Il numero uno - Persona 5
Fandom: Persona 5
Personaggi: Goro Akechi, Ren Amamiya
Prompt: risonanza
Partecipa al COWT 14
Il numero uno
Goro stava osservando l’espressione concentrata di Ren, che con attenzione si era chinato sul tavolo da biliardo per studiare la giusta traiettoria da imprimere alla biglia battente per mettere in buca la palla. Che sciocco: non si era accorto che non era quello il colpo più facile? Sospirò con impazienza, sperando che questo avrebbe innervosito il suo avversario.
“Quello è il prossimo tiro,” aveva detto Joker, indicando la biglia che il ragazzo stava fissando. “Prima metto in buca questa.” E aveva tirato, sicuro come sempre, con quell’insopportabile sorrisetto stampato sul viso. “Ecco, visto?” gli aveva ammiccato.
Aveva fatto un gran tiro, era l’unico avversario al suo livello. Goro in questi momenti provava pena per lui, in un certo senso lo riteneva una vittima collaterale. Il suo piano però aveva bisogno che lui lo diventasse, era necessario per il suo fine ultimo.
Ren aveva messo in buca anche la seconda palla, infondendo in Goro un senso di fastidio che cresceva, lasciando poco spazio al rimorso e alla pena.Si somigliavano, più di quanto entrambi volessero ammettere.
Per cominciare potevano controllare più di una Persona. Akechi ne aveva soltanto due, ma a dirla tutta non aveva davvero mai provato ad aumentarne il numero, Loki e Robin Hood erano più che sufficienti.
Con l’ultima palla il suo rivale aveva concluso la partita. Un po’ di gioia prima di morire, pensò Goro. “Complimenti, sei destinato a essere il numero uno.”
Il numero uno. Parole che risuonavano nella sua mente di continuo.
La prima persona che gli aveva promesso il successo era stata sua madre: una donna che aveva avuto l’esistenza che meritava, incapace di prendersi cura di lui e di dargli un padre. L’aveva invece costretto a vivere nella menzogna. Per lei, Goro era il numero uno perché capiva quando se ne doveva andare da casa e non diceva una parola. Obbediente, remissivo come lei desiderava. Parole a cui la donna aveva tolto il significato per sostituirlo con una bugia, come faceva con ogni aspetto della sua vita.
Il numero uno, il migliore. L’Ace Detective di cui Sae e il dipartimento di polizia avevano bisogno per l’operazione sotto copertura per catturare i Phantom Thieves. Colui che aveva risolto casi impossibili, raccolto l’ammirazione del pubblico e delle forze dell’ordine, che si era fatto notare da fan che lo cercavano e lo fotografavano di nascosto. Il numero uno.
Il compiacimento, la dimostrazione di ciò che Goro poteva fare grazie alle sue doti naturali.
Il numero uno, il primo in grado di offrire a suo padre qualcosa che nessun altro avrebbe mai potuto donargli: la volontà del popolo, la mente di chi gli si opponeva. Se solo glielo avesse chiesto, il ragazzo avrebbe messo ai piedi di Shido l’intero Giappone. Il numero uno nel risolvere le situazioni spiacevoli, così l’aveva chiamato, e Goro si era sentito finalmente apprezzato dall’uomo che l’aveva abbandonato molti anni prima, che si stava infine appoggiando al figlio reietto, seppure inconsapevolmente.
Solo di fronte a Ren non si sentiva il numero uno. Con lui era destinato a un ruolo marginale. Chiunque avesse osservato le loro azioni e conosciuto la loro storia avrebbe visto in Goro un antagonista, un personaggio mosso dall’invidia e dal desiderio di dimostrare il proprio valore in una lotta impari, nella quale sarebbe sempre risultato sconfitto se avesse lottato ad armi pari. L’uso dell’astuzia e dell’inganno gli poteva permettere di sfruttare un vantaggio e di vincere.
Lui però non aveva intenzione di dimostrargli lealtà. Stare con Ren era stimolante, era vero, ma ogni momento in sua presenza gli era sempre più difficile mantenere addosso la sua maschera.
“Fai qualcosa, salvati! Non vedi che ti sto prendendo in giro?” Avrebbe desiderato dirgli. “Ti credi tanto furbo, sostieni di essere il leader, invece sei solo una marionetta.”
Ren era sempre così difficile da comprendere, al punto che Akechi si era chiesto se non stesse indossando anche lui una maschera.
Non era possibile, lui era sempre un passo avanti.
Avrebbe ucciso il leader dei Phantom Thieves con le sue mani, proprio come aveva deciso quando aveva iniziato a pianificare il suo piano, mesi prima. Non uno speciale, solo una delle tante vittime del killer vestito di nero. Alzò lo sguardo su Haru, intenta a giocare a freccette con gli altri patetici ragazzini del gruppo e pensò a Okumura, a come ne aveva eliminato la versione cognitiva e a quanto le sue azioni non gli avessero impedito di passare del tempo con la figlia, senza alcun rimorso. Ricordava di quando le aveva anche confessato quanto la capisse, come anche lui in passato avesse perso il padre, come la sua vita fosse stata difficile, ma anche come tutto il suo dolore l’avesse reso forte.
Era il numero uno anche nel nascondersi, nel proteggere il suo grande piano di conquista del mondo senza fatica.
“Domani sarà una giornata importante, cercate di riposare.” Aveva suggerito ai Phantom Thieves nel congedarli.
Il giorno della verità: la cattura del tesoro nel Palazzo contorto di Sae Niijima.
Sarebbe stato il giorno della sua consacrazione a numero uno, quando il suo rivale avrebbe finalmente riconosciuto la grandezza dell’intelligenza del celebre Ace Detective che lui continuava a trattare come suo pari.
Mentre tornava a casa, Goro si fermò a un telefono pubblico e compose il numero.
Al quarto squillo una voce conosciuta rispose. “Pronto?”
“Sono io.”
“Bene, parla.”
“Domani ci troveremo al Casinò. Entro due giorni la prima parte del piano sarà conclusa.”
Dall’altra parte, Shido stava in silenzio. Akechi poteva immaginarlo sorridere compiaciuto. “Mi farò vivo presto.”
“Fa’ in modo che le cose vadano come concordato.” L’uomo attaccò il telefono senza dargli la possibilità di salutare, come sempre.
Quanto avrebbe desiderato dirgli la verità. Spiegargli che ogni sua azione era un dono dal figlio rinnegato al padre. Una notte aveva sognato il momento della sua rivelazione. Nel sogno, Shido lo abbracciava, ringraziandolo per avere messo in pericolo la sua vita per lui, pregandolo di perdonare la sua assenza negli anni in cui avrebbe potuto fare la differenza.
Akechi posò la cornetta. Sapeva che quello era solo un sogno, che suo padre non si sarebbe scusato, né l’avrebbe abbracciato.
A lui bastava avere la sua riconoscenza, l’ammissione che Akechi era il numero uno.