Mar. 25th, 2023

quistisf: (Default)
Originale
One Shot
3753 parole
Partecipa al COWT 13
Prompt: Risiko


Una serata tra amici

Gabriele si fermò allo stop chiedendosi per un secondo se tornare a casa e fingere un improvviso mal di stomaco.
Con tutti i giochi che ci sono al mondo, proprio Risiko hanno scelto…
E pensare che era stato felice quando i suoi amici gli avevano proposto di incontrarsi per una partita a un gioco in scatola, proprio come facevano ai vecchi tempi. Era da così tanto tempo che non succedeva, che avrebbe accettato anche il gioco dell’oca, per quanto lo riguardava, ma Risiko no: era un gioco pericoloso per lui, perché gli faceva tornare alla mente brutti ricordi, ricordi di vere e proprie guerre durante la sua infanzia.
Parecchie volte, in passato, era riuscito a evitare di presentarsi quando i suoi amici ci giocavano. “Ho smesso,” scherzava, “è un gioco che mi fa diventare cattivo.”
Il problema era che non scherzava per niente. Non aveva mai capito quale fosse il motivo, ma giocare a Risiko lo rendeva davvero troppo competitivo. Gli dispiaceva soprattutto perché odiava farsi vedere così da Laura, che pareva avere una capacità di controllo sopra la norma, soprattutto quando si trovava a dover accettare una sconfitta.
Ormai sono cresciuto, prenderò la partita con estrema calma e non mi farò trasportare dal gioco, questa volta. Si era detto, promettendo a se stesso che non avrebbe ripetuto gli errori del passato. Ricordava ancora di quando si era lanciato sul tavolo, sopra la plancia di gioco contro suo fratello nel momento in cui un attacco di quest’ultimo era stato un po’ più fortunato del solito. I genitori li avevano dovuti staccare con la forza e solo dopo qualche ora finalmente Gabriele si era calmato e aveva deposto bandiera bianca. Poi era successo un’altra volta, l’ultima. Aveva lanciato la plancia contro la finestra aperta, facendo cadere alcune pedine. Poi era corso in camera sua urlando di rabbia per la sconfitta.
Il fatto era che il gioco era davvero stupido e, dopo aver provato e perso ad altri giochi in scatola, aveva finalmente la certezza che fosse poco bilanciato e basato un po’ troppo sulla fortuna. C’era di meglio e la serata passata a bisticciare per accaparrarsi obiettivi irrealizzabili e tutti uguali non era esattamente il suo ideale di “bel momento con gli amici.”
Prima di suonare il campanello di Laura, sospirò profondamente. “La prendo leggera, se perdo non importa,” ripeté a se stesso, con poca convinzione.
“Magari cambiamo, troviamo qualcosa di meglio o semplicemente non giochiamo.” continuò a pensare mentre saliva le scale.
Quando entrò dalla porta, sul tavolo c’era già la plancia di gioco. Dentro di sé, Gabriele sentì il desiderio di vincere farsi strada e cercò di strozzarlo, per non farlo arrivare in vista.
Laura lo abbracciò. “Quanto tempo è passato! Mettiti comodo e poi scegli, ordiniamo una pizza e la mangiamo in cucina.” Nel corso degli ultimi anni l’aveva vista poco, poi avevano recuperato i rapporti da quando si era lasciata con Samuele, il suo fidanzato storico. Era sempre stata la sua migliore amica nel gruppo e vederla finalmente sorridere di nuovo in modo sincero, non solo con le labbra, ma anche con gli occhi scuri e profondi, lo fece sentire bene, più tranquillo.
Massimo ed Elisa erano seduti sul divano, mentre Christian stava finendo di sistemare i piccoli carri armati di fronte alle varie postazioni di gioco. “Io prendo i neri.” Comunicò all’amico, che alzò le spalle con indifferenza. “Io prendo quello che avanza.” Non avrebbe ammesso che lui aveva sempre e solo giocato col verde e che avrebbe fatto fatica ad accettare che qualcuno glielo rubasse. “Non c’è Nicky?” cambiò discorso.
“Lei non ama Risiko, non gioca con noi. Viene per la pizza però.”
“Ah, era un’opzione, avrei potuto seguirla anche io.” Rise da solo per la sua battuta, pensando che a fingersi indifferente stava facendo una pessima figura.
“Pizza, devo ordinare perché altrimenti non ce la portano. Scegliete veloci." Laura era riapparsa. “Giallo per me!” La sentì dire mentre leggeva il listino per la cena. Un altro colore andato.
Aggiunse la sua preferenza al blocco notes sul tavolino e si versò un bicchiere d’acqua. Forse poi avrebbe preso una birra, al momento però si sentiva un po’ troppo nervoso per i suoi gusti.
Massimo ed Elisa presero i loro posti sul tavolo di fronte ai carri armati rispettivamente rossi e rosa. Gabriele ne approfittò per mettersi di fronte al suo colore. Era un segno, probabilmente indipendente dal fatto che ai suoi due amici importava poco del colore, a loro bastava sedersi l’uno di fianco all’altra.
