Apr. 3rd, 2023

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Originale
Prompt: Fossili
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One shot


La gita al fiume

La prima volta che aveva visto un fossile, Giulio aveva sette anni.
Era molto probabile che gliene fossero passati altri sotto gli occhi, ma all’epoca un sasso valeva l’altro. A scuola poi però avevano parlato dell’origine dell’universo e l’idea che qualcosa potesse arrivare alle sue mani da un passato così lontano lo affascinava e attirava come una formica viene attirata dallo zucchero.
Doveva vederne uno anche lui, magari un po’ di più. Sognava di andare a caccia di fossili, perché la sua amica Alice gli aveva assicurato di averne visti almeno dieci mentre camminava lungo il fiume, tra i migliaia di ciottoli arrotondati dallo scorrere dell’acqua.

“Forse la tua amica ha esagerato un pochino,” aveva provato a convincerlo sua madre, ma Giulio non aveva voluto sentire ragioni e aveva usato tutte le armi a sua disposizione per cercare di farsi portare al fiume: li aveva pregati con occhi dolci e tristi, aveva promesso che si sarebbe impegnato a scuola come mai prima di allora e si era offerto di giocare con il suo fratello più piccolo senza lamentarsi come faceva di solito. La mamma non era apparsa impressionata da tutti i suoi tentativi, ma non aveva detto di no. “Giulio: non pensarci adesso che è lunedì, vediamo cosa succede fino a domenica, chissà quanto durerà quest’idea di cercare fossili.”

“No, mamma, ma è per la scuola, la maestra ha detto che non se ne trovano, ma Alice invece ne ha tanti.”

“Davvero? E come mai secondo te non ne ha portati?” Gli aveva chiesto, e la motivazione del bambino era improvvisamente calata.

Giulio aveva osservato il pavimento con intensità, aggrappandosi all’idea che la sua amica non gli avesse mentito, che ci fossero davvero. “Ma…”

La mamma allora aveva sospirato. “Non preoccuparti, magari non ne ha visti cento, ma due o tre e ha esagerato un pochino. Non aspettarti che se andiamo al fiume ci saranno fossili dappertutto, perché è una ricerca da fare con attenzione e non è detto che ne troveremo. E se dovesse piovere dovremo rimandare, lo sai?”

Il bambino aveva annuito, il volto illuminato da un sorriso. “Allora possiamo andare?”

“Per una volta che dici che ti vuoi impegnare per la scuola, come faccio a dirti di no?” Gli aveva risposto, chinandosi ad accarezzagli il capelli con una mano.

Giulio aveva urlato e le era saltato al collo. “Grazie, mamma!”

Il giorno seguente, a scuola, aveva rivelato le sue intenzioni alla maestra di storia, che aveva continuato a scrivere alla lavagna, ma gli era sembrata felice del suo interessamento al passato. “Ci racconterai come è andata, allora”

Per tutta la settimana, Giulio si era immaginato impegnato a controllare i sassi uno per uno. Nei suoi sogni era vestito di tutto punto, con una cintura col pennellino come gli archeologi e i paleontologi disegnati nel suo sussidiario. Una torcia per illuminare meglio i suoi reperti. Sognava di trovare trilobiti, felci e interi invertebrati visibili in modo perfetto e preciso, proprio come quelli che popolavano le pagine del suo sussidiario e dei libri che gli avevano regalato i genitori per aiutarli a rispondere alle continue domande di Giulio sul mondo preistorico, ormai quasi del tutto svanito.
Poi domenica era arrivata e, con suo grande disappunto il cielo era buio, carico di nuvole. Una fitta pioggia cadeva dal cielo. Niente fiume, niente fossili.

La mamma l’aveva chiamato per la colazione e lui si era diretto al tavolo mesto. Si era seduto e, giocherellando col cucchiaino, aveva guardato la tazza piena di latte e cacao senza il desiderio di mangiare.

“Hai visto, alla fine piove.”

Giulio aveva sospirato. “Non possiamo andare al fiume.”

“Chissà,” gli aveva risposto la mamma, dando al figlio un barlume di speranza. “Il fiume non è l’unico posto dove trovare dei fossili, lo sai?”

“E dove li posso prendere?”

“Prima di tutto, devo confessarti che trovare i fossili non è per niente facile. Quando ne trovi uno, lo devi consegnare, non te lo puoi tenere a casa. Resta il fatto che osservare le pietre è molto interessante, spesso dentro ci puoi trovare tracce degli insetti che le hanno percorse, il colore e la forma spesso ci raccontano dove le rocce e i sassi sono stati e la storia che hanno avuto. A te questo interessa, vero?”

