la sua presenza fosse ancora tangibile negli oggetti della stanza. Era passato troppo tempo, però, infatti il profumo era svanito. La stanza odorava di polvere, infatti il ragazzo aprì la finestra. Iniziò a riempire lo scatolone coi suoi libri, scorrendone le pagine in cerca di un appunto, di una frase. Aprì il cassetto della scrivania e cominciò a riporre gli oggetti. Si sentiva quasi in colpa per la sua intrusione, frugare tra le sue cose era sbagliato, ma lei non c'era più e non sarebbe tornata a sgridarlo.
Dentro il cassetto più piccolo c’era un contenitore con il simbolo dei S.E.E.S. disegnato a mano. Shinjiro lo aprì, rivelando delle lettere indirizzate a ciascuno di loro.
Prese la sua e si lasciò cadere a sedere sul letto. Le sue mani tremavano mentre strappava la busta.

Caro Shinjiro,
in questo momento stai dormendo. So che dormirai ancora a lungo, ma sono certa che un giorno ti sveglierai e forse chiederai di me. Io però in questi giorni mi sento molto stanca. Non sono certa che ci rivedremo. Sembra che gli altri si stiano dimenticando di ciò che è successo, temo che anche la mia memoria presto svanirà dalla loro mente e io, l'ora buia e il motivo per cui tu sei in coma diventeranno una domanda alla quale non saranno in grado di rispondere. Forse è meglio così. Nel cuore, spero che anche tu mi dimenticherai e vivrai nella serenità fino alla vecchiaia. La lettera è per me. Sono io che voglio dirti addio, vorrei che tu sapessi che senza il tuo pensiero, forse io sarei già svanita dai ricordi e dal mondo.
Strano il destino, vero? Né io, né tu abbiamo chiesto di avere un ruolo nella storia del mondo, invece eccomi qui a chiedermi perché proprio io.
Però sono contenta, sai? Perché anche se voi non saprete chi sono, io potrò portarvi tutti nel mio cuore. Saprò che ho contribuito a permettere agli altri e spero anche a te di vivere.
Mi mancherai, Shinjiro.
Tua, Kotone.


Shinjiro finì di riporre i suoi oggetti nelle scatole e uscì dalla stanza. “Ciao, Kotone.”
Chiuse la porta con un sorriso, e scese le scale. Non l’avrebbe mai dimenticata, ma proprio come lei stessa gli aveva chiesto di fare, non si sarebbe più fermato a rimpiangerla.
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Fandom: Metaphor: ReFantazio
Personaggi: Rella Cygnus, Junah Cygnus, OC (Maya Mei)
One Shot
Partecipa al COWT 14
Incipit: Stava ridendo ininterrottamente da più di dieci minuti, la cosa cominciava a farsi fastidiosa. “Potresti piantarla per favore?”

Maledette risate

Stava ridendo ininterrottamente da più di dieci minuti, la cosa cominciava a farsi fastidiosa. “Potresti piantarla per favore?”

Iniziò a ridere ancora più sguaiatamente. “Sto piangendo!” riuscì a pigolare, indicando le lacrime che ormai erano arrivate a bagnarle il colletto della camicia.

“Se continui così ti strozzi.”

Non c’era niente che lei potesse dire per farla smettere: sua sorella pareva sotto un incantesimo. Per un attimo il pensiero prese forma. “Un incantesimo? Non è che stai male davvero?” 

Junah provò a prendere un respiro profondo, ma sembrava davvero incapace di fermarsi. 

Rella cominciava davvero a preoccuparsi, nel dubbio iniziò a recitare una formula magica per provare a ipnotizzare sua sorella, che di punto in bianco si zittì, si alzò in piedi e le si avvicinò barcollando. 


Erano rari i momenti in cui le due sorelle potevano stare insieme con spensieratezza. Il segreto che Rella si portava dentro la stava consumando ogni giorno di più e Junah era la sola in grado di farle dimenticare quali nefandezze avesse compiuto nella sua breve vita. Quando era alla chiesa e operava come guaritrice, la Ishkia pregava di trovare un modo per eliminare la maledizione che aveva lanciato sul principe. Ci aveva provato ogni giorno, ogni volta che aveva un minuto libero. 

L’espiazione del suo enorme peccato non sarebbe mai avvenuta. Peggio, avrebbe finito col farsi odiare da sua sorella, dall’unica persona che Rella voleva davvero proteggere. Senza saperlo, sua sorella si era messa proprio contro di lei nel momento in cui aveva deciso di combattere per uccidere l’autore della maledizione che stava portando il Principe alla morte.


