Un lunedì come un altro
Mar. 1st, 2023 09:55 pmOne shot
Originale
Partecipa al COWT 13
Prompt: Pioggia
Parole:
Un lunedì come un altro Aveva fatto colazione con un caffè e un pezzo di panettone avanzato - ne aveva ancora, chissà se l’avrebbe finito entro la fine dell’inverno - e aveva accumulato un lieve ritardo, indugiando più del solito nel leggere le notizie del giorno e si era rimproverata per essere caduta nella classica trappola del clickbait almeno un paio di volte, poi aveva iniziato a prepararsi per uscire e, come sospettava, era arrivato l’imprevisto: si era macchiata la camicia con il dentifricio. In un attimo aveva vagliato tutte le opzioni possibili e aveva optato per un cambio rapido: corsa al suo armadio aveva preso un maglione pesante e poi aveva continuato a prepararsi come sempre. Era uscita un po’ di corsa, ma sicura che sarebbe arrivata puntuale. L’aria delle sette del mattino le pungeva il viso, ghiacciata come i finestrini e il parabrezza della sua auto. Eva aveva acceso il motore e si era stretta la sciarpa intorno al viso per scaldarsi un po’. Il parcheggio che utilizzava abitualmente era a circa un chilometro dall’ufficio, ma non le dispiaceva fare un po’ di strada a piedi e lì trovava quasi sempre un posto libero, infatti così era stato anche quella mattina. Appena aveva girato la chiave per spegnere il motore, però, aveva notato le prime gocce di pioggia sul parabrezza. Aveva sospirato con rassegnazione, pensando che avrebbe preso un po’ di pioggia, ma che non sarebbe stata la fine del mondo visto che aveva sempre un ombrello in macchina. Sempre… almeno così credeva, perché l’ombrello sembrava svanito nel nulla. Nel nulla… o più probabilmente era in ufficio, nel comodo portaombrelli posto di fianco alla porta di ’ingresso. Si era innervosita, del resto la prospettiva di correre sotto la pioggia non la faceva sentire esattamente al settimo cielo e nei pochi secondi che erano passati le gocce erano diventate parecchie: si sarebbe fatta una bella doccia. Aveva al massimo un paio di minuti di tempo prima di essere davvero costretta a uscire da lì: cosa poteva fare per evitare di arrivare come un pulcino bagnato? La risposta era ovvia, perché l’auto era completamente vuota: niente sacchetti, o scatole o libri o giacche o sciarpe. Niente di niente visto che l’aveva pulita proprio per bene. Era stata bravissima. Avrebbe anche potuto chiamare l’ufficio e annunciare il suo ritardo, ma sapeva che le avrebbero chiesto di recuperare ogni singolo minuto, facendole pesare per almeno due mesi e mezzo questa sua grande fortuna chiamata flessibilità, concetto che pareva non fossero in grado di comprendere fino in fondo. “Al diavolo,” aveva esclamato, più a se stessa che alla pioggia. Aveva preso fiato, raccolto la valigetta che conteneva il suo computer con l’idea di proteggerla meglio che poteva, ed era uscita dall’auto con decisione, pronta a una corsetta mattutina. “Eva! Aspetta!” Si era sentita chiamare da qualcuno poco distante. Si era voltata con la sciarpa premuta sulla testa, senza fermarsi, e aveva notato un ragazzo che, munito di un grande ombrello, stava correndo verso di lei. All’inizio non l’aveva riconosciuto, ma nel guardarlo più da vicino aveva capito che era il barista della pasticceria dove a volte andava a fare colazione prima di iniziare a lavorare. Dopo averla raggiunta, il ragazzo l’aveva accolta sotto il suo ombrello ed Eva si era sentita fortunata per la prima volta dall’inizio della giornata. “Grazie, sta piovendo davvero tanto.” Lui aveva scosso la testa. “Questo è il minimo, tanto facciamo la stessa strada.” Aveva sollevato il braccio e lei d’istinto si era agganciata a lui. Una parte di lei si era sentita imbarazzata, perché non avevano mai parlato molto prima di allora, ma lui le aveva sempre dato l’impressione di essere un tipo gentile e sincero. “Sei molto gentile, mi sarei presa un raffreddore con tutta quest’acqua. Ora sono in debito.” Lui di nuovo aveva minimizzato. “Ma non pensarci neanche, l’ombrello è grande abbastanza per tutti e due, non potevo lasciare che arrivassi fino all’ufficio sotto la pioggia, saresti arrivata zuppa. Se ti senti davvero in colpa però accetto volentieri un caffè, o un passaggio sotto il tuo ombrello la prossima volta che pioverà.” Eva era stata al gioco, rispondendo a tono. “Potrei anche passare più tardi, per scroccare il viaggio di ritorno.” Lui aveva annuito: “Allora ti aspetto lì.” Per il resto del tragitto erano rimasti in silenzio a camminare sotto la pioggia battente. Eva nella sua testa lo aveva definito un silenzio rilassato, durante il quale aveva pensato che non le sarebbe dispiaciuto per niente passare un po’ di tempo in più con quel ragazzo di cui non ricordava neanche il nome per essere sincera del tutto. Per questo aveva provato un po’ di imbarazzo in effetti. Il suo accompagnatore la aveva lasciata di fronte alla porta. Nonostante il freddo e i piedi bagnati, Eva non aveva potuto fare a meno di pensare che la