Jan. 31st, 2021

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Fandom: Persona 4
Personaggi: Chie Satonaka
, Yosuke Hanamura, Yukiko Amagi
Intro: All'Amagi Inn la giornata era tranquilla, a ravvivarla un po' arriva una strana telefonata da parte, pare, di Kanji.

Scritta per la Maritombola! Prompt 76: X lavora in un albergo. Riceve una prenotazione a dir poco eccentrica da parte di Y e Z.


L'infallibile piano di Chie

 

 

Era una giornata tranquilla all’Amada Inn. Yukiko era da sola all’accettazione e stava cercando di scrivere una mail di auguri per gli ospiti che avevano soggiornato da loro nell’ultimo anno. Quando il telefono aveva iniziato a suonare, aveva alzato la cornetta in un gesto meccanico.

- Amada Inn, sono Yukiko, come posso esserle utile? - Dall’altro capo della cornetta, aveva sentito un sospiro e degli strani rumori. Credeva di aver captato un è lei, uff… ma non ne era sicura. Era rimasta ad aspettare per qualche secondo, ma dall’altra parte, nessun suono.

- Buongiorno, sono Kanji, - Yukiko aveva sorriso tra sé, chiedendosi se avrebbe fatto bene a salutare Yosuke, facendogli capire che la sua voce camuffata non era per niente credibile, o se stare al gioco.

- Kanji, che bello sentirti, come stai? 

Yukiko aveva sentito la risata inconfondibile di Chie in sottofondo. Che cosa stavano tramando? 

- Bene, bene. Ahi! E tu? - A Yukiko veniva un po’ da ridere, perché Yosuke si era ricordato di abbassare il tono di voce solo a metà frase e questo aveva chiaramente spinto Chie a colpirlo con un pugno.

- Tutto bene. Mi avevi chiamato per salutare?

- No, no. Ho chiamato per prenotare una stanza. - La cosa si faceva interessante.

- Una stanza singola?

- No. Doppia. O due stanze? No: una con due letti però. Non uno solo, no, due. - Yukiko era sempre più curiosa. 

- Ok: una stanza con due letti. A posto così? Metto a nome tuo? - Era evidente che i due non avessero un piano ben preciso, ma Yukiko voleva saperne di più e sarebbe stata al gioco.

- S-sì, mio. E poi volevo prenotare qualche servizio. Giusto? Una cena in camera, si può, no? E vorrei tutto quello che avete di romantico, che ne so. Ah, e un regalo? Ma cosa? Un libro? - Sembrava confuso. Yukiko aveva capito che le domande erano rivolte a Chie che stava cercando di suggerirgli qualcosa che lui non capiva.

- Va bene… Oh, che bello, una bella serata romantica! Kanji, non credevo fossi tipo da sorprese del genere, ti preparerò tutto nei minimi dettagli. Magari mi piacerebbe sapere cosa vuoi di preciso, per chi è questa sorpresa? 

- Ehm… Gra-grazie. - in sottofondo Yukiko sentiva Chie che festeggiava per il loro piano ben riuscito. - Fai tu, ci… mi fido del tuo ehm… gusto?

Yukiko poteva immaginare la frustrazione di Chie nel cercare di suggerire all’amico cosa dire. La cosa era divertente, ma Yukiko cominciava a pensare di aver capito e non le sarebbe dispiaciuto aiutare.

- Allora, Yosuke, mi spieghi cosa state facendo? Passami Chie, per favore. 

- Ecco, lo sapevo che avrebbe capito. La tua voce da Kanji era uno schifo! Lo sapevo! - Chie sembrava arrabbiata. Ma il suo tono era prontamente cambiato nel rivolgersi a Yukiko. - Pronto? 

 

Bene, ora ditemi quale è il piano infallibile per incastrare Kanji e Naoto. 