“Manca qualcuno?” Chiese quindi Elisa.
“Dovrebbe arrivare Luca, ma è sempre in ritardo e non ha risposto al telefono, quindi tra dieci minuti iniziamo. Intanto ripassiamo un po’ le regole?”
Mentre l’amico spiegava i passaggi e tutti stavano in silenzio, Gabriele pensò agli stili di gioco degli avversari: Elisa non era temibile, giocava per stare in compagnia, ma in genere non amava la competizione e, conoscendola, distruggere un esercito nemico non le si addiceva per indole, quindi immaginava che non si sarebbe impegnata troppo. Christian era molto metodico, ma non aveva una grande fortuna coi dadi e spesso scopriva troppo le sue tattiche. Sarebbe stato semplice metterlo contro gli altri.
Massimo non era un grande stratega, le sue mosse spesso erano più dettate dalla foga del momento che dalle necessità di gioco. A preoccuparlo di più tra i presenti era Laura. La sua migliore amica non parlava molto, ma prendeva le partite sul serio ed era brava a bilanciare le sue tattiche in modo da massimizzare il risultato. Anche Luca poteva essere un problema, nel caso in cui fosse arrivato. Se la cavava bene quando era in giornata, ma spesso si distraeva.
“Un obiettivo potrebbe essere qualcosa come conquista diciotto territori, ciascuno con due armate, oppure conquista due continenti, o ancora potrebbe chiedere di distruggere un’armata avversaria.” Ecco: l’ultimo era quello che preoccupava Gabriele più degli altri. Sperava di cuore di non pescare uno di distruzione, perché l’ultima volta… non era andata bene.
Il campanello suonò e Luca salì le scale correndo. “Sei in ritardo.” Gli disse Laura appena entrò dalla porta. “Scegli la pizza e siediti che altrimenti non finiamo la partita.”
Luca si scusò per il ritardo con la frase che ripeteva ogni volta: ho avuto un imprevisto, volevo chiamare, ma tanto ero già per strada. Poi salutò gli amici e prese posto. “Volevo io i verdi!” Si lamentò.
“Chi tardi arriva, male alloggia.” Rispose Gabriele pensando che in fondo una piccola dose di fortuna l’aveva già avuta.
Sentì Laura parlare con la pizzeria mentre Luca sciorinava i suoi successi lavorativi e al pensiero che la partita stava per iniziare si sentì di nuovo nervoso. Il suo cuore iniziò a battere più velocemente mentre l’adrenalina gli arrivava alla testa. “Iniziamo?” Chiese quando la vide avvicinarsi al tavolo.
“Direi di sì.” Confermò la padrona di casa, che prese il mazzo degli obiettivi e lo mescolò, prima di distribuirne uno per ogni giocatore.
Gabriele raccolse la sua carta e la sollevò tenendola coperta con la mano, per non svelare neppure a se stesso il suo obiettivo senza prima essere pronto a conoscerlo. Respirò profondamente, poi abbassò lento la mano per scoprire che avrebbe dovuto conquistare il Sud America e l’Asia. Non male, pensò mentre osservava la plancia.
Tutti i giocatori rinforzarono i territori dati loro dalla casualità del mazzo con le risorse a loro disposizione, poi restituirono le carte, che vennero mescolate di nuovo per iniziare la partita vera.
“Vediamo chi perde per primo! Vinca il più cattivo!” Scherzò Luca, che rise insieme agli amici. Anche Gabriele accennò una smorfia, già catturato dagli ingranaggi del gioco.
Le carte non erano state molto fortunate, quindi i suoi obiettivi erano difficili e lontani, ma lui come sempre cercò di celare la sua strategia nel corso dei primi turni di gioco e si lasciò andare a un primo turno rilassato, quasi in difesa.
“Attacco Gabri in Africa del Nord dal Brasile!” Gridò Laura, i dadi già in mano.
I dadi, i suoi nemici. “Prova se ci riesci!” Le rispose prendendo i tre dadi di difesa. Dopo tre lanci difensivi particolarmente fortunati, Laura fu costretta ad abbandonare l’attacco. “Ti restituirò il favore!” Dichiarò, pensando che era un buon modo per cominciare a occuparsi del suo obiettivo. In generale dal punto di vista strategico sapeva che i continenti più piccoli erano presi spesso di mira per avere rinforzi più generosi, lui avrebbe fatto lo stesso.
Dopo pochi turni suonò il campanello e Laura corse a rispondere. “È arrivata Nicky, e tra poco arriva anche la pizza quindi finiamo il turno e facciamo una pausa.”
Gabriele approfittò della pausa per osservare i suoi territori: ne aveva solo uno in più rispetto all’inizio della partita, ma il posizionamento delle truppe era buono, così come le carte che aveva in mano.
