Disperare - Persona 3
Mar. 29th, 2020 06:54 pm![[personal profile]](https://www.dreamwidth.org/img/silk/identity/user.png)
Personaggi: Mitsuru Kirijo, Takeharu Kirijo
Prompt: La speranza lascia il posto alla disperazione
Disperare
Stava morendo.
Takeharu aveva fallito un’altra volta e finalmente sarebbe stata l’ultima.
Anche nella morte non era in grado di perdonare se stesso per tutti gli innumerevoli errori che aveva compiuto nella sua vita e che non sarebbero bastate dieci vite per espiare.
Avrebbe voluto soltanto pensare a lei, alla sua bambina.
Da piccola, Mitsuru era vivace. Spesso lui e la moglie la sgridavano per le ginocchia sbucciate dopo una corsa o per la sua continua ricerca di nuove avventure. Nonostante non si potesse dire che l’enorme giardino di casa somigliasse a una prigione, immenso e meraviglioso com’era, sua figlia era comunque sola e cercava in continuazione nuovi stimoli, nuove avventure.
Era sempre stata una bambina coraggiosa, indomita. Sua moglie la definiva selvaggia a volte, ed era un po’ vero che nei suoi primi anni, prima che l’educazione severa delle insegnanti private e dei genitori riuscisse a domarla, pareva che il suo spirito libero avrebbe sempre avuto la meglio su qualsiasi tentativo di reclusione.
Lui non era mai stato così: Takeharu aveva sempre seguito le regole, sin dal primo ricordo che aveva di sé non era mai stato come lei e l’uomo si chiedeva se non avesse in realtà preso dalla moglie, anche lei all’apparenza così innocua, ma forte come una roccia quando si aveva a che fare con lei, e lui l’aveva scoperto a sue spese.
Rimpiangeva di aver messo sua figlia in una gabbia in nome della famiglia e dell’azienda che lei avrebbe un giorno avuto in eredità. Invece di sgridarla avrebbe dovuto imparare da lei a essere sempre libero, a non avere paura di esprimere i suoi desideri e le sue paure.
Invece le cose erano andate in modo molto diverso. Si era sempre affidato a qualcun altro per prendere le decisioni nella sua vita, e ogni volta aveva sbagliato.
Fin da quando erano iniziati i primi esperimenti con le ombre lui non era mai stato d’accordo con suo padre: era sbagliato giocare con quel potere sconosciuto, grande e troppo pericoloso per ignorarne le possibili conseguenze.
Lui non era innocente. All’inizio aveva seguito il padre senza remore, senza rimorsi. Le conseguenze non gli interessavano poi tanto, giovane e stupido com’era l’unico suo pensiero era il profitto, la gloria che sarebbe arrivata dopo la scoperta di riuscire a gestire le ombre, di ricavare da loro la magia, che avrebbe potuto essere usata da chi era in grado di gestire il potere dell’evoker. Il potere che sarebbe derivato dalla capacità di far fruttare quel mondo nuovo e sconosciuto ai più, che avrebbe dato loro in conseguenza anche molto denaro.
Il denaro era ciò che di più importante aveva in quel periodo in testa. Per lui era importante che l’azienda crescesse e diventasse la più ricca del Giappone. Da sempre i Kirijo si erano distinti per la loro determinazione e la sua guida che prima o poi avrebbe seguito quella di suo padre sarebbe iniziata in un periodo di grande prosperità per l’azienda.
Mitsuru l’avrebbe ereditata, lui pensava anche alla sua meravigliosa figlia, che anche se piccola e innocente ancora, stava già imparando a comportarsi come loro tutti si aspettavano da lei e a dimostrare la sua intelligenza e determinazione.
Il presidente però non era ancora lui, e non immaginava che lo sarebbe diventato in tempo così breve. Immaginava infatti che suo padre sarebbe stato a guida dell’azienda per molto tempo ancora, ma le cose stavano iniziando a prendere una brutta piega già da un po’ di tempo ormai. Takeharu dopo più di dieci anni ricordava ancora la rabbia che aveva esploso contro di lui quando aveva scoperto degli esperimenti che suo padre aveva condotto all’orfanotrofio. Quei poveri bambini innocenti erano stati condannati a una vira che non meritavano. Solo per il fatto che erano orfani, era stato deciso che il loro fosse un destino sacrificabile. Takeharu si era opposto con forza all’inizio, prima di rendersi conto che la situazione era ormai irrecuperabile.
Le ombre erano senza controllo e l’unico modo di cercare di contenerle era attraverso l’utilizzo degli evoker e di quei bambini che erano gli unici in grado di difendere l’umanità dal pericolo che la Kirijo group aveva liberato sul mondo.
