Mar. 16th, 2019

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Fandom: Harry Potter

Personaggi: Andromeda Black, Druella Black, Narcissa Black

Parole: 1305

Partecipa al COWT9

prompt: in fuga

 

Che cosa è un cinico?

Uno che sa il prezzo di tutte le cose, ma non conosce il valore di nessuna.

 

 

Il valore del sangue

 

 

Sua madre l’aveva messa in guardia: devi avere un comportamento consono all’ambiente.

Andromeda aveva provato tristezza, di certo non poteva dire di sentirsi a casa negli ultimi tempi, ma non aveva intenzione di fare scenate. 

Era sempre stata una brava Black da formalità, questo sua madre lo sapeva molto bene. 

Sospirò di fronte allo specchio mentre si osservava attentamente, ogni particolare era studiato alla perfezione. 

Era una giornata importante per Bellatrix e non avrebbe messo in ridicolo la sorella. Non le era mai passato per la testa, anche se avrebbe desiderato essere da un’altra parte, in effetti ovunque tranne che lì. Le sarebbe bastato essere con Ted.

 

“Andromeda, cosa sono queste?”

La signora Black stringeva tra le mani dei fogli di pergamena che Andromeda conosceva anche troppo bene: le lettere di Ted che erano state il suo conforto in quell’estate che aveva passato a casa, circondata dalla sua famiglia, troppo codarda per dire loro la verità, troppo incerta per buttare le lettere. Aveva bisogno di un contatto con Ted, sapeva che se non le avesse avute lì con lei, lui non le sarebbe più parso reale, e Andromeda aveva bisogno di sentirlo vicino.

“Quelle sono mie”, disse tendendo le mani verso la madre, che le attirò a sé e si schiarì la voce: 

 

“Mia cara Meda,

Spero che tu passi delle buone vacanze, non so cosa darei per poterti vedere, invece siamo costretti a nasconderci come degli assassini.

Tutto quello che vorrei, sarebbe avere i requisiti necessari per essere accettato dalla tua famiglia.

Pensaci bene, non voglio che per causa mia loro ti lascino sola.

Forse un giorno le cose cambieranno, nel frattempo sappi che sei sempre nei miei pensieri.

Tuo, Ted

Che cosa sarebbe questo?”

La osservava con freddezza. Ferma e glaciale come solo Druella Black sapeva essere. Andromeda si appoggiò al muro alle sue spalle, tentando di trattenere le lacrime che sentiva bruciare, un groppo le si formò in gola e, quando tentò di parlare, non le riuscì più di trattenersi.

Druella sospirò seccata: “Questo Ted ha un nome Babbano, sarebbe un… Sanguesporco?”

“Non più sporco del nostro”, sibilò Andromeda, asciugandosi gli occhi.

“Non lo vedrai mai più. Non credo di doverlo ripetere in futuro.”

“Non deciderai per me”, Sua madre si alzò in piedi con aria di sfida, accese un fuoco magico e vi lanciò le lettere. Il cuore di Andromeda batteva con forza, lei si sentiva bruciare, si chiese se in quelle parole non fosse davvero imprigionata una parte di lei, una parte che in quel momento si stava incenerendo e, forse, non sarebbe più stata in grado di recuperare.

Altre lacrime minacciavano di liberarsi, ma Andromeda strinse i pugni fin quasi a ferirsi e puntò gli occhi in quelli della madre. La guardava in silenzio, in quel momento la sentiva più lontana che mai, un’estranea.

“Andromeda, tu conosci molto bene il valore del nostro nome, non credo sia necessario che ti spieghi che i Sanguesporco non sono degni in alcun modo di diventare parte della nostra famiglia. Mi costringeresti a prendere provvedimenti molto seri”.

La ragazza rabbrividì quando la madre le appoggiò la mano sulla spalla, in un gesto troppo intimo per lei, un gesto che non aveva significato. Taceva, non aveva nulla da dire. Questa reazione l’aveva aiutata a decidere.

