Soltanto uno scherzo - Persona 3
Mar. 29th, 2025 05:14 pmFandom: Persona 3
Personaggi: Fuuka Yamagishi, Natsuki Moriyama
Genere: introspettivo, avventura
Prompt: labirinto
Partecipa al COWT14
Wordcount: 4820
Soltanto uno scherzo
Un altro vicolo cieco. La ragazza sbuffò e iniziò a percorrere la strada a ritroso, sperando di capitare di fronte alla via d’uscita. Non era certa di quanta strada avesse percorso vagando avanti e indietro lungo i corridoi, sapeva solo che non aveva più intenzione di salire, visto che ogni volta che era arrivata in cima a una rampa di scale, essa era svanita nel nulla intrappolandola in un nuovo piano più pericoloso di quello precedente. Quello era un luogo impossibile, malvagio e insidioso.
Chiedersi di nuovo come fosse arrivata lì dentro non l'avrebbe aiutata a trovare prima l'uscita, poteva solo continuare a cercare, anche perché se non fosse uscita di lì in fretta, sarebbe di certo impazzita.
Fuuka osservò le pareti scure, spettrali a causa della luce viola. Esse si muovevano costantemente, come se il luogo respirasse e vivesse. Le pareti si arcuavano e si modificavano a intervalli di tempo regolari. Nascondevano ombre che si muovevano lungo le superfici, in uno strato appena sotto la parte visibile, la pelle, in alcuni punti scrostata proprio come se qualcosa si fosse liberato dall’interno, creando una ferita.
La ragazza avvicinò di nuovo una mano alla parete, era più calda dell’aria intorno a lei, il Tartarus è vivo. Si sentì ancora più terrorizzata, ma si sforzò nel non lasciarsi andare alla disperazione in modo rumoroso. Non aveva intenzione di attirare a sé le creature che, come vermi, si muovevano silenziose nei punti più bui attorno a lei.
Doveva trovare una via d'uscita o sarebbe impazzita in quel labirinto.
Un essere strisciante le passò di fronte, Fuuka si portò una mano alla bocca per tentare di non urlare, ma sentiva il rumore del cuore martellare nel suo petto più forte di un tamburo, più veloce che dopo una lunga corsa.
E pensare che solo il giorno prima era a casa a sorseggiare un tè caldo e a lamentarsi del mal di testa.
Non solo di quello. Era da un pezzo ormai che Fuuka Yamagishi non si sentiva più felice, da quando i suoi problemi di salute l'avevano resa invisibile agli occhi di quelli che lei considerava, un tempo, i suoi amici.
Era cominciato tutto con una banale influenza che l'aveva costretta a letto per una decina di giorni. I suoi genitori erano entrambi medici e non avevano preso sottogamba i suoi sintomi, costringendola a restare a casa per curarsi.
Fuuka si sentiva in colpa poiché continuava a perdere giorni di scuola, sentiva i suoi genitori parlare fuori dalla sua stanza di quanto fossero preoccupati che non sarebbe mai riuscita a diventare anche lei un medico se non si fosse impegnata di più.
Il senso di colpa l'aveva portata a fingere di sentirsi meglio. Non voleva deluderli, era necessario che si impegnasse negli studi più che poteva. Quindi era tornata a scuola, ma si sentiva debole e a breve fu costretta ad ammettere di non sentirsi ancora bene.
Sua madre aveva iniziato a sottoporla a una montagna di esami per escludere ogni tipo di patologia conosciuta, dalle più comuni a quelle rare. Tutto risultò negativo.
Stare a casa con i suoi genitori significava passare il tempo sotto i loro occhi giudicanti, ad ascoltare parole fredde. "Spero che tu riesca a migliorare almeno un po', così non basta."
"Davvero hai studiato? Quanto tempo ci hai messo a scrivere questa relazione?"
Fuuka si impegnava il più possibile, ma pareva che non fosse mai abbastanza. Anche quando si sentiva soddisfatta del suo lavoro, loro reagivano come se quello fosse il minimo indispensabile.
Non era facile, ma la vita a scuola era diventata persino più difficile. Le domande invadenti dei suoi compagni di classe la mettevano a disagio. "Perché stai sempre male?" oppure "Cos'hai? Sei malata?", fino all'osservazione che le dava più fastidio: "Stai saltando scuola perché i tuoi sono amici dei dottori? Certo che sei fortunata." Se all'inizio Fuuka aveva provato a rispondere con leggerezza e serenità, col passare dei giorni aveva cominciato a evitare i compagni e i loro commenti carichi di risentimento e di invidia. "Pensi davvero che sia felice di passare così tanto tempo a casa?"
