Solo Camilla - Originale
Mar. 20th, 2021 05:41 pm![[personal profile]](https://www.dreamwidth.org/img/silk/identity/user.png)
Fandom: Originale
Genere: Introspettivo
Partecipa al COWT11 prompt: Dio benedica chi se ne frega.(Achille Lauro)
Solo Camilla
Dio benedice chi se ne frega.
Finalmente Camilla l’aveva capito. Ma quanto tempo ci aveva messo? Anni? Forse sarebbe stato più corretto dire decenni, e aveva ancora tanta strada da fare per riuscire ad accettare il fatto che la perfezione non era raggiungibile da nessuno, tanto meno da lei, che era umana esattamente come tutti quelli che l’avevano giudicata in passato e che continuavano a giudicarla.
La colpa era anche di sua madre, che le aveva sempre fatto pesare il suo non essere come lei l’avrebbe voluta: sua madre, aggraziata ed esile, aveva una figlia così differente da lei che faticava a comprenderla.
Da piccola l’aveva iscritta a un corso di danza classica. Camilla credeva che niente nella vita fosse più noioso di quelle lezioni. Aveva provato a chiedere alla madre di stare a casa, perché avrebbe preferito fare i compiti piuttosto di andare a sgambettare a ritmo e in punta di piedi, per uscirne dolorante e annoiata. Avrebbe desiderato cambiare corso e farne uno di nuoto, di pallavolo o di un qualsiasi altro tipo di danza, purché non fosse quella. Ma la mamma non aveva sentito ragioni, costringendola a partecipare nonostante Camilla avrebbe preferito fare ore e ore di compiti invece di stare lì a farsi ripetere continuamente: schiena dritta, pancia in dentro, alta la testa, basse le spalle e alza di più quella gamba...
L’insegnante del corso poi non le stava per niente simpatica. Parlava con un tono di voce più acuto del normale e sospirava sempre quando la guardava. Come se il resto non fosse stato già sufficiente, l’aveva invitata a dimagrire un po’ dimostrando il tatto di un elefante. Solo da adulta ci aveva ragionato su trovando la situazione al limite del denunciabile.
Quella era stata la prima volta in cui si era sentita inadeguata.
Era riuscita a liberarsi del corso alle medie, dove però i bulletti della sua classe l’avevano presa di mira, le loro parole vuote e sciocche la facevano sentire piccola e sbagliata. Si sentiva brutta e sapeva che i suoi compagni la vedevano così.
Non era grassa, non troppo, non allora. Era una ragazza del tutto normale e a riguardare le sue foto, nell’ultimo periodo, si era stupita di quanto invece fosse sempre stata troppo severa con se stessa.
Poi col tempo alle medie si era convinta che comunque nulla contasse, perché anche se fosse dimagrita nessuno l’avrebbe guardata perché era brutta.
In seconda media, quando aveva avuto per la prima volta le sue cose si era sentita ancora più sbagliata. Un trauma: sangue visibile a tutti sui suoi jeans azzurri, chiari e attillati. Ricordava la vergogna e la paura che aveva provato nel vedere tutto quel sangue, perché la mamma le aveva parlato di ciò che un giorno le sarebbe successo. Anche a scuola l’avevano fatto. Ma il trovarsi in quella situazione l’aveva terrorizzata perché l’aveva esposta al giudizio di tutti i suoi compagni di classe.
Il problema non era stato il sangue, né il dolore costante che aveva iniziato a provare da prima di capire cosa le stesse succedendo. Il problema era che non era mai stata così nuda di fronte ai suoi compagni di classe, e la certezza che loro non avrebbero mai permesso che quella macchia fosse cancellata, perché avrebbero dovuto? Considerato che già la prendevano in giro prima, questo era solo un pretesto in più.
La sua parte razionale le ripeteva che era un evento normale, qualcosa che accade a ogni ragazza e che prima o poi tutte si sarebbero trovate nella sua situazione. Sua madre le aveva confessato che più di una volta si era macchiata e che ci si convive. Tra qualche anno ci riderai sopra.
E forse aveva ragione, ma non era ancora il momento. Le risatine dei suoi compagni di classe, i discorsi interrotti quando si avvicinava a loro erano pugni nello stomaco, fatti per colpire la sua autostima.