Ora il suo pensiero principale, però, era capire cosa fosse successo a Junah e perché non potesse smettere di ridere. Il suo controincantesimo avrebbe potuto rallentare gli effetti della maledizione, ma Rella non aveva molto tempo per capire che cosa fosse successo.


Si sedette di fronte a lei. "Sempre elegante, sempre perfetta." Sotto ipnosi, la voce di Junah era meccanica, ma comunque sincera.

"Grazie," rispose Rella, certa che quello non fosse un complimento. "Ma ora abbiamo pensieri più urgenti di cui occuparci: raccontami tutto ciò che hai fatto oggi, a partire da stamattina."

"Mi sono alzata e per prima cosa mi sono recata in bagno, poi ho cominciato a spazzolare i capelli, poi ho fat-"

"Va bene, va bene. Ferma un attimo. Non mi servono tutti i dettagli, mi basta sapere cosa hai mangiato, cosa hai bevuto, quando sei uscita e chi hai incontrato oggi."

Junah annuì. "Ho bevuto dell'acqua a casa, poi ho mangiato una mela e ho cucinato un piatto a base di uova per colazione, ho aggiunto sale e il timo di mare che era in cucina. Sono uscita di casa e ho fatto acquisti al mercato.

Ho incontrato Lucius, che mi ha regalato un pendente nuovo per il bracciale. Eccolo.” Junah mostrò un piccolo ciondolo a forma di mezzaluna, attaccato al suo bracciale da un anellino di metallo. “Poi sono andata da Hurlet per dirgli che canterò al festival della Luna. Ho bevuto un tè caldo insieme a lui e alla Santista che era lì. Tornando indietro ho… Ahah! Ho preso la cena, quella che ho preparato. Eh- E che è in cucina.”

Le risate stavano cominciando a tornare. Rella ripeté la formula magica nella sua mente. Mentre la pronunciava sentiva le spine muoversi lungo la sua schiena, fino alle braccia. Le ricacciò indietro stringendo i pugni. Non aveva tempo per pensare a se stessa.

Andò in cucina a esaminare il timo di mare e le altre erbe poste di fianco alla cucina economica. Sembrava tutto in ordine: Rella aprì ogni singolo vasetto e lo annusò, ma non trovò niente fuori posto. Si grattò il mento mentre si concentrava nei suoi pensieri. Camminò a passo veloce verso la sorella ed esaminò il suo bracciale. Niente maledizioni. Non sospettava di Lucius, ma non aveva idee, perché nessuno in città aveva brutti rapporti con Junah.

“Junah, pensi che qualcuno ti voglia fare del male? Hai litigato con qualcuno.”

La ragazza stava fissando il pavimento, intontita dall’incantesimo di protezione. “Sempre la solita gelosia.” Alzò lo sguardo. “Devo cantare sempre io? Ti sembra giusto?”

“E chi dovrebbe cantare?” Tentò la guaritrice.

“Sempre Junah, sempre lei. Le altre non valgono le sue scarpe.” Junah rise di nuovo, gli occhi incupiti.

Rella ripeté la formula una volta ancora. “Non è vero, io vorrei sentire qualcun altro cantare.”

Junah batté le mani. “Devi ascoltare Maya Mei, lei sì che è brava. Doveva cantare al festival della Luna, e lo farà.”

Era come se l’incantesimo stesse confessando le sue intenzioni, Rella sapeva che questo significava che era stato attivato da un novellino, incapace di renderlo efficace. 

"Vieni con me, Junah, andiamo a cercare Maya Mei."

Junah si alzò di scatto e alzò le braccia come per festeggiare. "Evviva! Andiamo ad ascoltare la mia Maya." Si fermò in mezzo alla stanza. "Mi farà un autografo? Canterà con me?"

Rella aprì la porta e la invitò a seguirla. "Certo, farà tutto quello che vorrai."

Camminavano veloci: Rella guidava il passo, elegante e sicura, ripetendo la formula di protezione. Junah la seguiva un po' barcollante, fermandosi di tanto in tanto per poi ripartire di corsa per raggiungere la sorella. Salirono sul carro che le avrebbe portate da Hurlet. Junah continuava a ridacchiare, ma non era in pericolo di vita, aveva ancora tempo sufficiente per trovare il colpevole e capire come dissolvere la maledizione. Nel caso in cui non ci fosse riuscita, anche se la cosa non le piaceva, sapeva che la soluzione era nelle fiamme. Avrebbe bruciato il regno intero per salvare Junah. Non avrebbe lasciato che morisse. Non avrebbe aggiunto alle sue colpe anche la morte dell'unica persona che aveva sempre giurato di proteggere a ogni costo.