Adesso

Jan. 31st, 2021 03:41 pm
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Fandom: Harry Potter
Personaggi: Harry Potter, Hermione Granger
One shot
 
Scritta per la Maritombola! Prompt: 86. Friends to Lovers (amici che diventano amanti)
 
Adesso
Harry era il confidente di Hermione da anni. 
Spesso capitava che lei gli chiedesse consigli quando il comportamento di Ron le sembrava indifferente o superficiale e Harry aveva sempre difeso l’amico. In fin dei conti era di quello stesso Ron che Hermione si era innamorata qualche anno prima e lei sapeva quali erano i suoi punti deboli. Harry cercava di supportarla anche se a volte avrebbe voluto dirle che non gli piacevano per niente i discorsi di Ron che lei gli riferiva. È per il suo bene, si ripeteva.
Quella sera Hermione era piombata a casa sua senza preavviso. Si era materializzata nel camino e lui aveva fatto un salto sul divano, il cuore che batteva all’impazzata e la bacchetta tesa, tenuta ben salda dalla mano tremante. “Hermione,” aveva sospirato. “La prossima volta avvisami! Non siete tanti a poter entrare qui, ma non l'hai mai fatto... stavo per schiantarti.” Dopo qualche respiro profondo il cuore di Harry aveva iniziato a rallentare e lui aveva cominciato a notare qualcosa di strano nell’espressione di Hermione.
“Qualcosa non va?” le aveva chiesto, indicandole il posto vuoto sul divano al suo fianco.
Hermione aveva scosso la testa e accennato un sorriso. “No, va tutto bene, adesso.”
Harry si era alzato in piedi e aveva mosso qualche passo verso di lei. “Non sembra tutto a posto… cosa è successo?”
Hermione aveva gli occhi arrossati, ma il suo sorriso si era consolidato e sembrava sincero. “Non ti romperò più le scatole con le domande su Ron. È finita: l’ho lasciato.”
Harry non sapeva cosa dire. Fin dall’inizio della loro storia insieme si era convinto che il loro stare insieme fosse la cosa giusta. 
Era giusto per tutti loro, perché insieme erano più forti: Ron era sempre stato spontaneo ed estroverso. Hermione molto più riflessiva e attenta all’ambiente intorno a lei. Erano due metà della stessa mela. 
Questo almeno era ciò che Harry aveva pensato per molto tempo, soprattutto negli anni precedenti quando stava con Ginny.
 
Poi la loro storia era naufragata quando Ginny aveva iniziato a essere una giocatrice professionista di Quidditch. Si erano allontanati in modo graduale, al punto che quando avevano deciso di lasciarsi si erano sentiti sollevati ed erano rimasti buoni amici. 
Harry aveva pensato parecchio a Hermione nell’ultimo periodo, alla sua amica della quale Ginny era stata gelosa in un passato che ormai era troppo lontano perché lui riuscisse a ricordarlo nitidamente. Per molto tempo aveva cercato di zittire quella parte di lui che gli ripeteva quanto lei fosse troppo per Ron, quanto lei fosse adatta a lui, quanto fosse la donna migliore che lui conoscesse.
Lui era il suo migliore amico, lo era sempre stato. Ma in quel momento la vedeva diversamente: lei era la sua Hermione, la donna al cui confronto ogni altra svaniva.
 
Era di fronte a lui. Si era avvicinata e l’aveva stretto forte. E poi lui aveva sentito le labbra dolci di Hermione sulle sue, ed era stato tutto così naturale che non era stato in grado di ragionare, di pensare al futuro, di dare un nome a quello che stavano facendo.
 
Neppure la mattina dopo, quando Harry si era svegliato e aveva visto Hermione dormire al suo fianco illuminata dallo spiffero sottile di luce che filtrava dalla tapparella, sapeva se per loro ci sarebbe stato un futuro. Non gli importava, del resto, gli bastava il presente.
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Fandom: Persona 5
Personaggi: Goro Akechi, Ren Amamiya
Spoiler!
Scritta per la Maritombola, prompt: 
68. “Non pensavo mi saresti mancato/a tanto.” / “Tu invece non mi sei mancato/a affatto.”
E se tornassi?



Negli ultimi giorni Ren aveva immaginato più volte di vedere Akechi con la coda dell’occhio, al punto che era arrivato a chiedersi se il suo fosse senso di colpa o tristezza per aver perso un amico. Akechi aveva sbagliato, era vero. Era un assassino e avrebbe dovuto pagare per ciò che aveva fatto perché, al contrario dei Phantom Thieves, lui aveva ucciso in nome della giustizia e questo non era perdonabile e mai lo sarebbe stato. 

Akechi aveva pagato con la vita i suoi errori e Ren si era chiesto tante volte come avrebbe fatto a continuare a vivere dopo essersi pentito di ciò che aveva fatto. Ogni giorno avrebbe dovuto fare i conti con le vite che aveva spezzato, con il dolore che aveva causato. Non era sicuro che ce l’avrebbe fatta.

“Ciao, Ren.”