“Sì! Per quello voglio vederle.”

“Perfetto! Allora non andiamo al fiume, ma al museo di storia naturale. Lì vedrai: si possono vedere tutti i fossili che vuoi, e poi ci sono anche le ossa di alcuni animali preistorici. In più ci sono anche tutte le spiegazioni, così a scuola poi magari non porti niente, ma puoi spiegare cosa hai visto ai tuoi compagni. Ti piacerebbe andarci?”

Il bambino piegò la testa, pensoso. Sapeva cos’è un museo, ma non era sicuro di volerci andare. Quando era stato al museo coi genitori, l’estate prima, avevano passato ore a guardare quadri tutti uguali e si era annoiato a morte. Da quella gita gli era rimasto solo un grande male ai piedi.

La madre parve leggergli nella mente. “Non preoccuparti, non è un posto grande come quello che abbiamo visto a Firenze. Questa volta andiamo insieme, solo io e te. Lasciamo a casa il papà e Filippo e noi cerchiamo di passare una bella giornata insieme, ti va?” Giulio corse ad abbracciarla. Aveva fiducia in lei ed era sicuro che non l’avrebbe preso in giro.

Arrivarono al museo dopo un lungo viaggio in automobile, durante il quale Giulio aveva studiato il suo libro sugli animali preistorici. Un po’ gli dispiaceva che il padre e il fratellino fossero rimasti a casa, ma la motivazione della mamma gli era sembrata più che valida: “Così possiamo andare con calma, perché sia il papà che Filippo non hanno molta pazienza, sei d’accordo?” Lo era.

Nei sogni del bambino, la ricerca dei fossili era poetica, come una caccia al tesoro divertente, come un gioco. La visita al museo invece fu molto diversa: fu un viaggio attraverso il tempo che lo portò a conoscere dettagli che alcuni dei suoi compagni di classe potevano sognarsi di conoscere. Era abbastanza sicuro che anche la maestra non fosse a conoscenza di tutto quello che Giulio aveva avuto la possibilità di imparare.

Vide scheletri quasi completi di animali che non esistevano più; ricostruzioni e video che li mostravano in movimento nell’ambiente nel quale vivevano.

Ammirò minerali, fossili e meteoriti dell’epoca dei dinosauri, che fino a quel momento aveva potuto osservare solo nei libri. Non aveva idea che così vicino a lui ci fossero tutte quelle cose meravigliose.

Nel corso della sua visita si immaginò da grande a studiare i reperti: geologia, paleontologia, zoologia, archeologia. Conosceva i nomi di tutte quelle scienze e sognava, un giorno, di potere dedicare la sua vita a studiare il passato.

Quando salirono in auto, Giulio si sentiva stremato dalla giornata intensa e dal carico di conoscenze che avrebbe portato con sé e che avrebbe condiviso con tutti i suoi compagni di classe. La sera raccontò al padre e al fratello tutto ciò che aveva visto, insieme promisero che sarebbero andati a visitare insieme il museo. “Quello o anche un altro,” propose Giulio, tentato dalla curiosità e dal desiderio di vedere di più.

Dopo cena andò a dormire e sognò il suo futuro da paleontologo: si vide a toccare, pulire, ricostruire i fossili. A raccontarne la storia e a scrivere libri che altri bambini un giorno avrebbero letto.

Forse non sarebbe stato il suo sogno per sempre, ma quella notte dormì sereno, come se avesse compiuto la prima parte del suo destino.
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Partecipa al COWT 13
Prompt: Naufrago
Cloud Strife
One Shot

Il Naufrago sulle rive di Mideel

Il ragazzo era disteso sul divano, i vestiti ancora sporchi dell’acqua di mare. Mika e sua sorella Hila l’avevano trovato sulla riva, di fianco alla loro casa, pochi minuti prima.

La ragazza aveva chiesto alla sorella di chiamare aiuto, in particolare il dottore per capire se ci fosse qualcosa da fare per lui, se si sarebbe risvegliato.

Quando le due sorelle avevano trovato il naufrago erano corse verso di lui e l’avevano voltato. I suoi occhi erano aperti e vuoi, ma non sembravano morti. Mika accostò l’orecchio al suo petto e sentì il suo cuore battere, il suo respiro lieve, ma regolare.

Lo chiamarono, cercarono di svegliarlo anche con qualche piccolo schiaffo sul volto, ma sembrava svenuto. Solo che non era svenuto, bastava guardare quegli occhi per capirlo.