Gli amici salutarono Nicky, che si sedette sul divano. “Che giornata ho avuto, meno male che adesso posso stare un po’ tranquilla. Come va la partita?”
“Meh, insomma… Potrebbe andare meglio.” Il più sfortunato fino a quel momento era stato Luca, sul quale la coppia Elimo (come chiamavano Elisa e Massimo) aveva sganciato quasi tutti i suoi attacchi.
Gabriele non era sicuro che sarebbe stato in grado di fermarsi per la pizza se fosse stato al suo posto, ma il ragazzo al contrario sembrava aver preso la potenziale sconfitta imminente con stoica grazia ed era probabile che il motivo fosse proprio Nicole, l’ultima arrivata nel gruppo di amici grazie a Elisa, che lui stava provando a conquistare con le sue affinate doti, spesso efficaci.
Avvicinò l’amico quando tutti insieme lasciarono il tavolo e lo prese da parte. “Ehi, Luca… Vuoi una mano a uscire di scena?”
Lui sollevò lo sguardo in un sorriso. “Di solito ti manderei a quel paese, ma non oggi. Diciamo che non ti porterò rancore in caso di attacchi, poi io ovviamente non controllo i dadi e ho delle mani d’oro.” Scherzò, soffiando con leggerezza sui polpastrelli e imitando dei lanci. Ho un talento naturale.
“Si chiama culo.” Rispose Gabriele, “È per questo che non giochiamo volentieri con te, mister talento naturale.”
Luca si mise a ridere e raggiunse velocemente Nicole. Nonostante la pausa, Gabriele non riusciva a evitare di pensare al gioco e a come avrebbe potuto vincere. Mentre gli altri sei chiacchieravano, lui osservava la plancia di gioco: pensava a eventuali ritorsioni da parte degli altri nel caso di attacchi, il problema principale sarebbe sorto se lui avesse attaccato gli Elimo, con Laura non c’era problema perché lei giocava in modo serio, ma non se la prendeva troppo. Christian aveva territori buoni da colpire, ma era messo bene con le truppe e da solo non lo avrebbe tolto dai territori che gli interessavano.
Quando il campanello suonò di nuovo, Gabriele sbuffò.
“La pizza! Gabriele, apri tu?” Gli gridò Laura. Un po’ controvoglia, lui si diresse verso la porta, prese i soldi che avevano raccolto di fianco alla porta e scese a recuperare il cibo.
Al suo ritorno gli amici avevano aperto il tavolo della cucina e si erano disposti intorno occupando tutto lo spazio che c’era nella stanza, recuperando le sedie dall’altro tavolo. “Si sta stretti, ma non abbiamo altro modo.” Laura si sentiva sempre in dovere di scusarsi per le dimensioni del suo appartamento.
“Ma cosa dici, si sta benissimo, e comunque è pizza, si taglia e si mangia anche qui.”
Gabriele posò il suo cartone sul piano della cucina, imitato da Laura, e i due iniziarono a mangiare uno accanto all’altra. “Una cosa non cambia mai: quando arriva la pizza cala il silenzio.” Rise Christian.
“Ci vogliono certezze nella vita, soprattutto col lavoro che ho.” Echeggiò Massimo, l’eterno precario del gruppo.
Luca alzò la mano e si schiarì la voce: “Ecco, potrei presentarti qualcuno.”
La risata di Laura. “No, per carità, non andare anche tu a fare il grande uomo del marketing, ce ne basta uno nel gruppo o ci tocca metterla ai voti per decidere chi è di troppo.”
Lei lavorava da quando ne aveva memoria. L’aveva sempre considerata una persona umile alla quale la vita aveva dato tante sfide da combattere, e lei aveva risposto senza lasciarsi abbattere, almeno all’apparenza. Non era il tipo di donna che si apre con gli amici, ma ricordava di averla vista abbattuta, mentre piangeva dopo l’ennesima brutta notizia riguardante la salute di sua madre, che era morta ormai da tre anni, dopo la sua lunga malattia. L’appartamento era l’eredità dei genitori e lei teneva molto a invitare tutti lì per fare la sua parte e mantenere viva la loro amicizia. Lavorava come segretaria nello stesso posto da ormai sei anni e non aveva grosse ambizioni lavorative, e lei avrebbe potuto, eccome.
“Che ti prende, stai pensando a come uccidermi?” Gli chiese lei. Era evidente che si fosse incantato a fissarla mentre mangiava.
“Sto pensando a come vincere.” Sorrisero entrambi.
“Ecco, tu pensa, bravo, che a fare ci penso io.”
Finita la pizza, Christian e Nicole uscirono a fumare, seguiti da Luca che sembrava aver deciso di placcare la ragazza a vista.
“Porto il caffè se vi va, accomodatevi sul divano.” Gli Elimo uscirono insieme e Gabriele iniziò a impilare i cartoni della pizza. “Li porto giù quando scendo.”
“Grazie, sei sempre gentile.” Solo a guardarla in quel momento si rese conto di quanto fosse facile essere gentile con lei.
