2021-03-20

quistisf: (Default)
2021-03-20 03:41 pm

Insonnia - originale

 

Prompt: I feel very attacked right now! (Laganja Estranja)

Il prompt è tradotto in italiano, segnalato dagli asterischi (*)

Fandom: originale

Genere: soprannaturale, introspettivo

Partecipa al COWT11



Insonnia 


La maledetta sveglia ticchettava regolare. Gabriele la prese con una mano e la lanciò contro il muro, sbuffando.

Lui voleva solo dormire sereno nel suo letto caldo e comodo, e invece si stava rigirando come un serpente da ore nonostante la stanchezza, nonostante le gocce di valeriana che secondo il suo farmacista avrebbero fatto miracoli.

Non era abituato all’insonnia e non ne aveva mai sofferto, ma da quando sua nonna era morta lui aveva praticamente smesso di dormire.

Si sentiva osservato, era come se il fantasma della sua parente defunta fosse lì a giudicarlo, come da viva la nonna aveva sempre fatto.

 

Non avevano mai avuto un bel rapporto, perché sua nonna aveva la tendenza ad attaccarlo per insegnargli a vivere, così diceva lei. 

 

Secondo lei, Gabriele avrebbe dovuto smettere di uscire con gli amici a divertirsi, farsi assumere in banca e trovare una brava ragazza con la quale avere tanti marmocchi da portare alla bisnonna. 

Ma quello non era il suo sogno.

Un giorno, cinque anni prima che morisse, avevano litigato in modo pesante, irrevocabile.

La nonna gli aveva ripetuto per l’ennesima volta di non sprecare la sua vita con il cellulare, fai qualcosa di utile per una volta, esci e trovati una brava moglie, poi cercati un lavoro serio e smettila di giocare.

Gabriele aveva deciso allora di dirle la verità: quello non era il suo sogno e non lo sarebbe mai stato. Non avrebbe mai avuto una moglie e dei figli, semmai un marito, se la gente come lei glielo avrebbe mai permesso. Lavorava felice e realizzato come grafico e non ci pensava proprio ad andare in banca, non sarebbe mai successo. Le disse che lei aveva sprecato la sua vita, rinchiusa in un matrimonio privo di amore e di rispetto che era peggio di una prigione, una donna senza passioni che viveva solo per abitudine.

Gabriele si era pentito subito del fiume di parole che le aveva vomitato addosso. Ricordava ancora l’espressione severa e delusa della nonna che non avrebbe mai ammesso, orgogliosa com’era, di aver subito l’attacco verbale del nipote, di esserne stata toccata nel profondo.

Dopo quel giorno nulla era più stato lo stesso. 

La nonna sospirava, guardandolo. Non giudicava più apertamente, ma sbuffava spesso e il ragazzo sapeva che non sarebbe mai tornato indietro. La vedeva a Natale e al suo compleanno e lei gli riservava sempre sguardi di pena. Il suo giudizio strisciava fino a lui, facendolo sentire inadeguato e tutto ciò che desiderava era andarsene. 

Aveva provato a parlarne a sua madre, ma la donna aveva minimizzato: È fatta così, è sempre stata così, cosa possiamo farci? Mi ha detto di essere preoccupata per te, lei non ti capisce. Ormai è vecchia, non cambierà più.

Si era allontanato da lei senza guardarsi indietro e da allora aveva ignorato le richieste, anche quelle di aiuto, che arrivavano dalla nonna.

Il senso di colpa arrivava proprio da quell’ultima richiesta, il giorno della sua morte. Forse se fosse andato lui a farle la spesa come la nonna gli aveva chiesto, lei non sarebbe morta.

 

 

Constatando la vittoria dell’insonnia, decise di alzarsi, sconfitto. Uscì dalla sua stanza ignorando la sveglia, che comunque non gli serviva più: erano le quattro del mattino e lui aveva dormito per poco più di dieci minuti? Forse era arrivato a un’ora di sonno totale, poco male.

