Un'anima pura coperta da un'ombra - Persona 5
Prompt: Attacco
Genere: introspettivo, angst (non direi missing moment perché nessuno parla dei passati delle ombre)
Personaggi: Yaksini, Joker, OC
Per la storia mi sono ispirata alle Yakshini.
Un'anima pura coperta da un'ombra
Yaksini vagava per il Palazzo senza una vera meta. Cercava solo qualcuno da poter attaccare, qualcuno da mangiare. Possibilmente sarebbe stato meglio un umano, ma sarebbe potuta sopravvivere anche con qualche altra ombra se proprio non avesse trovato di meglio.
Aveva combattuto spesso per vivere. Attaccando Ombre ignare alle spalle senza dar loro la speranza di sopravvivere e non era pentita, perché da quei combattimenti dipendeva la sua sopravvivenza.
Non sapeva da quanti anni fosse lì, ma anche se da qualche parte in lei sentiva di non essere sempre stata lì, non ricordava altro. Erano passati forse centinaia di anni da quando lei era cambiata, da quando qualcosa l’aveva portata in quel luogo senza uscita.
Lei continuava a percorrere sempre lo stesso tratto di corridoio avanti e indietro, sperando di incontrare una preda che avesse un’anima, magari, per quanto non fosse nemmeno sicura di sapere cosa fosse.
Il ragazzo e i suoi amici erano arrivati da lei quando ormai credeva che nessun essere umano sarebbe mai passato lungo la sua strada e lei aveva fatto l’unica cosa che sapeva fare: li aveva attaccati alle spalle, felice.
Il potere del ghiaccio era con lei, infatti li aveva colpiti con successo. Le sarebbe bastato divorare uno di loro, ma i ragazzi sembravano resistere senza problemi ai suoi attacchi furiosi, quasi isterici.
Quando aveva pensato di aver vinto, gli umani le avevano sferrato un colpo magico che l’aveva tramortita. Prima di allora non le era mai capitato e già si vedeva morta, di nuovo. Una seconda morte quando ancora non riusciva a ricordare la prima.
Poi lui le aveva parlato.
Il ragazzo con i capelli scuri e scompigliati le aveva rivolto la parola invece di darle il colpo di grazia. “Vuoi vivere o preferisci morire?”
Da quanto tempo Yaksini non usava la sua voce per comunicare? Da quanto era un'Ombra? “Voglio vivere,” si era sorpresa della musicalità delle parole che uscivano dalla sua bocca. L’attrazione per l’anima del ragazzo di colpo era mutata. “C’è qualcos’altro che vuoi da me, è vero, umano?”
Il ragazzo aveva sorriso. “Vuoi combattere con me?”
E solo in quel momento si era vista: nella luce dell’anima del ragazzo, Yaksini aveva ricordato chiaramente che un tempo non era un’ombra. Che un tempo era stata una divinità.
“Io sono te, tu sei me,” aveva pronunciato con solennità Yaksini. Era riuscita a liberarsi dalla maledizione che l’aveva tramutata in un demone. Un anatema che lei stessa aveva pronunciato per cancellare il suo passato e gli errori che aveva commesso, ma ora che si era legata all’anima del ragazzo, diventandone la Persona, le sue memorie erano tornate, prepotenti e crudeli. Avrebbe preferito non ricordare, ma quella era l’unica opportunità che aveva di tornare se stessa.
Non era sempre stata un’ombra. Un tempo era stata una delle Yakshi, una delle divinità in grado di far avverare i desideri degli uomini loro devoti.
Avrebbe tanto desiderato poter pronunciare il proprio nome, ma non intendeva invocarlo neanche nella sua memoria per non infangare la purezza di colei che un tempo era stata e che con molta fatica forse un giorno sarebbe tornata a essere, se fosse riuscita a espiare i propri peccati.