“Va tutto bene, Laura?” Le chiese, notando un’ombra di tristezza nel suo sguardo.
“Insomma… Oggi è una bella serata, sono solo un po’ stanca perché devo lavorare parecchio e non mi trovo tanto bene in ufficio da quando è cambiato il direttore. Mi piacerebbe cambiare, ma sono da sola.”
Gabriele ripensò alla storia dell’amica con il fidanzato di sempre: sei anni passati con Samuele, durante i quali la vita li aveva allontanati. Si erano lasciati da più di sei mesi ormai e i rapporti del gruppo erano tornati uniti proprio grazie a Laura, che si era detta dispiaciuta di averli lasciati allontanarsi un po’ troppo e aveva preso nelle sue mani il compito di riportare il gruppo ai bei tempi, cosa che lui aveva apprezzato molto. “Hai bisogno di qualcosa? Posso aiutarti.”
Lei aveva scosso la testa. “Non chiedo soldi agli amici, lo sai. Non preoccuparti, qualche mese di fatica e, se tutto va come deve, riuscirò a cambiare vita. Ora mi basta avere voi vicini.”
Sentì il desiderio di abbracciarla, invece si limitò a prenderle la mano. Aveva sempre pensato a lei come a un’amica, ma nell’ultimo periodo l’aveva vista diversa: era cresciuta in modo più duro rispetto agli altri del gruppo e forse per questo gli era sempre sembrata più adulta, anche quando erano ragazzi.
Era lei a riprenderli tutti quando si comportavano in modo immaturo, era sempre lei a costringerli a rispettare tutte le regole, in genere supportata da Luca. Erano sempre stati un bel gruppo di persone diverse, con passioni e valori in comune.
Gabriele si era impegnato a studiare e per un periodo si era allontanato con l’università, ma ricordava di essersi sorpreso la prima volta che l’aveva vista insieme a Samuele. Un ventiseienne in mezzo al gruppo di ragazzi di diciannove o venti anni sembrava fuori posto, soprattutto lui che non aveva interessi in comune con loro. Samuele era un uomo serio, che lavorava, giocava a calcio e guardava le partite in televisione o allo stadio. Di bell’aspetto, lo vedeva anche lui, ma con ben poco da offrire alla sua amica. Quella sera si era lasciato scappare il commento: “Cosa ci vedrà in lui?” E Luca gli aveva chiesto se fosse geloso.
“Ma quale gelosia, sono solo preoccupato per la mia amica, perché mi ha parlato di fuorigioco e io non so cosa sia. Che sia una malattia?” Aveva scherzato. Gabriele non aveva mai pensato a lei in quel modo, ma all’improvviso aveva iniziato a credere che lui sarebbe stato una scelta migliore, lui avrebbe saputo come renderla felice. Nel corso degli anni aveva pensato spesso a cosa avrebbe potuto fare se i due avessero preso strade diverse. Si era visto mentre la salvava dalla tristezza di una vita noiosa, ma quando lei aveva avuto bisogno di aiuto con la malattia della madre, Samuele le era stato vicino. Almeno all’apparenza. In seguito Laura aveva confessato a Elisa di aver chiesto anche a lui di lasciarla da sola, e proprio in quel periodo i due avevano iniziato ad allontanarsi in modo sistematico e irrecuperabile. Quando si erano lasciati, non era stata una sorpresa per nessuno.
“Tu puoi sempre contare su di me.” Le disse, ma la reazione dell’amica fu di shock. Gabriele si subito pentì della sua frase da film scadente doppiato male e cercò di sdrammatizzare, lasciando subito andare la sua mano. “Scusa, ho visto troppa TV in questo periodo, non farci caso.” Lei continuò a fissarlo mentre indietreggiava, ma sembrava felice.
“Ok, magari puoi aiutarmi a fare i caffè, Mr Forrester.”
“Mr cosa?” chiese, confuso.
“Sai, quello di Beautiful, mi pare si chiamasse così. Lo guardava sempre mia mamma, nell’ultimo periodo recuperavamo le puntate insieme. Roba da boomer.” Rise.
Gabriele portò fuori i caffè e si mise a osservare la plancia, Laura dall’altro lato faceva lo stesso, mentre teneva la tazzina con entrambe le mani il suo sguardo passava da un lato all’altro, veloce, un ghigno di soddisfazione si formava lento sul suo viso. Come immaginava era la sua avversaria più pericolosa.
“Ok, andiamo avanti che la notte è breve e noi stiamo invecchiando.” Dichiarò, battendo le mani.
Dopo pochi assalti Luca era ormai fuori gioco, partecipava in modo distratto ed era chiaro che avesse perso i suoi obiettivi. Gabriele da un lato sperava che qualcuno avesse l’obiettivo di distruggerlo per concludere la partita, ma non fu così e quando dichiarò la sua sconfitta, salutò e corse sul divano a sedersi di fianco a Nicole. “Ho perso per non farti sentire sola, stasera.”