La sua iguana riposava nel terrario al sole artificiale della lampada, Gabriele si avvicinò al rettile per capire se era sveglio e il suo animale domestico rivolse la testa verso l’uomo, che aveva aperto la gabbia per portarlo con lui sul divano. “Ciao, bella!”

Niente lo rilassava come accarezzare la pelle liscia della sua Lilly. Sperava che la presenza dell’iguana lo aiutasse a rilassarsi per permettergli di dormire almeno un paio di ore prima dell’inizio della giornata.

 

“Non ho mai capito come tu faccia a toccare quella bestia orribile.” Stanco com’era, la voce della nonna gli sembrò reale. Rise al pensiero che gli avrebbe detto proprio quella stessa frase. Scimmiottò, ripetendola, il giudizio indesiderato sulla sua amata Lilly e rispose, ancora mezzo addormentato. “Avresti dovuto provare a toccarla, nonna, è piacevole. E a lei piaccio io perché la scaldo.” 

“Ne faccio a meno volentieri, caro.” Per quanto fosse impossibile, quella era la sua voce ed era nella stanza. Gabriele, pietrificato e più sveglio di quanto non fosse mai stato nell’ultimo mese, alzò la testa per trovarsi di fronte una figura semitrasparente con le fattezze della cara nonna defunta.

 

“Non mi saluti neanche?” Gabriele boccheggiava mentre Lilly si arrampicava sulle sue spalle, pronta a farsi proteggere dal suo umano preferito.

Il fantasma si sedette sulla poltroncina di fronte al divano, le gambe accavallate e un’espressione di disappunto. “Cosa ci fai sveglio a quest’ora? Non credi sia ora di smetterla con queste sciocchezze?”

“Ch-cosa?” 

“Lo sai cosa: ti senti in colpa perché sono morta e ti avevo chiesto di farmi la spesa, sarei morta lo stesso, sai?” il fantasma si fermò un attimo, per poi riprendere vista l’incapacità di parlare del nipote. “Allora, come te lo spiego? Fai bene a sentirti in colpa perché sei stato un nipote assente.”

“Ma nonna… F- Fantasma? Sto sognando?”

“No, non stai sognando. Lasciami finire una volta tanto! Dicevo: non sei stato un nipote modello, tante volte ho chiesto il tuo aiuto e tu l’hai ignorato, perché non sei mai stato capace di fare una gentilezza a tua nonna. Ma non sono morta per causa tua. Avevi le tue cose e io non le ho mai capite. Adesso però quando passo da te sei sempre sveglio a ripensare a quello che mi dicevi, a quanto stavamo insieme da bambino. Ma basta! Quello è il passato e credimi: io sto benissimo adesso. Magari comincia a comportarti bene con chi è vivo, tipo tuo nonno, invece di scaldare la sedia e il serpente! Credo sia ora che tu cambi registro, se vuoi che la tua vita sia migliore.”

Gabriele non riusciva a parlare, osservava lo sguardo severo del fantasma e si sentiva del tutto inerme. “Mi attacchi sempre! La vuoi smettere di farmi sentire in colpa? Da sempre, non sei mai capace di stare zitta.”

“Cosa? Stai dando la colpa a me della tua incapacità di vivere e di dormire? Ma io sono morta, che cosa posso farci adesso, eh? Semmai io mi sento molto attaccata adesso*. Come mi ci sono sentita quella volta, quando abbiamo litigato.”

“Puoi anche smettere di essere così. Possibile che anche da morta tu riesca a comportarti da stronza? A rinfacciare ogni cosa? Dovresti smetterla di ferire tutti di proposito. A me la mia vita piace, escluso l’ultimo mese.”

“Pfff… se non ho imparato da viva a farmi gli affari miei, puoi immaginare quanto ti ascolterò adesso, da defunta. E sai una cosa? Non mi interessa per niente di ascoltarti. Anzi. Si sente attaccato?* Oh, poverino.”