“Dovresti rinunciare ai vestiti che ti piacciono tanto, alla tua famiglia, ai privilegi, a tutti i nostri amici. Io non credo che tu saresti in grado di stare da sola, per questo voglio aiutarti. Manderò io stessa un messaggio a Ted, gli farò sapere che non intendi più sentirlo né vederlo. Lo capirà, sono sicura che capirà. Non è alla nostra altezza. Pensa a Rodolphus e Bellatrix. Potresti essere felice come loro”.

 

Narcissa entrò dalla porta socchiusa dopo aver bussato.

“La mamma mi ha detto di venire a controllarti”.

Sospirando, Andromeda sorrise alla sorella: “Non preoccuparti. Va tutto bene.”

Narcissa le sorrise: “Ho paura, Meda”, i suoi occhi brillarono di commozione per un istante. Andromeda si avvicinò alla sorella e la abbracciò: “Perché la mamma continua a rimproverarti? Vuoi andare via? Non lasciarci”.

“Narcissa, io... tu non puoi capire. Sappi che se sarò costretta ad andarmene, non sarà per lasciare te, ma per altri motivi”.

“Non stai bene qui?”

Si guardò intorno e alzò le spalle: “Vedi, Cissy?” Toccò il copriletto e indicò i mobili pregiati, poi indicò se stessa. “Io non ho bisogno di questo, quando sono qui mi sento vuota, capisci? La mamma pensa di potermi tenere stretta alla famiglia sfruttando la mia paura di perdere tutto questo, ma io ora sono in grado di riconoscere di cosa ho bisogno davvero.”

“Io, non ti servo?” Sospirò la sorella minore, osservandola con timore.

“Ma certo, però tu hai bisogno della nostra famiglia, della mamma e del papà. Io posso farcela solo perché non sarò sola là fuori. Ricorda che per te io ci sarò sempre”, porse alla sorellina il suo nastro verde, che aveva appena preso dal comodino, lo allacciò ai capelli di Narcissa e le sorrise.

 

 

La festa per Bellatrix fu sfarzosa, era un modo come un altro per dimostrare quanto i Black fossero nobili, ricchi e importanti nel mondo magico. Una delle famiglie alle quali nessuno con un minimo di cervello avrebbe chiuso la porta in faccia.

Druella le stava addosso, la controllava e la costringeva a partecipare a discorsi sterili che non interessavano la ragazza, che secondo sua madre erano il piccolo prezzo da pagare per avere tutto questo.

Tutta quella gente non aveva nulla a che fare con lei, non più. In passato era stata affascinata da quello sfarzo, dalla riverenza che Andromeda aveva sempre visto nei confronti della sua famiglia. il comportamento cinico della madre la disgustava. Non era più stata la stessa dopo quel giorno. Il gufo di Ted aveva volato verso la sua casa, ma era stato bloccato da incantesimi di protezione. Andromeda aveva tentato di mandargliene uno, ma aveva fallito. Ora, la festa era il momento buono per mandargli sue notizie. Avrebbe sfruttato lo zio Alphard, l’unico che avrebbe potuto capirla.

A fatica, lo prese in disparte: “Potresti consegnare questa per me?”

Alphard osservò la busta: “Prevedo guai!”

“Non posso stare qui, zio”.

“Noi siamo molto simili, mia cara Andromeda: noi vediamo oltre.”

Lei sospirò: “Oltre cosa?”

“Tu lo sai che cos’è un cinico?”

“Una persona che vede le cose come sono, e non come vorrebbe che fossero?”

“Nella visione Black, forse. No, un cinico è uno che sa il prezzo di tutte le cose, ma non conosce il valore di nessuna.”

Andromeda annuì: “Mi mancheranno, lo so, ma io devo seguire il mio cuore o diventerò come loro…”

“Cara, lo capisco. Io ci sarò per te, tra rinnegati ci si deve sorreggere. Non sarà così male, vedrai!”