La partita proseguì in modo piuttosto equilibrato: Gabriele capì che la sua Asia non era un obiettivo ricercato. In fin dei conti era il continente più impegnativo, al contrario del sud America, che pareva molto più gettonato. In breve Laura si appropriò dell’Africa e Christian dell’Oceania. Gabriele cercava di colpire sempre il giocatore più forte tra quelli presenti in Asia e, lentamente, stava conquistando una buona parte dei territori. “Si sa che chi prende la Kamchatka vince la partita,” dichiarò mentre avanzava sul territorio che fino a quel momento era stato di Elisa.
Passò un’altra mezz’ora di stallo. Quando Christian lo sconfisse di nuovo in Brasile, Gabriele si sentì all’improvviso colpito sul vivo, come temeva la competizione stava iniziando a renderlo impulsivo. Contò fino a dieci mentalmente, come si era promesso di fare, poi durante il suo turno cercò di recuperare, senza successo. Rosso in viso, abbandonò anche il Venezuela e con esso la sua presenza in Sud America.
Fu felice poi quando Laura diede una bella lezione al suo amico, indebolendo le sue truppe, senza però riuscire a prendere il territorio.
Tre turni dopo, Massimo sbuffò. “Stavo quasi vincendo e non ho più niente.” Osservò. Ci volle poco per metterlo fuori gioco e il colpo di grazia gli fu dato proprio da Elisa, che senza pietà ignorò il loro tacito accordo di non belligeranza. “Mi dispiace, ma ormai sei andato.” Anche lui si accomodò sul divano a sbollire e a sorseggiare il liquore alle erbe che Luca aveva tirato fuori su consiglio di Laura.
Erano rimasti in quattro e purtroppo Gabriele doveva ammettere di essere quello messo peggio. Elisa appariva a suo agio, pronta a dargli il colpo di grazia, ma appariva più propensa a battersi con Laura, che nel corso degli ultimi turni aveva, citandola: “Perso qualche truppa di troppo.”
“Ok, pausa.” Propose Christian, ed Elisa aggiunse: “Devo andare in bagno.”
“Io prendo da bere.” Propose Laura, che andò in cucina, seguita da Gabriele che quella sera si sentiva quasi ipnotizzato.
“Che ti prende?” Gli chiese l’amica nel vederlo dietro di lei.
“Cosa?”
“Sei strano stasera. Sicuro di stare bene?” Una pausa. “Devi dirmi qualcosa?”
Lui si sentiva in crisi. Sapeva di doverle dire qualcosa, ma non era sicuro che fosse la cosa giusta. “Porto giù i cartoni della pizza, così faccio due passi.” Lei annuì, passandogli la spazzatura.
“Speravo in qualcosa di diverso, ma mi accontento.”
Mentre scendeva le scale, Gabriele si chiese quanto gli importasse davvero della spazzatura o della partita. Avrebbe voluto parlarle, dirle che forse tra loro le cose potevano essere diverse, ma non voleva rovinare la loro amicizia. Quando tornò di sopra la trovò ancora in cucina, a osservare il microonde dove scoppiettavano i pop-corn. Depositò il contenitore vuoto e tentò con l’unica frase che sentiva di poterle dire senza conseguenze disastrose. “Non mi dispiacerà se sarai tu a vincere.”
Lei non si voltò, ma sorrise. “Neanche a me dispiacerà se sarò io a vincere.”
La fine della partita arrivò in pochi turni. Elisa puntò tutto sul distruggere Christian, che non fu aiutato molto nei suoi tentativi di difesa. Gabriele era a due territori dalla vittoria quando l’armata di Laura gli conquistò nuovamente il Brasile per poi dichiarare la vittoria.
Stranamente, non sentiva rabbia. Alzò le spalle ed evitò di parlare.
“Questo gioco non mi piace proprio,” si sentì di commentare Christian, che l’aveva scelto.
Gli amici si sedettero sul grande divano e sui cuscini posti sul tappeto a parlare insieme per un po’, prima di iniziare a salutarsi.
“Forse è meglio che vada anche io,” disse Gabriele quando Christian e Nicole presero i cappotti.
“Certo, ma posso chiederti un favore prima?” Gli chiese Laura. “È una cosa veloce, un piccolo aiuto.”
“Sì, cosa ti serve?” Lei fece cenno di aspettare e insieme salutarono i due amici, poi chiuse la porta.
Era in silenzio. “Mettiamo via il gioco intanto?” le propose.
Lei annuì. Sembrava che stesse cercando le parole giuste. Gabriele quindi decise di usare il suo coraggio. In fin dei conti pensava che i due volessero la stessa cosa da come stava andando quella sera. Richiuse il coperchio e le si avvicinò.
“Ti vedi con qualcuno?”
Laura alzò lo sguardo. “No… e tu?”
“Neanche io. Dici che rischieremmo troppo se provassimo a…” Si fermò nel vedere il sorriso aprirsi. Gabriele fece un passo verso di lei e, che gli accarezzò i capelli con una mano. “No, mi piace rischiare, lo sai.”
quistisf: (Default)
Fandom: Persona 5
One Shot
Slice of life
Prompt: Monopoly
Parole: 1514
Partecipa al COWT 13