Hila era spaventata da lui.

“Aiutami a prenderlo per portarlo dentro,” le chiese.

La sorella fece un passo indietro, quasi a volergli negare il suo aiuto. “Lo vuoi portare in casa nostra?” Domandò, incredula.

“Solo fino a quando non lo viene a prendere il dottore. A occhio questo potrebbe essere uno di quegli avvelenamenti da Mako di cui parlava qualche giorno fa il capo. Aveva detto che ce ne sono stati parecchi ultimamente. Non ne avevo mai visto uno, ma guarda.” Mika Schioccò le dita di fronte al viso dello sconosciuto, che non sbatté neanche le palpebre. “Gli occhi blu sembrano finti. È vivo, ma è come se fosse morto. Mi fa pena, non paura.”

Hila si avvicinò per aiutare la sorella. Insieme sollevarono il ragazzo, un braccio ciascuna. Era pesante, più di quanto immaginassero. A fatica, lo trascinarono come un sacco pieno di patate fino dentro la loro casa, sul divano. “Ora vai a chiedere aiuto.” Le ordinò.

Poi Mika prese una bacinella di acqua pulita e un asciugamano e gli sciacquò il viso e i capelli, facendo attenzione a tamponare con delicatezza. I suoi capelli biondi erano sporchi di sabbia e di alghe, la ragazza li pettinò e li pulì con cura. Non aveva il coraggio di avvicinarsi con la pezza ai suoi occhi profondi che fissavano il soffitto come se non potessero fare altro. Si sollevò e provò a incrociare il suo sguardo, per capire se lui fosse in grado di vederla. Gli passò la mano a pochi centimetri dal viso. “Puoi sentirmi? Mi vedi?” Gli chiese.

Lui emesse un lamento flebile, ma non le parve una risposta.

Gli mancava uno stivale, Mika completò l’opera togliendo anche l’altra e continuando con il resto dei vestiti bagnati e sporchi di salsedine. Dovevano pizzicare, si chiese se lui sentiva qualcosa. Nonostante l’imbarazzo continuò a spogliarlo, un capo alla volta. Un lenzuolo a coprirlo perché sapeva che se fosse capitato a lei, avrebbe desiderato lo stesso trattamento.

“Il dottore sta arrivando.” Hila rimase di fianco alla porta, senza mostrare alcun desiderio di avvicinarsi al naufrago. “Ha detto qualcosa?”

Mika scosse la testa. “No, solo un lamento, ma non credo che ci veda.”

Proprio in quel momento, il ragazzo tentò di alzarsi e diresse il suo sguardo vuoto verso di lei. Mika fece un balzo all’indietro, rovesciando in parte l’acqua con la quale lo aveva lavato. “Ri- uh…”

Restò sollevato, di nuovo del tutto privo di segni vitali. Mika decise di aspettare il dottore, che non tardò ad arrivare.

“Questo ragazzo dovrebbe essere morto.” Dichiarò, la luce puntata sulle sue pupille. “È il caso di avvelenamento da Mako più grave che io abbia mai visto. Su un essere umano in vita, si intende.” Sbuffò. “Chissà da dove arriva. Dai suoi occhi direi che è stato esposto all’energia in modo volontario, almeno all’inizio.”

“Un soldato?” Chiese Hila, confusa.

“Non sarebbe il primo a subire questa sorte. Non credo che si renda conto di essere qui con noi. Ora lo porto in clinica, vedremo se qualcuno lo verrà a cercare o se morirà così.”

Nel corso dei giorni seguenti, Mika andò dal soldato misterioso ogni volta che ne aveva l’occasione. La risposta del medico era sempre la stessa: non ci sono novità, sembra stabile. La ragazza gli parlava di Mideel e del mare e gli raccontava come stava passando le giornate. Si era convinta che se lui si fosse risvegliato si sarebbe ricordato di lei. Si vedeva a vivere con lui in un futuro prossimo, ad attenderlo a casa dopo il lavoro, a raccogliere insieme le verdure nell’orto di casa. A vivere insieme, dopo che lei l’aveva salvato.

Questo fino a quando non era arrivata la ragazza. Si chiamava Tifa e appena l’aveva visto si era messa a piangere in un modo così sincero che a Mika si era stretto il cuore. Vederli insieme la fece sentire una sciocca per le sue fantasie romantiche. Non andò più a trovarlo, ma scoprì che in effetti alla fine era guarito.

Avrebbe sempre portato nel suo cuore uno spazio per Cloud, il naufrago che lei aveva salvato.

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