Alcuni di quei bambini erano morti, si erano suicidati dando forma e voce all’accettazione della morte che gli evoker simboleggiavano, ma suo padre le considerava perdite accettabili per il bene superiore, il fine ultimo era, in quel periodo, il contenimento del potere delle ombre.
Ma le cose infine erano sfuggite loro di mano.
L’esplosione aveva distrutto anni e anni di lavoro e aveva portato con sé le vite di quasi tutti quelli che avevano lavorato a quel progetto maledetto. Scienziati, guardie, bambini innocenti e persino suo padre avevano perso la vita nell’inferno che era esploso dal Tartarus ormai dieci anni prima.
Il primo pensiero di Takeharu era stato di chiudere tutto e di fingere che nulla fosse successo. Insabbiare, nascondere, far sparire le prove. Ma non era più possibile ormai, perché era comparsa la dark hour, e gli strani eventi che avvenivano nel Tartarus si erano propagati al mondo reale. E se era in pericolo ora era tutta colpa loro, era soltanto colpa della Kirijo group. Era colpa sua.
Sopravvivendo all’esplosione aveva avuto una possibilità: avrebbe potuto sistemare le cose e rinchiudere le ombre nel Tartarus, da dove erano arrivate.
La situazione però appariva irreparabile e se n’era reso conto dopo la prima luna piena, quando i rapporti avevano indicato l’intensa attività delle ombre, e non solo durante la dark hour.
Suo malgrado, Takeharu non aveva potuto fermare gli esperimenti su quei poveri bambini. Era stato costretto a continuare a metterli in pericolo. Nel primo periodo dopo l’esplosione gli capitava spesso di piangere quando era da solo a casa, pensando a quante vite l’azienda avesse spezzato o distrutto. A quanti ancora avrebbero potuto pagare le conseguenze delle azioni che suo padre aveva preso e che lui aveva seguito senza battere ciglio.
Non aveva scusanti, non poteva smettere.
Persino Mitsuru aveva imparato a usare l’invoker, per aiutarlo, per difenderlo grazie alla sua Persona, come gli aveva dichiarato trionfante dopo il primo successo. Era piccola, innocente e fragile ai suoi occhi, e invece una volta di più gli aveva dimostrato di essere molto più forte di lui, la degna erede di un’azienda che sarebbe tornata pulita per lei, per regalarle un futuro degno di lei.
La differenza tra lei e gli altri evocatori però era che lei aveva fatto una scelta: aveva preso l’evoker, aveva guardato nella canna della pistola e aveva sparato. Senza attesa, senza pianti. Suo padre non aveva visto in lei la minima paura, né un cenno di esitazione. Lei aveva scelto, non come gli altri che erano stati costretti a sentire il potere crescere dentro di loro fino a quando, in molti, non erano stati più in grado di sopportarlo.
Alcuni di quei bambini erano impazziti, altri erano morti. In molti erano stati considerati minacce e lui non aveva più neppure idea di dove fossero.
Si ricordava di Shinjiro. Quel ragazzino aveva una forza fuori dal comune, e grazie ai supplementi era diventato imbattibile. Takeharu nutriva grandi aspettative su di lui, ma il ragazzo era instabile, lo stava diventando ogni giorno di più e la colpa era di certo di quei supplementi che Ikutsuki si ostinava a dar loro, nonostante lui non fosse d’accordo.
Avevano smesso poco prima dell’incidente. Una volta di più un innocente aveva pagato le conseguenze di quelle scelte scellerate che non erano mai state sue, che non avrebbe mai potuto contrastare.
Per questo dopo l’esplosione avevano costruito la scuola. Per cercare di nascondere la vergogna che continuava a tracimare dalle barriere che loro cercavano di mettere ovunque per riparare ai danni che ormai non erano più controllabili.
Nulla di ciò che aveva fatto era servito a riparare un bel niente.
Aveva sbagliato tutto, a cominciare dalla fiducia che aveva dato a Ikutsuki che aveva avuto la possibilità di fare tutto ciò che desiderava a spese dell’azienda, che era stato vicino a Mitsuru quando persino lui non ci era riuscito conquistando anche la fiducia della figlia. Ora tutti sulla terra avrebbero pagato le conseguenze dei suoi errori, tutti a meno che sua figlia e i SEES non fossero riusciti a cambiare il corso del destino che in quel momento appariva deciso e senza speranza.
Avrebbe voluto dirle che aveva sempre creduto in lei, che non si sarebbe mai perdonato di non essersi opposto fin da subito alle idee di suo padre. Che avrebbe desiderato passare più tempo con lei, anche solo per farle capire quanto le voleva bene.
Lei era l’unico motivo per cui nell’ultimo periodo aveva lottato con le unghie e con i denti per riparare a quella situazione che lui stesso aveva contribuito a creare. Non era stato facile resistere, ma senza di lei non ce l’avrebbe mai fatta.