La scatola dei ricordi


Quando Futaba aveva visto la scatola vecchia e impolverata sullo scaffale del negozio, aveva urlato di gioia ed era corsa a prenderlo, spaventando Ren a morte.

“Questo è Monopoly, ci giocavo sempre con la mamma quando ero piccola!” Si era voltata a guardare il suo amico con la scatola di una vecchia edizione del gioco in mostra, stretta tra le mani, la speranza negli occhi: “Lo compriamo? Ci giochiamo insieme?”

Lui aveva provato a rifiutare la proposta, poiché nei suoi ricordi quello non era esattamente un gioco nelle sue corde, ma non sembrava che Futaba avrebbe accettato un no, infatti prima ancora di ascoltare la risposta, era già partita verso la casa con la scatola stretta tra le braccia.

“Torno questa sera che facciamo una partita!” Aveva proposto, o meglio, aveva deciso.

Rassegnato, Ren aveva accettato. “Magari chiamo qualcun altro, almeno ci provo…” Era piuttosto sicuro che nessuno dei Phantom Thieves avrebbe accettato di andare da lui a giocare. Forse avrebbe potuto provare a sentire Hifumi, ma non credeva fosse una buona idea, dal momento che lei e Futaba non si conoscevano e non era molto semplice stare con Futaba, soprattutto quando si lasciava andare alle dinamiche delle sfide, anche quando erano rappresentate da semplici giochi in scatola, visto quanto si era dimostrata competitiva, non accettava la sconfitta senza prima combattere con tutte le sue forze.

“Stasera chi c’è per una partita a Monopoly con me e con Futaba?” aveva tentato, cercando di suonare affabile.