passeggiata in compagnia del suo accompagnatore era stata piacevole e che tutto sommato non le sarebbe dispiaciuto se fosse stata un po' più lunga. La giornata era passata lenta, tra le richieste complicate dei clienti e quelle forse anche più impegnative dei colleghi. Fuori però continuava a piovere e più le ore passavano, più Eva sperava che non smettesse. Osservava la finestra di fronte a lei ogni volta che i suoi pensieri si rabbuiavano e si ritrovava a sentire un senso di calore che forse avrebbe potuto associare al suo gentile amico con l'ombrello. Non lo conosceva ed Eva pensava che era molto probabile che lui fosse stato gentile con lei solo perché sapeva che era una cliente abituale del locale per cui lavorava. Al contrario, lei si sentiva in imbarazzo al pensiero di non ricordare neppure il suo nome e il film che si era fatta in testa nel quale grazie a un giorno di pioggia aveva scoperto l’amore della sua vita sarebbe rimasto un sogno a occhi aperti, ma sarebbe stato così sciocco darsi una possibilità? All’uscita dall’ufficio Eva aveva osservato il suo ombrello con esitazione, ma alla fine, preso il suo poco coraggio, l'aveva lasciato lì dov’era per correre alla pasticceria, dove lui la stava aspettando seduto a un tavolo mentre leggeva un giornale. “Ben arrivata, speravo di non essere rimasto ad aspettarti per niente.” Il suo collega dietro il bancone si era rivolto alla collega con un sorriso complice. “Adesso ho capito cosa stava aspettando Ale, ecco perché non se ne andava anche se ha finito il turno due ore fa!” “Gli dovevo un caffè, quindi prendiamo due caffè, per me macchiato e per te, Alessio?” aveva risposto Eva tentando di sembrare sicura di sé, porgendo una banconota da cinque Euro al cassiere. “Lui lo prende sempre liscio, faccio io.” I due erano rimasti seduti per qualche minuto insieme, ma il silenzio rilassato della mattina si era trasformato in un’attesa fatta di tensione, dovuta anche alla presenza dei colleghi di Alessio che sembravano avere fatto una scommessa su cosa si sarebbero detti. Dopo aver bevuto il caffè, Alessio aveva indicato la porta con lo sguardo e i due erano usciti. Di nuovo sotto il suo ombrello, ma questa volta la complicità che aveva sentito solo poche ore prima pareva essersi tramutata in tensione. A Eva era tornato in mente Paolo la fine della loro storia insieme. Si erano lasciati durante un giorno di pioggia invernale, proprio come quello. Era passato un anno ormai e lei non aveva mai sentito la necessità di trovare qualcuno per rimpiazzare il suo ex, ma era sempre stata convinta che prima o poi qualcosa in lei sarebbe cambiato, che sarebbe stata pronta per fidarsi di nuovo di una persona al punto da lasciarsi andare come aveva fatto con Paolo. Era stata lei a lasciarlo, dopo mesi durante i quali aveva cercato di recuperare un rapporto morto, perché sembrava che tra loro non ci fosse che la forza dell’abitudine che li spingeva a restare insieme nonostante nessuno dei due si decidesse ad ammettere che qualcosa non andava. Alla fine entrambi avevano smesso di lottare e si erano lasciati proprio per una giornata di pioggia e per un ombrello. A volte il destino sa essere beffardo, pensava. Senza pensarci troppo, Eva aveva preso il braccio di Alessio, che all’inizio aveva reagito con stupore, ma che poi si era rilassato. La sensazione di naturalezza che provava nel contatto con lui le faceva pensare che in una ipotetica vita precedente i due si conoscessero bene, e subito si era sentita a suo agio. “Grazie per essere rimasto.” Gli aveva sussurrato, lasciando che la sua voce sovrastasse di poco il rumore continuo della pioggia. “Grazie per essere tornata,” Alessio l’aveva guardata negli occhi. “E per non avere recuperato l’ombrello in ufficio.” Eva era rimasta a bocca aperta. “E tu come…” aveva iniziato. Alessio aveva riso. “Non sapevo, ma speravo. Prenderò come un buon segno il tuo ritorno, ancora più di prima. Magari la prossima volta potremmo fare la strada insieme anche senza l’ombrello.” “Oppure potremmo andare a bere un caffè in un posto senza avvoltoi,” aveva proposto lei. Arrivati alla sua automobile si erano salutati. Nonostante la pioggia, nonostante il lunedì, nonostante la camicia macchiata, quella giornata alla fine si era rivelata tutt’altro che pessima. L’avrebbe quasi definita una bella giornata.
Come vuole il cliché, anche per Eva il lunedì mattina era il giorno in cui la sveglia faceva più male. Quella mattina però da subito aveva avuto il presentimento che sarebbe andata peggio del solito.
Chissà se si vede con qualcuno…
Se poi fosse andata male al massimo avrebbe evitato lui, e forse avrebbe anche cambiato lavoro per evitare di vederlo, ma non c’era niente di male nel provare almeno a parlargli. In fondo non era una ragazzina e in ambito lavorativo affrontava ogni giorno situazioni ben più complicate, perché si sentiva così in imbarazzo al pensiero di rivederlo?
Giusto: si chiamava Alessio, le si era presentato più di una volta ormai.