"Credi che restare bloccata a letto ed essere costretta comunque a non restare indietro con lo studio sia divertente?"
Aveva iniziato a fingere dolori solo per evitare la scuola. Lo faceva di rado, solo quando sapeva di non avere lezioni importanti o impegnative. Appena i suoi lasciavano l'appartamento per andare al lavoro lei iniziava a studiare seduta in salotto, odorando il profumo dei fiori freschi che in casa sua non mancavano mai, nella pace silenziosa della solitudine.
Natsuki Moriyama era una bulletta da quattro soldi. Fuuka era giunta a questa conclusione la prima volta che avevano parlato insieme, all'inizio del primo anno alla Gekkoukan.
Da allora aveva sempre cercato di ignorare sia lei che le sue due amichette, le chiamava le ombre, perché dove andava la prima, arrivavano subito le altre due.
Si erano ignorate in modo reciproco fino a quando Fuuka non aveva iniziato ad avere problemi di salute, da allora avevano iniziato a prenderla di mira, all'inizio con le domande sulle sue assenze. "Cosa fai fuori casa? Prendi forse lezioni private?" Poi con battutine che nascondevano un velato disprezzo. "I tuoi guadagnano bene, vero? Pensavo di sì. Quella maglietta è dell'anno scorso, giusto?"
Ignorarle non era poi così difficile, in genere rispondeva con un sorriso, senza dare modo alle tre di continuare a pungolarla.
Forse per loro non era così stimolante renderla lo zimbello della classe perché nessuno prestava attenzione a lei. Fuuka si sentiva invisibile agli occhi dell'intera scuola. Tutti quelli che lei considerava amici l'avevano abbandonata: non la invitavano più a uscire insieme a loro, neppure quelli del club artistico. La salutavano a stento e non le chiedevano neppure più informazioni riguardanti lo studio. A volte lei provava a inserirsi nei loro discorsi, ma trovava muri fatti di silenzio e di imbarazzo. Era come se il periodo durante il quale lei era stata male avesse alzato una barriera invisibile tra lei e i suoi amici. Fuuka aveva deciso di non avere la forza di provare a ricostruire la sua vita sociale, scegliendo di apprezzare invece il valore della solitudine.
Per questo, forse, Natsuki l'aveva avvicinata di nuovo e non aveva accettato la sua indifferenza.
La prima volta che si erano finte sue amiche, erano arrivate tutte insieme. Natsuki si era seduta di fronte a lei e le sue amichette si erano posizionate intorno al suo banco, La bulletta al centro e le altre due ai lati, come ombre, in una maniera che a Fuuka era sembrata quasi intimidatoria.
"Cosa fai di bello oggi pomeriggio?"
Presa in contropiede di fronte alla domanda inaspettata, Fuuka aveva risposto: "Niente di importante, devo solo studiare..." Se n'era pentita subito, appena aveva visto lo sguardo di vittoria sul volto di Moriyama.
"Allora vieni con noi? Facciamo shopping." Non le era servita una risposta. Le aveva stretto il polso un po' troppo forte e l'aveva strattonata fuori dall'aula e giù dalle scale senza neppure darle la possibilità di opporsi.
Fuuka si era lasciata trasportare dalle tre ragazze, le aveva seguite ed era salita sul treno con loro. Aveva riso quando Natsuki aveva iniziato a cantare a tutto volume le canzoni famose delle Idol, mimando un balletto sul treno insieme alle sue due amiche. Una volta scese, Moriyama l'aveva di nuovo strattonata per correre giù dalle scale, sotto lo sguardo un po' innervosito del controllore dei biglietti alla stazione. Erano state al centro commerciale di Paulownia, dove Fuuka aveva offerto loro dei frullati di frutta fresca che avevano bevuto insieme "In cambio della loro compagnia" e le aveva accompagnate a provare abiti alla moda e rossetti di colori sgargianti che lei non avrebbe avuto il coraggio di indossare nemmeno nella solitudine della sua stanza.
Tutto sommato non era stato un pomeriggio terribile come se l’era immaginato. Era da tempo che non intratteneva una conversazione libera con qualcuno della sua età e la sensazione le aveva risvegliato il desiderio di avere una vita sociale.