“No, grazie. Devo studiare.” La risposta di Makoto era arrivata all’istante.

“Che cos’è Monopoly?” Yusuke, fuori dal mondo come sempre.

“Tu no, Inari. Stai a disegnare le tue cose.” Almeno lui aveva una scusa, pensò Ren senza tentare di convincerlo a partecipare alla serata, meglio che ne approfittasse.

“Io ci sto! Arrivo alle otto, è da tantissimo che non gioco.” Ann era sempre una buona compagnia e sapeva mettere Futaba a suo agio, non sarebbe stato male giocare con lei.

Nell’attesa della risposta di Ryuji, Ren era sceso ad aiutare Sojiro e a prendersi un caffè. “Futaba mi ha detto che stasera ha impegni.”

“Sì, ti ha detto del suo nuovo, fantastico acquisto?”

“No… devo preoccuparmi?”

“Io devo preoccuparmi, credo. Ha comprato Monopoly, mi ha anche spiegato che ci giocava con Wakaba e che ne ha un bel ricordo.”

Sojiro aveva iniziato a ridere a crepapelle. “Certo che me lo ricordo. Non vorrei essere inopportuno, ma posso unirmi a voi stasera?”

Ren era rimasto spiazzato dalla richiesta, ma aveva annuito. Aveva scritto semplicemente “Trovato il quarto giocatore!” nella chat, per poi continuare a lavare le tazze sporche del LeBlanc.

“Sarà interessante.” Aveva aggiunto Morgana, mentre si grattava la testa.

Quando Futaba entrò, facendo trillare il campanello della porta di ingresso del locale, ad accoglierla c’erano già tutti i partecipanti alla gara serale. Sojiro aveva preparato una cena per tutti. “Ti stavamo aspettando.” Le aveva detto, i piatti pronti da riempire e la tavola già pronta.

Avevano cenato con calma, chiacchierando del recente problema che aveva causato Medjed con quelle strane richieste ai Phantom Thieves.

“È la prima volta che ceniamo tutti insieme,” aveva osservato Ann. “E anche la prima volta che giochiamo tutti insieme, solo che non ho capito chi è il quarto…” Aveva guardato Morgana, che però aveva scosso la testa, ridacchiando.

“Giochiamo con Sojiro.” Ren aveva pronunciato la frase tra un boccone e l’altro, senza neppure sollevare la testa.

Futaba aveva lanciato un urlo di gioia, terrorizzando la povera Ann che non si era ancora abituata alle reazioni di entusiasmo della sua nuova amica. “Che bello, come ai vecchi tempi!”

Il gruppo aveva ripulito, mentre Futaba aveva iniziato a preparare la plancia di gioco.

“A me piacerebbe questo funghetto!” Ann aveva preso la pedina e l’aveva posizionata di fronte al suo posto.

“La mamma usava sempre la pera, io la mela. Perché lei era più alta e io più piccola. Le dicevo sempre così.” Futaba aveva preso entrambe le pedine e poi aveva posizionato la mela sulla plancia. “Questa la tengo come portafortuna.”

“Io invece usavo il fiaschetto.” Aggiunse Sojiro, scegliendo la pedina.

“Questo significa che io posso essere la candela, oppure questa bella piantina. Il verde porta bene, dicono. Pianta sia.”

La partita era iniziata in modo tranquillo: tutti compravano sistematicamente le proprietà sulle quali capitavano, sperando poi di riuscire ad accaparrarsi almeno un gruppo di proprietà complete sulle quali costruire le proprie case e poi gli alberghi.

Ren amava la competizione, ma quel genere di gioco non l’aveva mai attirato. Non gli piaceva l’idea di dovere fare aste per vincere le proprietà, come non amava il pensiero di guadagnare soldi alle spese di altri partecipanti basandosi sulla fortuna dei dadi. Lui amava la strategia e proprio perché conosceva le caratteristiche di Futaba si era chiesto come mai la sua nuova amica, così abile nell’uso delle sue doti tattiche, aveva scelto proprio un gioco basato sulla persuasione e sulle doti sociali, più che sulla strategia pura e mentale.

La partita era stata tutto sommato noiosa, fino a quando Ann non aveva convinto Sojiro a venderle Parco della Vittoria al costo nominale della proprietà, alla quale lei aveva aggiunto viale Costantino, sostenendo che gli sarebbe potuta essere utile per il futuro. Le capacità di persuasione della ragazza avevano avuto effetto, proprio come lo avevano sulle Ombre che combattevano ogni volta che andavano nel Metaverso, e in breve Ann aveva iniziato ad arricchirsi, grazie alle case e agli alberghi che aveva iniziato a costruire in tutte le sue proprietà.