Quando aveva sentito la sua voce si era sentito di pietra. Aveva stretto i pugni e voltato la testa per trovarsi di fronte il sorriso di Akechi, superbo e sicuro come al solito. 

Akechi era vivo e sembrava divertito. “Non pensavo mi saresti mancato tanto, Amamiya.”

 “Tu invece non mi sei mancato affatto, Goro.” Non era vero, ma forse, in effetti, lo sapeva già.

 

La lettera

Jan. 31st, 2021 10:53 pm
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Fandom: originale
One shot
Romantica.
Scritta per la Maritombola! Prompt: 38 https://pixabay.com/it/photos/calzini-camino-comfort-cioccolato-5795254/

La lettera


Clara aveva chiuso gli occhi mentre inspirava profondamente il profumo di lamponi emanato dalla tazza di tè che aveva tra le mani.

Sentiva il bisogno di rilassarsi e di riflettere. La aspettava un momento un po’ complicato.

 

Quella mattina aveva spento la sveglia meccanicamente dandosi da sola il buongiorno e imprecando tra sé per la stanchezza che sembrava essere diventata cronica ormai. Lavorare da casa non le pesava, anzi: il suo piccolo appartamento era accogliente e il non doversi preoccupare ogni giorno di prendere due autobus e sprecare due ore al gelo per arrivare in ufficio non le dispiaceva affatto. Aveva più tempo per se stessa, tempo che comunque aveva sempre dedicato ad altro visto che lavoro e faccende domestiche non mancavano mai.

Aveva indossato di nuovo i calzettoni pesanti a righe bianche e rosse che si era comprata per Natale e aveva acceso le luci dell’albero di Natale che ancora non aveva riportato in cantina. 

Erano passati quindici giorni da quando Sami se n’era andato e il calore degli addobbi natalizi la faceva sentire meno sola, occupando spazio in casa e rendendola più amichevole e viva.

Era sabato, ma aveva passato la mattinata a lavorare perché sapeva che altrimenti i suoi pensieri avrebbero vagato troppo; nel pomeriggio aveva fatto dei biscotti e poi si era seduta sul divano: comoda, con la coperta rossa a scaldarla, e la tazza calda tra le mani. Aveva pensato di leggere qualcosa, ma non ci stava riuscendo, quindi si era limitata a fissare le luci di fronte a lei chiedendosi cosa sarebbe successo di lì a poco.

 

La realtà era che la solitudine la faceva sentire vuota e per questo si aggrappava al lavoro. Si ritrovava a parlare con se stessa allo specchio o, peggio, coi soprammobili della casa. Quella era casa sua, Sami era sempre stato un ospite e lei lo aveva sempre saputo, si era comportato come tale dall’inizio. Non aiutava in casa a meno che non fosse necessario. Aiutare: sua madre le aveva sempre detto che in casa i compiti vanno divisi, ma ogni volta che lui faceva qualcosa tra uno sbuffo e un’imprecazione, poi si aspettava i ringraziamenti da parte di Clara, che più volte gli aveva spiegato il suo punto di vista.

Eppure lo amava, o almeno l’aveva amato. 

A modo suo sapeva essere dolce e premuroso e lei sperava che le parti più infantili del suo carattere col tempo sarebbero svanite, ma dopo un anno niente era cambiato.

Il lockdown li aveva resi nervosi. Stare tutto il tempo insieme nel piccolo appartamento non era stato semplice, ma le era parso che tutto sommato non fosse andata così male. Non litigavano quasi mai, ma questo non voleva dire che fossero felici. Le loro vite erano fatte di silenzi sempre più lunghi. Di frasi non dette per evitare di ferire l’altro. Questo inevitabilmente li aveva allontanati. Ricordava ancora quel due gennaio. 

Aveva aspettato l’anno nuovo, che gentilezza da parte sua.

 

 

 

 

Quindici giorni. Solo quindici giorni per cambiare idea.

Sami aveva riempito le sue due valigie, belle e costose, e se n’era andato. Non aveva avuto neppure il coraggio di dirle in faccia che sarebbe tornato a casa dei suoi. Clara si era chiesta tante volte cosa fosse successo tra loro, come la lontananza avesse preso il sopravvento sull’amore che lei era convinta un tempo fosse esistito. Invece forse si era sempre sbagliata.