Sarebbe morto entro pochi minuti e l’unico desiderio che aveva era che lei vivesse anche per lui. Lei sarebbe riuscita dove lui aveva fallito miseramente.
Si sarebbe distinta come avrebbe sempre fatto.
Dipendeva tutto da lei, dalla sua sopravvivenza. E anche in quei momenti lui sentiva di non essere in grado di fare nulla per lei. Legata in attesa della morte per mano di Aigis, la creatura che lui e Ikutsuki avevano creato. Un altro dei suoi errori.
Di nuovo lui era inutile: non aveva ucciso Ikutsuki, non aveva aiutato sua figlia e i SEES, non riusciva a muoversi, la sua vista si stava annebbiando.
Poi l’aveva sentita: Aigis li aveva liberati.
Sapendo che sua figlia era viva, sapeva di poter finalmente morire. Di potersi lasciare andare a quel destino che forse aveva invocato un po’ troppo spesso nell’ultimo periodo.
Si rendeva conto che in un certo senso fosse comodo morire e lasciare che il destino di tutto il mondo restasse nelle mani di sua figlia. Lasciare andare le responsabilità e la paura, concedersi alla fine la pace che non sentiva da troppi anni ormai.
Sentendo le braccia di Mitsuru prenderlo e stringerlo a sé, la voce di Mitsuru ad avvolgerlo e a salutarlo, sapeva di potersi lasciare andare. Aveva cercato di accarezzarla, ma il braccio si era fermato troppo presto e lei aveva stretto la sua mano.
L’oblio era così vicino da non permettergli più di pensare a qualcosa che non fosse lei.
Con le sue ultime forze aveva pregato che ci fosse un aldilà perché lui potesse vegliare su di lei e sulla sua vita. Perché lui riuscisse a darle forza quando non ce n’era più. Perché lei si rendesse conto di quanto valeva. Lei era la sua luce, Misturu doveva saperlo.
Mitsuru l’aveva tenuto stretto a sé fino a quando non aveva esalato l’ultimo respiro.
Lui l’aveva guardata negli occhi per tutto il tempo. Non aveva più parlato, dopo aver pronunciato il suo nome. Alla ragazza era parso quasi che desiderasse accarezzarle il volto, ma il suo braccio non era riuscito ad alzarsi. Mitsuru gli aveva preso la mano. e l’aveva stretta con forza, causando solo un gemito strozzato nel padre. Piangeva di rabbia e di dolore, perché avrebbe dovuto capire che qualcosa non andava in Ikutsuki, avrebbe dovuto seguire il pensiero che serpeggiava in lei da ormai qualche mese. Lui era tutto per lei e non era mai stata in grado di dimostrarglielo.
Suo padre la stava lasciando per sempre e Mitsuru in quel momento stava realizzando quanto avesse perso non riuscendo a stare con lui, evitandolo solo per riuscire a diventare ancora migliore, e in quel momento si era resa conto di aver perso così tanto mettendo una barriera tra loro.
Negli suoi occhi aveva sempre visto un’espressione un po’ triste, ma in quel momento era diversa. Vedeva quasi felicità ed era convinta che ci fosse anche amore. Con il suo sguardo, il padre le stava dicendo di essere orgoglioso di lei, e Mitsuru sperava che anche a lui fosse chiaro che lei gli aveva sempre voluto bene.
Non c’è un sentimento più triste del pentimento e la ragazza stava provando proprio quella sensazione in quegli ultimi istanti con il padre. Se solo avesse capito che la fiducia che avevano nei confronti di Ikutsuki era mal riposta lui sarebbe ancora con lei.
Se solo avesse potuto tornare indietro nel tempo avrebbe sparato lei stessa in mezzo agli occhi di Ikutsuki, senza pentimento, senza paura.
Gli occhi di suo padre stavano perdendo la loro luce. Mitusu aveva lasciato andare ogni risentimento e aveva salutato il padre, pensando solo a quanto avrebbe desiderato avere più tempo con lui e a quanto bene gli volesse. Certa che un giorno l’avrebbe riabbracciato.
Avrebbe pianto ancora per lui nei giorni a seguire, Mitsuru lo sapeva bene. Ma avrebbe trovato il modo per finirla con quella storia. Per chiudere col Tartarus una volta per tutte.
Ci sarebbe stato il tempo per la vendetta e Ikutsuki avrebbe pagato.
In cuor suo sperava che stesse morendo dissanguato da qualche parte, anche se una parte di lei desiderava ucciderlo, voleva che fosse la sua mano a calare su di lui e a dargli la morte per tutto ciò che le aveva tolto. Per ciò che aveva tolto a tutti loro.
Si era alzata in piedi lasciando andare il padre.
Nessuno aveva parlato, non c’era nulla da dire. L’unica cosa che dovevano fare era continuare a combattere.