“Ma io…”

“No: niente ma. Metti nella gabbia la tua lucertola e torna a dormire. E da domani sveglia presto e basta scemenze. In realtà sono venuta qui a ringraziarti… ”

“Cosa? Ringraziarmi per cosa?” Gabriele si alzò e rimise Lilly nel terrario. L’iguana protestò timidamente, ma subito tornò sul ramo a scaldarsi. Osservava il fantasma, confuso.

“Un po’ avevi ragione. Ci ho messo anni per dirtelo e alla fine non ci sono neanche riuscita da viva… Ho ripensato spesso alla nostra litigata e devo ammettere che non è stato facile per me ragionare su quello che mi avevi detto. Sul mio giudicare sempre tutti e voler decidere per ogni membro della mia famiglia. Lo sai che ho iniziato a dipingere? Era un hobby che avevo quando ero giovane, prima che mollassi tutto per occuparmi dei miei doveri familiari. Ho ricominciato pochi giorni dopo la nostra litigata. Avrei voluto dirti che eri stato tu a spingermi, ma non ce l’ho mai fatta. Avrei molti più rimpianti se tu non mi avessi mandata a quel paese cinque anni fa. Ho cercato di non giudicare più, di provare a capirvi meglio tutti. Non credo di esserci riuscita, anche perché non ho mai trovato il coraggio di dirti che avevi ragione, e questo è il mio più grande rimpianto.”

Gabriele stava fermo a bocca aperta a fissare il fantasma.

La nonna si mise a ridere. “Voglio solo dirti che dovresti smetterla di sentirti in colpa, perché non è tua. Ma voglio sperare anche che tu abbia imparato dai tuoi errori, perché se provi senso di colpa è perché in fondo mi volevi bene e ti è costato starmi distante. L’hai fatto per te stesso e lo capisco, ma la prossima volta che tuo nonno ti chiederà di accompagnarlo da qualche parte, magari dirai la verità e non inventerai stupide scuse all’ultimo secondo.”

 

“P- Posso toccarti?”

“Non proprio.” La nonna si avvicinò a lui e fece scivolare una mano verso la sua, la mano era eterea, aria.

“Mi dispiace, nonna.”

“Lo so, tesoro. Mi spiace di averti osservato così tanto in questo periodo, ero preoccupata per te, ti vedevo così triste… Ora però capisco. Ti ho osservato tanto e ho visto quanto tu sia felice con quel Marco. Dovresti presentarlo a casa perché tua madre sarebbe felice di sapere che non sei solo. Anche il tuo lavoro, per me era strano, come la tua biscia lì, che non capisco come faccia a piacerti. Però non siamo tutti uguali, e finalmente credo di averlo capito. Adesso vieni, andiamo a dormire.”

Gabriele si diresse verso la camera assieme alla nonna. “Guarda che ti controllerò, sai. Non voglio più sentire scuse. Da domani dormi e non ci pensi più.”

Gabriele annuì, grato alla nonna per essersi rivelata a lui quella notte. Si mise sotto le coperte mentre gli cantava la ninna nanna di quando era bambino.

 

Il mattino seguente, Gabriele si svegliò quando il sole era già alto. Sarebbe arrivato in ritardo al lavoro, ma non gli importava: aveva dormito. Dopo due mesi finalmente aveva dormito.

Non sapeva se la visita della nonna fosse stata solo un sogno, ma si sentiva più leggero, più libero di vivere. “Grazie, nonna.” sussurrò.


quistisf: (Default)
2021-03-20 05:41 pm

Solo Camilla - Originale

 

Fandom: Originale

Genere: Introspettivo

Partecipa al COWT11 prompt: Dio benedica chi se ne frega.(Achille Lauro)



Solo Camilla



Dio benedice chi se ne frega.

Finalmente Camilla l’aveva capito. Ma quanto tempo ci aveva messo? Anni? Forse sarebbe stato più corretto dire decenni, e aveva ancora tanta strada da fare per riuscire ad accettare il fatto che la perfezione non era raggiungibile da nessuno, tanto meno da lei, che era umana esattamente come tutti quelli che l’avevano giudicata in passato e che continuavano a giudicarla.