Tornata dal supermercato, Clara gli aveva scritto un messaggio perché la aiutasse a portare in casa i pesanti sacchi, ma lui non aveva risposto. Lei aveva fatto due volte le scale carica di sacchetti pesanti, convinta che lui fosse in bagno, e quando finalmente aveva chiuso la porta alle sue spalle aveva visto una busta solitaria sul tavolo.

 

Aveva capito subito quello che conteneva e aveva deciso di darsi qualche minuto per leggerla. Aveva sistemato con cura la spesa cercando di capire quale fosse il sentimento che prevaleva nel suo cuore. Tristezza? No, forse più delusione per come era andato via. Avrebbero almeno potuto affrontare l’argomento. No, forse era stato meglio così. Sentiva anche un certo sollievo al pensiero che non era stata lei a lasciarlo, perché forse così si era evitata la parte della cattiva e doveva ammettere che nell’ultimo periodo aveva pensato anche lei di lasciarlo. 

Clara aveva lasciato passare qualche ora: aveva pulito le scale, aspirato il divano, lavato i pavimenti e i vetri della casa. 

A ora di cena si era resa conto che non avrebbe potuto mangiare se prima non l’avesse aperta. Aveva fatto qualche respiro profondo e aveva strappato la busta. 

 

 

Cara Clara, 

non potevo più stare qui, ma non sapevo come fare.

Sentivo che in tua presenza non sarei stato in grado di andare via, per questo ho approfittato del fatto che tu fossi uscita per la spesa. Mi dispiace.

Starò via per quindici giorni, durante i quali vorrei che non ci sentissimo. 

Concedimi quindici giorni e poi tornerò.

 

 

 

Clara aveva sollevato un sopracciglio nel pensare alla spesa. Siamo pure in quarantena, come consumo tutta quella roba adesso? Si era chiesta come avesse potuto pensare che un comportamento del genere fosse ammissibile per un uomo adulto.

Quella sera aveva pianto, pensando alla fine della loro storia come un fallimento. Ma aveva approfittato dei giorni seguenti per fare ogni giorno qualcosa di buono se stessa e aveva ricordato quanto fosse bello passare il tempo da sola. 

In casa si era accumulata un po’ di confusione, ma non le interessava.

 

 

E ora che i quindici giorni sono passati?

Col tè ormai tiepido tra le mani continuava a pensare al contenuto della lettera. Si chiedeva se lui avrebbe varcato la porta dichiarando Tesoro, sono a casa!

Si aspettava forse che lei gli sarebbe saltata al collo e l’avrebbe baciato? No: in quei quindici giorni lei aveva capito che la sua vita non era finita. Che sarebbe sopravvissuta in qualche modo. Non aveva bisogno di Sami, non più ormai.

 

Il tè era ormai del tutto freddo quando lui era arrivato. Non le importava quello che lui avrebbe detto: Clara intendeva lasciarlo di persona.

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Fandom: originale
2x drabble
Scritte per la Maritombola! Prompt: The Smiths - how soon is now
There's a club if you'd like to go
You could meet somebody who really loves you
So you go and you stand on your own
And you leave on your own
And you go home and you cry
 
I am Human


Mentre si osservava allo specchio, aveva incrociato lo sguardo con i suoi occhi e aveva notato come fossero spenti.
Aveva sorriso e posato di fronte allo specchio, muovendosi al ritmo di una canzone immaginaria.
 
Aveva un bel fisico, un viso senza grossi difetti: era carina. Ma era sola e secondo sua madre il motivo era che non si impegnava abbastanza.
Lei però aveva il suo rito: usciva con le amiche e ballava, la guardavano, la ammiravano, la desideravano. Questo per lei era sufficiente.
Arrivava con le amiche, ballava da sola, tornava a casa sola. 
L’amore era solo una favoletta. 
 
 Hope


La sua migliore amica le aveva sempre detto che l'amore ti trova, non serve cercarlo.
Lei non l'aveva sentito arrivare e aveva finalmente un nome: si chiamava Teresa. 
L'aveva incontrata per caso una domenica mattina al parco. Avevano corso insieme per qualche settimana e ogni volta si erano fermate a chiacchierare.
Quando Teresa l'aveva invitata a uscire, Roberta era rimasta in silenzio. Spaventata perché si era resa conto di desiderarlo e non voleva rischiare una nuova delusione.
"Stasera?" Aveva chiesto poi, raccogliendo il coraggio e dando voce alla flebile speranza che le era rimasta.
"Stasera, andata!"

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