 

 

 

Mentre riempiva il baule, Andromeda rifletteva su sua madre. Non era colpa sua, in fondo. 

Druella era una nobile donna, che credeva davvero in quei valori antichi che predicava. Il suo cuore era povero, freddo e sterile. 

Andromeda non voleva diventare come lei, conosceva il valore dei sentimenti, sapeva quanto valesse la famiglia e sperava che prima o poi l’avrebbero accolta a braccia aperte, che avrebbero accolto lei e Ted, perché non c’era differenza nel sangue, solo nelle tradizioni.

Uscì di casa più silenziosamente che poteva, si aiutò con un incantesimo per trasportare il suo baule, nel quale aveva messo giusto poche cose necessarie al suo viaggio. Aveva lasciato a Narcissa  il suo nastro preferito e un abito che di certo prima o poi la sua amata sorellina avrebbe voluto indossare.

 

Con la speranza nel cuore, attese sveglia l’arrivo del suo compagno. Partirono insieme, senza che Andromeda pensasse anche minimamente di voltarsi indietro.

Una nuova vita l’attendeva. Forse non sarebbe stata perfetta, ma di sicuro avrebbe avuto molto, avrebbe potuto guardarsi allo specchio riconoscendo il valore di quello che aveva nel cuore.

 

L'amante

Mar. 16th, 2019 10:38 pm
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Fandom: Originale

Parole: 540

Partecipa al COWT9

Prompt: scontro

 

L’amante

 

Mi dispiace, Luca, ma purtroppo papà non vivrà più con noi. Ha deciso di andare a stare coi nonni per un po', ma lo rivedrai quando vuoi.

La mamma gli aveva preso le mani e gli aveva dato questa notizia. Luca aveva visto i suoi occhi rossi, tristi. Nell'ultimo periodo si era accorto che la mamma piangeva spesso. Quando capitava a lui la mamma lo abbracciava e gli diceva che lei sarebbe sempre stata lì per lui, ogni volta che lui avesse avuto bisogno di lei, ogni volta che lui l'avesse chiamata.

Luca sapeva, ormai era abbastanza grande da capire quando qualcosa non andava, solo che non lo era abbastanza da sapere cosa fare, come gestire il momento. Aveva visto suo padre con l'altra donna e lui l'aveva pregato di non dire niente alla mamma per evitare di farla piangere. "è perché hai visto l'altra signora?" Aveva chiesto. La mamma era rimasta di pietra. 

"L'altra signora ora è la migliore amica del tuo papà."

La mamma aveva parlato solo dopo aver preso fiato, dosando bene le parole e cercando di avere una voce calma.

Amante, quella parola era stata detta da tutti i suoi compagni di classe. Il tuo papà ha l'amante. 

 

Luca non voleva ripeterla per evitare di causare troppo dolore in sua madre, che già gli pareva abbastanza sofferente.

Quel sabato aveva visto suo padre per la prima volta. Era andato a prenderlo a scuola e l'aveva caricato in macchina. "Dove è la mamma?" gli aveva chiesto Luca. Il padre era rimasto impassibile, gli aveva detto che sarebbero andati dai nonni a pranzo e che poi sarebbero usciti a mangiare un gelato.

Luca aveva molte domande per il padre, ma aveva tempo per fargliele, sicuramente non mentre il padre guidava, perché Luca sapeva che alla guida il padre non parlava molto.

 

Una volta arrivati dai nonni avevano pranzato, poi il padre l'aveva accompagnato sul divano e si era seduto al suo fianco.

"La mamma ti ha spiegato cosa è successo?"

"Ha detto che non vuoi vivere con noi." Luca si osservava le scarpe, incapace di guardare il padre negli occhi.

"Non proprio. Io voglio vivere con voi, ma io e la mamma non stiamo più bene insieme..."

"Sei un bugiardo." 