La colpa era anche di sua madre, che le aveva sempre fatto pesare il suo non essere come lei l’avrebbe voluta: sua madre, aggraziata ed esile, aveva una figlia così differente da lei che faticava a comprenderla.

Da piccola l’aveva iscritta a un corso di danza classica. Camilla credeva che niente nella vita fosse più noioso di quelle lezioni. Aveva provato a chiedere alla madre di stare a casa, perché avrebbe preferito fare i compiti piuttosto di andare a sgambettare a ritmo e in punta di piedi, per uscirne dolorante e annoiata. Avrebbe desiderato cambiare corso e farne uno di nuoto, di pallavolo o di un qualsiasi altro tipo di danza, purché non fosse quella. Ma la mamma non aveva sentito ragioni, costringendola a partecipare nonostante Camilla avrebbe preferito fare ore e ore di compiti invece di stare lì a farsi ripetere continuamente: schiena dritta, pancia in dentro, alta la testa, basse le spalle e alza di più quella gamba...

L’insegnante del corso poi non le stava per niente simpatica. Parlava con un tono di voce più acuto del normale e sospirava sempre quando la guardava. Come se il resto non fosse stato già sufficiente, l’aveva invitata a dimagrire un po’ dimostrando il tatto di un elefante. Solo da adulta ci aveva ragionato su trovando la situazione al limite del denunciabile.

Quella era stata la prima volta in cui si era sentita inadeguata.



Era riuscita a liberarsi del corso alle medie, dove però i bulletti della sua classe l’avevano presa di mira, le loro parole vuote e sciocche la facevano sentire piccola e sbagliata. Si sentiva brutta e sapeva che i suoi compagni la vedevano così.

Non era grassa, non troppo, non allora. Era una ragazza del tutto normale e a riguardare le sue foto, nell’ultimo periodo, si era stupita di quanto invece fosse sempre stata troppo severa con se stessa.

Poi col tempo alle medie si era convinta che comunque nulla contasse, perché anche se fosse dimagrita nessuno l’avrebbe guardata perché era brutta.

In seconda media, quando aveva avuto per la prima volta le sue cose si era sentita ancora più sbagliata. Un trauma: sangue visibile a tutti sui suoi jeans azzurri, chiari e attillati. Ricordava la vergogna e la paura che aveva provato nel vedere tutto quel sangue, perché la mamma le aveva parlato di ciò che un giorno le sarebbe successo. Anche a scuola l’avevano fatto. Ma il trovarsi in quella situazione l’aveva terrorizzata perché l’aveva esposta al giudizio di tutti i suoi compagni di classe.

Il problema non era stato il sangue, né il dolore costante che aveva iniziato a provare da prima di capire cosa le stesse succedendo. Il problema era che non era mai stata così nuda di fronte ai suoi compagni di classe, e la certezza che loro non avrebbero mai permesso che quella macchia fosse cancellata, perché avrebbero dovuto? Considerato che già la prendevano in giro prima, questo era solo un pretesto in più.


La sua parte razionale le ripeteva che era un evento normale, qualcosa che accade a ogni ragazza e che prima o poi tutte si sarebbero trovate nella sua situazione. Sua madre le aveva confessato che più di una volta si era macchiata e che ci si convive. Tra qualche anno ci riderai sopra. 

E forse aveva ragione, ma non era ancora il momento. Le risatine dei suoi compagni di classe, i discorsi interrotti quando si avvicinava a loro erano pugni nello stomaco, fatti per colpire la sua autostima.


Poi vennero i brufoli. Camilla ne era piena e se ne vergognava. Con sua madre avevano provato ogni tipo di crema e di sapone, trattamenti della pelle, maschere all’argilla, ma niente: i brufoli se ne stavano lì. Camilla invidiava alcune delle sue compagne di classe, che avevano la pelle liscia come seta, o che avevano i brufoli, ma riuscivano a coprirli senza troppi pensieri. Chiamavano una sua compagna di classe grattugia. Forse lo facevano anche con lei. Non aveva idea di quale nomignolo le avessero riservato, ma non intendeva scoprirlo. 