Era vero, le ragazze avevano dei modi un po' sgarbati e spesso Fuuka aveva avuto l'impressione che la stessero prendendo in giro, ma erano anche state gentili con lei, soprattutto quando una di loro aveva insistito perché lei provasse un abito rosso fuoco elegante, ma troppo vistoso per i suoi gusti e lei si era rifiutata. Natsuki le aveva sorriso e con una voce dolce e protettiva l'aveva confortata. "Non ti devi preoccupare, puoi indossare quello che preferisci. Questo lo provo io allora."
Più le ore passavano, più Fuuka si sentiva convinta che le ragazze forse non erano davvero delle bulle, ma semplicemente delle giovani esuberanti che davano un po' troppa importanza all'apparenza. Forse le aveva giudicate male, perché in fin dei conti nell'ultimo periodo lei era stata quasi sempre sola e un po' di compagnia l'aveva fatta sentire molto meglio. Aveva riso, cantato, corso lungo le vie della città e fin dentro casa. Per la prima volta da molto tempo si era sentita mancare il fiato per sua scelta e non per un malessere fisico.
Le due ragazze il giorno seguente l'avevano chiamata di nuovo per chiederle di uscire insieme a loro e Fuuka aveva tentato di rifiutare l'invito. Aveva deciso di tornare a frequentare il club artistico e l'aveva spiegato a Natsuki, che aveva accolto l'informazione con poco interesse. "Allora usciamo domani."
Oltre allo studio, Fuuka aveva davvero poco. Non era esperta di moda, non conosceva i marchi famosi, né tantomeno si interessava al tipo di musica che ascoltavano le ragazze della sua età, eppure quelle tre avevano continuato a invitarla.
“Cosa volete da me?” Aveva chiesto il giorno prima.
Natsuki si era voltata, sorpresa per la domanda. L’aveva guardata come se la vedesse per la prima volta, uno sguardo di consapevolezza sopra le guance abbronzate e coperte di blush.
“Niente.” Aveva risposto. "Solo diventare amiche."
Era uscita di nuovo con loro, convinta che sarebbe stata un'esperienza leggera e divertente, ma si sbagliava. Natsuki l'aveva messa in imbarazzo per la prima volta sul treno. "Smettila di guardare quel ragazzo, Yamagishi. Non vedi che è troppo grande per te?" Aveva usato un tono di voce alto per fare in modo che un ragazzo di circa venticinque anni in piedi al suo fianco, intento a leggere un libro, si sentisse chiamato in causa e tutto il vagone la guardasse. La ragazza era arrossita e aveva passato il resto del viaggio con lo sguardo basso, pensando che non avrebbe pianto, perché non ne valeva la pena, era solo una battuta.
"Oh, scusa, era solo uno scherzo!" Le aveva detto Natsuki con aria innocente appena erano arrivate in stazione. Fuuka si era resa conto di avere sbagliato, ma sentiva di non avere modo di sottrarsi alla compagnia delle tre per quel pomeriggio. Si chiese se da allora in poi non avrebbe fatto meglio a restare direttamente a casa anziché recarsi a scuola. Forse avrebbe chiesto ai suoi genitori di poter fare gli esami in modalità privata, impegnandosi a studiare tutto il tempo, uscendo di casa solo per necessità. Ma non poteva rinunciare a tutto solo per una sciocchezza come quella. Desiderò diventare invisibile e non essere più costretta a vivere in quella società, era così stanca...
"Non te la sarai mica presa davvero?" Le aveva chiesto una delle due amichette. "Natsuki è così, le piace scherzare!" aveva minimizzato.
Fuuka era rimasta con loro e Natsuki aveva usato ogni pretesto per far sì che sia le sue amiche che i passanti ridessero di lei. Prima per la gonna sgualcita, poi per la bocca sporca, in seguito per l'espressione troppo seria. Si chiese se avrebbe mai avuto una via di uscita da quella situazione. Poteva andarsene, ma il giorno seguente sarebbe riuscita a dire loro di no? Non ne era sicura. Si chiese quali opzioni avesse e valutò che l'unica speranza che aveva era convincere le bulle che lei non era così facile da manipolare e da sottomettere. Dovette fare appello a tutto il suo sangue freddo e al suo desiderio di rivalsa per riuscire nell'intento.
Natsuki si era messa in coda per i Takoyaki. "Fuuka, questi li paghi tu, per la nostra compagnia."