Il padre l'aveva preso per i polsi e girato verso di sé. "Non sono bugie. A volte queste cose capitano tra adulti." Luca si era divincolato e si era alzato in piedi. Arrabbiato, triste. "Tutti nella mia classe parlano di te e dicono che hai un'amante!" 

Il padre, sorpreso, aveva cercato di abbracciarlo, scuoteva la testa con un'espressione quasi delusa, forse si sentiva in colpa. 

Luca aveva cominciato a colpire l'aria con i pugni chiusi, il padre non aveva ceduto e aveva tentato di abbracciarlo mentre Luca gli colpiva il petto, le braccia, le spalle. Una volta esaurita la rabbia, gli era rimasta solo la tristezza e allora Luca aveva iniziato a piangere, accettando finalmente l'abbraccio del padre.

"Io ti voglio bene, tu sarai sempre mio figlio. Ora non puoi capire, ma vedrai che un giorno mi crederai."

Luca non poteva comprendere cosa stesse succedendo, era vero, ma ciò che desiderava in quel momento era credere a suo padre, e aveva deciso che gli avrebbe dato una possibilità.

Black Dog

Mar. 16th, 2019 10:39 pm
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Fandom: Harry Potter

Personaggi: Sirius Black

Parole: 541

Partecipa al COWT9

Prompt: in fuga

 

 

Black Dog

 

 

Sirius sapeva che lo stavano cercando, una fuga come la sua non era passata inosservata e lui era certo che, anche se era stato il più lontano possibile dalla civiltà, non si parlasse che di lui nel mondo magico.

Poteva immaginare i titoli della Gazzetta del Profeta: Il terribile Sirius Black fuggito da Azkaban o ancora Assassino, traditore, fuggitivo. Tutti in cerca di Sirius Black. 

 

Immaginava che consigliassero a tutti di guardarsi bene intorno, di fare incantesimi di protezione per difendere le proprie case dal pazzo assassino che purtroppo era fuggito, che viveva da fuggitivo nel nulla. Un po' era vero: lui viveva da fuggitivo, ma la verità era che avrebbero fatto davvero un'immensa fatica a trovarlo, perché non sarebbe tornato in forma umana per un bel pezzo, non fino a quando non avesse trovato il vero assassino, che sapeva essere in vita anche se nessuno gli aveva mai creduto: Peter Minus.

Negli anni aveva maturato un odio che non era riuscito a sgonfiare in nessuna maniera. Ci aveva provato, Sirius. Oh, se ci aveva provato. Aveva cercato giustificazioni per quell'atto vile e terribile del quale proprio lui era stato accusato. Lui che invece avrebbe dato la vita per James e per Lily. Lui che anche in quel momento pensava che avrebbero potuto prenderlo e ucciderlo, ma non prima che lui riuscisse a portare a compimento il suo piano, non prima che Peter Minus fosse rivelato al mondo, meglio ancora sarebbe stato tornare ad Azkaban con l'accusa di averlo ucciso, perché nulla l'avrebbe reso più sinceramente pronto a morire. Quello era un delitto che Sirius avrebbe accettato di compiere, anche a discapito della sua stessa anima, anche contro ogni suo principio, anche avvicinandosi in questo modo alla sua famiglia.


I Black. Loro non l'avevano mai apprezzato molto, ma da quando era stato accusato dell'omicidio si erano fatti improvvisamente più simili a una famiglia vera. Sirius per un attimo si era quasi lasciato ammaliare dalle parole d'affetto della madre, ma poi aveva capito che se loro l'avessero scoperto innocente se ne sarebbero andati con la stessa velocità con la quale lui era stato imprigionato.

Non erano loro la sua famiglia. James era ciò che di più vicino a un fratello avesse avuto. Non pensava in questo modo a Regulus, anche se forse se lui fosse stato lì... se non l'avesse abbandonato... forse non sarebbe diventato uno di loro.

 


Sirius desiderava conoscere Harry Potter. Quel giorno era andato a Privet Drive perché ricordava che la casa di Petunia fosse lì, e infatti l'aveva visto. Era tutto suo padre. 