Arrivò alle porte della piccola chiesa del borghetto di Luntim, dove Hurlet governava sotto la buona stella della chiesa Santista. Le porte si aprirono di fronte a lei nonappena si sporse dalla finestra del carro coperto.

Hurlet arrivò ad accoglierla con gioia, ma il suo sorriso si smorzò quando vide scendere anche Junah. "Oh, per il cielo! Cosa è successo?"

La sua preoccupazione parve sincera a Rella, che lo rassicurò: "Reggente Hurlet, la ringrazio per l'accoglienza. Sono venuta qui proprio per comprendere meglio la situazione. Junah mi ha riferito del vostro incontro poche ore fa. Purtroppo come può vedere, una maledizione ha colpito la canzoniera, ed è mio compito comprenderne le origini."

Il reggente scosse la testa con veemenza. "Io non ne so niente!" Affermò perentorio. "Ho insistito tanto perché accettasse di venire al festival della Luna."

"Ne sono a conoscenza." Confermò Rella con tranquillità. "Le sue buone intenzioni non sono in discussione. Volevo solo sapere se  qualcuno fosse contrario all'esibizione di Junah. Forse qualcuno devoto a Maya Mei."

"Maya Mei! Dov'è?" Junah si guardava intorno con occhi sognanti. 

Hurlet rimase pensieroso per qualche istante, d'un tratto sgranò gli occhi. "Io... Io credo di sapere chi è stato."


La cuoca Tina apparve sorpresa quando Rella la Guaritrice apparì in tutta la sua eleganza di fronte a lei, nel corridoio cupo che portava alla sua umile stanza.

"Buonasera, le dovrei parlare un attimo." La Santa accompagnò la richiesta con un sorriso, ma  la signora Tina ne colse l'urgenza e si mise in fretta lo scialle per poi avviarsi verso la cucina.

Le due donne si sedettero una di fronte all'altra.

"Oggi dalla cucina sono stati serviti dei biscotti al miele e del tè, li ha preparati lei?"

La donna apparve sorpresa. "S-sì, li ho preparati io personalmente. Ho preparato le infusioni e i biscotti con le mie mani. Sono perfetti, ne ho ancora qui." La donna indicò una scatola di latta.

Rella annuì: "Posso vederli? Anche le erbe per le infusioni per favore."

La cuoca porse la scatola coi biscotti e aprì il coperchio, rivelando un intenso profumo di cannella e miele. Rella ne prese uno e lo esaminò con attenzione, poi lo addentò. "Davvero buono." Ammise guardando la cuoca che stava finendo di posare sul tavolo i barattoli che contenevano le erbe per gli infusi. Rella aprì ogni scatola e ne esaminò con attenzione il contenuto. "Niente. Non è stata lei." Disse rivolta alla guardia che l'aveva accompagnata in cucina.

"Cosa è successo?" domandò la donna con un filo di voce.

"Qualcuno ha lanciato una maledizione su Lady Junah." Ammise Rella, osservando nella donna una reazione di sorpresa.

"Maya..." Sussurrò la donna.

Una ragazza nella penombra della stanza stava piangendo in silenzio. Rella camminò elegante e leggera verso di lei. "Sei tu Maya Mei?"

La ragazza annuì. "Io non so come sia successo, non volevo..."

Rella le posò un braccio sulla spalla, rassicurante. “Tu volevi solo cantare, vero?”

Maya alzò lo sguardo, colpevole. “Non ho fatto niente.”

La guaritrice mandò a chiamare Junah. Le due stavano una di fronte all’altra mentre Rella pronunciava le sue parole di guarigione. 

“Fatto, ora non ci dovrebbero essere altri problemi, non preoccuparti, non l’hai fatto di proposito.” 

“Sono mortificata, Lady Junah e Santa Rella.”  Si scusò ripetutamente Maya.

Sulla via del ritorno, Rella sedeva pensierosa. Quella ragazza aveva una dote pericolosa da gestire e si sarebbe dovuta occupare di lei. Doveva aiutarla a conoscere il suo potere.
Come Junah le aveva insegnato: o
gni vita è preziosa. Sorrise. La sua cara sorella era salva.

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