"Sei tu che dovresti pagare me per averti sopportata fino ad ora." Le disse, seria. "Ah ah, sto scherzando, che divertente, vero?" Il silenzio che seguì fu la prova che Natsuki non si aspettava una risposta di questo tipo da lei.
"Credo che tornerò a casa, ora. Buon pomeriggio." Fuuka si era allontanata camminando in modo controllato, morendo dalla voglia di voltarsi a assicurarsi che le tre non la stessero seguendo. Cercò di inquadrarle sui riflessi delle vetrine, ma non cedette a voltarsi.
Solo quando salì sul treno si lasciò infine andare a un sospiro: ne era uscita, per ora. Sperava davvero che sarebbe bastato.
Quella notte fece uno strano sogno: lungo le strade illuminate dalla luna, non c'erano più persone, tutti si erano tramutati in bare, solo lei vagava senza meta in forma umana, come una salvatrice in grado di spezzare l’incantesimo che aveva imprigionato gli altri esseri umani.
Il giorno dopo Fuuka si alzò di buonumore, felice al pensiero della chiusura della scuola dei giorni seguenti in vista delle feste che le avrebbero permesso di rimettersi in pari con gli studi in tutta calma. Arrivata alla Gekkoukan aveva trovato Natsuki da sola ad attenderla al suo ingresso. Era di fianco al cancello della scuola. "Buongiorno Yamagishi." le aveva rivolto il saluto accennando un inchino, sul volto un'aria colpevole. "Mi dispiace davvero per ieri, non era nostra intenzione comportarci in modo così maleducato, ma a volte ci lasciamo un po' trasportare. Ti vogliamo chiedere scusa."
Fuuka era rimasta spiazzata da quel comportamento che avrebbe definito maturo e responsabile. Era rimasta a bocca aperta, chiedendosi quanto fosse sincero. "Non importa." Le rispose cercando di fingersi indifferente.
Moriyama si era congedata e Fuuka aveva passato le ore seguenti a seguire le lezioni del giorno, senza pensare più di tanto all'accaduto.
Stava per uscire dall'aula, quando una delle due amiche di Moriyama si era quasi scontrata con lei. "Natsuki mi ha chiesto di invitarti in palestra. Dice che è per chiarire e ci tiene molto. Visto che stai uscendo, se vuoi puoi andare lì direttamente, noi ti raggiungiamo subito."
Fuuka non era certa di volerle ascoltare, aveva camminato lenta, quasi certa che le tre avrebbero di nuovo tentato di farla sentire in colpa, oppure l'avrebbero umiliata con un nuovo scherzo crudele. La speranza però ebbe la meglio e la ragazza decise di assecondare la loro richiesta, in fin dei conti cosa avrebbero potuto farle a scuola? Era pieno di persone che avrebbero potuto sentirla, se non in palestra di certo appena fuori, non erano mica delle criminali, solo delle bullette innocue che lei desiderava tanto considerare delle amiche.
Entrò nel grande stanzone e si mise seduta su uno dei gradoni di fronte alla rete. Erano rivestiti in linoleum e coperti di piccoli elementi in gommapiuma che li rendevano un ottimo posto per leggere e rilassarsi. Fuuka aprì il suo libro e iniziò a leggere. Concentrata nella lettura, non si rese conto di quanto tempo fosse passato, forse una ventina di minuti. Fuuka sbuffò e si alzò, chiuse il libro e lo ripose nel suo zaino per poi alzarsi in piedi e dirigersi verso l'uscita. "Chiedermi di venire qui per poi non presentarsi neppure, che bello scherzo del cavolo." Si lamentò, sapendo che nessuno poteva sentirla. Quando abbassò la maniglia della porta, però, essa non si mosse. Un brivido freddo le corse lungo la schiena: era rimasta chiusa dentro. Bussò forte sulla porta. “C’è qualcuno? Sono rimasta chiusa qui! Apritemi per favore!” Ma dall’esterno ricevette in risposta solo silenzio.
Prima che il panico si impossessasse di lei, Fuuka tentò di ragionare.
Punto primo: era in una scuola, c'era di sicuro un modo per uscire, per esempio una uscita di sicurezza.
Punto secondo: era possibile che ci fosse un dispositivo per chiamare l'esterno.
Punto terzo: quella non era l'unica porta presente nell'edificio.