James aveva guaito, chiedendosi cosa sarebbe successo se lui si fosse palesato lì, nella Londra Babbana.

Non era una buona idea e lo sapeva, ma vedere Harry, il suo figlioccio, gli aveva dato una motivazione in più per convincerlo che lui doveva vendicarsi, che uccidere Minus era inevitabile.


Il pensiero che un tempo i due fossero stati amici lo riempiva di odio e di tristezza.

Sirius avrebbe dovuto avere ancora un po' di pazienza, ma era certo che l'avrebbe trovato. Sapeva già dove cercarlo e sapeva chi l'avrebbe aiutato nella sua vendetta: gli restava ancora un vero amico e sarebbe andato da lui, da Remus Lupin, il nuovo professore di Difesa Contro le Arti Oscure.

Alone

Mar. 16th, 2019 10:40 pm
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Fandom: Persona 5

Personaggi: Morgana

Partecipa al COWT9

Prompt: fuga

Parole: 521

 

Alone

 

Da quando era arrivata Futaba, Morgana si sentiva completamente inutile. 

Le sembrava che ormai tutti tenessero in considerazione molto di più le opinioni di Makoto e la guida di Futaba, che era così portata da rendere Morgana tutt'altro che necessario. Nonostante avesse l'esperienza dalla sua e fosse così speciale.


Anche se tutti lo trattavano come un membro dei Phantom Thieves, Morgana si sentiva tutt'altro che integrato e si era reso conto che la differenza tra lui e gli altri era sempre più marcata. Morgana aveva un fine diverso da tutti gli altri che sembravano cercare di rendere migliore il loro mondo; voleva tornare in possesso dei suoi ricordi, sapere come fosse arrivato in quel mondo e soprattutto sapere perché era un gatto, per quale motivo sapeva tutte quelle cose sul Metaverso.


In tutto quel tempo le sue domande continuavano a non trovare risposta e Morgana era sempre più frustrato anche perché sembrava che tutti stessero migliorando tranne lui, che sempre più spesso non riusciva a dare risposta alle loro domande sempre più specifiche, sempre meno frequenti.


I sogni erano sempre più frequenti e per quanto ci provasse il significato continuava a essergli ignoto. Non aveva fatto neanche mezzo passo avanti nella sua ricerca della verità e tutti gli indizi che gli arrivavano lo portavano verso una verità che non gli piaceva e che non avrebbe mai accettato, perché non poteva essere la verità: lui doveva essere un essere umano, era l'unica certezza che aveva.


Aveva preso la decisione di andarsene già da qualche giorno, quando effettivamente aveva trovato il coraggio di andarsene. Morgana avrebbe voluto parlarne col Joker, spiegargli le sue motivazioni, anche per evitare che si preoccupasse troppo per lui, ma non aveva avuto il coraggio di parlare, non riusciva a pensare di salutare tutti perché sapeva che se avesse manifestato le sue intenzioni, avrebbero provato a fermarlo. Lui non voleva che questo accadesse. Voleva soltanto cercare la sua strada, cercare quantomeno una risposta a tutte le sue domande, ne bastava una. Doveva trovare un senso nella sua esistenza e stando con loro, tutti insieme, non ce l'avrebbe fatta. 


Morgana se n'era andato quando nessuno avrebbe potuto fermarlo, conscio del fatto che questo suo comportamento li avrebbe fatti preoccupare. Per un attimo, pensando a Lady Ann, aveva considerato l'idea di restare, ma non poteva farlo, era il momento di pensare a se stesso e di dimostrare una volta per tutte il suo valore, perché lui era in grado di fare da solo tutto ciò che loro facevano in gruppo. L'avrebbero visto, l'avrebbero capito. 


Un gatto da solo in città non era esattamente autonomo, lo doveva ammettere. Girare in mezzo alle auto non era divertente e Morgana continuava a pensare quanto fosse comodo per lui, pigro di natura, girare nello zaino del Joker.