Poi vennero i brufoli. Camilla ne era piena e se ne vergognava. Con sua madre avevano provato ogni tipo di crema e di sapone, trattamenti della pelle, maschere all’argilla, ma niente: i brufoli se ne stavano lì. Camilla invidiava alcune delle sue compagne di classe, che avevano la pelle liscia come seta, o che avevano i brufoli, ma riuscivano a coprirli senza troppi pensieri. Chiamavano una sua compagna di classe grattugia. Forse lo facevano anche con lei. Non aveva idea di quale nomignolo le avessero riservato, ma non intendeva scoprirlo.
Pensava che avesse qualcosa a che fare con il suo naso, che odiava. Si ripeteva spesso che non appena avesse avuto i soldi per farlo, si sarebbe fatta una rinoplastica per avere un naso che la rappresentasse.
Era il naso a renderla brutta. Invidiava quelle che riuscivano a parlare coi ragazzi, quando lei a malapena rivolgeva la parola ai suoi compagni di classe.
Alle superiori, Camilla aveva trovato la sua dimensione naturale. Aveva delle amiche alle quali teneva e che le volevano bene, passavano insieme pomeriggi di studio e di pettegolezzi e serate tra loro. Camilla però sentiva sempre di avere qualcosa da dimostrare a loro, per lei era come se la loro amicizia fosse un regalo che le stavano facendo. Spesso si chiedeva come mai passassero tutto quel tempo insieme, perché lei non era speciale per niente.
Non aveva il coraggio di cantare insieme a loro perché non era abbastanza intonata. Non ballava, neanche quando uscivano per andare a ballare, perché nonostante gli anni di corso di danza era incapace di andare a tempo e quando a casa, da sola, si metteva in camera a muoversi a ritmo di musica si sentiva ridicola. Era impensabile per lei anche solo pensare di sentirsi libera di ballare. Stava meglio seduta al tavolo a guardare le borse alle amiche, anche perché loro magari avrebbero potuto conoscere qualche ragazzo, mentre per lei non c’erano molte speranze in quel senso. In realtà sentiva che avrebbe dovuto dire alle sue amiche che quei locali non le erano mai piaciuti.
Ci andava per abitudine, per stare con le amiche e guardarsi in giro, per i preparativi prima della partenza e per le chiacchiere mentre tornavano a casa, una volta uscite. Il tempo passato seduta, da sola e assordata dalla musica non era certo memorabile.
Aveva passato i suoi vent’anni a mascherarsi con le altre ragazze, cercando abiti poco appariscenti che la rendessero simile a tutte le altre, ignorando i suoi gusti personali che non erano del tutto adeguati agli standard generali. Si era concessa solo un cappotto rosso in lana cotta che metteva di rado perché attirava troppo l’attenzione.
A trentacinque anni, finalmente Camilla sentiva di avere imparato a conoscersi e ad accettarsi per ciò che era. Era timida e faceva fatica a parlare? Andava bene così, non era necessario per forza parlare con chiunque le rivolgesse la parola.
Dal suo lettino in spiaggia, rideva, finalmente, al pensiero che per anni non era andata al mare per un motivo che finalmente reputava stupido: la cellulite. E chi se ne frega di un po’ di cellulite, ce l’hanno tutte le donne!
Le dicevano le sue amiche quando la invitavano. Tante donne? Probabile, ma loro no. Loro erano perfette. La pelle candida che si scottava facilmente rendeva le sue imperfezioni ancora più evidenti. Ma ormai non era più un problema per lei.
Non le importava più che la gente la fissasse e lei stessa aveva smesso di cercare i difetti negli altri. Si era resa conto che la sua severità nei confronti di se stessa si rivolgeva allo stesso modo anche a chi le stava intorno. Spesso si era chiesta come facesse Biagio a non vergognarsi ad andare in giro con gli stivali da cowboy o con che coraggio Sonia si mettesse spesso a canticchiare nonostante fosse stonata come una campana.
Dopo anni si era resa conto di essere sempre stata lei a sbagliare e per questo si era sentita in colpa. Non era compito suo giudicare i suoi amici o gli estranei, proprio come nessuno doveva sentirsi in diritto di giudicare lei.
Non l’avrebbe più fatto, si era promessa.
Ormai non si sentiva più in imbarazzo a cantare, a muoversi a ritmo di musica a modo suo quando era a una festa di compleanno o a vestirsi come piaceva a lei.
Dio benedice chi se ne frega, ed era ora che Camilla lo capisse e cominciasse a sentirsi più libera. Era ora che la smettesse di avere paura di mostrare la sua vera bellezza.