Respirò profondamente e promise a se stessa che non avrebbe mai più ignorato il suo sesto senso. "Certo, diamo a tutti il beneficio del dubbio, vedi poi come va a finire!" Questa volta a voce più sostenuta.
Provò la seconda porta, ma anche quella era chiusa. L'uscita di emergenza che dava sul campo sportivo invece era stata bloccata dall'esterno con un cacciavite. "Le hanno davvero pensate tutte..." Martellò coi pugni sulle porte sperando che qualcuno la sentisse, ma non c’era anima viva lì intorno. La speranza aveva iniziato ad abbandonarla, ma non tutto era ancora perduto. Raggiunse il citofono e cercò il codice per chiamare l'ingresso della scuola, ma con orrore si rese conto che anche quello era stato staccato. Era persino peggio: non c'era corrente in palestra. Presto sarebbe calata la sera e lei non aveva modo di uscire.
Si sedette di fianco al citofono e si lasciò andare alla disperazione. Pianse di rabbia e di frustrazione. Pianse contro Natsuki, che l'aveva messa in quella condizione, ma anche contro se stessa, perché era stata una stupida ad averle creduto, si era messa in pericolo con le sue stesse azioni sconsiderate. Pianse perché sapeva che i suoi genitori non l'avrebbero cercata. Quel fine settimana sarebbero stati fuori città per una conferenza e in genere non la chiamavano, quindi era possibile che non si sarebbero accorti della sua assenza fino al lunedì successivo, quando si sarebbero resi conto che non era tornata a scuola.
Non aveva con sé un orologio, né aveva idea di che ora fosse quando finalmente riuscì a trovare la forza di guardarsi di nuovo attorno e di valutare le sue opzioni.
"Ridimensiona, Fuuka," si disse, sentendosi meglio nel riuscire a verbalizzare i suoi pensieri a voce alta: "Sei nella palestra della scuola. È vero che sei bloccata qui, ma hai tutto quello che ti serve per sopravvivere fino a lunedì: hai un bagno, puoi perfino farti una doccia, hai coperte, perfino medicinali, in più nei cassetti dell'infermeria ci sono le barrette energetiche che ha messo qui Nishiwaki per il team di atletica. Hai un buon libro da leggere, cibo da mangiare e acqua da bere. Puoi stare tranquilla: sei in completo controllo della situazione."
Non ci credeva, come era ovvio, ma era altrettanto ovvio che le sue considerazioni fossero sensate: non correva rischi immediati e non avrebbe avuto problemi a stare lì dentro in solitudine fino a quando qualcuno non fosse venuto a prenderla. Era anche possibile che una guardia passasse a controllare l'edificio scolastico nel corso della notte e la trovasse lì. In quel caso il problema più grande sarebbe stato spiegare al vigilante cosa ci facesse lì e sperare che le credesse. Era tutto così assurdo…
Doveva credere nella buona sorte e sperare, di sicuro chiusa lì dentro era più sicura che in giro per le strade della città.
Cenò con un paio di barrette e cercò un luogo dal quale poter avere una buona visuale sulla palestra in cui riposarsi per la notte. Trascinò uno dei materassi in gommapiuma, in genere utilizzati per il salto in alto, vicino alla porta di emergenza e si stese lì, dove la luce del sole stava lasciando il posto alla semioscurità della notte di luna quasi piena.
Fuuka pensava che non sarebbe riuscita a dormire, invece dopo qualche ora cedette al sonno.
Fu al suo risveglio che iniziò a vivere l'inferno.
All’improvviso udì un fischio forte e gracchiante. Si sentì risucchiare nelle pareti della palestra, il suo corpo si sollevò e Fuuka si aggrappò d'istinto al pesante materasso e alla coperta che aveva preso dall'infermeria. Cosa stava accadendo? Era forse un sogno?
Intorno a lei la palestra si stava trasformando: le pareti alte e bianche si stavano restringendo, il colore sempre più vicino a quello del sangue. Sentiva un lamento intorno a lei, come un pianto cantilenante che sembrava provenire dall'interno delle pareti, dalle quali stavano iniziando a uscire escrescenze che ben presto assunsero le sembianze di nasi, occhi, bocche e interi volti umani. Il vortice di energia prese forza e la ragazza lasciò andare il materasso.