Non era il momento di pensare alla comodità: doveva andare a prendere il tesoro del palazzo di Okumura e l'avrebbe fatto da solo. Avrebbe superato i suoi limiti per dimostrare a tutti che lui era speciale, che lui era molto di più di quello che credevano.

Avrebbe ritrovato se stesso combattendo da solo, sarebbe tornato umano molto presto.

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Fandom: Originale
Prompt: in fuga
Partecipa al COWT9
Parole: 540
Il serpente gigante

Paolo amava stare alla casa di campagna dei nonni per molti motivi: prima di tutto perché erano sempre disponibili a esaudire ogni sua richiesta, essendo lui uno degli unici due nipoti che avevano, e poi anche perché i nonni, oltre all'orto e agli alberi da frutto, avevano il pollaio con le galline. 

Il bambino amava andare a vedere se ci fossero uova nel pollaio, la nonna lo mandava lì almeno quattro volte al giorno per farlo contento, nonostante sapesse che il più delle volte il suo sarebbe stato un viaggio a vuoto.

Quel giorno, mentre la nonna stava preparando una torta con le uova che Paolo aveva raccolto, il bambino aveva pensato di andare a fare una corsa giù per le colline, tra i vigneti, insieme a sua cugina Marta che era appena arrivata. A lei era sempre piaciuto gareggiare. Insieme decidevano un percorso da fare e poi cercavano di completarlo nel più breve tempo possibile. Paolo doveva ammettere che lei vinceva più spesso, in fin dei conti era più grande e più veloce di lui.

I due avevano scelto di scendere seguendo la strada larga, quella che in genere si percorreva coi trattori, e di tornare su dal lato dei vigneti, dove suo nonno solo il giorno prima aveva tagliato l'erba.  Il nonno si era raccomandato tanto che i due bambini non andassero a camminare dove c'era l'erba alta, era l'unica preoccupazione che aveva e lo ripeteva continuamente.

Correndo lungo la discesa i due andavano veloci come il vento. Non avevano mai avuto paura di quel luogo, durante l'estate stavano lì a correre e giocare e ne conoscevano ogni metro come le loro tasche.

Una volta arrivati in fondo alla discesa, avevano girato a destra e si erano ritrovati nel territorio del vicino del nonno, anche lui un parente lontano che conoscevano poco. Marta era già avanti di qualche metro, quando si era fermata all'improvviso. Aveva fatto un cenno al cugino di stare in silenzio e di fermarsi. Paolo era arrivato non capendo bene cosa stesse succedendo, quando l'aveva vista: una grossa biscia nera se ne stava arrotolata su se stessa al centro del sentiero.

I due bambini stavano immobili come spaventapasseri a fissarla.

"Dici che sia una vipera?" Aveva chiesto Paolo.

"Credo di no, le vipere non sono nere." Marta non sembrava molto convinta, ma spesso aveva chiesto quali fossero i serpenti pericolosi e quindi sapeva che in teoria quel grosso rettile spaventoso non lo era.

In quel momento, la biscia aveva mosso la coda.

I due cugini allora avevano davvero messo il turbo: avevano corso senza fermarsi neppure un istante fino a tornare appena fuori dalla casa dei nonni. Erano arrivati urlando col cuore in gola, giurando di fronte alla nonna che il serpente nero, che secondo loro era una vipera, li aveva seguiti sibilando dietro di loro, veloce come un fulmine, lungo almeno sei metri e terribilmente spaventoso. I bambini avevano descritto gli occhi rossi del rettile che li avevano puntati e terrorizzati.

"Avete fatto bene a tornare a casa di corsa. Adesso imparerete ad ascoltare la nonna!" Certo, sapeva che i due avevano esagerato e che non avevano visto altro che una biscia innocua, ma forse finalmente avevano imparato a guardare dove mettevano i piedi.

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