Pensava che avesse qualcosa a che fare con il suo naso, che odiava. Si ripeteva spesso che non appena avesse avuto i soldi per farlo, si sarebbe fatta una rinoplastica per avere un naso che la rappresentasse.

Era il naso a renderla brutta. Invidiava quelle che riuscivano a parlare coi ragazzi, quando lei a malapena rivolgeva la parola ai suoi compagni di classe. 


Alle superiori, Camilla aveva trovato la sua dimensione naturale. Aveva delle amiche alle quali teneva e che le volevano bene, passavano insieme pomeriggi di studio e di pettegolezzi e serate tra loro. Camilla però sentiva sempre di avere qualcosa da dimostrare a loro, per lei era come se la loro amicizia fosse un regalo che le stavano facendo. Spesso si chiedeva come mai passassero tutto quel tempo insieme, perché lei non era speciale per niente.

Non aveva il coraggio di cantare insieme a loro perché non era abbastanza intonata. Non ballava, neanche quando uscivano per andare a ballare, perché nonostante gli anni di corso di danza era incapace di andare a tempo e quando a casa, da sola, si metteva in camera a muoversi a ritmo di musica si sentiva ridicola. Era impensabile per lei anche solo pensare di sentirsi libera di ballare. Stava meglio seduta al tavolo a guardare le borse alle amiche, anche perché loro magari avrebbero potuto conoscere qualche ragazzo, mentre per lei non c’erano molte speranze in quel senso. In realtà sentiva che avrebbe dovuto dire alle sue amiche che quei locali non le erano mai piaciuti.

Ci andava per abitudine, per stare con le amiche e guardarsi in giro, per i preparativi prima della partenza e per le chiacchiere mentre tornavano a casa, una volta uscite. Il tempo passato seduta, da sola e assordata dalla musica non era certo memorabile.


Aveva passato i suoi vent’anni a mascherarsi con le altre ragazze, cercando abiti poco appariscenti che la rendessero simile a tutte le altre, ignorando i suoi gusti personali che non erano del tutto adeguati agli standard generali. Si era concessa solo un cappotto rosso in lana cotta che metteva di rado perché attirava troppo l’attenzione.


A trentacinque anni, finalmente Camilla sentiva di avere imparato a conoscersi e ad accettarsi per ciò che era. Era timida e faceva fatica a parlare? Andava bene così, non era necessario per forza parlare con chiunque le rivolgesse la parola.


Dal suo lettino in spiaggia, rideva, finalmente, al pensiero che per anni non era andata al mare per un motivo che finalmente reputava stupido: la cellulite. E chi se ne frega di un po’ di cellulite, ce l’hanno tutte le donne!

Le dicevano le sue amiche quando la invitavano. Tante donne? Probabile, ma loro no. Loro erano perfette. La pelle candida che si scottava facilmente rendeva le sue imperfezioni ancora più evidenti. Ma ormai non era più un problema per lei.

Non le importava più che la gente la fissasse e lei stessa aveva smesso di cercare i difetti negli altri. Si era resa conto che la sua severità nei confronti di se stessa si rivolgeva allo stesso modo anche a chi le stava intorno. Spesso si era chiesta come facesse Biagio a non vergognarsi ad andare in giro con gli stivali da cowboy o con che coraggio Sonia si mettesse spesso a canticchiare nonostante fosse stonata come una campana. 

Dopo anni si era resa conto di essere sempre stata lei a sbagliare e per questo si era sentita in colpa. Non era compito suo giudicare i suoi amici o gli estranei, proprio come nessuno doveva sentirsi in diritto di giudicare lei.

Non l’avrebbe più fatto, si era promessa.


Ormai non si sentiva più in imbarazzo a cantare, a muoversi a ritmo di musica a modo suo quando era a una festa di compleanno o a vestirsi come piaceva a lei.


Dio benedice chi se ne frega, ed era ora che Camilla lo capisse e cominciasse a sentirsi più libera. Era ora che la smettesse di avere paura di mostrare la sua vera bellezza.