L'anno prima Fuuka si era recata a un parco dei divertimenti insieme ai suoi amici, insieme avevano deciso di fare un giro sull'ottovolante. Ricordava la sensazione di paura mentre osservava dritto di fronte a lei e il senso di nausea e impotenza mentre il suo vagone si muoveva veloce lungo i binari, la sua testa che sbatteva contro la protezione imbottita, la sensazione di sentirsi spinta in ogni direzione, di non avere controllo sulle proprie sensazioni, mescolate nel vortice di adrenalina. Era scesa con addosso un senso di libertà che non riusciva a definire, aveva lo stomaco sottosopra, ma era felice per avere affrontato le sue paure e per avere vissuto quell'esperienza, nonostante tutto aveva promesso a se stessa che non l'avrebbe mai più ripetuta.
In quel momento si sentiva come allora, ma ogni sensazione negativa era amplificata all'impossibile. Aveva sbattuto contro il pavimento con forza, come se qualcosa l'avesse lanciata a terra. Le braccia e le ginocchia le dolevano, tentò di muoversi e a un primo esame pensò di non avere ossa rotte. Si mise seduta e osservò il luogo in cui si trovava, pensò che fosse una sorta di casa degli orrori. Una luce viola fioca illuminava le pareti, ricoperte da volti mostruosi, per il resto pareva di essere all'interno del corpo di una creatura gigante: escrescenze simili a tendini si snodavano attraverso le pareti, a tratti occupando anche il pavimento. Non c'era ordine, solo caos inumano. Dal pavimento salivano quelle che Fuuka avrebbe potuto definire candele accese di luce viola, formate da venature fini che parevano organiche.
Non era in grado di descrivere ciò che aveva intorno, perché non aveva mai visto niente del genere in vita sua.
"Deve essere un sogno..." Sussurrò.
Prese a camminare lenta, cercando di fare meno rumore possibile. Avvicinò una mano a una delle escrescenze luminose provando a comprenderne la consistenza. Tutto in quel luogo era inquietante e impossibile: la luce viola non era una fiamma, né una lampadina. Era sbagliata: era come se qualcuno avesse tentato di riprodurre una lampadina senza averne mai vista una e il risultato era qualcosa di singolare che le fece venire la pelle d'oca. Non si fidò a toccare quello strano oggetto luminoso, ma posò le dita sulla base sottostante, la cui consistenza era tiepida, quasi simile alla pelle umana.
Che fosse stata ingoiata da un mostro?
Tartarus.
La parola le risuonò nella mente.
Ora ti devi muovere, qui non è sicuro, loro stanno arrivando.
La voce era dentro di lei. Fuuka si guardò intorno per qualche istante.
Forza, scappa! Non farti vedere da loro.
Non era certa di chi fossero loro, ma sapeva che avrebbe fatto meglio a seguire il consiglio. Si fece forza e riprese a camminare. Sapeva d'istinto dove andare. Fece qualche passo in direzione di una rientranza nella parete le lo vide: la creatura strisciante era una sorta di fantasma: un'ombra scura simile a un ammasso di petrolio viscido con lunghe braccia minacciose protese verso l'alto. I suoi grandi occhi bianchi avevano le pupille tonde dilatate, ma non parevano vederla, sembrava costretto a un movimento maledetto, a vagare all'infinito nell'inferno in cui era finita anche Fuuka stessa. Si chiese se prima o poi non sarebbe finita anche lei con l'assomigliargli.
Resta nascosta.
Di nuovo quella voce. Fuuka restò immobile, nascosta nel punto più oscuro di quel luogo terrorizzante.
Non è un sogno, devi stare nascosta.
Si chiese di chi fosse quella voce. Capì il gesto che spesso aveva visto nei film, quando i protagonisti si davano un pizzicotto sul braccio per capire se fossero svegli oppure no. Ci provò anche lei, domandandosi se il dolore che sentiva fosse in effetti reale oppure se anche quello facesse parte dell'incubo che, ne era ancora quasi certa, stava vivendo.
Una parte di lei portò alla sua mente l'idea di chiamare uno di quei mostri e sfidarlo.
No, non è saggio. Non potrei difenderti...
L'amarezza nella voce la convinse a continuare a stare nascosta.
"Devo trovare un'uscita..." sussurrò, sperando in una risposta.
Così non riuscirai a uscire, devi prima accettare la realtà, accettare che io faccio parte di te.
Fuuka non capiva il significato di quelle parole. "Ma tu chi sei?"
Io sono te. Non posso dirti il mio nome, lo devi trovare da sola.