Era passato così tanto tempo da quando la sua esistenza era mutata che ormai faceva fatica a rammentare il passato, ma chiudendo gli occhi le tornava ancora la memoria di quando un tempo gli uomini andassero a cercarla per ottenere fortuna, ricchezza e felicità. La invocavano sotto gli alberi di Kadamba, col caldo o con la pioggia, di giorno e di notte. Ricchi o poveri che fossero non c'era differenza, perché tutti arrivavano a piedi all’albero e portavano con loro canfora, legno di sandalo e burro chiarificato, doni per lei, rituali imparati dagli avi. Ripetevano il mantra migliaia di volte, e poi ancora migliaia di volte purché lei li ascoltasse ed esaudisse i loro desideri.
Lei però donava la sua benedizione solo a chi presentava le motivazioni più pure, a chi desiderava quanto necessario e forse qualcosa in più, ma sempre a chi non osava approfittarsi del suo aiuto. Mostrava loro la sua divinità nel suo corpo di donna prosperosa, pronta a portar loro la prosperità.
Poi un giorno tutto era cambiato: un giorno si era innamorata dell'aspetto di uno degli uomini che era andato a invocarla. La sua voce l'aveva incantata prima ancora che lei riuscisse a vederlo davvero e, quando con la mente la Yakshi l'aveva raggiunto, ne era rimasta ammaliata. L’aveva amato e l'aveva accontentato senza preoccuparsi per la prima volta nella sua esistenza divina di ascoltare fino in fondo al cuore i suoi veri desideri: pensieri impuri e terribili nascosti sotto un aspetto angelico, un sorriso aperto che pareva sincero e che invece era desiderio di morte.
La dea si era concentrata sulla voce melliflua e suadente che accompagnava le parole senza cercare di mettersi in risonanza col cuore marcio dell’uomo.
Da quel giorno aveva iniziato a perdere contatto con la sua anima divina: aveva perso l'interesse negli uomini e aveva iniziato ad attaccarsi a lui in modo offensivo, ammirando il suo corpo, a osservarlo e a desiderarlo dimenticandosi di ciò che invece la sua divinità le imponeva di fare.
Lui la ringraziava ogni mattina per aver esaudito i suoi desideri e lei ogni mattina, invisibile ai suoi occhi, restava attaccata al cuore marcio dell’uomo mancando di rispetto al suo vero ruolo di Yakshi.
Così, dopo qualche tempo, aveva potuto constatare ciò che egli aveva fatto con la ricchezza e la fortuna che lei gli aveva donato così incautamente. Egli aveva rubato denaro, merce e onore alla famiglia rivale alla sua. Aveva sposato con l’inganno una donna che lo detestava, della quale lui amava solo la ricchezza materiale.
La maltrattava ogni giorno e la donna era arrivata a essere infelice al punto che l’aveva lasciato perdendo tutto e ritrovandosi a vivere sola in povertà.
La Yakshi si era attaccata a lui ancora di più, incapace di vedere oltre l’aura ammaliante che egli possedeva, felice di avergli donato prosperità e gioia. Non vedeva altro che lui e non riusciva a pensare con purezza al cuore degli uomini che aiutava distratta, senza spinta, senza più il cuore puro di un tempo.
Poi un giorno il suo aspetto aveva iniziato a cambiare.
I desideri corrotti della sua anima avevano iniziato a manifestarsi rendendo la sua pelle violacea, come morta. Stava diventando la manifestazione della corruzione così invisibile nell'uomo che l'aveva ingannata, così evidente in lei e nel suo cuore un tempo puro.
Aveva quasi smesso di sentire i mantra che gli uomini le dedicavano, doveva concentrarsi così tanto per riuscirci che rischiava di perderlo, quindi aveva smesso di provarci.
L'attaccamento all'uomo la stava privando della sua divinità, ma a lei non importava.
Da pura a oscura, un giorno si era risvegliata come Ombra.
Ora che la sua memoria era tornata, si era resa conto di essere stata vittima di un incanto di malia che le aveva fatto perdere la via della rettitudine che lei aveva sempre seguito con grande attenzione e amore nei confronti degli uomini.
Pregava che, quando il ragazzo l’avrebbe lasciata andare, sarebbe stata perdonata dalle divinità che le avevano un tempo donato quel potere meraviglioso che, di nuovo, desiderava. Sarebbe tornata Janaranjika.