Ren tutto sommato se la stava cavando discretamente, ma tra Sojiro e Futaba era in corso una sorta di guerra tra poveri. Come immaginava, Futaba al contrario di Ann non possedeva tecniche di persuasione adatte al gioco, la sua strategia non poteva avere effetto per il semplice fatto che non aveva mai avuto le carte per riuscire a vincere la partita e i dadi le erano stati tutt’altro che amici nel corso dei primi giri di gioco.

Nell’ipotecare una proprietà, Futaba aveva sbuffato sonoramente. “Questo gioco non è divertente come me lo ricordavo. Ed è anche parecchio lungo.”

Ann, al contrario, appariva così a suo agio nella sua ricchezza da sembrare una principessa malvagia. Morgana la stava osservando con adorazione, in silenzio per una volta.

Sojiro ridacchiava ogni volta che qualcuno capitava su una delle sue proprietà e chiedeva i soldi con fare solenne, perfettamente calato nella parte.

“Ho perso.” Aveva constatato Futaba nel tentare di vendere l’ultima delle sue proprietà. A quel punto i giocatori si erano guardati e avevano convenuto che la partita fosse durata abbastanza.

Ann si era proclamata vincitrice e Futaba le aveva regalato il gioco, sostenendo che non fosse stato divertente, ma accettando di fare una nuova partita insieme a lei in futuro, “Quando sarò più allenata a trattare con le persone.” Aveva proposto.

Sojiro si era offerto di accompagnare a casa la ragazza, dal momento che si era fatto tardi, e Futaba era rimasta rannicchiata sulla panca del LeBlanc.

“Bevi qualcosa prima di tornare a casa?” Le aveva chiesto Ren.

“Sai, quando ero piccola non giocavo così a Monopoly all’inizio. Le prime volte usavo le vie per inventarmi storie e la mamma le ascoltava.”

“Te ne ricordi qualcuna?” Le aveva chiesto.

“No. Ricordo poco di quel periodo, ma so che le mie pedine preferite erano sempre la mela e la pera, e so anche che la mamma all’inizio non voleva che giocassi così perché il gioco non era suo. Ora credo che fosse di Sojiro. Lui però non mi ha mai detto niente di male. Non si è mai lamentato.”

Ren si era seduto di fronte a lei. “Ti è dispiaciuto giocare così? Con le regole?”

Lei aveva scosso la testa. “No, dopo un po’ la mamma mi ha insegnato le regole giuste. A me non piacevano e ne avevo proposte di migliori, ma lei mi ha convinto a stare alle regole come tutti, anche se non mi piacevano.”

“Credo sia una cosa importante.”

“Tu le assomigli, sai?”

Ren non sapeva cosa dire. “A Wakaba?”

“Sì, perché mi proteggi da quello che mi fa paura e mi aiuti ad accettarlo. Anche adesso coi Phantom Thieves mi stai aiutando a prendermi cura di voi, usando i miei punti di forza per la squadra. Io sono contenta di poter stare insieme a voi, di combattere insieme.”

“Non c’è niente di male a voler passare del tempo seguendo le proprie regole, a volte.”

“No, lo so. Infatti mi sono un po’ pentita di avere lasciato il gioco a Panther. Quasi quasi domani glielo chiedo indietro per farmi una partita come quando ero piccola. O semplicemente per inventarmi delle regole migliori.”

“Oppure potremmo fare un altro gioco, uno adatto ai tuoi punti di forza.”

“Come il gioco dei mimi!” Aveva proposto scherzando Futaba. “O Pictionary, quello che piacerebbe tanto a Inari dove si fanno i disegni!” Futaba aveva sollevato l’indice. “Ho un’idea…”

Quando Sojiro era tornato, pochi minuti dopo, li aveva trovati seduti sul tavolo a scrivere una lunga lista. Il titolo era GIOCHI DA PROVARE CON REN E SOJIRO.

Profile

quistisf: (Default)
quistis

April 2025

S M T W T F S
  1234 5
678 9101112
13 141516 17 18 19
20212223242526
27282930   

Most Popular Tags

Style Credit

Expand Cut Tags

No cut tags
Page generated Jul. 16th, 2025 11:46 pm
Powered by Dreamwidth Studios