Un rintocco risuonò tutto intorno a lei e il muro che aveva di fronte a sé si aprì in un lungo corridoio. Le pareti che fino a prima apparivano solide avevano preso vita, alla sua sinistra sentì un forte lamento e la ragazza fece un salto in avanti quando notò che la parete si era protesa verso di lei e un grumo di filamenti simili a un ammasso venoso stava salendo dal terreno in sua direzione. Non doveva farsi prendere. Prese a camminare lenta, tenendosi per quanto possibile distante dalle pareti.
Attenta! C'è un'ombra, è dietro l'angolo.
Fuuka la sentiva, tornò indietro e continuò a camminare in cerca di una via di uscita. I corridoi terminavano quasi tutti in vicoli ciechi e più di una volta Fuuka fu costretta a nascondersi in anfratti stretti, cosparsi di bolle simili a materiale purulento.
L'odore negli stretti corridoi a volte però non era così terribile, le ricordava quello della sua stessa scuola: lungo un corridoio aveva sentito il profumo del grande cachi situato fuori dalla palestra, uno dei vicoli ciechi invece le avevano portato alla mente le tempere e gli acquerelli che utilizzavano al club artistico.
I piedi le facevano male, il dolore alle ginocchia la costringeva a trascinarsi più che a camminare, ma Fuuka continuava a provare, doveva esserci una via di uscita. Quando arrivò ai piedi di una scala, si chiese se avesse senso provare a salire. A pensarci bene, quello le sembrava un luogo sotterraneo, quindi decise di tentare.
Percorse i gradini lentamente, cercando di percepire eventuali ombre celate intorno a lei, che si sentiva vulnerabile in quel luogo aperto, dal quale poteva vedere l'immensità del labirinto dall'alto.
Appena giunse in cima, fece qualche passo in avanti. Si guardò intorno: era tutto identico al piano inferiore. Percepì un rumore alle sue spalle e si rese conto che le scale non c'erano più. Erano state sostituite da un ammasso di venature e ingranaggi sgangherati.
"Cosa..."
Non fermarti qui, non è sicuro.
Cauta, esplorò il piano del labirinto in cui era capitata, che cambiò di nuovo sotto i suoi occhi allo scoccare del rintocco. Fuuka iniziò a pensare che le modifiche alla struttura del labirinto fossero legate al passare del tempo, anche se le pareva scorrere più lento in quel luogo maledetto.
All'ennesimo rintocco, Fuuka si chiese se non avrebbe fatto meglio a sedersi e attendere che una delle ombre la trovasse. Aveva sete, era stanca e, se i suoi calcoli erano esatti, era lì dentro da almeno sei ore. Se ancora non aveva trovato un'uscita, forse doveva arrendersi alla realtà che non ce ne fosse una, era possibile che sarebbe morta lì dentro. Che senso aveva continuare a sopravvivere?
D’improvviso seppe che non era più la sola umana in quel luogo desolato, percepì una variazione nella struttura alla base, come se qualcuno l’avesse attraversata con consapevolezza. Ebbe la certezza di dove fosse l’uscita - alla base della torre - e dell’aspetto del Tartarus, come l’aveva chiamato la voce.
Sono arrivati, sono qui vicino...
Li sentiva: altri esseri umani erano intorno a lei, poteva percepirne i movimenti sotto di lei. Non erano vicinissimi, ma si muovevano in fretta e stavano salendo. Erano almeno in quattro.
Ti troveranno, vedrai.
Fuuka continuò a restare nascosta, muovendosi tra le ombre ed evitandole grazie al suo sesto senso e a quella voce nella sua testa. Una luce guida che l'aveva protetta nel suo girovagare inconcludente nel labirinto.
"Mitsuru, non riesco a sentirti... Hai detto che è qui vicina?"
Una voce maschile, non le suonava nuova. La ragazza iniziò a camminare con prudenza verso di lui.
"Mitsuru, dove dobbiamo andare?"
Esistevano davvero. Di fronte a lei c'erano quattro ragazzi in divisa. "Yamagishi, sei tu? Stai bene?"
Erano lì perché cercavano lei? Significava che loro conoscevano la strada per uscire dal labirinto?
"Non so cosa... Voglio solo tornare a casa."
"Ora andiamo, resta con noi. Ci sono alcune cose che devi sapere."
Questo è il tuo destino.
Di nuovo quella voce, Fuuka sapeva che le stava dicendo la verità e presto avrebbe compreso meglio a cosa si riferiva. In quel momento però desiderava solo tornare a casa.